Il principio della domanda cautelare non è violato nel caso in cui il giudice ritenga sussistente un pericolo diverso da quello indicato dal titolare dell’azione e\o nel caso in cui a un pericolo prospettato dal pubblico ministero, ne aggiunga un altro.
Con ricorso per cassazione l'indagato, accusato di omicidio volontario e sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, lamentava con il quarto motivo, vizio di motivazione in ordine al rilievo delle esigenze cautelari e, con il quinto motivo, vizio di motivazione in ordine alla ritenuta inadeguatezza della misura gradata degli arresti domiciliari. Per la Suprema Corte, i due motivi, connessi e esaminabili congiuntamente, sono infondati. Il Collegio ricorda infatti che, «in relazione al contestato reato di omicidio volontario, vige, ai sensi dell'articolo 275, comma 3, c.p.p., la duplice presunzione, relativa, di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola custodia in carcere». Ciò comporta per il giudice, l'esenzione dal dimostrare in positivo la ricorrenza della pericolosità sociale dell'indagato e degli altri pericula libertatis, «essendo dette presunzioni anche idonee a comprendere i caratteri di attualità e concretezza di cui all'articolo 274, lett. c , c.p.p., riferiti anche al rischio di compromissione della prova, ed essendo sufficiente che il giudice dia convincentemente atto, assieme ai gravi indizi di colpevolezza, dell'inidoneità a vincere le presunzioni stesse degli elementi eventualmente evidenziati dalla difesa, o comunque risultanti dagli atti». A parere della Cassazione, l'ordinanza impugnata individua in modo esaustivo, a fronte dell'attenuato standard motivazionale sopraesposto, gli indici su cui poggiano le esigenze cautelari del caso concreto. Inoltre, i giudici di legittimità rilevano che «il ricorrente si duole, in modo specifico, del fatto che il tema dell'inquinamento probatorio sarebbe stato introdotto, ex officio, dal Tribunale del riesame, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato». La doglianza è però, infondata alla luce del principio secondo cui, in materia di misure restrittive della libertà personale, le esigenze cautelari rappresentano un paradigma unitario anche se articolato in distinte sottofattispecie, e la loro valutazione attiene alla loro globalità. In armonia con siffatto orientamento, «il principio della domanda cautelare, articolo 291 c.p.p., non è violato nel caso in cui il giudice della cautela, cui spetta l'esercizio del potere limitativo della libertà personale, ritenga sussistente un pericolo diverso da quello indicato dal titolare dell'azione cautelare, e neppure nel caso in cui, come sarebbe avvenuto nella specie, ad un pericolo prospettato dal pubblico ministero il giudice ne aggiunga un altro». Cosicché, concludono, «il giudice non incorre nel vizio di ultrapetizione perché non è applicabile alla materia cautelare il principio dettato dall'articolo 521 c.p.p. il giudice della cautela, una volta che sia stato investito della domanda da parte del titolare dell'azione cautelare e che quindi sia stato rispettato il principio ne procedat iudex ex officio, è funzionalmente competente ad esercitare i poteri più ampi sia in tema di valutazione degli indizi di colpevolezza, sia in tema di apprezzamento delle esigenze cautelari».
Presidente De Marzo - Relatore Centofanti Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Catania, nell'esercizio delle funzioni di cui all'articolo 309 cod. proc. penumero , confermava la misura della custodia cautelare in carcere, applicata dal locale G.i.p. a carico di B.G., accusato dell'omicidio di A.R., avvenuto il OMISSIS nel centro abitato di OMISSIS . 