In un caso di prescrizione dell'azione disciplinare legata ad un caso di sospensione per un'avvocata accusata di varie condotte illecite, tra cui l'uso di sostanze stupefacenti, è stato ribadito che, ai sensi dall’articolo 56, l. numero 247/2012, il termine complessivo di prescrizione non può superare i sette anni e mezzo, nonostante la possibilità di sospensione e interruzione.
Tale previsione rappresenta una novità nella legge professionale, che adotta criteri simili a quelli penalistici, mentre nel sistema precedente, basato su principi di tipo civilistico, una volta interrotta, la prescrizione ricominciava per altri cinque anni. Con la pronuncia in analisi, le Sezioni Unite si sono espresse su un ricorso in materia di sanzioni disciplinari per gli avvocati. In particolare, la controversia nasceva dalla previsione della sospensione dall'attività professionale per un'avvocata a causa di diverse condotte illecite, tra cui aver ripetutamente fornito sostanze stupefacenti alle proprie praticanti, consumandole insieme a queste ed altri all'interno ed all'esterno dello studio professionale, in violazione dei doveri di probità, dignità e decoro. Avverso tale provvedimento, l'avvocata presentava ricorso in Cassazione sulla base di tre motivi. Con il primo motivo, la ricorrente evidenziava che - da un'analisi più approfondita dei verbali relativi alle informazioni acquisite durante le indagini - emergeva che la cessione di sostanze stupefacenti nello studio fosse terminata prima e che, di conseguenza, considerando il massimo termine prescrizionale di sette anni e sei mesi, l'azione disciplinare relativa al suddetto capo d'incolpazione doveva ritenersi prescritta. Nel secondo motivo, l'avvocata ricorrente sollevava, invece, la questione riguardante la presunta violazione e falsa applicazione dell'articolo 23, lettera c , Regolamento del CNF numero 2/2014, dal momento che il Consiglio Nazionale Forense aveva confermato la decisione del C.D.D., includendo anche la ritenuta fondatezza dell'accusa fondata su una testimonianza rilasciata durante il processo penale su richiesta del P.M., benché tale testimonianza non fosse stata confermata anche nel procedimento disciplinare. L'avvocata, poi, lamentava che il CNF avesse confermato la sanzione inflitta basandosi soltanto sulle testimonianze fornite dalle praticanti dello studio e senza tenere in alcuna considerazione le deposizioni rese dalle testimoni chiamate dalla difesa, le quali avevano dichiarato di non aver mai visto nessuno fare uso di stupefacenti all'interno dello Studio. In merito a ciò, la Corte ha evidenziato che tale valutazione dev'essere considerata irragionevole poiché il fatto che una dei testimoni avesse dichiarato «di non avere mai visto nessuno fare uso di droga all'interno dell'ufficio», non significa che la stessa fosse «all'oscuro» dei fatti addebitati al legale, ma solo che la medesima teste ha reso una dichiarazione in contrasto con quanto testimoniato dalle praticanti. Su tale punto, è stato, tuttavia, evidenziato anche che il CNF, avendo omesso di prendere posizione, aveva violato l'obbligo di motivazione sancito dall'articolo 111 Cost. e dall'articolo 59, lett. m. , l. numero 247/2012. Da ultimo, la ricorrente - con una successiva memoria - evidenziava che, nelle more del giudizio, si era verificata la prescrizione riguardo a tutte le accuse contestate nella sentenza impugnata. L'eccezione di prescrizione sollevata innanzi alla Cassazione è stata ritenuta valida dai Giudici, in quanto la prescrizione dell'azione disciplinare è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio e la sua soluzione non implica indagini fattuali, essendo chiari i dati assunti si ricorda Cass. civ. numero 32634/2022 . Più nel dettaglio, la Suprema Corte ha spiegato che il regime applicabile è quello introdotto dall'articolo 56 l. numero 247/2012, essendo stati tutti gli illeciti contestati commessi successivamente al 2 febbraio 2013, data di entrata in vigore della disposizione. Nel nuovo ordinamento forense, il termine complessivo di prescrizione dell'azione disciplinare non può superare i sette anni e mezzo, nonostante la possibilità di sospensione e interruzione. Tale previsione rappresenta una novità nella legge professionale, che adotta criteri simili a quelli penalistici, mentre nel sistema precedente, basato su principi di tipo civilistico, una volta interrotta, la prescrizione ricominciava per altri cinque anni. Per via della prescrizione, le SS.UU. Civili della Cassazione hanno cassato senza rinvio la sentenza impugnata con l'assorbimento delle suddette critiche sul merito.
