Collegamento illecito al box telefonico altrui per navigare gratis: si tratta di furto d’uso?

Confermata in via definitiva la condanna dell’uomo che ha utilizzato in modo fraudolento la connessione Internet intestata ad un altro soggetto. I Giudici sottolineano che l’imputato ha effettuato un allaccio abusivo al box telefonico della persona offesa e così ha potuto utilizzare gratuitamente la connessione che a tale linea faceva capo, sottraendola dalla disponibilità del titolare. 

La controversia approdata in Cassazione nasce in seguito all'utilizzo illecito della connessione internet, grazie ad un collegamento abusivo al box telefonico altrui, da parte di un uomo che, perciò, viene condannato per furto aggravato, con pena fissata in appello in otto mesi di reclusione e 100 euro di multa. Per la difesa, però, è evidente l'errore compiuto in secondo grado, laddove la fattispecie è stata qualificata come furto d'uso. Per l'avvocato dell'imputato, i giudici di merito non hanno risposto ad una domanda fondamentale possibile ricomprendere la connessione Internet collegata alla linea telefonica, carpita dall'uomo sotto processo, nella nozione di energia identificata nella norma che punisce il furto ed è, dunque, possibile considerarla bene idoneo ad essere oggetto di appropriazione? A fronte di tale interrogativo, i giudici d'Appello si sono limitati a ricondurre il fatto al furto d'uso, pur non avendo - secondo la difesa - né le caratteristiche della condotta sanzionata dal reato di peculato né di quella descritta dal reato di furto d'uso, poiché il bene considerato, cioè la banda Internet, non è suscettibile né di sottrazione né di detenzione. È stato, poi contestato ai giudici di secondo grado un altro errore, cioè assimilare un caso di peculato d'uso, avente ad oggetto una connessione Internet a consumo, ad una connessione caratterizzata dal pagamento di un canone mensile. Le due condotte considerate non sono, infatti, perfettamente sovrapponibili, poiché nella condotta di furto d'uso, prodromica a quest'ultimo, sarebbe la sottrazione della cosa, che viene restituita. Alla luce di ciò, secondo la difesa, la condotta tenuta dall'uomo non può ritenersi integrare un furto d'uso, anche perché non è chiarito per quale ragione la connessione Internet potesse ritenersi bene suscettibile di appropriazione. A fronte di tali considerazioni, la Cassazione richiama e condivide le valutazioni compiute in appello, laddove i giudici, accogliendo la sollecitazione a dare una definizione della natura della connessione Internet – collegata ad una linea telefonica – quale res suscettibile di appropriazione autonoma e a verificare se il suo utilizzo abusivo possa o meno integrare il reato di furto, hanno ritenuto la connessione Internet non suscettibile di una condotta appropriativa. Conseguenza logica, per i giudici di merito, non far rientrare la connessione Internet nel reato di furto, non rientrando nella nozione di energia, bensì di furto d'uso. Ancora più in dettaglio, i giudici di merito esaminando la vicenda, hanno precisato che, «pur non essendosi verificato alcun danno economicamente apprezzabile, poiché l'utilizzo abusivo della connessione non aveva comportato» per il titolare della connessione «un aggravio dei costi, che erano determinati in misura fissa», «l'allaccio abusivo aveva comportato una serie di disagi alla persona offesa, che non era più riuscita ad accedere alla rete» pur avendo a disposizione box telefonico e connessione. Per meglio inquadrare tale visione, però, bisogna tener presente il principio secondo cui «le energie suscettibili di condotta appropriativa» nell'ottica del reato di furto «sono solo quelle che vengono captate dall'uomo mediante l'apprestamento di mezzi idonei, in modo tale da essere impiegate a fini pratici, distribuite, scambiate et cetera. Dunque, deve trattarsi di una forza della natura misurabile in danaro». Invece, alcune energie collegate al telefono non possono tecnicamente essere oggetto di appropriazione, in quanto non sono oggetto di previo possesso o disponibilità da parte dell'utente. E questo perché non preesistono all'uso dell'apparecchio, ma sono prodotte proprio dalla sua attivazione. Inoltre, sul piano intrinseco, esse si caratterizzano per il fatto di propagarsi, e non si