2. A.R. era stato colpito a morte, all'altezza del collo, con un paio di forbici. Il fatto era avvenuto sulla pubblica via, poco prima di mezzogiorno. B.G., autore del fendente mortale, era stato arrestato dai Carabinieri in quasi flagranza di reato, appena rincasato nella sua abitazione, distante duecento metri dal luogo dell'occorso, e con l'arma del delitto, intrisa di sangue, ancora nella sua diretta disponibilità. I suoi abiti erano anche insanguinati. Il suo corpo non presentava significative lesioni. Due testimoni oculari, F.M. e S.S., avevano assistito alla scena, una volta attirati dalle urla dei due antagonisti. S. era uscito dal suo ufficio in tempo per raccogliere l'invocazione di aiuto della vittima, già sanguinante, e successivamente accasciatasi in terra. M. aveva osservato l'accaduto da un momento anteriore, stando alla finestra aveva visto i due uomini avvinghiati e A.R. già ferito al collo e al tronco sceso in strada, aveva notato che i contendenti si erano già separati mentre A.R. aveva girato l'angolo, subito prima di cadere, il teste era rimasto con B.G., che, stando seduto, gli dichiarava di avere agito perché l'altro aveva detto di lui che non fosse un buon padre. 3. In sede di convalida di arresto B.G. si era difeso, asserendo di avere colpito A.R. con le forbici per legittima difesa. Secondo il racconto dell'indagato, dopo un alterco telefonico, avvenuto il 25 giugno, durante il quale A.R. gli aveva rivolto il rimprovero di cui sopra, entrambi avevano deciso di incontrarsi il giorno seguente per un chiarimento. Giunto il 26 giugno A.R. in vista di B.G., il primo avrebbe accelerato il passo con intenzioni che sarebbero state tutt'altro che pacifiche e, raggiunto l'indagato, avrebbe iniziato a colpirlo con violenza, sino a farlo rovinare in terra, per poi continuare ad infierire su di lui. B.G., solo a questo punto, avrebbe estratto le forbici rimaste nel borsello con cui aveva viaggiato in aeroplano due notti addietro, e le avrebbe usate contro il suo aggressore per respingerne l'offesa, per poi fuggire in casa, inseguito da A.R., e qui barricarsi sino all'arrivo dei Carabinieri. 4. Il Tribunale del riesame reputava tuttavia inverosimile il narrato dell'indagato, non esistendo alcun elemento a sostegno della tesi che potesse essere stato A.R. il vero aggressore. B.G. era pressoché illeso, notava il Tribunale. La presenza delle forbici non poteva essere casuale e il possesso preventivo delle medesime non era stato spiegato in modo convincente. Anche le dichiarazioni dei testimoni oculari contrastavano la versione difensiva. In punto di esigenze cautelari, il Tribunale riteneva che la doppia presunzione di legge non risultasse vinta e che emergessero in positivo, in ogni caso, ragioni di eccezionale rilevanza sia di prevenzione del pericolo di recidiva, sia di prevenzione del pericolo di inquinamento probatorio. 5. B.G. ricorre per cassazione, con il ministero del suo difensore di fiducia, avvocato Salvatore Sorbello. Il ricorso è strutturato in cinque motivi. 5.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione in merito al riscontro del dolo omicida. Quest'ultimo non sarebbe sorretto da alcun elemento certo. 5.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione a proposito della valutazione di inattendibilità delle proprie dichiarazioni sul fatto di essere stato lui il soggetto aggredito. Il ricorrente, a differenza di A.R., si trovava vicino casa. Era A.R. a provare ostilità verso di lui, e non il contrario lo si ricaverebbe dalle sommarie informazioni testimoniali rese da J.S., fidanzata di A.R., non valutate dal giudice del riesame. L'ostilità sarebbe derivata dalla disistima di A.R. nei confronti del ricorrente e dall'avere il primo supposto una relazione sentimentale tra il ricorrente stesso e S A questo movente accennerebbe, in tesi contraddittoriamente, lo stesso Tribunale del riesame. 5.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce carenza e illogicità di motivazione in ordine alla valutazione ulteriore del quadro indiziario complessivo, a partire dagli elementi, dichiarativi e documentali, addotti a dimostrazione del possesso legittimo delle forbici, asseritamente rimaste nel borsello con cui, la notte tra il OMISSIS , l'indagato era tornato in aeroplano da Genova a Catania. La circostanza non sarebbe affatto inverosimile, non essendo le forbici state rilevate ai controlli d'imbarco perché il borsello, che le conteneva, sarebbe stato collocato nel bagaglio da stiva. Altre circostanze accrediterebbero la versione difensiva. Se B.G. avesse voluto offendere, si sarebbe procurato allo scopo un'arma propria. La vittima era inoltre persona più giovane e più imponente, come confermato dal teste M. Non emergerebbe, al contrario, alcun elemento obiettivo a smentita della versione stessa. 5.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine al rilievo delle esigenze cautelari. Il pericolo di inquinamento probatorio sarebbe stato introdotto, arbitrariamente e inopinatamente, dallo stesso Tribunale del riesame né il Pubblico ministero, né il G.i.p. vi avevano fatto cenno. Il pericolo di reiterazione del reato sarebbe stato desunto da elementi illogicamente apprezzati e comunque non riscontrati. Si tratterebbe di un pericolo né concreto, né attuale. 5.5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine alla ritenuta inadeguatezza della misura gradata degli arresti domiciliari. 6. Il Procuratore generale requirente ha depositato memoria, anticipando e argomentando le conclusioni rassegnate in discussione orale. Considerato in diritto 1. Il secondo e il terzo motivo di ricorso – connessi e, in via logicamente prioritaria, congiuntamente esaminabili – sono infondati. In presenza di una logica motivazione in punto di gravità indiziaria – ancorata, in larga parte, a risultanze obiettive, coerenti con il contesto di azione che è stato possibile ricostruire in base ai narrati testimoniali diretti – le deduzioni del ricorrente si risolvono nel sollecitare una rilettura del fatto, e una diversa valutazione del significato degli elementi che ne compongono il quadro, che non competono alla Corte di legittimità, alla quale è precluso sindacare il relativo coerente giudizio, tipicamente riservato al giudice di merito ex plurimis, Sez. 5, numero 602 del 14/11/2013, dep. 2014, Ungureanu, Rv. 258677-01 , e che non può essere censurato per difetto o contraddittorietà di argomentazione solo perché contrario agli assunti difensivi Sez. 4, numero 87 del 27/09/1989, dep. 1990, Bianchesi, Rv. 182961-01 . Tra le doglianze proponibili quale mezzo di ricorso non rientrano, infatti, quelle relative alla mera interpretazione degli indizi e delle prove, ancorché implicanti la ricomposizione di dissensi o contrasti sul loro reale significato, ovvero la scelta tra divergenti versioni e ricostruzioni Sez. 5, numero 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623-01 Sez. 2, numero 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362-01 Sez. 4, numero 8090 del 25/05/1981, Amoruso, Rv. 150282- 01 . Alla correttezza, e completezza, delle argomentazioni giudiziali, in cui il giudizio di gravità indiziaria si è riflesso nella specie, sono dal ricorrente mosse obiezioni reiterative, già idoneamente confutate dal giudice del riesame, il quale ha preso in seria e opportuna considerazione la tesi difensiva della legittima difesa, screditandola alla luce di ineccepibili considerazioni. Non solo l'indagato si era recato armato di forbici all'incontro con la vittima, senza che di ciò fosse stata da lui fornita una spiegazione realmente credibile, ma l'esito dello scontro, da cui l'indagato stesso era uscito praticamente illeso, rifletteva lo scenario di un'aggressione unilaterale, avente a movente l'onta da B.G. subita, secondo quanto da lui nell'immediatezza riportato al teste M Nella concludenza e perfetta tenuta logica del ragionamento giudiziale, il quadro di gravità indiziaria appare, allo stato, adeguato allo standard valutativo richiesto dall'articolo 273, comma 1, cod. proc. penumero 2. Il primo motivo è inammissibile, perché sorretto da deduzioni astratte e generiche, inidonee ad infirmare la cristallina valutazione giudiziale circa la reale direzione della volontà dolosa, implicante – per il tipo di arma impiegata, il tasso di violenza corrispondente e la zona del corpo altrui attinta – la causazione della morte quale evento inevitabilmente conseguente alla condotta adottata. 3. I motivi quarto e quinto, connessi essi stessi e congiuntamente esaminabili, sono infondati. 3.1. Essi trascurano di considerare che, in relazione al contestato reato di omicidio volontario, vige, ai sensi dell'articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero , la duplice presunzione, relativa, di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola custodia in carcere e, in tal caso, il giudice non ha l'onere di dimostrare in positivo la ricorrenza della pericolosità sociale dell'indagato e degli altri pericula libertatis, essendo dette presunzioni anche idonee a comprendere i caratteri di attualità e concretezza di cui all'articolo 274, lett. c , cod. proc. penumero Sez. 2, numero 6592 del 25/01/2022, Ferri, Rv. 282766-02 Sez. 5, numero 26371 del 24/07/2020, Carparelli, Rv. 279470-01 Sez. 3, numero 33051 del 08/03/2016, Barra, Rv. 268664-01 , come pure i medesimi caratteri riferiti al rischio di compromissione della prova Sez. 3, numero 24375 del 22/02/2023, V., Rv. 284845-02 , ed essendo sufficiente che il giudice medesimo dia convincentemente atto, assieme ai gravi indizi di colpevolezza, dell'inidoneità a vincere le presunzioni stesse degli elementi eventualmente evidenziati dalla difesa, o comunque risultanti dagli atti. Ciò posto, l'ordinanza impugnata individua in modo esaustivo, a fronte dell'attenuato standard motivazionale legale, testé delineato e sul quale il ricorso è solo nominalisticamente calibrato, gli indici che qualificano l'esigenza cautelare special-preventiva del caso concreto, rapportabile tanto al rischio di recidiva delittuosa che a quello di inquinamento probatorio, e il corrispondente grado di intensità, non superati né scemati per effetto di conducenti elementi di prova contraria. 3.2. Il ricorrente si duole poi, in modo specifico, del fatto che il tema dell'inquinamento probatorio sarebbe stato introdotto, ex officio, dal Tribunale del riesame, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato posto che la domanda cautelare del pubblico ministero non avrebbe prospettato una siffatta esigenza . La doglianza è infondata, alla luce del principio secondo cui, in materia di misure restrittive della libertà personale, le esigenze cautelari rappresentano un paradigma unitario, sia pure articolato in distinte sottofattispecie corrispondenti ai diversi pericula libertatis previsti dall'articolo 274 cod. proc. penumero e la loro valutazione non può che attenere alla loro globalità. Ne consegue che il principio della domanda cautelare articolo 291 cod. proc. penumero non è violato nel caso in cui il giudice della cautela, cui spetta l'esercizio del potere limitativo della libertà personale, ritenga sussistente un pericolo diverso da quello indicato dal titolare dell'azione cautelare, e neppure nel caso in cui, come sarebbe avvenuto nella specie, ad un pericolo prospettato dal pubblico ministero il giudice ne aggiunga un altro Sez. 3, numero 43731 del 08/09/2016, Borovikov, Rv. 267935–01 . Detto giudice non incorre per questo nel vizio di ultrapetizione, perché non è applicabile alla materia cautelare il principio dettato dall'articolo 521 cod. proc. penumero il giudice della cautela, una volta che sia stato investito della domanda da parte del titolare dell'azione cautelare e che quindi sia stato rispettato il principio ne procedat iudex ex officio, è funzionalmente competente ad esercitare i poteri più ampi sia in tema di valutazione degli indizi di colpevolezza, sia in tema di apprezzamento delle esigenze cautelari. Tale conclusione è valida, a maggior ragione, in presenza di reati rispetto ai quali operino le presunzioni, soggette a rilievo officioso, di cui al § 3.1. 4. Alla conclusiva reiezione del ricorso consegue, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La cancelleria darà corso agli adempimenti di cui all'articolo 94, comma 1-ter, cod. proc. penumero P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.