La sottrazione di un’area cortilizia al comune godimento prima che venisse costituito il condominio con la compravendita degli appartamenti, non esclude la successiva presunzione di condominialità del cortile quale parte comune. Difatti, in tal caso, la sottrazione dell’area non muta le caratteristiche proprie di uno spazio la cui funzione essenziale è quella di fornire aria e luce agli edifici condominiali prospicienti.
Il caso Gli attori adivano il giudice al fine di accertare la comproprietà dell'area cortilizia adibita a parcheggio a uso pubblico a pagamento, illegittimamente gestito da una società e, quindi, l'abusiva occupazione. Secondo il giudice di primo grado, la proprietà del cortile era da ascriversi all'ente INPS e che il cortile era stato adibito a parcheggio pubblico sin dal 1971 e, quindi, ben prima che fosse costituito il condominio mediante la stipula dell'atto costitutivo e la vendita delle singole unità immobiliari. La Corte territoriale, invece, accertava che l'area cortilizia costituiva parte comune dei fabbricati. Avverso il provvedimento in commento, l'Ente pubblico proponeva ricorso per cassazione evidenziando, tra i vari motivi, che nell'interpretazione giurisprudenziale consolidata dell'articolo 1117 c.c., la presunzione di condominialità posta dalla norma opera anche quando si tratti di bene che per motivi strutturali o funzionali, o per l'uso cui era stato adibito dall'originario proprietario, non risulti destinato a servizio dell'edificio condominiale. La parte ricorrente, inoltre, evidenziava che il trasferimento delle unità immobiliari in questione in favore degli aggiudicatari succedeva ad una procedura pubblica, dalla quale non si poteva prescindere per interpretare il contratto, in quanto era attraverso di questa che si formava la volontà del soggetto pubblico. La presunzione di condominialità Il giudice di primo grado aveva escluso la presunzione di cui all'articolo 1117 c.c. poiché l'area cortilizia era stata da decenni sottratta al comune godimento e data in locazione a terzi, sin da prima che venisse costituito il condominio con la compravendita degli appartamenti. Secondo la Corte d'Appello, ciò non era sufficiente ad individuare un'obiettiva caratteristica tale da far venir meno la natura di bene comune. Infatti, non poteva rilevare ad escludere la contitolarità necessaria ex articolo 1117 c.c. il fatto che l'area controversa fosse stata per decenni adibita a parcheggio, in quanto ciò non aveva mutato le caratteristiche proprie di uno spazio la cui funzione essenziale era quella di fornire aria e luce agli edifici condominiali prospicienti. Inoltre, era pacifico che in nessuno degli atti di vendita delle porzioni immobiliari in questione era contenuta una espressa esclusione dell'area dalle parti comuni, emergendo piuttosto la consueta clausola secondo cui la proprietà era ceduta con tutti i diritti e gli obblighi nonché le servitù attive e passive. La funzione del cortile La Corte d'Appello aveva accertato che l'area costituiva distacco tra gli edifici ed aveva primaria funzione di fornire luce ed aria agli edifici prospicienti e, pertanto, non presentava caratteristiche strutturali idonee a superare il criterio attributivo della proprietà comune previsto dall'articolo 1117 c.c. Anche secondo i giudici di legittimità, il fatto che l'area era stata adibita a parcheggio a favore della proprietà dell'odierno ente ricorrente non era decisivo, non essendo idonea a modificare le caratteristiche strutturali intrinseche del bene. Del resto, come già indicato dalla Corte territoriale, il medesimo utilizzo a parcheggio ben può avvenire a favore dei condomini e la sottrazione dell'area alla sua destinazione non è elemento che ai sensi dell'articolo 1117 c.c. può comportare la perdita del requisito della condominialità, dovendosi far riferimento alle caratteristiche intrinseche del bene e non alla sua destinazione funzionale che può mutare in relazione al diverso utilizzo che i condomini o il proprietario intenda farne. L'interpretazione del contratto Nell'interpretazione dei contratti di diritto privato stipulati da enti pubblici, la volontà degli enti dev'essere desunta esclusivamente dal contenuto dell'atto, interpretato secondo i canoni ermeneutici di cui agli articolo 1362 e ss. c.c., non potendosi fare ricorso alle deliberazioni degli organi competenti, le quali, essendo atti estranei al documento contrattuale, assumono rilievo ai soli fini del procedimento di formazione della volontà, attenendo alla fase preparatoria del negozio e risultando pertanto prive di valore interpretativo o ricognitivo delle clausole negoziali, a meno che non siano espressamente richiamate dalle parti né può aversi riguardo, per la determinazione della comune intenzione delle parti ex articolo 1362, comma 2, c.c., alle deliberazioni adottate da uno degli enti successivamente alla conclusione del contratto ed attinenti alla fase esecutiva del rapporto, in quanto aventi carattere unilaterale. Premesso ciò, in riferimento al caso di specie, salvo che dal titolo non risulti una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente la proprietà delle parti comuni, in caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento di alcune unità immobiliari dall'originario unico proprietario ad altri soggetti, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso. In conclusione, il ricorso dell'Ente pubblico è stato rigettato.
Presidente Carrato Relatore Varrone Fatti di causa 1. Il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica, con sentenza numero 2619/2017, rigettava la domanda degli attori Ca.Pa., Tr.El. e Be.Ro., cui si erano associati Ma.Gu. e altri condomini di un complesso immobiliare sito in B tra via … e via … , volta ad accertare la comproprietà in capo agli stessi e agli altri condomini dell'area cortilizia insistente sul mappale … adibito a parcheggio a uso pubblico a pagamento che asserivano essere illegittimamente gestito da una società Parcheggio S. Al., a verificarne l'abusiva occupazione nonché gli inadempimenti dell'istituto Inpdap oggi Inps e della società Scip Srl alle garanzie prestate con gli atti di compravendita delle singole unità, con condanna al risarcimento del danno. 2. Convenuti in giudizio i proprietari delle restanti unità aggettanti sul medesimo mappale oltre a Inpdap e Scip che avevano affermato la proprietà esclusiva del cortile, si era costituita solo la società LMN ed erano invece intervenuti 23 conduttori di unità immobiliari insistenti sul predetto mappale, associandosi alle domande attoree. 3. Il Tribunale ordinava l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei rimanenti condomini. A seguito di ciò si costituiva l'avvocato Ma.Gu. in proprio e per conto di taluni condomini tra cui Ba.Enumero e Ci.Li., associandosi alle domande attoree, nonché chiedendo in via riconvenzionale che l'accertamento della proprietà comune fosse esteso anche al mappale numero omissis . 4. Il Tribunale, dopo aver disposto due consulenze tecniche d'ufficio, riteneva provato, alla luce delle vicende catastali e dei passaggi di proprietà che avevano interessato gli immobili, che la proprietà del cortile era da ascriversi all'INPS e che il cortile era stato adibito a parcheggio pubblico sin dal 1971 e, quindi, ben prima che fosse costituito il condominio mediante la stipula dell'atto costitutivo e la vendita delle singole unità immobiliari a partire dal 2002. 5. Ma.Gu., Ba.Enumero e Ci.Li. proponevano appello avverso la suddetta sentenza. Anche gli originari attori Ca.Pa., Tr.El. e Be.Ro. formulavano appello. 6. Si costituiva l'Inps chiedendo che gli appelli fossero dichiarati inammissibili o, comunque, infondati nel merito, riproponendo in via subordinata la domanda di annullamento dei contratti di vendita. 7. La Corte d'Appello di Brescia con sentenza numero 1018/2021 accoglieva il primo motivo di entrambi gli appelli, assorbiti gli altri, e, in riforma della sentenza impugnata, accertava che l'area cortilizia oggetto della lite costituiva parte comune dei fabbricati rigettava le ulteriori domande degli appellanti e la domanda subordinata dell'Inps. Rilevava la Corte d'Appello che il giudice di primo grado aveva escluso la presunzione di cui all'articolo 1117 c.c. poiché l'area cortilizia era stata da decenni sottratta al comune godimento e data in locazione a terzi sin da prima che venisse costituito il condominio con la compravendita del 7 giugno 2002 tra la società Scip e l'Avvocato Ma.Gu., in proprio e quale procuratore degli altri acquirenti. Secondo la Corte d'Appello ciò non era sufficiente ad individuare un'obiettiva caratteristica tale da far venir meno la natura di bene comune. Richiamato l'insegnamento giurisprudenziale che attribuiva rilevanza alle caratteristiche strutturali del bene condominiale, riteneva che tali connotazioni sussistessero nella fattispecie. Infatti, non poteva rilevare ad escludere la contitolarità necessaria ex articolo 1117 c.c. il fatto che l'area controversa fosse stata per decenni adibita a parcheggio, in quanto ciò non aveva mutato le caratteristiche proprie di uno spazio la cui funzione essenziale era quella di fornire aria e luce agli edifici condominiali prospicienti. La Corte d'Appello evidenziava come risultasse pacifico che in nessuno degli atti di vendita delle porzioni immobiliari in questione era contenuta una espressa esclusione dell'area dalle parti comuni, emergendo piuttosto la consueta clausola secondo cui la proprietà era ceduta con tutti i diritti e gli obblighi nonché le servitù attive e passive. Non poteva condividersi la tesi del primo giudice secondo cui, a sostegno della proprietà privata dell'area, deponevano la specificità e limitatezza dell'uso consentito ai condomini per accedere ai garage esclusivi. Infatti, se come affermato dal Tribunale, una limitata area era destinata a servitù di passo carrabile e pedonale per accedere ai garage sotterranei di proprietà esclusiva dei condomini, ciò non significava che il resto dell'area fosse di proprietà esclusiva, ben potendo essere comune e, poi, per un limitato spazio di proprietà esclusiva con servitù di passo. In ogni caso la servitù non era più attuale atteso che, come evidenziato dal consulente tecnico di ufficio, nel 1968 erano state costituite delle servitù attive e passive di passaggio pedonale e carraio a favore e contro i mappali … , ma tali servitù erano state poi cancellate nel 1970 quando la Cassa per la Pensione ai Sanitari aveva acquistato la restante parte del compendio immobiliare e riunificato di fatto l'intera proprietà. Pertanto, essendo pacifico che il passaggio era stato sempre esercitato sia a favore che contro tutti i mappali, non poteva dirsi attualmente esistente una servitù regolarmente costituita a tal fine. Ne derivava che la contitolarità del bene imponeva alla maggioranza di stabilire quale destinazione dare all'area. Dovevano, quindi, essere accolte le domande a suo tempo formulate dagli appellanti quali attori, fatta eccezione per quelle di risarcimento del danno e di determinazione delle singole quote di proprietà. Doveva respingersi anche la domanda subordinata dell'Inps di annullamento dei singoli contratti atteso che lo stesso Istituto appellato non aveva dedotto né provato alcunché in ordine alla essenzialità e riconoscibilità ex articolo 1428 c.c. dell'errore in cui sarebbe asseritamente incorso non indicando negli atti di vendita che il cortile era stato escluso dalla proprietà comune ex articolo 1117 c.c. 8. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'Inps sulla base di tre motivi. 9. Ca.Pa. e Be.Ro. hanno resistito con controricorso. 10. Ma.Gu., Ba.Enumero e Ci.Li. hanno anch'essi resistito con altro controricorso. Tutti gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede. 11. Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell'articolo 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti. 12. A seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso. 13. È stata fissata l'adunanza in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 380-bis 1 cod. proc. civ. 14. Tutte le parti costituite con memoria depositata in prossimità dell'udienza hanno insistito nelle rispettive richieste. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato Violazione o falsa applicazione degli articolo 1117,1362,1363,2697 c.c., nonché dell'articolo 115 c.p.c., in relazione all'articolo 360 comma 1 numero 3 c.p.c., in ordine alla erronea declaratoria di condominialità dell'area cortilizia oggetto di causa e conseguente riconoscimento del diritto di proprietà sull'area in capo alle controparti. Si allega che, come evidenziato dal giudice di prime cure, e diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di Appello, nella interpretazione giurisprudenziale consolidata dell'articolo 1117 c.c., la presunzione di condominialità posta dalla norma non opera non solo nei casi in cui dal titolo risulti diversamente ma anche quando si tratti di bene che per motivi strutturali o funzionali, o per l'uso cui era stato adibito dall'originario proprietario, non risulti destinato a servizio dell'edificio condominiale. La Corte di Appello, senza contraddire in alcun modo la mole di argomentazioni della pronuncia di primo grado, ha invece deciso la causa sulla base di una fuorviata lettura degli orientamenti giurisprudenziali in materia, ritenendo che la presunzione di contitolarità del bene possa essere superata esclusivamente in presenza di peculiari caratteristiche strutturali che evidenzino di per sé come lo stesso sia idoneo a servire in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile quando il bene risulta comunque essere stato a suo tempo destinato dall'originario proprietario dell'intero immobile ad un uso esclusivo, così da rivelare sulla base di elementi oggettivi, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice di merito che si tratta di un bene dotato di propria autonomia e perciò non destinato a servizio dell'edificio condominiale. L'Inps lamenta la illogica ed illegittima declaratoria di irrilevanza di una circostanza risultante pacificamente dagli atti, quale quella della sottrazione originaria e permanente dell'area al servizio dei condomini, che invece, per giurisprudenza consolidata, è tale da far venir meno il presupposto stesso della presunzione di condominialità. Dopo aver ricostruito i luoghi sulla base della consulenza tecnica che ha distinto le aree, il ricorrente si sofferma sull'area principale evidenziando che si tratta di una superficie di circa mq. 1.770, adibita sin dall'epoca della realizzazione dei fabbricati e fino a tutt'oggi a parcheggio a pagamento, per 66 autoveicoli, in conformità del resto alla sua destinazione urbanistica ed alle previsioni di PRG. Inoltre, la parte ricorrente evidenzia che il trasferimento delle unità immobiliari in questione in favore degli aggiudicatari succede ad una procedura ad evidenza pubblica, dalla quale non si può prescindere per interpretare il contratto, in quanto è attraverso di essa che si forma la volontà del soggetto pubblico. All'interno di tale procedimento le perizie rilasciate dall'Agenzia del Territorio servono ad identificare con precisione l'oggetto del futuro contratto ed il suo valore. Da queste si evince senza ombra di dubbio alcuno come il cortile non fosse compreso nell'originaria operazione di cartolarizzazione. Quindi, anche sotto tale profilo, l'Istituto ricorrente denuncia l'ingiustizia della sentenza di appello, posto che alla luce delle riferite emergenze documentali e all'esito di un corretto processo ermeneutico, si sarebbe dovuto ritenere che con l'atto costitutivo del Condominio, la società S.C.I.P. S.R.L, all'epoca formale intestataria dell'intero compendio, e l'avv. Ma.Gu., in proprio e in rappresentanza degli ulteriori acquirenti ivi meglio identificati, avessero inteso escludere dall'oggetto della compravendita l'area cortilizia insistente sui mappali nnumero … , adibita a parcheggio pubblico a pagamento. L'area oggetto di causa, non essendo assimilabile per quanto detto ad un cortile interno, ed essendo suscettibile di utilizzazioni diverse, e per di più in concreto non destinata al servizio del fabbricato almeno da trent'anni, avrebbe necessitato infatti di una chiara e specifica manifestazione di volontà tesa a destinare la stessa al servizio del condominio perché divenisse bene comune o pertinenza. La scelta fatta in sede di evidenza pubblica avrebbe dovuto assumere rilevanza sia in tema di destinazione delle aree comuni ex articolo 1117 c.c. sia in tema di pertinenze, escludendo che vi fosse mai stata un'effettiva volontà dell'allora proprietario di destinare l'area al servizio dell'istituendo condominio o del bene principale. 2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 5, c.p.c., in ordine alla omessa valutazione della originaria e permanente sottrazione dell'area alla destinazione a servizio delle unità immobiliari del condominio. Si sostiene, in particolare, che la Corte di Appello, nel considerare unicamente, ai fini della decisione, le pretese caratteristiche strutturali dell'area cortilizia oggetto di causa, ha completamente omesso di considerare il fatto decisivo costituito dalla originaria e permanente sottrazione dell'area de qua all'uso condominiale. 3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato Violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 1428 c.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c., in ordine al rigetto della domanda subordinata dell'INPS di annullamento per errore dei contratti di compravendita intervenuti con i resistenti. L'Inps, per il caso di accoglimento delle avverse domande, ha eccepito l'annullamento dei contratti di compravendita azionati dagli odierni resistenti stante il pacifico errore in cui sarebbe in tal caso incorso l'Inpdap oggi Inps , quale mandatario di Scip Srl, nella identificazione dell'oggetto del contratto sia quanto alle porzioni da alienare, sia, correlativamente, quanto alla determinazione del prezzo di vendita. Si trattava non di una domanda ma di un'eccezione di annullamento per errore degli stessi per la denegata ipotesi che fossero state accolte le domande azionate dalle controparti. La ricorrente richiama tutta la procedura di dismissione evidenziando che l'area cortilizia essendo locata e adibita a parcheggio avrebbe dovuto necessariamente essere considerata ai fini della valutazione degli immobili da vendere. Si sarebbero dovuti ritenere più che provati, alla luce di tutto quanto allegato, sia l'essenzialità sia la riconoscibilità dell'errore. In conclusione, alla luce della normativa richiamata e delle finalità di finanza pubblica con la stessa perseguite, le stesse modalità di vendita, normativamente determinate, dei beni in dimissione evidenziavano secondo il ricorrente l'essenzialità dell'errore in quanto né l'ente né la SCIP avrebbero potuto includere l'area nei contratti di compravendita delle unità immobiliari, alienandoli quindi a costo zero. La riconoscibilità dell'errore sarebbe poi attestata dalle stesse clausole, contenute negli atti di compravendita delle unità immobiliari, richiamate e trascritte, con le quali gli acquirenti avevano dichiarato di aver preso conoscenza presso il Consorzio Gt, incaricato delle vendite, di tutta la documentazione del procedimento di vendita e, in particolare, di quella attinente la determinazione del prezzo di vendita, in primis la perizia di stima dell'unità immobiliare, che specificava espressamente come tale prezzo di vendita non comprendesse quello dell'area cortilizia oggetto di causa, da vendersi separatamente. 4. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell'articolo 380-bis è stata di inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso per le ragioni qui di seguito testualmente riportate Primo e secondo motivo inammissibili, o comunque manifestamente infondati, in quanto con essi si attinge la statuizione con la quale la Corte di Appello ha ravvisato l'assenza di caratteristiche strutturali idonee a dimostrare che l'area oggetto di causa potesse essere esclusa dal novero delle parti comuni dell'edificio, includendola di conseguenza nell'ambito di applicazione dell'articolo 1117 c.c. La Corte distrettuale, in particolare, ha evidenziato che l'area costituiva distacco tra gli edifici ed aveva primaria funzione di fornire luce ed aria agli edifici prospicienti che essa non presentava caratteristiche strutturali idonee a superare il criterio attributivo della proprietà comune previsto dall'articolo 1117 c.c. che negli atti di vendita delle porzioni immobiliari delle parti non vi era alcuna esclusione della detta area che il fatto che essa fosse stata adibita a parcheggio a favore della proprietà dell'odierno ente ricorrente non fosse decisiva, non essendo idonea a modificare le caratteristiche strutturali intrinseche del bene. Tale statuizione viene attinta dall'odierno ente ricorrente mediante la contrapposizione di una lettura alternativa del fatto e delle prove, senza considerare che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un'istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione Cass. Sez. U., Sentenza numero 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790 . Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui L'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata Cass. Sez. 3, Sentenza numero 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595 conf. Cass. Sez. 1, Sentenza numero 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448 Cass. Sez. L., Sentenza numero 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330 . L'I.N.P.S., in particolare, non indica l'esistenza di una prova idonea a dimostrare che, al momento in cui fu costituito il condominio, e quindi all'epoca della prima alienazione delle unità immobiliari comprese nell'edificio, il cedente avesse riservato a sé la proprietà esclusiva dello spazio di cui è causa, o lo avesse escluso dal novero delle parti comuni dello stabile, i cui diritti di uso sono stati trasferiti agli acquirenti delle varie unità immobiliari facenti parte dello stabile. Né rileva, ai fini di cui sopra, il fatto erroneamente valorizzato da parte ricorrente che nei predetti contratti si sia fatta menzione delle locazioni in essere al momento delle singole cessioni tra cui vi era quella inerente lo spazio oggi conteso tra le parti , poiché tale previsione non vale ad escludere il cortile dal novero delle parti comuni dell'edificio, né equivale ad una riserva della sua proprietà esclusiva. Neppure rileva la circostanza essa pure erroneamente valorizzata dalla parte ricorrente secondo cui l'area di cui si discute non presenterebbe alcuna funzione accessoria rispetto all'edificio in condominio, poiché trattasi di elemento di fatto, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, il quale, nella specie, ha accertato contrariamente a quanto sostenuto dall'I.N.P.S. che lo spazio in questione serve a fornire aria e luce agli edifici prospicienti. Inoltre, ed in ogni caso, l'assenza di una utilità in concreto dell'area non esclude la sussistenza della proprietà comune dello spazio, posto che l'articolo 1117 c.c., nell'elencare le parti comuni dell'edificio tra le quali rientrano anche i cortili fa esclusivamente riferimento alla natura delle stesse, senza prevedere anche il requisito della loro concreta utilità per lo stabile. Utilità, peraltro, che nella fattispecie è intrinseca nella destinazione dello spazio a parcheggio, accertata dal giudice di merito e non espressamente contestata dall'ente odierno ricorrente. Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell'iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione cfr. Cass. Sez. U., Sentenza numero 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U., Ordinanza numero 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 . Terzo motivo inammissibile, o comunque manifestamente infondato, in quanto con esso si contesta la statuizione con la quale la Corte di Appello ha rigettato la domanda subordinata di annullamento per errore dei contratti di compravendita intervenuti tra l'ente ricorrente ed i controricorrenti. Il giudice di merito, in particolare, ha respinto la domanda ritenendo non dedotto, né provato, alcunché in relazione alla natura essenziale e riconoscibile dell'errore lamentato dall'I.N.P.S. Con la censura in esame, si evidenzia che nella procedura di alienazione dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato e degli altri enti pubblici, caratterizzata dall'evidenza pubblica, la parte cedente non sarebbe libera di determinare il prezzo della compravendita, ma vincolata ai criteri di quantificazione del corrispettivo previsti dalla legge poiché nel caso di specie l'area oggetto di causa era posta a reddito mediante locazione a terzi, la stessa non poteva esser stata calcolata ai fini della determinazione del corrispettivo previsto per le compravendite aventi ad oggetto le singole unità immobiliari acquistate dagli odierni controricorrenti. Gli argomenti proposti dall'ente ricorrente non dimostrano né l'essenzialità, né la riconoscibilità, dell'errore lamentato dall'I.N.P.S., dovendosi ribadire, sul punto, il principio secondo cui L'errore sul prezzo della prestazione, pattuito dai contraenti, può dare luogo all'azione di rescissione per lesione, ma non costituisce errore essenziale, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1428 cod. civ., e non è causa di annullabilità del contratto, qualunque sia l'entità della sproporzione tra le reciproche prestazioni, salvo che non si traduca in un errore su di una qualità essenziale della cosa Cass. Sez. 3, Sentenza numero 2635 del 25/03/1996, Rv. 496562 conf. Cass. Sez. 2, Sentenza numero 11879 del 07/08/2002, Rv. 556765 Cass. Sez. 1, Sentenza numero 9067 del 29/08/1995, Rv. 493761, in materia di compravendita di azioni Cass. Sez. 2, Sentenza numero 1230 del 25/05/1962, Rv. 252013, in materia di compravendita nonché Cass. Sez. 3, Sentenza numero 4020 del 05/12/1974, Rv. 372610, in materia di compravendita immobiliare, secondo cui l'errore sul corrispettivo rileva soltanto se conseguenza della falsa conoscenza di una qualità essenziale della res . Inoltre, gli argomenti valorizzati dall'ente ricorrente non superano la decisiva statuizione con la quale la Corte distrettuale ha evidenziato che negli atti di compravendita di cui si discute non era prevista alcuna esclusione del cortile oggetto di causa dalle parti comuni dell'edificio, ritenendola evidentemente dirimente . 5. La parte ricorrente con la memoria depositata in prossimità dell'udienza insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso e in aggiunta alle deduzioni ivi formulate, tenuto conto anche delle conclusioni della proposta ex art 380-bis del codice di rito, evidenzia di non aver censurato la sentenza impugnata chiedendo una rivalutazione in fatto ma proprio sul presupposto tenuto presente dalla Corte di Appello che il cortile oggetto di causa era stato locato dall'Inps a terzi da decenni, praticamente all'atto dell'acquisto del complesso da parte dell'Istituto, quindi da data ben antecedente il frazionamento e la vendita delle unità immobiliari e la costituzione del condominio, e che quindi non aveva mai avuto alcuna relazione funzionale con le unità immobiliari del complesso. Secondo parte ricorrente emergerebbe chiaramente dalla consulenza tecnica d'ufficio di cui sono trascritti in ricorso passi salienti peraltro non controversi che si tratta di un'area interclusa tra più edifici, della superficie di mq. 1770, utilizzata, sin dalla edificazione del complesso fino a tutt'oggi, come parcheggio pubblico a pagamento, in conformità agli strumenti urbanistici della città, del tipo automatizzato, e la cui gestione è affidata a soggetti terzi. Con lo stesso primo motivo è stata altresì lamentata la violazione delle norme di cui agli articolo 1362 ss. c.c., in relazione all'interpretazione degli atti di acquisto dei resistenti nel senso della inclusione nella compravendita anche dell'area cortilizia de qua. Quanto al secondo motivo il ricorrente ribadisce la medesima doglianza sotto il profilo dell'omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione rappresentato dalla effettiva sottrazione originaria e permanente all'uso comune dell'area. Nella specie la destinazione a parcheggio pubblico impressa all'area era in atto da oltre trent'anni ed era rimasta tale anche successivamente, fino a tutt'oggi. Ciò, come accertato dal CTU, ne avrebbe determinato la totale sottrazione al godimento comune dei proprietari degli edifici circostanti, fatta eccezione per il transito carraio dalla via omissis alla rampa di accesso ai box di pertinenza delle abitazioni box estranei all'area oggetto di causa , transito che è sempre stato ad essi garantito. Allo stesso modo parte ricorrente ribadisce le medesime argomentazioni riguardo all'erroneo rigetto della domanda di annullamento del contratto per l'errore nella identificazione dell'oggetto, sia quanto alle porzioni da alienare sia, correlativamente, quanto alla determinazione del prezzo di vendita. 6. Il ricorso è infondato in relazione a tutti i motivi proposti. 6.1. La memoria del ricorrente non offre argomenti tali da consentire di modificare le conclusioni di cui alla proposta di definizione accelerata dovendosi confermare la destinazione a cortile dell'area attribuita alla proprietà condominiale. La Corte d'Appello come si è detto nella proposta ha accertato l'assenza di caratteristiche strutturali idonee a dimostrare che l'area oggetto di causa potesse essere esclusa dal novero delle parti comuni dell'edificio, includendola di conseguenza nell'ambito di applicazione dell'articolo 1117 c.c. La Corte distrettuale, in particolare, ha evidenziato che l'area costituiva distacco tra gli edifici ed aveva primaria funzione di fornire luce ed aria agli edifici prospicienti che essa non presentava caratteristiche strutturali idonee a superare il criterio attributivo della proprietà comune previsto dall'articolo 1117 c.c. che negli atti di vendita delle porzioni immobiliari delle parti non vi era alcuna esclusione della detta area che il fatto che essa fosse stata adibita a parcheggio a favore della proprietà dell'odierno ente ricorrente non fosse decisiva, non essendo idonea a modificare le caratteristiche strutturali intrinseche del bene. Parte ricorrente insiste nel sostenere che l'utilizzo a parcheggio pubblico ne ha modificato le caratteristiche ma come detto dalla Corte d'Appello il medesimo utilizzo a parcheggio ben può avvenire a favore dei condomini e la sottrazione dell'area alla sua destinazione non è elemento che ai sensi dell'articolo 1117 c.c. può comportare la perdita del requisito della condominialità, dovendosi far riferimento alle caratteristiche intrinseche del bene e non alla sua destinazione funzionale che può mutare in relazione al diverso utilizzo che i condomini o il proprietario intenda farne. Quanto alla dedotta violazione degli articolo 1362 e s.s. c.c. non può che ribadirsi il principio del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'interpretazione di un atto negoziale è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che nelle ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, alla stregua del c.d. minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi del numero 5 dell'articolo 360 c.p.c., nella formulazione attualmente vigente, ovvero, ancora, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c., per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall'articolo 1362 s.s. c.c. Il sindacato di legittimità può avere, quindi, ad oggetto solamente l'individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto Cass. numero 23701 del 2016 . Pertanto, al fine di riscontrare l'esistenza dei denunciati errori di diritto o vizi di ragionamento, non basta che il ricorrente faccia, com'è accaduto nel caso di specie, un astratto richiamo alle regole di cui agli articolo 1362 e ss. c.c., occorrendo, invece, che specifichi, per un verso, i canoni in concreto inosservati e, per altro verso, il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato Cass. numero 7472 del 2011 più di recente, Cass. numero 27136 del 2017 . Ne consegue l'inammissibilità del motivo di ricorso che, come quelli in esame, pur denunciando la violazione delle norme ermeneutiche o il vizio di motivazione, si risolva, in realtà, nella mera proposta di una interpretazione diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito Cass. numero 24539 del 2009 , così come è inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati. In effetti, per sottrarsi al sindacato di legittimità sotto i profili di censura dell'ermeneutica contrattuale, quella data dal giudice al contratto non dev'essere l'unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni plausibili , non è consentito alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra Cass. numero 18214 del 2024 e Cass. 27136 del 2017 . Come già detto nella proposta di definizione prevista dall'articolo 380-bis del codice di rito, gli argomenti valorizzati dall'ente ricorrente non superano la decisiva statuizione con la quale la Corte distrettuale ha evidenziato che negli atti di compravendita di cui si discute non era prevista alcuna esclusione del cortile oggetto di causa dalle parti comuni dell'edificio, ritenendola evidentemente dirimente rispetto a quanto riportato nella perizia di stima dell'Agenzia del Territorio. Tale interpretazione è conforme all'univoco principio di diritto in base al quale, in caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento di alcune unità immobiliari dall'originario unico proprietario ad altri soggetti, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione pro indiviso di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano in tale momento costitutivo del condominio destinate all'uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri ex plurimus,Cass. numero 21440 del 2022 Cass. numero 3852 del 2020 Cass. numero 26766 del 2014 . D'altra parte deve ribadirsi che nell'interpretazione dei contratti di diritto privato stipulati da enti pubblici, stante il requisito della forma scritta imposto a pena di nullità per la stipulazione di tali contratti, la volontà degli enti predetti dev'essere desunta esclusivamente dal contenuto dell'atto, interpretato secondo i canoni ermeneutici di cui agli articolo 1362 e ss. c.c., non potendosi fare ricorso alle deliberazioni degli organi competenti, le quali, essendo atti estranei al documento contrattuale, assumono rilievo ai soli fini del procedimento di formazione della volontà, attenendo alla fase preparatoria del negozio e risultando pertanto prive di valore interpretativo o ricognitivo delle clausole negoziali, a meno che non siano espressamente richiamate dalle parti né può aversi riguardo, per la determinazione della comune intenzione delle parti ex articolo 1362, comma 2, c.c., alle deliberazioni adottate da uno degli enti successivamente alla conclusione del contratto ed attinenti alla fase esecutiva del rapporto, in quanto aventi carattere unilaterale Cass. numero 11190 del 2018 e Cass. numero 17946 del 2013 . 6.2. Quanto al terzo motivo relativo alla domanda di annullamento, anche in questo caso non può che ribadirsi quanto già evidenziato in sede di proposta di definizione anticipata. La Corte d'Appello ha evidenziato che la ricorrente non aveva dedotto o allegato alcunché in ordine alla essenzialità e riconoscibilità dell'errore in cui sarebbe asseritamente incorsa non indicando negli atti di vendita che il cortile sarebbe stato escluso dalla proprietà comune ex articolo 1117 c.c. La rilevanza dell'errore come causa di annullamento del negozio, infatti, è caratterizzata dal duplice profilo della sua essenzialità e della riconoscibilità, intesa, quest'ultima, come capacità di rilevazione di esso da parte di una persona di media diligenza, in relazione sia alle circostanze del contratto che alle qualità dei contraenti. Dunque, sarebbe stato necessario accertare, da un lato, se l'INPS si fosse indotto alla stipula del contratto in base ad una distorta rappresentazione della realtà, determinante ai fini della conclusione del negozio, e, dall'altro, se con l'uso della normale diligenza gli altri contraenti avrebbero potuto rendersi conto dell'altrui errore, non essendo richiesto che l'errore fosse riconosciuto in concreto, bensì risultando sufficiente l'astratta possibilità di tale riconoscimento, in una persona di media avvedutezza v., per tutte, Cass. numero 24738 del 2017 . La domanda di annullamento formulata dall'INPS, invece, è rimasta del tutto generica ed indimostrata, essendosi invece incentrata sulla effettiva perdita della condominialità del cortile per volontà dell'unico proprietario al momento del frazionamento e dovendosi ricondurre gli elementi dedotti, al più, ad un errore sulla valutazione economica dell'operazione negoziale che non può essere causa di annullamento del contratto. Deve richiamarsi in proposito la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'errore sulla valutazione economica del bene oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento, in quanto non incide sull'identità o qualità della cosa, ma attiene alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un certo accordo e al rischio che il contraente si assume, nell'ambito dell'autonomia contrattuale, per effetto delle proprie personali valutazioni sull'utilità economica dell'affare Cass. numero 29010 del 2018 e Cass. numero 20148 del 2013 . 7. In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con conseguente condanna della soccombente parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore di ciascun gruppo delle due parti controricorrenti, liquidate come in dispositivo. 8. Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell'articolo 380-bis cod. proc. civ., vanno applicati come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso articolo 380-bis cod. proc. civ. il terzo e il quarto comma dell'articolo 96 cod. proc. civ., con derivante condanna della parte ricorrente al pagamento, sempre in favore di ciascun gruppo delle due parti controricorrenti, di una somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo , nonché al pagamento di una ulteriore somma nei limiti di legge in favore della Cassa delle ammende anch'essa indicata in dispositivo . 9. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. numero 115 del 2002 della sussistenza dei presupposti processuali, da parte dell'INPS, per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di ognuna di ciascun gruppo delle due parti controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 5.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge. Condanna, altresì, la stessa parte ricorrente, ai sensi dell'articolo 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento, in favore di ciascun gruppo delle due parti controricorrenti, della ulteriore somma pari ad € 3.000,00, nonché, in applicazione dell'articolo 96, quarto comma, c.p.c., al pagamento della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.