può, quindi, procedere al loro concreto immagazzinamento, funzionale a un impiego pratico misurabile in termini economici, sì da rispondere all'esplicito requisito del reato di furto. Questa prospettiva, quindi, va applicata «anche all'utilizzo illegittimo della connessione Internet», chiarisce la Suprema Corte. In sostanza, «la connessione Internet impiegata» abusivamente dall'uomo sotto processo «non può essere considerata un bene autonomamente suscettibile di appropriazione», e ciò esclude la configurabilità del delitto di furto. Possibile, invece, ipotizzare il furto d'uso, trovandosi di fronte ad una condotta che consiste nel «nel fare uso momentaneo della cosa che viene, dopo l'uso momentaneo, immediatamente restituita». Poi «si deve osservare, sotto il profilo del bene oggetto della condotta, che, da un lato, le energie che si sviluppano dalla connessione Internet operata abusivamente» dall'uomo sotto processo «attraverso la linea telefonica della persona offesa certamente non sono suscettibili di furto, né di sottrazione». Difatti, «l'oggetto della condotta di furto d'uso» contestata all'uomo sotto processo «è la linea telefonica, che è il mezzo attraverso cui si realizza la connessione Internet, l'attivazione della quale consente di sviluppare la connessione necessaria per navigare. La linea telefonica, rispetto alla quale è configurato il furto d'uso, è certamente un bene astrattamente suscettibile di sottrazione, ovvero apprensione», spiega la Cassazione. Invero, «se si ritenesse che oggetto del furto d'uso sia la connessione Internet, su di essa non potrebbe certamente essere possibile una condotta di sottrazione, ma essendo, invece, oggetto di tale condotta la linea telefonica, essa è certamente bene passibile di sottrazione, per quanto momentanea». Ciò significa - chiosano i Giudici - che «nel momento in cui attraverso l'allaccio abusivo al box telefonico della persona offesa, l'uomo sotto processo utilizzava la connessione Internet che a tale linea faceva capo, utilizzava detto bene sottraendolo dalla disponibilità del titolare, il quale non riusciva, difatti, a navigare. Pertanto, è evidente, in ragione della non riconducibilità al concetto di energia della connessione Internet, la perfetta corrispondenza del paradigma del furto d'uso di linea telefonica alla condotta contestata all'uomo sotto processo».

Presidente Boni -  Relatore Zoncu Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Torino con la sentenza del 6 febbraio 2024 nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di Cassazione, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Biella in data 8 maggio 2018, riduceva la pena inflitta a L.R.M. per i delitti di furto aggravato a mesi otto di reclusione e 100 euro di multa, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso detta sentenza proponeva ricorso L.R.M. a mezzo del difensore, avv. Francesco Bracciani, articolando un unico motivo di doglianza, ovverossia l'erronea applicazione - con riguardo al capo sub b - dell'articolo 626 cod. penumero Il ricorrente richiamava il perimetro del devolutum dalla Corte di Cassazione che concerneva la possibilità di ricomprendere la connessione internet collegata alla linea telefonica carpita dall'imputato nella nozione di energia di cui all'articolo 624 co. 2 cod. penumero e se, dunque, detto bene potesse essere oggetto di appropriazione. Ciò premesso, stigmatizzava il fatto che la Corte territoriale non avesse motivato alcunché sul punto, limitandosi a ricondurre il fatto contestato all'imputato sub b al furto d'uso, benché non avesse né le caratteristiche della condotta sanzionata dall'articolo 314 cod. penumero , né di quella descritta nell'articolo 626 cod. penumero , poiché il bene considerato, cioè la banda internet, non sarebbe suscettibile né di sottrazione, nè di detenzione. Secondo il ricorrente, avrebbe errato la sentenza impugnata ad assimilare un caso di peculato d'uso, avente ad oggetto una connessione internet a consumo, ad una connessione caratterizzata dal pagamento di un canone mensile. Le due condotte considerate non sarebbero perfettamente sovrapponibili, nonostante quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, poiché nella condotta di furto d'uso, prodromica a quest'ultimo, sarebbe la sottrazione della cosa, che viene