Proprietà esclusiva di un bene «presumibilmente condominale»: a chi spetta l’onere della prova?

Il criterio attributivo della proprietà comune previsto dall’articolo 1117 c.c. può essere superato soltanto mediante la prova certa che il bene non sia mai stato di proprietà comune, da fornire a cura del soggetto interessato mediante la produzione di un titolo anteriore all’insorgenza del condominio, ovvero che lo stesso sia stato acquistato per usucapione.

Con atto di citazione un condomino citava innanzi al Tribunale competente il condominio, gli eredi dell'originario proprietario nonché tutti i condomini, affinchè venisse accertato e dichiarato che la striscia del terreno posta nella parte antistante il portico del suo immobile adibito a locale commerciale, sito al piano terra del medesimo condominio, era di sua proprietà esclusiva in quanto pertinenza dell'immobile e, in subordine, chiedeva che venisse accertato e dichiarato che l'area era di sua proprietà per averla usucapita ai sensi dell'articolo 1159 c.c. o dell'articolo 1158 c.c. Il condominio si costituiva in giudizio, contestando l'avverso assunto e proponendo domanda riconvenzionale volta ad accertare la piena ed esclusiva proprietà condominiale della medesima striscia di terreno e chiedendo di essere autorizzata alla chiamata in causa del terzo rimanevano contumaci gli eredi del proprietario originario e gli altri condomini. Si costituiva in giudizio il terzo eccependo la sua estraneità al contenzioso. Il Tribunale rigettava le domande proposte dall'attrice e accoglieva quella riconvenzionale del condomino convenuto dichiarando che la striscia di terreno contesa era di proprietà di quest'ultimo. Avverso tale sentenza veniva proposto appello innanzi alla Corte territorialmente competente, la quale rigettava i gravame. In seguito, l'appellante adiva la Suprema Corte, sullo scorta di cinque motivi resisteva il condominio con controricorso. Il consigliere delegato formulava proposta di definizione del giudizio ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c. ritualmente comunicato alle parti. Dopo tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale chiedeva la decisione del ricorso. Col primo motivo del ricorso, si denunciava la violazione dell'articolo 948 c.c. per aver la Corte d'appello ritenuto che la striscia di terreno contesa fosse di proprietà condominiale mancando i titoli contrari in favore dell'appellante e una riserva in favore del costruttore che aveva alienato le singole unità immobiliari, come risultante dalla mancata menzione del bene nella dichiarazione di successione redatta dai figli e negli atti di compravendita prodotti. Con il secondo motivo di ricorso si deduceva la violazione dell'articolo 1117, primo comma, c.c. per avere il giudice del gravame, affermato che non era stata fornita alcuna prova idonea a superare la presunzione di condominialità desumibile soltanto attraverso un titolo di acquisto originario ovvero l'obiettiva destinazione, data dall'unico originario proprietario, che la porzione di terreno risultava prospiciente all'edificio condominiale, che il suo attraversamento consentiva di raggiungere dalla strada l'area condominiale e che il regolamento condominiale, pur non contemplando il bene conteso, non costituiva titolo di proprietà. Con il terzo motivo si lamentava la violazione dell'articolo 1362 c.c. sostenendo che la Corte d'appello motivando la sua decisione aveva omesso di valutare il regolamento contrattuale condominiale e la planimetria ad esso allegata e non aveva considerato, che ai fini della superabilità della presunzione di proprietà comune, avrebbe dovuto interpretare la volontà contrattuale delle parti secondo i criteri di cui all'articolo 1362 c.c. e verificare il loro comportamento accertando la sussistenza di elementi univoci contrastanti con la reale esistenza di un diritto di comunione. Con il quarto motivo si denunciava la nullità della sentenza impugnata sul vincolo pertinenziale per difetto assoluto di motivazione con riguardo all'articolo 132 numero 4, c.p.c., e all'articolo 112 c.p.c. Con il quinto ed ultimo motivo si lamentava la nullità della sentenza di appello in merito al mancato riconoscimento del suo acquisto a titolo di usucapione dell'area controversa per difetto assoluto motivazione. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi della articolo 380 bis c.p.c., recitava l'inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso avverso la pronuncia di rigetto della domanda principale di accertamento dell'esistenza di un vincolo pertinenziale tra un'area scoperta e la proprietà individuale del ricorrente e di usucapione della stessa e di accoglimento di quella riconvenzionale di accertamento della proprietà comune di detto spazio. Il primo, secondo, terzo, quarto e quinto motivo sono inammissibile o comunque manifestamente infondati. La Suprema Corte riteneva i primi tre motivi esaminabili unitariamente in quanto connessi e li considerava priva di fondamento. Si affermava che, secondo quanto già più volte statuito dalla Cassazione, per affermare la condominialità di un bene occorre gradatamente verificare dapprima che la res, per le sue caratteristiche strutturali risulti destinata oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari e poi che sussista un titolo contrario alla «presunzione di condominialità», facendo riferimento esclusivo