Presidente Cassano - Relatore Iannello Fatti di causa 1. Con la sentenza impugnata il Consiglio Nazionale Forense di seguito anche CNF ha rigettato il ricorso dell'Avvocata M.D. avverso la decisione del Consiglio distrettuale di disciplina di seguito anche CDD di OMISSIS , depositata in data 20 febbraio 2020, che, accertata la sussistenza di quattro dei cinque addebiti ad essa ascritti capi 1, 3, 4 e 5 , aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall'attività professionale per la durata di anni quattro. Le contestazioni traevano origine da separato procedimento penale per i delitti p. e p. dagli articolo 110 c.p. e 12, comma 5, d.lgs. numero 286 del 1998 T.U. Immigrazione e dagli articolo 81 cpv. c.p. e 73, comma 5, d.P.R. numero 309 del 1990 T.U. Stupefacenti — di cui ad oggi è noto solo che è stato definito con sentenza di condanna alla pena, sospesa, di anni 1 e mesi 3 di reclusione ed € 3.000,00 di multa, confermata in appello — ed erano formulati nei seguenti capi di incolpazione «1 avere, in violazione dei doveri di probità, dignità e decoro di cui all'articolo 9 CDF e dell'articolo 4 comma 2 CDF, commettendo altresì il reato di cui agli articolo 81 c.p. e 73 comma 5 DPR 309/90, fornito ripetutamente sostanza stupefacente del tipo cocaina alle proprie praticanti M.A., S.N. e T.I., consumandola insieme a queste ed altri all'interno ed all'esterno dello studio professionale. In OMISSIS ed altrove dall'ottobre 2014 all'ottobre 2016 «3 avere, in violazione dei doveri di probità, dignità e decoro di cui all'articolo 9 CDF e dell'articolo 40 II comma CDF, omesso di riconoscere alle proprie praticanti M.A., S.N. e T.I., alcun compenso e comunque un compenso adeguato. In OMISSIS ed altrove dall'ottobre 2014 all'ottobre 2016 «4 avere, in violazione dei doveri di probità, dignità e decoro di cui all'articolo 9 CDF e dell'articolo 23 III comma CDF, intrattenuto con propri clienti non identificati tra i quali H.H. rapporti consistenti nell'acquisizione di stupefacenti dai clienti medesimi, idonei a influire sul rapporto professionale con questi. In OMISSIS ed altrove dall'ottobre 2014 all'ottobre 2016 «5 avere, in violazione dei doveri di probità, dignità e decoro di cui all'articolo 9 CDF e dell'articolo 4 comma 2 CDF, commettendo altresì il reato di cui agli articolo 110 c.p. e articolo 12 comma V d. lgs. 286/98, svolto la funzione di testimone alla celebrazione del matrimonio civile tra V. G. e H. H., matrimonio simulato e contratto al solo fine di consentire al suddetto H. di ottenere il permesso di soggiorno ed evitare l'espulsione dal territorio italiano. In OMISSIS il 27/09/2016». 2. Avverso tale decisione l'Avv. M.D. propone ricorso per cassazione davanti a queste Sezioni Unite, articolando tre motivi. Il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di OMISSIS è rimasto intimato. 