In caso di rinvio la Corte d’Appello deve attenersi ai limiti fissati nella sentenza

Per la III Sezione Civile della Suprema Corte, la Corte d’Appello investita del riesame di una questione a seguito di ordinanza o sentenza di rinvio della Cassazione, non potrà che attenersi ai principi espressi da quest’ultima e necessariamente ai relativi limiti.

La III Sezione Civile della Corte di Cassazione ha ribadito il principio sopra espresso, già più volte statuito, nell'ordinanza emessa nella Camera di Consiglio del 17 ottobre 2024, pubblicata il successivo 13 novembre. La vicenda trae spunto da un fatto drammatico. Infatti, F.G., Y.G. e A.G., insieme con D.L.M., quest'ultima in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore D., convennero in giudizio, nel 2009, davanti al Tribunale di Catanzaro, il Ministero della Giustizia, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per la morte del loro congiunto, S.G., avvenuta per suicidio il 27 giugno 2008 in una struttura carceraria, asserendo la responsabilità del Ministero per omessa sorveglianza. In primo grado, la domanda veniva accolta, mentre in secondo grado, dopo il ricorso del Ministero, veniva rigettata. A seguito della sentenza della Corte d'appello, gli originari attori proponevano ricorso presso la Suprema Corte, che cassava la sentenza di secondo grado, rinviando alla Corte d'appello in diversa composizione, esprimendo dettagliatamente il principio di diritto alla quale questa avrebbe dovuto attenersi e i relativi limiti. La Corte d'appello, a seguito di riassunzione, accoglieva la domanda dei congiunti del signor S.G., condannando il Ministero della Giustizia al risarcimento del danno in loro favore. Contro questa nuova sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia, sulla base di cinque motivi tra cui l'omessa pronuncia su un fatto decisivo del giudizio. Hanno resistito con controricorso i familiari del deceduto. I limiti e l'oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di Cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale o per errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neanche alla stregua di arresti giurisprudenziali successivi della Corte di legittimità. Il ricorso è stato rigettato in quanto i motivi sono stati dichiarati infondati o inammissibili. La Corte di Cassazione, nell'ampia e articolata sentenza, nell'esaminare i motivi di ricorso, ha ricordato che in caso di cassazione con rinvio, la corte d'appello non potrà che attenersi non solo al principio di diritto espresso nel provvedimento di rinvio, ma anche ai precisi limiti indicati nello stesso. In particolare, nel caso di cassazione per vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come nei motivi del ricorso che ci occupa, il giudice di rinvio è senz'altro vincolato a ritenere decisivo il fatto, così valutato dalla S.C. e, con esso, la sua natura oramai accertata di presupposto logico a propria volta, nel caso di cassazione con rinvio per vizio di sussunzione, l'affermazione dell'inidoneità del fatto accertato ad integrare l'ipotesi normativa individuata dal giudice di merito dispiega l'efficacia di principio di diritto integralmente vincolante entro il giudizio di rinvio Cass. 31/05/2018, numero 13747 . Secondo la sentenza in commento infatti, la Corte d'appello ha ben agito, ritenendo che non possa dubitarsi che, nel caso di specie, i vincoli del “giudizio chiuso” devoluto al giudice del rinvio, quali chiaramente derivanti dalle testé riassunte motivazioni della pronuncia cassatoria, siano stati correttamente interpretati e rispettati dalla Corte d'appello, la quale, si è correttamente mossa in tale ristretto ambito valutativo e ha giustamente quindi concluso per la sussistenza della responsabilità del Ministero, sostanzialmente ritenendo che non emergessero dal materiale istruttorio acquisito elementi, diversi da quelli già valutati con efficacia vincolante nell'ordinanza cassatoria, che potessero condurre a diversa valutazione sia in ordine alla sussistenza di specifiche violazioni di legge da parte dell'Amministrazione articolo 655 c.p.p. e articolo 23, comma 2, d.P.R. numero 230 del 2000 , sia in ordine alla sussistenza del nesso causale tra le omissioni imputabili all'Amministrazione e l'evento lesivo. Di conseguenza, come detto, il ricorso è stato rigettato con condanna alle spese in favore dei resistenti.

Presidente Cirillo - Relatore Iannello Fatti di causa 1. Gi.Fr., Gi.Yl. e Gi.Anumero , insieme con Lo.Do., quest'ultima in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore Gi.De., convennero in giudizio, nel 2009, davanti al Tribunale di Catanzaro, il Ministero della Giustizia, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per la morte del loro congiunto, Gi.Sa., avvenuta per suicidio il 27 giugno 2008, alle 7 del mattino, mentre si trovava ristretto dalla sera del giorno prima nel carcere di Vibo Valentia in esecuzione di un'ordinanza custodiale, del che gli istanti attribuivano la responsabilità all'amministrazione penitenziaria per omessa vigilanza. Il Tribunale accolse la domanda. 2. In totale riforma di tale decisione la Corte d'Appello di Catanzaro, invece, la rigettò, ritenendo che l'evento non fosse né prevedibile né prevenibile e che pertanto il nesso causale tra il comportamento dell'amministrazione penitenziaria e la morte del Gi.Sa. dovesse ritenersi interrotto dall'eccezionalità dell'evento rilevò a fondamento che - nonostante non si evidenziassero ragioni di rischio, il detenuto era stato sottoposto al regime di grande sorveglianza guardato a vista ogni 20 minuti - non poteva ravvisarsi la fonte dell'obbligo giuridico, generico o specifico, in capo all'Amministrazione penitenziaria di impedire eventi consapevoli e volontari - non era ravvisabile un obbligo specifico di sorveglianza, colposamente omesso nel caso di specie - il colloquio psicoterapico era stato svolto senza esiti apprezzabili. - il detenuto era stato provvisoriamente alloggiato in una cella singola in attesa di definitiva destinazione. 3. In accoglimento del ricorso interposto dai congiunti del Gi.Sa. questa Corte, con ordinanza numero 30985 del 30/11/2018, ha cassato detta sentenza con rinvio al giudice a quo. 4. Pronunciando quindi in sede di rinvio, la Corte d'Appello di Catanzaro, con sentenza numero 1120/2021, pubblicata il 5 agosto 2021, ha accolto la domanda risarcitoria, liquidando in favore di ciascuno degli appellati, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale, la somma di Euro 168.250,00, con il favore delle spese relative a tutti i gradi e fasi del giudizio. In motivazione, richiamati ampi stralci della pronuncia cassatoria, ha rilevato che il Giudice del rinvio è tenuto ad uniformarsi al dictum della Suprema Corte, che, nel caso di specie, da un lato, ha riscontrato la sussistenza di specifiche violazioni di legge da parte dell'Amministrazione articolo 655 c.p.p. e articolo 23, comma 2, D.P.R. numero 230 del 2000 e, dall'altro, ha accertato la sussistenza del nesso causale tra le omissioni imputabili all'Amministrazione e l'evento lesivo. Pertanto, come questa Corte ha già statuito con ordinanza del 22.5.2019, non assumono rilevanza, ai fini del presente giudizio, le istanze istruttorie reiterate dall'Amministrazione anche in questa sede . 5. Avverso tale sentenza il Ministero della Giustizia propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resistono Gi.Fr., Gi.Yl. e Gi.Anumero e Lo.Do., quest'ultima in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore Gi.De., depositando controricorso. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. I controricorrenti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'articolo 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ., violazione degli articolo 112 e 384 cod. proc. civ. Sostiene che, avendo l'ordinanza di cassazione con rinvio accolto il ricorso sia per violazione di legge che per vizio di motivazione, il giudice del rinvio avrebbe dovuto valutare i fatti già acquisiti e accertarne altri, non avendo in particolare la S.C. negato espressamente la possibilità di raccogliere le deposizioni testimoniali del medesimo personale penitenziario erroneamente, pertanto, e in violazione delle norme suindicate, il giudice del rinvio ha ritenuto di non poter valutare diversamente i fatti da come indicato nell'ordinanza di rinvio. 2. Con il secondo motivo il Ministero denuncia, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio . Afferma che, come risulta dalle allegazioni probatorie offerte , Gi.Sa. veniva sottoposto ad una visita medica all'ingresso nel carcere nella quale veniva considerato un soggetto con rischio di suicidio basso nel corso della notte del 27.06.08 l'agente di turno era passato ripetutamente di fronte alla sua cella e lo aveva sempre trovato tranquillo tali controlli visivi costanti e ripetuti dovuti al regime di grande sorveglianza sono proseguiti fino alle 6,50 del 28.06.08 in cui il suindicato veniva visto lavarsi le mani nel lavabo il suicidio avveniva tra le ore 6 50 e le ore 7 00, momento del rinvenimento del cadavere . Sostiene che se tali fatti fossero stati valutati dal giudicante avrebbero condotto alla identificazione del suicidio come fattore interruttivo del nesso causale in quanto fattore eccezionale ed imprevedibile tenendo conto delle peculiarità del caso concreto . 3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'articolo 360, primo comma, numero 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli articolo 40, primo comma, c.p. e 2043 c.c., per avere la Corte d'Appello implicitamente ritenuto la sussistenza del nesso causale. Sostiene che il suicidio avrebbe dovuto considerarsi fattore eccezionale, non prevedibile, interruttivo del nesso causale tra la condotta asseritamente omissiva di controllo dell'Amministrazione e l'evento morte, alla luce delle seguenti circostanze - il P.M. non aveva considerato particolarmente significativo il generico proposito suicida di Gi.Sa. manifestato al momento dell'arresto ed aveva, quindi, disposto la carcerazione in regime comune si trattava, infatti, di soggetto già abituato alla detenzione, subita in passato per circa 5 anni anche in relazione agli stessi reati di natura sessuale per i quali era stato eseguito l'arresto - all'ingresso nella Casa circondariale il detenuto veniva sottoposto a visita medica ed il medico di guardia attestava un rischio di suicidio basso - nessun proposito suicida veniva manifestato dal Gi.Sa. al personale di polizia penitenziaria, né all'ingresso nel carcere, né nel momento della perquisizione personale, mostrando in entrambe le circostanze serenità e mai nervosismo o alcun segno di insofferenza - nessun proposito suicida veniva manifestato neppure nel colloquio con il coordinatore della sorveglianza - nonostante non sussistesse nessun particolare e concreto elemento di rischio e nonostante la disposizione del P.M. che indicava il regime di detenzione ordinario, in ragione del generico proposito suicida manifestato al momento dell'arresto, l'Amministrazione penitenziaria applicava il regime detentivo di grande sorveglianza nella sezione nuovi giunti , alla quale Gi.Sa. doveva essere necessariamente assegnato in via temporanea a causa dell'orario tardivo di ingresso in carcere ore 21,30 circa , in attesa della definitiva assegnazione che sarebbe avvenuta il giorno successivo. 4. Con il quarto motivo il Ministero denuncia, infine, con riferimento all'articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio . Afferma che - l'asserita violazione dell'articolo 23 D.P.R. numero 230 del 2000 non può ritenersi sussistente in ragione della Circolare Amato del 30.12.1987 , la quale prevede che i controlli funzionali a verificare la capacità del soggetto di affrontare adeguatamente la detenzione devono avvenire entro le 24 ore dall'ingresso nel carcere nel caso in esame lo psicologo e l'educatore, deputati a tali controlli, erano assenti a causa del tardo orario di ingresso del Gi.Sa. nel carcere di Vibo Valentia ore 21,30 circa - peraltro il soggetto era stato sottoposto alla visita medica, nella quale si accertava un livello basso di suicidio e l'assenza di problemi psichiatrici - la scelta dell'Amministrazione di disporre per Gi.Sa. il regime di detenzione di grande sorveglianza non può essere considerata motivo di addebito, dal momento che al contrario essa denota la preoccupazione dell'Amministrazione per l'incolumità del predetto - era maggiormente rischiosa la destinazione dello stesso ad una cella comune, trattandosi di soggetto indagato per reati sessuali - inoltre non si capisce come la presenza di altri detenuti avrebbe potuto neutralizzare il proposito suicida, essendo il suicidio in carcere una triste pratica che per lo più avviene in celle comuni sovraffollate. 5. Il primo motivo è infondato. 5.1. A fondamento della ordinanza di cassazione con rinvio sono posti i seguenti rilievi - il giudice d'appello ha errato sia nel basare le proprie statuizioni sul principio di non contestazione sia nel valorizzare le dichiarazioni rese dal personale della struttura penitenziaria che aveva tutto l'interesse ad escludere ogni addebito di responsabilità per quanto avvenuto , il giudice, infatti, non avrebbe potuto né far riferimento al principio di non contestazione né valorizzare le dichiarazioni degli unici testi aventi un interesse proprio a far constare il proprio comportamento diligente - non può ragionevolmente affermarsi, nella specie, che l'amministrazione penitenziaria abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare l'evento, né che non sussistessero obblighi derivanti da specifiche norme giuridiche. L'articolo 23 del D.P.R. numero 230 del 2000 dispone espressamente Un esperto dell'osservazione e trattamento effettua un colloquio con il detenuto o internato all'atto del suo ingresso in istituto, per verificare se ed eventualmente con quali cautele possa affrontare adeguatamente lo stato di restrizione. Il risultato di tali accertamenti è comunicato agli operatori incaricati per gli interventi opportuni e al gruppo degli operatori dell'osservazione e trattamento di cui all'articolo 29 . Il Gi.Sa. non fu sottoposto ad alcuna osservazione funzionale a verificarne la capacità di affrontare adeguatamente lo stato di restrizione e ciò in quanto al momento dell'ingresso in carcere non c'erano né l'educatore né lo psicologo e questa pur decisiva circostanza non risulta oggetto di alcuna valutazione da parte della Corte territoriale - è incontestabile, sul piano causale, che, ove il Gi.Sa. fosse stato sottoposto a regime di detenzione comune, come peraltro espressamente richiesto dal pubblico ministero, i suoi intenti suicidari sarebbero stati impediti o comunque resi di assai più ardua realizzazione dalla presenza di altri detenuti . 5.2. Si ricava univocamente da tali motivazioni - anche tenuto conto dei vizi che erano denunciati con i motivi a cui esse rispondevano il primo e il secondo, esaminati congiuntamente dalla S.C. violazione degli articolo 115 c.p.c. e 2697 c.p.c. il terzo violazione dell'articolo 23 D.P.R. numero 230 del 2000, dell'articolo 655 c.p.p. nonché degli articolo 2043 e/o 2050 c.c. il quarto omesso esame ex articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. del fatto rappresentato dalla specifica disposizione del PM di sottoporre il Gi.Sa. a regime carcerario comune - che, con la pronuncia cassatoria, la S.C. abbia ravvisato nella sentenza d'appello sia errores in iudicando de jure procedendi per avere ritenuto sollevata l'amministrazione dagli oneri probatori e, comunque, per avere valorizzato le dichiarazioni del personale dell'istituto , sia errores in iudicando per vizio di sussunzione per aver ritenuto che l'amministrazione avesse adempiuto agli obblighi ad essa imposti dall'articolo 23 del Regolamento penitenziario, quanto alle attività da compiere al momento dell'ingresso del detenuto in istituto, anche in relazione alle disposizioni emanate dal P.M. competente , sia vizi di omesso esame di fatti espressamente valutati dalla stessa S.C. come decisivi tali, per l'appunto, il non essere stato il Gi.Sa. sottoposto ad alcuna osservazione funzionale a verificarne la capacità di affrontare adeguatamente lo stato di restrizione e ciò per la mancanza, al momento dell'ingresso in carcere, sia dell'educatore, sia dello psicologo, nonché l'inosservanza dell'ordine del P.M. di sottoporre il predetto a regime carcerario comune . 5.3. Ne risulta a l'affermazione di un principio di diritto processuale non può attribuirsi valore probatorio, in controversia relativa al contestato adempimento degli obblighi gravanti sull'amministrazione penitenziaria, alle dichiarazioni rese dal personale della struttura penitenziaria che aveva tutto l'interesse ad escludere ogni addebito di responsabilità per quanto avvenuto b l'affermazione della inidoneità di fatti accertati a giustificare la qualificazione giuridica ad essi data dalla sentenza tali l'affermazione della inidoneità delle deduzioni degli attori a far ritenere come non contestata la ricostruzione della tragica vicenda quale proposta dal personale dell'amministrazione penitenziaria l'affermazione della inidoneità delle attività compiute al momento dell'ingresso in carcere a far ritenere adempiuti gli obblighi imposti dalle norme del regolamento penitenziario c la valutazione in termini di decisività di altri fatti non considerati invece dal giudice d'appello tali l'assenza al momento dell'ingresso in carcere di un educatore e di uno psicologo e la mancata sottoposizione del Gi.Sa. ad alcuna osservazione la mancata sottoposizione del Gi.Sa. a regime di detenzione comune, come prescritto dal P.M., circostanza quest'ultima espressamente indicata come di incontestabile rilevanza sul piano causale . 5.4. Ciascuna di tali affermazioni segnava i limiti entro i quali avrebbe dovuto muoversi il giudizio di rinvio, esprimendo regole di giudizio vincolanti, ai sensi dell'articolo 384, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo - applicabile alla specie ratione temporis - modificato dall'articolo 12, comma 1, D.Lgs. 2 febbraio 2006, numero 40, a mente del quale il giudice di rinvio deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte , in tal modo acquisendo ognuna di esse, quale regola di giudizio del caso concreto, forza equiparabile a giudicato interno sulla medesima questione. Varrà pure rammentare che, secondo altrettanto pacifico indirizzo, i limiti e l'oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale o per errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neanche alla stregua di arresti giurisprudenziali successivi della corte di legittimità Cass. numero 27343 del 29/10/2018 , salva solo la rilevanza dello ius superveniens. In particolare, nel caso di cassazione per vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il giudice di rinvio è senz'altro vincolato a ritenere decisivo il fatto così valutato dalla S.C. e, con esso, la sua natura oramai accertata di presupposto logico a propria volta, nel caso di cassazione con rinvio per vizio di sussunzione, l'affermazione dell'inidoneità del fatto accertato ad integrare l'ipotesi normativa individuata dal giudice di merito dispiega l'efficacia di principio di diritto integralmente vincolante entro il giudizio di rinvio Cass. 31/05/2018, numero 13747 . 5.5. Ebbene, alla luce dei suesposti principi, non può dubitarsi che, nel caso di specie, i vincoli del giudizio chiuso devoluto al giudice del rinvio, quali chiaramente derivanti dalle testé riassunte motivazioni della pronuncia cassatoria, siano stati correttamente interpretati e rispettati dalla Corte d'Appello, la quale - muovendosi necessariamente in tale ristretto ambito valutativo - ha concluso quindi per la sussistenza della responsabilità del Ministero sostanzialmente ritenendo che non emergessero dal materiale istruttorio acquisito elementi, diversi da quelli già valutati con efficacia vincolante nell'ordinanza cassatoria, che potessero condurre a diversa valutazione sia in ordine alla sussistenza di specifiche violazioni di legge da parte dell'Amministrazione articolo 655 c.p.p. e articolo 23, comma 2, D.P.R. numero 230 del 2000 , sia in ordine alla sussistenza del nesso causale tra le omissioni imputabili all'Amministrazione e l'evento lesivo. 5.6. Per converso del tutto priva di fondamento è la tesi censoria dell'amministrazione ricorrente secondo cui quella pronuncia avrebbe in realtà lasciato aperta a nuova valutazione le circostanze già considerate e poste a base della pronuncia. In particolare, è certamente destituita di fondamento la tesi secondo cui l'ordinanza di rinvio avrebbe lasciato aperta la possibilità di raccogliere le deposizioni testimoniali del medesimo personale penitenziario, ad essa ostando il contrario principio come detto chiaramente desumibile dalla detta pronuncia senza dire che, peraltro, sotto tale profilo, la censura si appalesa comunque inammissibile non essendo nemmeno dedotto se e quando e sulla base di quali capitoli tale prova fosse stata richiesta, né se e quali valutazioni fossero state ad essa dedicate dai giudici di merito. 6. Il secondo motivo è inammissibile, sotto diversi profili. 6.1. Anzitutto per la preclusione che deriva - ai sensi dell'articolo 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ.  come sostituito dall'articolo 54, comma 1, lett. a , D.L. 22 giugno 2012, numero 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, numero 134 - dall'avere la Corte d'Appello deciso, in sede di rinvio, in modo conforme alla sentenza di primo grado c.d. doppia conforme , non avendo il ricorrente assolto l'onere in tal caso su di esso gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello v. Cass. 22/12/2016, numero 26774 06/08/2019, numero 20994 15/03/2022, numero 8320 . 6.2. In secondo luogo, per la palese inosservanza dell'onere di specifica indicazione delle fonti o dei mezzi di prova da cui i fatti asseritamente obliterati avrebbero dovuto desumersi, e del come e quando esse sarebbero state acquisite nel corso del processo, in violazione degli articolo 366 numero 6 e 369 numero 4 cod. proc. civ. 7. Il terzo motivo è parimenti inammissibile. Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all'articolo 360, comma primo, numero 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all'articolo 366, comma primo, numero 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d'inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione Cass. nnumero 16132 del 2005, 26048 del 2005, 20145 del 2005, 1108 del 2006, 10043 del 2006, 20100 del 2006, 21245 del 2006, 14752 del 2007, 3010 del 2012 e 16038 del 2013 . In altri termini, non è il punto d'arrivo della decisione di fatto che determina l'esistenza del vizio di cui all'articolo 360, comma primo, numero 3, cod. proc. civ., ma l'impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell'interpretarle. Nella specie la doglianza in esame, lungi dal far emergere una erronea qualificazione giuridica della fattispecie concreta così come accertata in sentenza, sotto il profilo della asserita violazione della regola causale di cui all'articolo 40 c.p., impinge esclusivamente nella ricognizione della stessa, sindacabile solo sul piano della motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell'articolo 360, comma primo, numero 5, cod. proc. civ., nella specie non dedotto e comunque non ricavabile da quanto esposto in relazione al necessario paradigma da osservarsi a tal fine secondo Cass. Sez. U. 07/04/2014, nnumero 8053 - 8054. 8. Il quarto motivo è inammissibile. In disparte anche in tal caso la preclusione derivante dal principio della c.d. doppia conforme, va rilevato che, lungi dall'indicare i fatti storici che sarebbero stati obliterati, nel rispetto delle modalità e dei requisiti prescritti dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte v. Cass. Sez. U. nnumero 8053-8054 del 2014 , con il motivo in esame il ricorrente sollecita la rivalutazione di temi e questioni quali la sussistenza di obblighi di comportamento derivanti dall'articolo 23 D.P.R. numero 230 del 2000 la rilevanza causale della mancata destinazione del Gi.Sa. ad una cella comune come disposto dal P.M. , già oggetto di specifica e vincolante valutazione nella pronuncia cassatoria con effetti vincolanti, come detto, per il giudice di rinvio. 9. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna dell'amministrazione ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo e da distrarsi in favore dei loro difensori che ne hanno fatto richiesta in memoria. 10. Non può trovare applicazione l'obbligo di versare, ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, inserito dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, numero 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, essendo i ricorrenti Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo v. Cass. 29/12/2016, numero 27301  Cass. 29/01/2016, numero 1778 v. anche Cass., Sez. U, 08/05/2014, numero 9938  Cass. 14/03/2014, numero 5955 . P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 13.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, disponendone la distrazione in favore dei procuratori antistatari, Avv.ti Nicola D'Agostino e Giuseppe Di Renzo.