Protezione internazionale e diritto alla vita privata e familiare: quali limiti?

Può un cittadino straniero essere considerato integrato nella società, al punto da invocare il rispetto della propria vita privata per evitare il respingimento o l’espulsione, pur vivendo con una falsa identità e non condividendo nulla del proprio passato con la propria compagna? La parola ai Giudici.

La vicenda sottoposta all'esame della Suprema Corte può essere così sintetizzata un cittadino albanese aveva chiesto asilo mentre si trovava in carcere in Italia in attesa di estradizione in Albania per scontare una condanna all'ergastolo per un triplice omicidio e il possesso illegale di armi da caccia. Il richiedente aveva invocato il timore di rappresaglie mortali se fosse stato rimpatriato e aveva sottolineato che si trovava in Italia da ben 26 anni, dove, dal 2006, viveva con una donna italiana e lavorava clandestinamente nella pizzeria di suo fratello con una falsa identità. Il Tribunale aveva respinto la richiesta sul presupposto della gravità del fatto confessato il triplice omicidio e della mancanza di prove sufficienti a indicare un rischio credibile di vendetta, pur essendo un fenomeno diffuso nel suo Paese di origine. Il giudice di merito aveva anche sottolineato che la fuga dall'Albania con una falsa identità trovava spiegazione nella volontà di sfuggire all'esecuzione della condanna penale albanese. In merito all'integrazione in Italia, il Tribunale aveva ritenuto che non fosse avvenuta nel rispetto delle leggi e norme sociali, in quanto il richiedente aveva vissuto per due decenni in Italia come latitante, utilizzando una falsa identità che aveva ingannato tutti coloro con cui era venuto in contatto, inclusa la sua compagna. La prima questione esaminata dalla Corte riguarda la necessità o meno della definitività di una sentenza straniera che accerti la commissione di un reato impeditivo da parte del richiedente protezione internazionale. Secondo il ricorrente, il Tribunale non ha tenuto conto del fatto che la sentenza di condanna albanese non poteva considerarsi definitiva in quanto il processo avrebbe dovuto essere ripetuto in Albania. La Corte ha quindi affermato che «in tema di cause di esclusione previste dagli articolo 10 e 16 d.lgs. 251/2007, il quadro normativo vigente non attribuisce valore dirimente alla esistenza di una sentenza straniera, atteso che tanto l'articolo 10 che l'articolo 16 d.lgs. numero 251 del 2007, fanno riferimento non già alla avvenuta condanna - passata o meno in giudicato - nel paese di origine, ma alla sussistenza di “fondati motivi” per ritenere che il richiedente abbia “commesso” il reato ostativo, sicché impongono al giudice della protezione internazionale una valutazione autonoma della sussistenza del reato, che si faccia carico di affrontare anche le deduzioni del richiedente, pur se il fatto storico che sia intervenuta una sentenza di condanna costituisce un elemento indicativo di particolare rilievo». Quanto alle caratteristiche dell'integrazione in Italia invocate dal ricorrente come causa ostativa al respingimento o all'espulsione, per i Giudici è condivisibile la motivazione per cui il Tribunale aveva ignorato l'importanza della sua vita privata , non avendo quest'ultimo rispettato le norme fondamentali della società civile e avendo mentito sulla propria identità, anche alla sua compagna. Non è tanto una questione di relazione familiare basata sul matrimonio o sulla convivenza, quanto la sincerità del legame di coppia ad essere presa in considerazione. Secondo la Corte, infatti, «la famiglia di fatto riceve tutela se ed in quanto si ispiri ai valori di cui la nostra Costituzione è espressione e agli stessi canoni di eguaglianza, solidarietà, rispetto reciproco cui è improntata la disciplina della famiglia fondata sul matrimonio la lealtà tra i partner è uno dei presupposti perché si possa sviluppare un legame fondato su questi valori». Pertanto, «in tema di divieto di respingimento ed espulsione, deve escludersi che ricorra vita privata e familiare, tutelabile ex articolo 19 del d.lgs. numero 286/1998 in relazione all'articolo 8 CEDUqualora la relazione non sia autentica e connotata dagli stessi canoni di eguaglianza, solidarietà, rispetto reciproco cui è improntata la disciplina della famiglia fondata sul matrimonio, e in particolare qualora sia fondata sulla menzogna mantenuta costantemente negli anni da uno dei due partner, non solo in ordine al suo nome ed alla sua identità, ma anche gli eventi significativi del suo passato. Inoltre, qualora il soggetto non rispetti le regole fondamentali della società in cui vorrebbe inserirsi, non può positivamente apprezzarsi alcuna integrazione sociale, per la quale è necessario che il soggetto si unisca non solo materialmente ma anche moralmente alla comunità, pur mantenendo la propria identità personale e familiare, ma rendendo compatibile il proprio modus vivendi con le regole gli usi e i costumi adottati da quella comunità» chiosa la Corte.

Presidente Giusti – Relatore Russo Rilevato che Il ricorrente, cittadino albanese, ha chiesto la protezione internazionale mentre era ristretto in carcere a fini estradizionali per l'esecuzione della pena inflittagli con sentenza emessa dalla autorità giurisdizionale albanese, di condanna all'ergastolo, successivamente commutata in quella detentiva di 25 anni di reclusione, per i delitti di triplice omicidio e possesso illegale di armi da caccia commessi in Albania il 12 giugno 1993. Ha dichiarato che ove fosse rimpatriato in Albania egli sarebbe esposto alla vendetta di sangue ed evidenziato di trovarsi in Italia ormai da 26 anni, di convivere dal 2006 con una cittadina italiana e di aver sempre lavorato con una precedente falsa identità sulla base dei precedenti permessi di soggiorno per motivi di lavoro, culminati nella carta di soggiorno poi revocatagli, dopo l'arresto, dalla Questura di Varese e successivamente con la sua vera identità, sulla base del permesso di soggiorno come richiedente asilo, presso la pizzeria del fratello Il Tribunale ha respinto la domanda rilevando che la gravità del fatto confessato è comunque tale da integrare obiettivamente le cause di esclusione rispettivamente previste per entrambe le protezioni maggiori dagli articolo 10 comma 2 lett. b e 16 comma 1 lett. b del D.Lgs. numero 251/2007. Il Tribunale ha rilevato che in ogni caso anche sulla base di informazioni assunte sulla vendetta di sangue in passato diffusa nella zona albanese da cui egli proviene, non risultano elementi per ritenerlo esposto a questo rischio, essendovi una serie di incongruenze nella narrazione e considerato che i suoi parenti che sarebbero altrettanto esposti in base alle regole di questo codice rurale alla vendetta e pur tuttavia hanno continuato tranquillamente a vivere con la loro identità. Il Tribunale ha concluso pertanto che la fuga con un documento falso sia avvenuta per sottrarsi alla legittima pretesa punitiva dello Stato ha rilevato che le condizioni delle carceri albanesi non sono tali da esporlo a un trattamento inumano e degradante e quindi ha escluso il rischio di danno grave da parte di agenti statali e non statali ha escluso altresì il rischio da violenza indiscriminata poiché l'Albania non è un paese interessato da conflitto armato. Quanto alla protezione speciale, il Tribunale ha osservato che un'eventuale permesso di soggiorno a tale titolo non potrebbe comunque evitare l'esecuzione dell'ormai definitivo decreto di estradizione e la celebrazione in patria del processo penale per i fatti del 1993, posto che l'articolo 19 del D.Lgs. numero 286/1998, nel primo periodo vieta non solo il respingimento e l'espulsione ma anche l'estradizione verso uno Stato che presenti fondati motivi di rischio di sottoposizione a tortura o trattamenti inumani o degradanti, mentre al terzo periodo vieta altresì il respingimento e l'espulsione -e quindi non l'estradizione qualora possa fondatamente temersi che l'allontanamento dell'interessato dal territorio nazionale comporterà la violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare. Inoltre, il Tribunale ha osservato che il presupposto per il rispetto della vita privata o familiare creata in Italia richiede che la dedotta integrazione sia avvenuta nel pieno rispetto della legalità e delle regole che presiedono alla vita dei consociati, ed invece il richiedente ha vissuto per vent'anni in Italia da latitante e spendendo una identità falsa con la quale ha tratto in inganno tutte le persone con cui è venuto in contatto compresa la sua convivente Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, affidandosi a tre motivi. L'Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha depositato istanza per la partecipazione all'eventuale discussione orale. Ritenuto che 1. Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c., la falsa applicazione di norme di diritto per la violazione dei criteri legali stabiliti per l'audizione del richiedente da parte del Tribunale, in relazione agli articolo 3, comma 3, del D.Lgs. 251/2007 e 35 bis, comma 11, lett. a e b del D.Lgs. 25/2008. Il ricorrente deduce di avere avanzato istanza di essere sentito da Tribunale con riferimento a nuove circostanze riguardanti la somma che un parente delle vittime avrebbe pagato per sapere dove si trovasse esso ricorrente altri nominativi di mediatori i nominativi di alcuni parenti delle vittime che vivono in zone prossime al domicilio del ricorrente in provincia di V. Lamenta quindi che il Tribunale sarebbe caduto in errore a ritenere che la raccolta dei fatti rilevanti fosse esaustiva e non ci fosse bisogno di una audizione né alcuna giustificazione è stata addotta dal Tribunale circa predetti menzionati profili. Deduce che il rigetto della richiesta è stato fondato sul mero richiamo di quanto contenuto nel verbale dell'audizione tenutasi innanzi alla Commissione. 2. Il motivo è inammissibile. Deve in primo luogo ricordarsi che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, richiamato nel provvedimento, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, il giudice ha l'obbligo di fissare l'udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l'audizione del richiedente, a meno che a nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti b il giudice ritenga necessaria l'acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente c il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile Cass. numero 21584 del 07/10/2020  Cass. numero 22049 del 13/10/2020 e numero 26124 del 17/11/2020 . 2.1. La censura, oltre a non tenere in conto questo principio, non si confronta minimante con quanto esposto in sentenza e con l'effettivo svolgimento del processo, posto che con essa si lamenta che il rigetto della richiesta di audizione sarebbe stato fondato sul mero richiamo di quanto contenuto nel verbale dell'audizione tenutasi innanzi alla Commissione . Nel caso di specie invece, Il Tribunale dà atto che l'audizione è stata disposta ed eseguita e che il ricorrente, esprimendosi in italiano, ha confermato e in parte esplicitamente ribadito le dichiarazioni rese innanzi alla Commissione territoriale e ha fornito informazioni attuali sulle proprie condizioni abitative, lavorative, familiari e sociali in Italia pag. 2 decreto . Il Tribunale ha quindi ritenuto che la ulteriore rinnovazione della audizione non apportasse ulteriori elementi rilevanti ai fini della decisione, ritenendo che la vicenda fosse ormai totalmente sviscerata sulla base delle dichiarazioni già rese e dei documenti depositati in atti pag. 5 del decreto pur se non ha preso specifica posizione sui punti che la difesa qui evidenzia, dal contesto della motivazione ben si evincono le ragioni per le quali i fatti dedotti non avrebbero mutato a giudizio del Tribunale la valutazione resa in base ad elementi già noti e ritenuti di particolare pregnanza. Valutazione che peraltro il Tribunale ha reso ex novo e non limitandosi a aderire alle considerazioni della Commissione, assumendo altresì informazioni specifiche sul paese di origine, pertinenti al rischio dedotto e valutandolo alla attualità, nel contesto delle circostanze oggettive che connotano la vicenda, concludendo per la insussistenza di rischi rilevanti ai fini della protezione internazionale. La difesa non si confronta quindi con la motivazione resa, e non spiega adeguatamente la decisività dei fatti che la parte avrebbe voluto precisare, limitandosi ad enunciarli e peraltro deducendo che gli elementi che sarebbero affiorati alla memoria successivamente alla audizione in Commissione, sono confluiti in ricorso, e quindi erano già ben presenti al richiedente quando è stato ascoltato dal giudice onorario del Tribunale. 2.2. Inoltre, si deve osservare che il Tribunale ha rilevato come nella specie ricorra un reato ostativo, e pertanto non può riconoscersi la protezione internazionale, sussistendo una causa di esclusione e quindi, sulla base dei fatti allegati, ha valutato se nella specie sussistano le condizioni per ritenere operativo il divieto di respingimento o di estradizione, concludendo in senso negativo quest'ultima questione è oggetto del terzo motivo di ricorso, di seguito esaminato . Le cause di esclusione previste rispettivamente dagli articolo 10 e 16 del D.Lgs. 251/2007 rispondono infatti alla necessità -come esplicitato dalla raccomandazione R6 del 23 Marzo 2005 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa di preservare l'integrità del sistema da asilo escludendo dalla protezione quelle persone che hanno perpetrato atti di una gravità tale da non meritarlo, mantenendo tuttavia inalterato il sistema di protezione dei diritti umani, posto che l'esclusione dallo status di rifugiato è questione diversa da quella dell'allontanamento dagli stranieri e dall'una non discende automaticamente l'altro. Il Tribunale ha quindi operato in conformità a questi principi, separando le due questioni ed esaminandole autonomamente, e, nel merito, ha ritenuto che il reato commesso integri una causa di esclusione. 2.3. Il ricorrente oppone che la sentenza albanese di condanna non può dirsi definitiva perché il processo dovrà essere nuovamente celebrato in Albania, circostanza che tuttavia non appare decisiva. Il quadro normativo vigente non attribuisce valore dirimente alla esistenza di una sentenza straniera, atteso che tanto l'articolo 10 che l'articolo  16 del D.Lgs. numero 251 del 2007, fanno riferimento non già alla avvenuta condanna -passata o meno in giudicato nel paese di origine, ma alla sussistenza di fondati motivi per ritenere che il richiedente abbia commesso il reato ostativo, sicché impongono al giudice della protezione internazionale una valutazione autonoma della sussistenza del reato che si faccia carico di affrontare anche le deduzioni del richiedente cfr. Cass. numero 25073/2017  Cass. numero 11668/2020, pur se il fatto storico che sia intervenuta una sentenza di condanna costituisce un elemento indicativo di particolare rilievo. Ciò in conformità anche alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, secondo la quale l'autorità competente dello Stato membro interessato può applicare l'articolo 12, paragrafo 2, lettera c , della direttiva 2004/83 soltanto dopo aver proceduto, per ciascun caso individuale, ad una valutazione dei fatti precisi di cui essa ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che gli atti commessi dall'interessato rientrino in tale caso di esclusione CGUE 31.1.2017 causa C 573/14, par. 72 . Nella specie il Tribunale ha accertato non solo la sussistenza di una decisione di condanna ma ha valutato anche le dichiarazioni in merito del richiedente e segnatamente dato rilievo anche alla circostanza -confessata dal richiedente anche in questa sede che il 12/06/1993 Lu.Ba., in occasione di una colluttazione tra il padre e altri soggetti che rivendicavano diritti sullo stesso appezzamento di terreno che i Lu.Ba. stavano coltivando asseritamente assegnato loro dal Governo dopo la caduta del regime collettivista , sparò intenzionalmente con un fucile da caccia uccidendo tre persone nessuna delle quali era armata se non dei propri attrezzi da lavoro badili, pale ed asce . 3. Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c., la falsa applicazione delle norme di diritto violazione dei criteri legali per la valutazione della credibilità del richiedente in relazione all' articolo 3, comma 3, del D.Lgs. 251/2007, all'articolo 8, ccomma 2 e 3, all'articolo 27 comma 1 bis, del D.Lgs. 25/2008, all'articolo 6, comma 6 del D.P.R. 21/2015 e all'articolo 16 della Direttiva 2013/32/UE. Il ricorrente lamenta di essere stato ritenuto non credibile sulla circostanza di essere fuggito per sottrarsi alla vendetta di sangue e che il Tribunale abbia ritenuto che egli sia invece fuggito per sottrarsi alla giustizia deduce che il giudizio è reso in base ad una valutazione del tutto soggettiva e spiega le ragioni delle pretese incongruenze che sono state ravvisate nel suo racconto, in particolare sul fatto che non sussisterebbe un rischio. 4. Il motivo è inammissibile. La censura non si confronta con le ragioni esposte dal Tribunale travisando il percorso valutativo operato dal giudice di merito. L'esposizione dei fatti oggettivi essenziali è stata ritenuta credibile dal Tribunale è stata piuttosto fatta una diversa valutazione sul rischio cui il ricorrente deduce di essere esposto tornando in patria, escludendo -sulla base di quanto rappresentato, nonché di informazioni assunte da fonti attendibili che egli possa essere esposto a una vendetta privata. Si tratta del rilievo non già di una contraddizione intrinseca, ma di una contraddizione estrinseca, nel senso che i dettagli della storia raccontata ad esempio il fatto che i fratelli del ricorrente abbiano soggiornato in Albania e mantenuto la loro identità senza essere colpiti da alcuna vendetta non collimano con le informazioni assunte sulla gjakmarrja, poiché tale genere di vendetta è rivolta verso tutti i familiari. Si tratta di un giudizio di merito che si attiene al canone previsto dal comma 5 lett. c dell'articolo 3 del D.Lgs.251/2007 vale a dire la valutazione della coerenza con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone . Una volta escluso il rischio di vendetta privata, il Tribunale ne ha tratto la conclusione, del tutto logica e coerente con le premesse, che il richiedente sia fuggito dal suo paese e abbia fatto ricorso ad una falsa identità per sottrarsi alla giustizia albanese. 5. Con il terzo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art 360 numero 3 c.p.c., la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'articolo 8 CEDU, all'articolo  19 comma 1.1 del D.Lgs. 286/98 e all'articolo 32, comma 3, del D.Lgs. 25/2008, per non essere stato rispettato il divieto di espulsione a protezione della vita privata e familiare e per il mancato riconoscimento della protezione speciale. Il ricorrente deduce è stata violata la normativa a tutela della vita privata e familiare, segnatamente per la convivenza risalente nel tempo con una cittadina italiana e non è stata considerata la integrazione in Italia, anche con riferimento al giudizio di bilanciamento. Il bilanciamento avrebbe dovuto essere operato con una eventuale pericolosità che non è mai stato opposta dall'Italia poiché è stata considerata soltanto l'esigenza di estradarlo. 6. Il motivo è infondato. Il Tribunale, nonostante il rilevo di una causa di esclusione ha correttamente esaminato anche se nella specie sussistessero ragioni ostative al respingimento e alla espulsione e, in particolare, ha motivatamente escluso -oltre che il rischio di subire trattamenti degradanti la sussistenza di una effettiva integrazione sociale e anche di una vita privata e familiare tutelabile, nonostante l'attività lavorativa prestata e la convivenza con una cittadina italiana, posto che il soggetto non si è attenuto alle regole fondamentali della vita civile, mentendo sulla propria identità e sul suo passato persino alla sua convivente e vivendo in Italia da latitante sotto falso nome. 6.1. Il giudizio è condivisibile, posto che per costante giurisprudenza della Corte EDU la vita familiare tutelabile è anche quella di fatto, purché fondata su legami effettivi e genuini e, in tal senso anche il comportamento conforme a legalità di colui che aspira a stabilire il legame familiare assume rilevanza Corte EDU Paradiso e Campanelli, seconda sezione del 27.1.2015 e Grande Camera del 24.1.2017 Marckx comma Belgio del 13.6. 1979 Evers comma Germania del 28.5.2020 . Segnatamente, qualora si tratti di espellere uno straniero che abbia commesso un reato e che opponga la rilevanza della sua vita familiare, la Corte di Strasburgo ha affermato che deve tenersi conto, quali fattori rilevanti, se la coppia conduce una vita familiare reale e genuina e se il coniuge era a conoscenza del reato nel momento in cui ha stretto un legame familiare Corte EDU Boultif v. Switzerland, 2.8. 2001 par 48 . 6.2. Lo stabile rapporto affettivo di coppia tra due persone, con la spontanea assunzione di reciproca assistenza morale e materiale crea una delle formazioni sociali di cui all'articolo 2 Cost., idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione Corte Cost. numero 269 del 2022 numero 170 del 2014 e numero 138 del 2010 . Ancor prima che la legge numero 76/2016 riconoscesse esplicitamente siffatti rapporti stabilendone una cornice di tutele legali, la Corte Costituzionale italiana ne aveva riconosciuto la rilevanza, affermando che un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare anche a sommaria indagine costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche Corte Cost. 237 del 1986 in particolare qualora si abbia coinvolgimento attuativo d'altri principi costituzionalmente rilevanti come i doveri verso la prole . 6.3. Da qui la considerazione che la famiglia di fatto riceve tutela se ed in quanto si ispiri ai valori di cui la nostra Costituzione è espressione e agli stessi canoni di eguaglianza, solidarietà, rispetto reciproco cui è improntata la disciplina della famiglia fondata sul matrimonio la lealtà tra i partner è uno dei presupposti perché si possa sviluppare un legame fondato su questi valori. 6.4. Da escludere quindi che ricorra vita privata e familiare, tutelabile ex articolo 19 del D.Lgs. 286/1998 in relazione all'articolo 8 CEDU qualora la relazione non sia autentica per essere stata fondata sulla menzogna mantenuta costantemente negli anni da uno dei due partner, non solo in ordine al suo nome ed alla sua identità, ma anche gli eventi significativi del suo passato, quali la commissione di un grave delitto, specie ove questi eventi siano in ancora in grado di condizionare la vita presente. 6.5. Deve inoltre osservarsi il radicamento sul territorio, positivamente valutabile ai fini della protezione speciale, non consiste nella mera permanenza più o meno prolungata in un dato luogo, ma richiede che il soggetto compia a ogni apprezzabile sforzo di inserimento nella realtà locale di riferimento Cass. numero 21956 del 05/08/2024 , il che implicitamente comporta che di quella comunità si rispettino le regole. Qualora il soggetto non rispetti le regole fondamentali della società in cui vorrebbe inserirsi, non può positivamente apprezzarsi alcuna integrazione, per la quale è necessario che il soggetto si unisca non solo materialmente ma anche moralmente alla comunità, pur mantenendo la propria identità personale e familiare, ma rendendo compatibile il proprio modus vivendi con le regole, gli usi e i costumi adottati da quella comunità. Questo percorso è impossibile ove il soggetto si presenti con una identità falsa, celando i fatti fondamentali della propria vita, a maggior ragione ove si tratti della commissione di reati di particolare gravità. Possono quindi enunciarsi i seguenti principi di diritto a In tema di cause di esclusione previste dagli articolo 10 e 16 del D.Lgs. 251/2007 il quadro normativo vigente non attribuisce valore dirimente alla esistenza di una sentenza straniera, atteso che tanto l'articolo 10 che l'articolo  16 del D.Lgs. numero 251 del 2007, fanno riferimento non già alla avvenuta condanna passata o meno in giudicato nel paese di origine, ma alla sussistenza di fondati motivi per ritenere che il richiedente abbia commesso il reato ostativo, sicché impongono al giudice della protezione internazionale una valutazione autonoma della sussistenza del reato, che si faccia carico di affrontare anche le deduzioni del richiedente, pur se il fatto storico che sia intervenuta una sentenza di condanna costituisce un elemento indicativo di particolare rilievo. b In tema di divieto di respingimento ed espulsione deve escludersi che ricorra vita privata e familiare, tutelabile ex articolo 19 del D.Lgs. numero 286/1998 in relazione all'articolo 8 CEDU qualora la relazione non sia autentica e connotata dagli stessi canoni di eguaglianza, solidarietà, rispetto reciproco cui è improntata la disciplina della famiglia fondata sul matrimonio, e in particolare qualora sia fondata sulla menzogna mantenuta costantemente negli anni da uno dei due partner, non solo in ordine al suo nome ed alla sua identità, ma anche gli eventi significativi del suo passato. Inoltre, qualora il soggetto non rispetti le regole fondamentali della società in cui vorrebbe inserirsi, non può positivamente apprezzarsi alcuna integrazione sociale, per la quale è necessario che il soggetto si unisca non solo materialmente ma anche moralmente alla comunità, pur mantenendo la propria identità personale e familiare, ma rendendo compatibile il proprio modus vivendi con le regole gli usi e i costumi adottati da quella comunità. Ne consegue il rigetto del ricorso nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione della controparte. P.Q.M. Rigetta il ricorso.