al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto. La situazione di condominio, regolato dagli articolo 1117 e seguenti c.c., si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall'originario unico proprietario ad altro soggetto, la cui trascrizione comprensiva pro-quota, senza bisogno di specifica indicazione, anche delle parti comuni, ne consente l'opponibilità ai terzi dalla data dell'eseguita formalità. In presenza di tale presunzione legale, il condominio è dunque dispensato dalla prova del suo diritto spettando, invece, al condomino che rivendichi la proprietà esclusiva di uno dei beni di cui al suddetto elenco dare la prova delle sue asserzioni. La Cassazione riteneva che la Corte d'appello avesse adeguamente interpretato i titoli prodotti in causa, ivi compreso il regolamento contrattuale, risultando dirimente il compiuto accertamento in ordine al fatto che l'originario proprietario non si fosse riservato la proprietà del bene Cass. numero 3852/2020 Cass. numero 21440/2022 . Il quarto e quinto motivo venivano trattati congiuntamente in quanto afferenti entrambi alla dedotta nullità della sentenza, per non essersi questa pronunciata sulla natura pertinenziale del bene conteso e per avere contraddittoriamente rigettato le prove offerte a dimostrazione dell'intervenuta usucapione del bene e poi affermato che questo modo di acquisto fosse rimasto indimostrato entrambi i motivi venivano ritenuti infondati. Quanto alla prima questione risultava dalla sentenza impugnata che il ricorrente, con il settimo motivo, aveva impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva rigettato la domanda di usucapione e il riconoscimento del vincolo pertinenziale tra i locali di sua proprietà e l'area di contestazione in ragione del mancato assolvimento dell'onere probatorio, per non essere state ammesse le prove orali dedotte. Se è vero che la pronuncia non si soffermava affatto sulla questione delle petinenzialità dell'are contesa, è anche vero che non poteva ravvisarsi la nullità atteso che la Corte d'appello, dopo avere affermato la condominialità del bene e respinto la censura riguardante il dedotto acquisto della proprietà della stessa, da parte del ricorrente per intervenuta usucapione, aveva dichiarato assorbite le ulteriori domande proposte. Quanto alla seconda questione, si osservava, preliminarmente, come, dopo la riformulazione dell'articolo 360, primo comma numero 5, c.p.c. disposta dall'articolo 54 del d.l. 83/2012, convertito dalla l. numero 134/2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà ed insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall'articolo 111, comma 6, della Costituzione nel caso di specie la Corte territoriale aveva ampiamente argomentato sulle ragioni per le quali aveva ritenuto di respingere la domanda di usucapione Cass. numero 8487/2020 . Alla luce delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso veniva rigettato e poiché il ricorso era stato deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c., andavano applicati, come previsto dal terzo comma ultima parte dello stesso articolo 380 bis c.p.c., il terzo e quarto comma dell'articolo 96 c.p.c., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, sempre in favore del controricorrente, di una somma equitativamente determinata, nonché al pagamento di un'ulteriore somma, nei limiti di legge in favore della Cassa delle ammende. In conclusione, la Suprema Corte rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità condannava, altresì, il ricorrente ai sensi dell'articolo 96, commi 3 e 4, c.p.c. al pagamento in favore del controricorrente di un'ulteriore somma, nonché al pagamento di un importo in favore della Cassa delle ammende.

Presidente Carrato - Relatore Pirari Ritenuto in fatto 1. Con atto di citazione del 2008, Ca.Si. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Fermo, il CONDOMINIO Ul. in C, Ul.Ub. e Ul.Pi., quali eredi dell'originario proprietario, Ul.Ul., e tutti i condomini, affinché venisse accertato e dichiarato che la striscia di terreno posta nella parte antistante il portico del suo immobile adibito a locale commerciale, sito al piano terra del medesimo condominio, era di sua proprietà esclusiva in quanto pertinenza dell'immobile acquistato il 26/01/1977, e, in subordine, affinché venisse accertato e dichiarato che l'area era di sua proprietà per averla usucapita ai sensi dell'articolo 1159 cod. civ. o dell'articolo  1158 cod. civ. Il CONDOMINIO Ul. si costituì in giudizio, contestando le avverse pretese, proponendo domanda riconvenzionale volta ad accertare la piena ed esclusiva proprietà condominiale della medesima striscia di terreno e chiedendo di essere autorizzato alla chiamata del terzo, la pizzeria Adriatica di Ac.Fe., mentre restarono contumaci gli eredi di Ul.Ul. e gli altri condomini. Si costituì in giudizio il citato terzo, eccependo la sua estraneità al giudizio. Con sentenza numero 691/2015, il Tribunale di Fermo rigettò le domande avanzate dal Ca.Si. e accolse quella riconvenzionale del convenuto CONDOMINIO Ul. di via Omissis , dichiarando che la striscia di terreno contesa era di proprietà di quest'ultimo. Il giudizio di gravame, instaurato dal soccombente attore Ca.Si., si concluse, nella resistenza del CONDOMINIO Ul. e nella contumacia delle altre parti, con l'emanazione della sentenza numero 1854/2019, pubblicata il 31/12/2019, con la quale la Corte d'Appello di Ancona respinse l'appello. 2. Contro quest'ultima sentenza, Ca.Si. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Il CONDOMINIO Ul. ha resistito con controricorso. Non hanno svolto attività difensive in questa sede tutti gli altri intimati. Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell'articolo 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti. In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso. Fissata l'adunanza in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 380-bis. 1 cod. proc. civ., il ricorrente ha depositato memoria illustrativa. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la violazione dell'articolo 948 cod. civ., in relazione all'articolo 360, numero 3, cod. proc. civ., per aver la Corte di appello ritenuto che la striscia di terreno contesa, posta sul lato est del fabbricato, fosse di proprietà condominiale, mancando titoli contrari in favore dell'appellante e una riserva in favore del costruttore che aveva alienato le singole unità immobiliari, come risultante dalla mancata menzione del bene nella dichiarazione di successione redatta dai figli e negli atti di compravendita prodotti. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale non ha, invece, considerato che il condominio avrebbe dovuto provare le proprie pretese, mentre si era limitato a dedurre e non dimostrare l'uso della striscia di terra, che non costituissero prova gli identificativi catastali del terreno e che fossero, invece, indicativi sia il regolamento condominiale contrattuale - che non faceva menzione del bene -, sia la planimetria catastale - che indicava nel lato est come confine il solo lungomare -, sia il proprio atto pubblico - che indicava nel confine est proprio quel terreno. 2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell'articolo 1117, primo comma, cod. civ., in relazione all'articolo 360, numero 3, cod. proc. civ., per aver la Corte marchigiana affermato che non era stata fornita alcuna prova atta a superare la presunzione di condominialità di cui al citato articolo 1117 cod. civ., vincibile soltanto attraverso un titolo di acquisto originario ovvero l'obiettiva destinazione, data dall'unico originario proprietario, che la porzione di terreno risultava prospiciente all'edificio condominiale, che il suo attraversamento consentiva di raggiungere dalla strada l'area condominiale e che il regolamento condominiale, pur non contemplando il bene conteso, non costituiva titolo di proprietà. Il ricorrente ha, in proposito, evidenziato - come il regolamento condominiale in questione che fissava le proprietà comuni e limitava l'uso e la destinazione delle stesse fosse stato predisposto dal costruttore anteriormente alla creazione del condominio e avesse valenza contrattuale, fosse stato trascritto e fosse stato richiamato in tutti i singoli contratti di compravendita, sì da essere idoneo a consentire di superare la presunzione di comproprietà ex articolo 1117 cod. civ., in quanto contemplava tra le parti comuni quelle a Nord e non anche quelle ad Est del fabbricato - come la stessa planimetria ad esso allegata non contemplasse le aree a Est tra quelle condominiali indicate in rosso - come l'area non fosse menzionata nel proprio atto di acquisto - come il bene non fosse mai stato usato per esigenze comuni, né questo fosse stato provato, essendo emersa la presenza di varchi sulla siepe sempre e solo in corrispondenza con l'accesso dalla strada ai locali commerciali. 3. Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell'articolo 1362 cod. civ., in relazione all'articolo 360, numero 3, cod. proc. civ., sostenendo che la Corte di appello, motivando come precisato nei capi che precedono e omettendo di valutare il regolamento contrattuale condominiale e la planimetria ad esso allegata, non aveva considerato che, ai fini della superabilità della presunzione di proprietà comune, avrebbe dovuto interpretare la volontà contrattuale delle parti secondo i criteri di cui all'articolo 1362 cod. civ., verificare il loro comportamento quale criterio ermeneutico e accertare la sussistenza di elementi univoci contrastanti con la reale esistenza di un diritto di comunione. Secondo il ricorrente, il giudice di appello avrebbe dovuto valutare se l'assetto dell'edificio era tale da far ritenere che l'area contesa fosse connotata da obiettiva e funzionale destinazione ad uso collettivo, essendo irrilevante, ai fini della presunzione di condominialità, la sua mancata espressa inclusione nei titoli di acquisto. La sussistenza del vincolo pertinenziale in favore della sua proprietà - aggiunge il ricorrente - era desumibile dall'ubicazione della striscia di terreno in posizione antistante ai suoi locali commerciali, di cui costituiva prolungamento, e dal suo utilizzo esclusivo fin da subito attraverso la creazione di siepi e la sistemazione di attrezzature a servizio degli avventori del bar-ristorante, mentre era irrilevante che la stessa fosse stata indicata nel contratto di compravendita come confine e non come oggetto dell'atto, essendo stati i confini indicati al solo fine di delimitare l'estensione della proprietà del bene principale, senza tener conto delle aree accessorie e pertinenziali. Peraltro, detta striscia di terra era stata indicata anche per il condominio come confine, tant'è che il c.t.u. aveva ritenuto che non rientrasse tra le proprietà condominiali, oltre ad essere esclusa dalle proprietà comuni nel regolamento contrattuale. 4. Con il quarto motivo di ricorso, si denuncia la nullità della sentenza impugnata sul vincolo pertinenziale per difetto assoluto di motivazione con riguardo all'articolo 132, numero 4, cod. proc. civ. e all'articolo 112 cod. proc. civ., in relazione all'articolo 360, numero 4, cod. proc. civ., o, in subordine, l'omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione in merito al vincolo pertinenziale, in relazione all'articolo 360, numero 5, cod. proc. civ., perché la Corte di appello aveva omesso di pronunciarsi e di motivare sulla sussistenza del vincolo pertinenziale dell'area contesa in favore della proprietà del ricorrente, benché ritualmente dedotta, limitandosi a trattare la questione assieme alla domanda di usucapione. L'omessa motivazione scontava, inoltre, il fatto che, ai fini dell'accertamento della volontà di destinazione, fossero state ingiustamente rigettate le prove orali dedotte, impedendo al ricorrente di dimostrare che con l'atto di compravendita gli si era voluta trasferire anche questa porzione di terreno antistante i suoi locali, siccome collegata unicamente col portico e non con spazi condominiali. In tal modo, la Corte territoriale aveva reso una sentenza nulla perché priva di motivazione sulla impugnazione afferente alla mancata ammissione delle prove o, comunque, avevano omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, ossia il vincolo pertinenziale. 5. Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza di appello in merito al mancato riconoscimento del suo acquisito a titolo di usucapione della area controversa per difetto assoluto di motivazione, con riguardo all'articolo 132, numero 4, cod. proc. civ., in relazione all'articolo 360, numero 4, cod. proc. civ., perché la Corte di appello, nel rigettare per l'appunto la domanda di usucapione, peraltro proposta soltanto in subordine rispetto a quello volta ad ottenere il riconoscimento della natura pertinenziale della striscia di terreno, aveva affermato che non era stato dimostrato il dominio esclusivo sul bene attraverso un'attività inoppugnabilmente incompatibile col possesso altrui, non essendo sufficienti né le opere di manutenzione e miglioramento svolte, siccome compatibili con la tolleranza dei condomini e in sé inidonee a escludere gli stessi dall'uso del bene, né la locazione a terzi degli immobili, siccome non aventi ad oggetto anche il terreno, con conseguente esclusione dell'elemento soggettivo. Ad avviso del ricorrente, sussisteva un insanabile contrasto tra l'affermazione secondo cui non era stato dimostrato il possesso del bene e quella che rigettata le prove che quel possesso avrebbero dovuto dimostrare, così come era priva di sostegno probatorio l'asserita tolleranza del condominio alle opere da lui intraprese sul bene, essendo essa incompatibile con un uso prolungato, tranne che nei casi di parentela. 6. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell'articolo 380-bis cod. proc. civ. è del seguente tenore INAMMISSIBILITÀ e/o MANIFESTA INFONDATEZZA del ricorso avverso pronuncia di rigetto della domanda principale di accertamento dell'esistenza di un vincolo pertinenziale tra un'area scoperta e la proprietà individuale dell'odierno ricorrente e di usucapione della stessa e di accoglimento di quella riconvenzionale di accertamento della proprietà comune di detto spazio doppia conforme . Primo, secondo, terzo, quarto e quinto motivo inammissibili, o comunque manifestamente infondati, poiché con essi si attinge la valutazione dei fatti e delle prove operata dal giudice di merito, rispettivamente sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'articolo 1117 c.c.  primo motivo , dell'esistenza di un titolo contrario secondo motivo e della sua interpretazione terzo motivo , nonché della sussistenza del vincolo pertinenziale quarto motivo e dei presupposti per il riconoscimento dell'usucapione quinto motivo . La Corte di Appello, confermando la decisione di prime cure, ha ritenuto che il l'area in contestazione sia prospiciente all'edificio condominiale e destinata al transito dei condomini cfr. pag. 10 della sentenza impugnata e che il costruttore dell'edificio predetto non si fosse mai riservato la proprietà dell'area contesa e che essa non fosse stata oggetto di alcun atto di disposizione a favore di uno dei comproprietari, o di un terzo cfr. pagg. 8 e ss. della sentenza impugnata . Tale ricostruzione dei fatti è coerente con l'insegnamento di questa Corte, secondo cui il criterio attributivo della proprietà comune previsto dall'articolo 1117 c.c. può essere superato soltanto mediante la prova certa che il bene non sia mai stato di proprietà comune, da fornire a cura del soggetto interessato mediante la produzione di un titolo anteriore all'insorgenza del condominio, ovvero che lo stesso sia stato acquistato per usucapione. Al riguardo, si deve considerare infatti che i rapporti tra proprietà individuale e proprietà condominiale sono regolati dal principio secondo cui In tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall'articolo 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne affermi la proprietà esclusiva darne la prova Cass. Sez. 2, Ordinanza numero 20593 del 07/08/2018, Rv. 650001 conf. Cass. Sez. 2, Sentenza numero 11195 del 07/05/2010, Rv. 613094 . Nell'ambito del predetto rapporto, alcun rilievo assume la circostanza che un determinato spazio, comunque condominiale in funzione della sua natura e destinazione di fatto, non sia stato indicato nel regolamento dell'ente di gestione. Infatti La presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell'articolo 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall'attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l'onere di fornire la prova di tale diritto a tal fine, è necessario un titolo d'acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, né l'inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino Cass. Sez. 2, Sentenza numero 5633 del 18/04/2002, Rv. 553833 cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza numero 8152 del 15/06/2001, Rv. 547520, che esclude la natura decisiva dei dati catastali, dotati di mera valenza indiziaria . Inoltre, la Corte di merito ha rigettato la domanda di usucapione, proposta dal solo Ca.Si., in assenza di prova di una attività idonea a configurare il dominio esclusivo sull'area oggetto di causa cfr. penultima pagina della sentenza impugnata . La Corte distrettuale, in particolare, ha ribadito che il godimento della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è di per sé idoneo a far ritenere lo stato di fatto funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem e non anche conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte degli altri compossessori, essendo invece necessario ai fini dell'usucapione la manifestazione del dominio esclusivo sulla cosa attraverso un'attività apertamente e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su chi invoca l'avvenuta usucapione del bene cfr. penultima pagina della sentenza . Anche tale statuizione è coerente con i precedenti di questa Corte, poiché Il partecipante alla comunione che intenda dimostrare l'intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo uti dominus , non ha la necessità di compiere atti di interversio possessionis alla stregua dell'articolo 1164 c.c., dovendo, peraltro, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui, non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l'erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore Cass. Sez. 2, Sentenza numero 9100 del 12/04/2018, Rv. 648079 conf. Cass. Sez. 2, Sentenza numero 16841 del 11/08/2005, Rv. 584306 principio valido anche ai rapporti tra coeredi, prima della divisione, in forza di Cass. Sez. 2, Ordinanza numero 9359 del 08/04/2021, Rv. 660860, Cass. Sez. 2, Sentenza numero 10734 del 04/05/2018, Rv. 648439 e Cass. Sez. 2, Sentenza numero 1370 del 18/02/1999, Rv. 523346 . All'apprezzamento del fatto e della prova prescelti dalla Corte distrettuale la parte ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un'istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione Cass. Sez. U, Sentenza numero 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790 . Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui L'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata Cass. Sez. 3, Sentenza numero 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595 conf. Cass. Sez. 1, Sentenza numero 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448 Cass. Sez. L, Sentenza numero 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330 . Nel caso di specie, inoltre, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell'iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione cfr. Cass. Sez. U, Sentenza numero 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 . Né è possibile proporre, in sede di legittimità, una lettura del dato negoziale differente ed alternativa rispetto a quella prescelta dal giudice di merito, poiché La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell'interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli articolo 1362 e ss. c.c., avendo invece l'onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest'ultima non deve essere l'unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra Cass. Sez. 3, Sentenza numero 28319 del 28/11/2DataPubbiicazion 646649 conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza numero 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677 in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza numero 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza numero 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585 . 7. I primi tre motivi, esaminabili unitariamente in quanto connessi riguardando il medesimo thema decidendum afferente alla ravvisata - con la sentenza impugnata - sussistenza della condominialità dell'area contesa , sono privi di fondamento. 7.1. Va, innanzitutto, premesso che, secondo quanto già reiteratamente statuito dalla giurisprudenza di questa Corte, per affermare la condominialità di un bene occorre gradatamente verificare dapprima che la res, per le sue caratteristiche strutturali, risulti destinata oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari cfr. Cass. Sez. Unite, 7/07/1993, numero 7449 e, più recentemente, Cass., Sez. 2, 8/09/2021, numero 24189 , e poi che sussista un titolo contrario alla presunzione di condominialità, facendo riferimento esclusivo al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto. L'articolo 1117 cod. civ., infatti, nel contemplare un elenco, non tassativo, di beni caratterizzati dalla loro attitudine oggettiva al godimento comune e dalla concreta destinazione dei medesimi al servizio comune Cass., Sez. 2, 18/4/2023, numero 10269  Cass., Sez. 2, 23/08/2007, numero 17928 , opera ogniqualvolta, nel silenzio del titolo, il bene, per le sue caratteristiche, sia suscettibile di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi Cass., Sez. 2, 20/07/1999, numero 7764  Cass., Sez. 2, 30/03/2016, numero 6143 , in quanto detta una presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini che non può essere vinta con qualsiasi prova contraria, ma soltanto alla stregua delle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali Cass., Sez. 2, 6/7/2022, numero 21440 . La situazione di condominio, regolata dagli articolo 1117 e seguenti cod. civ., si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall'originario unico proprietario ad altro soggetto Cass., Sez. 2, 6/7/2022, numero 21440, cit. , la cui trascrizione, comprensiva pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, anche delle parti comuni, ne consente l'opponibilità ai terzi dalla data dell'eseguita formalità Cass., Sez. 2, 17/2/2020, numero 3852 Cass., Sez. 2, 9/12/1974, numero 4119 . In presenza di tale presunzione legale, il condominio è, dunque, dispensato dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica, spettando invece al condòmino che rivendichi la proprietà esclusiva di uno dei beni di cui al suddetto elenco dare la prova delle sue asserzioni, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell'atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall'iniziale unico proprietario che non si era riservato l'esclusiva titolarità del bene Cass., Sez. 2, 17/2/2020, numero 3852  Cass., Sez. 2, 7/6/1988, numero 3862 . Ciò comporta che è al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dall'originario unico proprietario e al conseguente frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali che occorre fare riferimento al fine di verificare la possibilità di superare la previsione di cui all'articolo 1117 cod. civ., con la conseguenza che non può considerarsi dirimente, a tali fini, il contenuto del contratto di compravendita di colui che abbia acquistato in epoca successiva al primo atto di acquisto dall'originario unico proprietario, a meno che questi non si sia riservato la proprietà di alcune porzioni immobiliari che sarebbe altrimenti cadute nella presunzione di condominialità. Quanto al regolamento condominiale c.d. contrattuale, ossia quello contestuale alla nascita del condominio e accettato col consenso individuale dei singoli condomini cfr. Cass., Sez. 2, 6/7/2022, numero 21440, cit. anche Cass., Sez. 2, 7/4/2023, numero 9951  Cass. Sez. 2, 03/05/1993, numero 5125  Cass. Sez. 2, 21/05/2012, numero 8012 , deve osservarsi come esso possa contenere, oltre alle norme relative all'amministrazione e alla gestione delle parti comuni, anche l'indicazione stessa delle parti comuni e perfino la previsione dell'uso esclusivo di una parte dell'edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva, dando luogo ad un vincolo di natura pertinenziale, siccome posto in essere dall'originario unico proprietario dell'edificio, legittimato all'instaurazione e al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli articolo 817, secondo comma, e 818 c.c.  Cass., Sez. 2, 4/9/2017, numero 20712  Cass. Sez. 2, 04/06/1992, numero 6892 ma si veda anche Cass. Sez. 2, 24/11/1997, numero 11717 . Tuttavia, proprio perché l'esclusione, dal novero delle parti condominiali, di alcune porzioni dell'edificio che altrimenti vi ricadrebbero alla stregua della presunzione di cui all'articolo 1117 cod. civ. incide sulla costituzione o modificazione di un diritto reale immobiliare con la conseguenza che l'esclusione stessa deve risultare ad substantiam da atto scritto , è necessario, per aversi titolo contrario, che dal negozio, così come dal regolamento c.d. contrattuale, emergano elementi tali da essere in contrasto con l'esercizio del diritto di condominio, e tale indagine, in quanto afferente all'interpretazione della volontà negoziale dei condomini, presuppone un accertamento di fatto demandato all'apprezzamento dei giudici del merito, rimanendo incensurabile in sede di legittimità se non per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, così come previsti negli articolo 1362 e seguenti cod. civ., oppure nei limiti di cui all'articolo 360, comma 1, numero 5, cod. proc. civ.  Cass., Sez. 2, 6/7/2022, numero 21440 cit. , senza che rilevi il dato empirico che l'area in esame, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta ed utilizzata più proficuamente e frequentemente dal condomino titolare della contigua unità immobiliare adibita ad attività commerciale, piuttosto che dagli altri condomini Cass., Sez. 2, 4/9/2017, numero 20712 anche Cass., Sez. 2, 3/05/2002, numero 6359 . 7.2. Orbene, per quanto adeguatamente accertato in fatto dalla Corte di appello con la impugnata sentenza di merito e non rivalutabile in sede di legittimità, la porzione immobiliare contesa consiste, nella specie, in un'area scoperta costituente prosecuzione del suolo su cui insiste l'edificio, che si trova in corrispondenza col portico e i locali terranei di proprietà di Ca.Si., utilizzati per lo svolgimento di attività commerciale, ed è astrattamente utilizzabile per raggiungere l'area condominiale, nei tratti nord e ovest, senza transitare sulla pubblica via, sì da poter essere inclusa nella presunzione di cui all'articolo 1117 cod. civ. Nell'analizzare e interpretare i titoli di acquisto legittimamente acquisiti in giudizio, la Corte di appello ha escluso che l'originario unico proprietario si fosse riservato la proprietà dell'area contesta, non avendo questi realizzato alcun frazionamento, onde identificare tale porzione, né avendola i suoi eredi indicata nella denuncia di successione, e che dai singoli atti di compravendita risultasse il trasferimento in proprietà esclusiva di tale porzione immobiliare, precisando altresì che detta area, costituente prosecuzione del suolo su cui insiste l'edificio idoneo al transito, era oltretutto riprodotta in catasto come unita a quella pacificamente condominiale attraverso il c.d. segno della graffa e che il suolo condominiale fosse sempre stato identificato con l'intera particella Omissis e non con una sua parte, oltre ad aver mantenuto sempre la medesima estensione. Quanto all'accertata mancata previsione dell'area in questione nel regolamento condominiale, la Corte distrettuale ha escluso che questo particolare consentisse di escludere la condominialità della stessa, dovendosi al riguardo valorizzare gli ulteriori elementi emersi, come sopra riportati, e non essendovi alcun richiamo alla medesima nel titolo di proprietà del Ca.Si. Dalle suddette argomentazioni, emerge come la Corte di appello abbia adeguatamente interpretato i titoli prodotti in causa, ivi compreso il regolamento c.d. contrattuale ancorché erroneamente definito inidoneo a costituire titolo di proprietà , risultando dirimente il compiuto accertamento in ordine al fatto che l'originario proprietario non si fosse riservato la proprietà del bene, evidentemente trasferito al primo acquirente, della cui identità non è dato sapere, non essendovi riferimenti né nella sentenza, né nel ricorso. Ciò comporta che, qualora il primo acquirente fosse stato un terzo, nessun trasferimento poteva nel prosieguo essere compiuto dall'originario proprietario nei confronti del ricorrente e che, qualora il primo fosse stato proprio quest'ultimo, è stato in via ermeneutica escluso che il suo atto di vendita contemplasse anche questa porzione immobiliare. A quest'ultimo riguardo, posto che l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli articolo 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata cfr., per tutte, Cass., Sez. 1, 9/4/2021, numero 9461 . Non avendo il ricorrente provveduto in tal senso, deve allora ritenersi che le censure, pur proposte sotto la veste formale della violazione di legge, denuncino, in realtà, un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità cfr. Cass., Sez. 1, 9/4/2021, numero 9461  Cass., Sez. 1, 14/01/2019, numero 640 . 8. Il quarto e quinto motivo, da trattare congiuntamente in quanto afferenti entrambi alla dedotta nullità della sentenza, per non essersi questa pronunciata sulla natura pertinenziale del bene conteso e per avere contraddittoriamente rigettato le prove offerte a dimostrazione dell'intervenuta usucapione del bene e poi affermato che questo modo di acquisto fosse rimasto indimostrato, sono entrambi infondati. 8.1. Quanto alla prima questione, risulta dalla sentenza impugnata che il ricorrente, col settimo motivo, aveva impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva rigettato la domanda di usucapione e il riconoscimento del vincolo pertinenziale tra i locali di sua proprietà e l'area in contestazione in ragione del mancato assolvimento dell'onere probatorio, per non essere state ammesse le prove orali dedotte. Se è vero che la pronuncia non si sofferma affatto sulla questione della pertinenzialità dell'area contesa rispetto ai locali commerciali acquistati dal ricorrente, è anche vero che non può ravvisarsi la dedotta nullità, atteso che la Corte di appello, dopo avere affermato la condominialità del bene e respinto la censura riguardante il dedotto acquisto della proprietà della stessa, da parte del ricorrente, per intervenuta usucapione, ha dichiarato assorbite le ulteriori domande proposte. Tale decisione deve, infatti, ritenersi coerente per l'appunto con l'accertata condominialità del bene, che, richiedendo l'analisi dei titoli originari che avevano determinato la formazione del condominio, non può che porsi in termini di incompatibilità con la dedotta acquisizione, sempre all'epoca, della proprietà esclusiva per il tramite dell'atto di acquisto dei locali commerciali, non potendo affermarsi, senza incorrere in un contrasto insanabile, che il medesimo bene abbia natura condominiale ai sensi dell'articolo 1117 cod. civ. per non essersene l'originario unico proprietario riservato la proprietà e non averlo venduto a titolo esclusivo a terzi, e costituisca, al contempo, oggetto implicito di un contratto di compravendita di immobili facenti parte del fabbricato condominiale in ragione della sua natura pertinenziale, né potendosi sostenere che l'originario unico proprietario, che già si era spogliato della proprietà dello stesso, non riservandosela al momento della costituzione del condominio, avesse trasferito al ricorrente un bene già uscito dalla sua sfera patrimoniale, oltretutto attraverso un atto di volontà implicito. Tale decisione si pone, perciò, in coerenza con il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d'appello, che è configurabile allorché manchi completamente l'esame