3. Il Procuratore Generale ha depositato memoria concludendo per il rigetto del ricorso. La ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia «in via pregiudiziale, con riferimento al capo di incolpazione numero 4, violazione e falsa applicazione dell'articolo 56 della l. numero 247 del 2012». Rileva che da una più attenta analisi dei verbali relativi alle informazioni acquisite nell'ambito delle indagini penali, emergono dei dati che smentiscono la circostanza solamente presunta nel capo predetto d'incolpazione che i fatti oggetto del ridetto capo di incolpazione numero 4 si siano protratti fino al mese di ottobre 2016, dal momento che le deposizioni testimoniali poste a fondamento consentono di ritenere che la cessione di stupefacente all'interno dello studio può essere avvenuta al più tardi fino al mese di marzo 2016, avendo la teste M. riferito di non aver mai assistito ai fatti addebitati all'Avv. M.D. e la teste S. riferito che la cessione di sostanza stupefacente nei suoi confronti era durata dal mese di Aprile 2014 sino al mese di marzo 2016, mentre l'altra praticante I.T. - l'ammissione della cui deposizione, resa nel dibattimento penale, è peraltro contestata ad altri fini con il secondo motivo - ha riferito a sua volta di aver lasciato lo studio nel mese di marzo 2016. Sostiene pertanto che, computando il termine prescrizionale massimo di sette anni e sei mesi ex articolo 56 l. numero 247 del 2012, l'azione disciplinare riferita al detto capo d'incolpazione avrebbe dovuto essere dichiarata prescritta. 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 23, lett. C , del Regolamento del CNF numero 2/2014 a mente del quale «gli esposti e le segnalazioni inerenti alla notizia di illecito disciplinare e i verbali di dichiarazioni testimoniali redatti nel corso dell'istruttoria, che non sono stati confermati per qualsiasi motivo in dibattimento, sono utilizzabili per la decisione solo nel caso in cui la persona dalla quale provengono sia stata citata come teste per il dibattimento» per avere il C.F.N. confermato la decisione del C.D.D. anche quanto alla ritenuta fondatezza dell'addebito di cui al capo numero 3 sebbene quel giudice avesse tratto convincimento anche dalla deposizione resa dalla teste T. nel processo penale a domanda del P.M., ma non confermata nel giudizio disciplinare, non essendo stata la predetta indicata dal CDD di OMISSIS nell'elenco dei testimoni che la Sezione giudicante intendeva ascoltare e ciò sebbene tale violazione del regolamento fosse stata denunciata con il quarto motivo di gravame. 3. Con il terzo motivo - rubricato «violazione e falsa applicazione dell'articolo 111 Cost. e dell'articolo 59, lett. m. , della L. numero 247 del 2012 obbligo di motivazione , in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c.» la ricorrente svolge tre censure. 3.1. Con la prima ptt. III.1 - III. 15 del ricorso, pagg. 15 - 18 lamenta, con riferimento agli addebiti di cui ai capi nnumero 1 e 4 d'incolpazione, che il CNF abbia confermato la sanzione inflitta basandosi soltanto sulle testimonianze fornite dalle praticanti dello studio e senza tenere in alcuna considerazione le deposizioni rese dai testi chiamati dalla difesa, Avv. C. R. e Avv. L. C., le quali avevano entrambe confermato di non aver mai visto nessuno fare uso di stupefacenti all'interno dello Studio. Rileva al riguardo che ─ il C.D.D. aveva affermato che «le dichiarazioni dell'Avv. C. non hanno neppure scalfito la fondatezza degli addebiti relativi ai capi di incolpazione nnumero 1 e 4 , perché da ciò che è emerso la stessa era completamente all'oscuro sia dell'uso di cocaina da parte dell'Avv. M.D. che da parte delle Dott.sse M. e S. uso, invece, ammesso e descritto nei particolari dalle due praticanti ─ tale valutazione è irragionevole dal momento che se l'Avv. C. ha dichiarato «di non avere mai visto nessuno fare uso di droga all'interno dell'ufficio», ciò significa non che la stessa fosse «all'oscuro» dei fatti addebitati all'Avv. M.D., ma semplicemente che la medesima teste ha reso una dichiarazione in contrasto con quanto testimoniato dalle dott.sse M. e S. ─ su tale punto, sebbene «rilevato dal secondo motivo di ricorso», il CNF ha omesso di prendere posizione, in violazione dell'obbligo di motivazione sancito dall'articolo 111 Cost. e dall'articolo 59, lett. m. , della L. numero 247 del 2012. 