restituita. Non essendo - dunque - perfettamente coincidenti l'articolo 314 e l'articolo 626 cod. penumero , la fattispecie concreta non avrebbe potuto ritenersi integrare un furto d'uso e, in ogni caso, la Corte non avrebbe spiegato per quale ragione la connessione internet potesse ritenersi bene suscettibile di appropriazione. Disposta la trattazione scritta del procedimento, il Sostituto Procuratore generale Simone Perelli concludeva chiedendo il rigetto del ricorso. Il difensore depositava memoria in data 18 giugno 2024 in replica alle conclusioni del Sostituto Procuratore generale, insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso. Considerato in diritto 1. La Corte di Appello, accogliendo la sollecitazione a dare una definizione della natura della connessione Internet - collegata alla linea telefonica - quale res suscettibile di appropriazione autonoma e a verificare se il suo utilizzo abusivo possa o meno integrare il reato di furto, richiamando i principi della Sezioni Unite Vattani, li applicava al caso concreto e riteneva che la connessione Internet non fosse res suscettibile di una condotta appropriativa conseguentemente, non poteva essere fatta oggetto di furto, non rientrando nella nozione di energia di cui all'articolo 624 comma 2 cod. penumero , bensì di furto d'uso. Nel caso in esame, osservava la Corte territoriale che, pur non essendosi verificato alcun danno economicamente apprezzabile, poiché l'utilizzo abusivo della connessione non aveva comportato un aggravio dei costi di connessione che erano determinati in misura fissa, l'allaccio abusivo aveva comportato una serie di disagi alla persona offesa, che non era più riuscita a connettersi alla rete. In ragione di quanto previsto dall'articolo 626 ultimo comma cod.penumero , poi, la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 625 comma 2 cod.penumero imponeva che la sanzione venisse espressa in ragione del combinato disposto degli articolo 624,625 cod. penumero La Corte territoriale nel provvedimento impugnato, cogliendo le indicazioni della sentenza rescindente, ha preso le mosse dai principi espressi dalla sentenza delle Sezioni Unite Vattani Sez. U. numero 19054 del 16/4/2013, Rv. 255299 per la quale le energie suscettibili di condotta appropriativa ex articolo 624 cod. penumero sono solo quelle che vengono captate dall'uomo mediante l'apprestamento di mezzi idonei, in modo tale da essere impiegate a fini pratici, distribuite, scambiate, etc. deve trattarsi, dunque, di una forza della natura misurabile in danaro. Al contrario, le energie in questione non possono tecnicamente essere oggetto di appropriazione, in quanto non sono oggetto di previo possesso o disponibilità da parte dell'utente del telefono. E questo perché non preesistono all'uso dell'apparecchio, ma sono prodotte proprio dalla sua attivazione. Oltre a ciò, sul piano intrinseco, esse si caratterizzano per il fatto di propagarsi , e non si può, quindi, procedere al loro concreto immagazzinamento, funzionale a un impiego pratico misurabile in termini economici, sì da rispondere all'esplicito requisito di cui all'ultima parte del comma secondo dell'articolo 624 cod. penumero Conclusivamente, la Corte di legittimità ha ritenuto che la condotta di utilizzo della linea telefonica da parte del dipendente pubblico non potesse rientrare nel paradigma del peculato dell'energia telefonica, in quanto non avente ad oggetto un bene su cui possa manifestarsi una condotta appropriativa, bensì in quello del peculato d'uso dell'apparecchio telefonico. Tali principi sono stati applicata in altra pronuncia, Sez. 6 numero 50944 del 4/11/2014, Barassi Rv.261416, con riferimento all'utilizzo di una connessione internet di un cellulare dell'ufficio da parte di un dipendente pubblico per usi privati in tal caso era stata confermata la correttezza della riconduzione di tale condotta al reato di peculato d'uso del cellulare analoga conclusione si rinviene nella decisione della Sez. 6, Sentenza numero 34524 del 02/07/2013, Amato, Rv. 255810, che ha esplicitamente affermato che il principio espresso nella Sezioni Unite Vattani è applicabile anche all'utilizzo illegittimo della connessione Internet. La Corte territoriale ha ritenuto di dover applicare anche nel caso in esame, come da indicazioni della sentenza di annullamento, i principi più sopra indicati escludendo, dunque, che la connessione internet utilizzata dal ricorrente potesse essere considerata un bene autonomamente suscettibile di appropriazione, e con ciò escludendo, correlativamente, la configurabilità del delitto di furto. Analogamente a quanto ritenuto nella citata pronuncia di legittimità, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente nel caso concreto non già, ovviamente, la condotta sanzionata dall'articolo 314 cod. penumero , bensì quella sanzionata dall'articolo 626 cod. penumero , cioè il furto d'uso, in ragione della perfetta sovrapponibilità delle due condotte materiali che consistono nel fare uso momentaneo della cosa che viene, dopo l'uso momentaneo, immediatamente restituita. L'unica differenza fra le due fattispecie risiederebbe nella differente qualifica del soggetto agente. Del resto, è la stessa pronuncia delle Sezioni Unite Vattani che afferma testualmente che «Quanto in particolare al peculato d'uso, si osserva che tale figura replica strutturalmente lo schema del furto d'uso, mirando, da un lato, ad arginare arbitrarie dilatazioni interpretative del peculato comune e, dall'altro, a reprimere condotte che nel previgente sistema erano irrilevanti, con un temperamento del trattamento sanzionatorio in relazione al minor disvalore del fatto». Invero, il furto d'uso, nella sua definizione codicistica, è caratterizzato dall'unico scopo che anima il soggetto agente, cioè quello di fare un uso momentaneo della cosa che viene immediatamente restituita il nucleo centrale di tale condotta è perfettamente sovrapponibile alla condotta caratterizzante il peculato d'uso. Sotto il profilo del bene oggetto della condotta, poi, si osserva che, da un lato, le energie che si sviluppano dalla connessione internet operata abusivamente dal soggetto agente attraverso la linea telefonica della persona offesa certamente non sono suscettibili di furto, né di sottrazione, come ribadito nel provvedimento impugnato. Conseguentemente, come nel caso Vattani, oggetto del peculato d'uso non è stata ritenuta l'energia telefonica, bensì l'apparecchio telefonico, l'oggetto della condotta di furto d'uso contestata al ricorrente è la linea telefonica, che è il mezzo attraverso il quale si realizza la connessione Internet, l'attivazione della quale consente di sviluppare la connessione necessaria per navigare. La linea telefonica, rispetto alla quale è configurato il furto d'uso, è certamente un bene astrattamente suscettibile di sottrazione, ovvero apprensione, così come affermato anche nella sentenza di annullamento, che ha fatto esplicito riferimento alla connessione internet collegata alla linea telefonica carpita dall'imputato . Le osservazioni che precedono superano i rilievi critici contenuti nel ricorso circa la non sovrapponibilità delle condotte di cui agli articolo 314 e 626 cod. penumero , da un lato e, dall'altro, circa la non perfetta corrispondenza alla condotta contestata al L.R.M. della fattispecie astratta del furto d'uso, che richiede che la cosa di cui si fa uso momentaneo sia stata previamente sottratta. Se si ritenesse che oggetto del furto d'uso sia la connessione Internet, sulla stessa non potrebbe certamente, per quanto fin qui argomentato, essere possibile una condotta di sottrazione, ma essendo, invece, oggetto di tale condotta la linea telefonica, la stessa è certamente bene passibile di sottrazione, per quanto momentanea. Nel momento in cui, infatti, attraverso l'allaccio abusivo al box telefonico della persona offesa, l'imputato utilizzava la connessione Internet che a tale linea faceva capo, utilizzava detto bene sottraendolo dalla disponibilità dell'avente diritto il quale non riusciva, infatti, a navigare. Pertanto, è evidente - come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale - la perfetta corrispondenza, in ragione della non riconducibilità al concetto di energia di cui all'articolo 624 comma 2 cod. penumero della connessione Internet, del paradigma del furto d'uso di linea telefonica alla condotta contestata al ricorrente al capo b di imputazione. 2. Per le sopra esposte ragioni il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato, ex articolo 616 cod. proc pen, al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.