di una censura mossa al giudice di primo grado, non ricorre, pur in assenza di una specifica argomentazione, nel caso in cui il giudice d'appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda o su un argomento che totalmente prescinda dalla censura o necessariamente ne presupponga l'accoglimento o il rigetto, giacché nel primo caso l'esame della censura è inutile, mentre nel secondo essa è stata implicitamente considerata Cass., Sez. L, 26/1/2016, numero 1360  Cass., Sez. 5, 14/1/2015, numero 452  Cass., Sez. 3, 25/9/2012, numero 16254  Cass., Sez. 3, 19/5/2006, numero 11756 . La medesima censura, affrontata poi sotto il profilo dell'omesso esame del fatto in relazione all'articolo 360, numero 5, cod. proc. civ., è inammissibile, atteso che, nell'ipotesi di c.d. doppia conforme , prevista dall'articolo 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ.  applicabile, ai sensi dell'articolo 54, comma 2, del D.L. 22 giugno 2012, numero 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, numero 134, ai giudizi d'appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 , il ricorrente in cassazione - per evitare l'inammissibilità del motivo di cui all'articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ.  nel testo riformulato dall'articolo 54, comma 3, del D.L. numero 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012 - deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, numero 26860  Cass., Sez. 5, 11/05/2018, numero 11439  Cass., sez. 1, 22/12/2016, numero 26774 Cass., sez. L., 06/08/2019, numero 20994 , incombente questo rimasto del tutto inadempiuto nel caso che qui è venuto in rilievo. 8.2 Quanto alla seconda questione, si osserva, preliminarmente, come, dopo la riformulazione dell'articolo 360, primo comma, numero 5 , cod. proc. civ., disposta dall'articolo 54 del D.L. 22 giugno 2012, numero 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, numero 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall'articolo 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'articolo 132, comma 2, numero 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza - di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale , di motivazione apparente , di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile , e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell'eccezione sottoposta all'esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand'anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico , che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia Cass., Sez. U, 7/04/2014, numero 8053  Cass., Sez. 3, 12/10/2017, numero 23940  Cass., Sez. 2, 13/08/2018, numero 20721  Cass., Sez. 5, 6/5/2020, numero 8487 . La Corte territoriale ha, invero, ampiamente argomentato sulle ragioni per le quali ha ritenuto di respingere la domanda di usucapione, asserendo che il ricorrente non avesse fornito la prova della sussistenza dei requisiti di tale istituto, atteso che i contratti di locazione da lui stipulati non avevano ad oggetto anche il bene conteso, a dimostrazione del fatto che il predetto non se ne ritenesse proprietario, e che gli atti di manutenzione e di miglioramento da lui posti in essere sull'area non erano in sé dirimenti in assenza di prova dell'esclusione degli altri condomini dall'uso del bene, aspetto questo realizzatosi soltanto a decorrere dal 2005 e soltanto per una porzione dell'area controversa . Nessun contrasto si ravvisa, del resto, con riguardo alla reputata inammissibilità delle prove, avendo la Corte di appello ritenuto di confermare la pronuncia di primo grado sul punto proprio perché quelle dedotte senza che, oltretutto, siano stati riprodotti i relativi capitoli di prova orale, così risultando - per tale parte - il motivo inosservante del necessario requisito di specificità, come statuito dalla pacifica giurisprudenza di questa Corte non avrebbero consentito di dimostrare la sussistenza, in modo univoco, delle condizioni idonee al riconoscimento dell'invocato acquisto del bene a titolo di usucapione. 9. Alla luce delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento, in favore del condominio controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo. Nulla va disposto sulle spese con riferimento alle altre parti rimaste intimate, non avendo le stesse svolto alcuna attività difensiva in questa sede. 10. Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell'articolo 380-bis cod. proc. civ., vanno applicati - come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso articolo 380-bis cod. proc. civ. - il terzo e il quarto comma dell'articolo 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, sempre in favore del controricorrente, di una somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo , nonché al pagamento di una ulteriore somma - nei limiti di legge -in favore della Cassa delle ammende. 11. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto - ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. numero 115 del 2002 - della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto.   P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Condanna, altresì, il ricorrente, ai sensi dell'articolo 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., al pagamento, in favore del controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in Euro 2.000,00, nonché al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.