3.2. Con la seconda censura ptt. III.16 - III. 17 del ricorso, pagg. 18 - 19 rileva che, pur tenendo conto dei fatti testimoniati dalle sole due praticanti T. e S., la prescrizione dell'azione disciplinare sarebbe maturata anche in relazione ai capi di incolpazione nnumero 1 e 4 già nel mese di settembre 2023, prima ancora della camera di consiglio del 19/10/2023 in cui il CNF ha deciso sul ricorso con l'impugnata sentenza, depositata in data 27/12/2023. 3.3. Con la terza censura ptt. III.18 - III.21 del ricorso, pagg. 19 - 20 la ricorrente denuncia infine carenza di motivazione in relazione alla confermata sussistenza dell'illecito contestato con il capo 5 d'incolpazione, senza motivare sulla circostanza che, come dedotto con l'atto di gravame, essa aveva agito in totale buona fede, essendosi invece limitato a statuire che «l'avv. M.D. non contesta la sua presenza ed il suo ruolo» in quella vicenda e che, pertanto, la sua responsabilità disciplinare dovesse essere affermata sulla base del solo rapporto professionale tra la stessa incolpata ed il nubendo. 4. Con la memoria depositata in data 11 ottobre 2024 la ricorrente rileva che, nelle more del giudizio, è comunque maturata la prescrizione in relazione a tutti gli addebiti posto ad oggetto della sentenza impugnata, e ciò anche assumendo quale termine di decorrenza del relativo termine quello indicato nei rispettivi capi d'incolpazione, per tutti fissato al più tardi nel mese di ottobre del 2016. 4. L'eccezione di intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare, sollevata in questa sede, è ammissibile, in quanto la prescrizione dell'azione disciplinare è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio e la sua soluzione non comporta indagini fattuali che sarebbero precluse in questa sede , essendo pacifici i dati assunti v. Cass. Sez. U. 04/11/2022, numero 32634 . 5. L'eccezione è, altresì, fondata, nei termini di seguito precisati. 6. Il regime di prescrizione applicabile è, ratione temporis, quello introdotto dall'articolo 56 della legge numero 247 del 2012, essendo stati tutti gli illeciti contestati commessi successivamente al 2 febbraio 2013, data di entrata in vigore della disposizione. Nel nuovo ordinamento professionale forense, la prescrizione, al di là degli effetti della sospensione e dell'interruzione, non può comunque essere prolungata di oltre un quarto rispetto ai sei anni indicati nel comma 1 dell'articolo 56 pertanto, il termine complessivo di prescrizione dell'azione disciplinare deve intendersi fissato in sette anni e mezzo. Si tratta di una novità della nuova legge professionale, la quale segue, sotto questo profilo, criteri di natura penalistica, laddove secondo la disciplina previgente, ispirata a un criterio di natura civilistica, la prescrizione, una volta interrotta, riprendeva a decorrere nuovamente per altri cinque anni. 7. Quanto al termine di decorrenza della prescrizione, occorre considerare che nella specie, mentre l'illecito contestato al capo 5 ha riguardato un'unica condotta posta in essere il 27 settembre 2016, gli illeciti contestati ai capi 1, 3 e 4 si sono sostanziati in una pluralità di condotte. Poiché il termine di prescrizione è stato interrotto con la comunicazione all'iscritto della notizia dell'illecito il 21 novembre 2019 , nonché dalla notifica della decisione del Consiglio distrettuale di disciplina e della sentenza pronunciata dal CNF rispettivamente avvenuta il 21 maggio 2020 e il 9 gennaio 2024 , opera il termine massimo di prescrizione dell'azione disciplinare di sette anni e mezzo. Anche individuando il dies a quo del termine di prescrizione, quanto ai capi 1, 3 e 4, nel compimento dell'ultima condotta contestata, e quindi in una data prossima ma non successiva al 31 ottobre 2016, tale termine, quantunque operante nel massimo sette anni e mezzo , è da intendere spirato nel corso del processo. 8. L'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare determina la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, restando assorbito l'esame nel merito delle censure. 9. La sopravvenuta maturazione della prescrizione durante la pendenza del giudizio di cassazione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare.