Qualora sia stipulata una compravendita mirata a trasferire fittiziamente il bene del venditore ad un soggetto di comodo per sottrarlo a possibili azioni dei creditori e, al contempo, consentire all’apparente acquirente di garantire i debiti della controparte contrattuale, potendo contare, quale propria garanzia, sull’immobile compravenduto, si è in presenza di una simulazione assoluta [ ].
[ ] La natura simulata dell’accordo così stipulato non è incompatibile con il negozio in frode ai creditori, essendo comune ad entrambi i negozi la comune volontà delle parti di non trasferire effettivamente il bene ma, solo, di crearne l’apparenza agli occhi dei terzi, potendo giungere alla prova dei fatti anche per il tramite di testimoni nonché secondo gli elementi prodotti in giudizio nella loro valutazione globale. Il caso La decisione in commento definisce un giudizio avviato per accertare la simulazione assoluta di un contratto di compravendita immobiliare con patto di riscatto. Secondo la prospettazione di parte attrice, il contratto di compravendita era esclusivamente finalizzato a sottrarre l’immobile all’esecuzione forzata dei creditori dell’alienante tanto che quest’ultimo aveva continuato ad occupare con la propria famiglia l’appartamento nel periodo successivo alla vendita, comportandosi come effettivo proprietario, provvedendo anche al pagamento delle relative imposte. Al tempo stesso non vi era prova dell’avvenuto pagamento e, successivamente, la simulata acquirente aveva prestato una fideiussione in favore di una banca a garanzia delle obbligazioni assunte dal simulato alienante. Il Tribunale, all’esito del giudizio di primo grado, ha ritenuto di qualificare il rapporto come negozio in frode ai creditori e non come assolutamente simulato, stante, per altro, l’assenza della controdichiarazione scritta. Avverso tale pronuncia l’attore in primo grado ha promosso appello, riproponendo le medesime eccezioni e deduzioni sollevate in primo grado. Autonomia privata e pregiudizio del terzo In termini generali, è opportuno precisare che, in assenza di una norma che vieti, in via generale, di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non è, di per sé, illecito, sicché la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, apprestando l'ordinamento, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali che comportano, in presenza di particolari condizioni, l'applicazione della sola sanzione dell'inefficacia. Simulazione e rapporto tra le parti La prova della simulazione del contratto tra le parti richiede, in ragione dello sfavore con il quale l'ordinamento guarda al fenomeno simulatorio per le finalità fraudolente che lo stesso può mirare a realizzare, che le parti cristallizzino la natura simulata ovvero l'accordo realmente concluso a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa in un atto scritto, che mantengono di norma segreto, denominato controdichiarazione , nel quale dichiarano la loro effettiva intenzione ovvero la reale portata del contratto apparente. Azione del terzo e simulazione assoluta Al contrario, nel caso di simulazione assoluta del contratto, nel caso in cui la relativa domanda sia proposta da terzi estranei al negozio, spetta al giudice del merito valutare l'opportunità di fondare la decisione su elementi presuntivi, da considerare non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico. La prova testimoniale nell’azione di simulazione assoluta e nella simulazione relativa La prova per testi soggiace a limitazioni diverse a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa. Nel primo caso, l'accordo simulatorio non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta a pena di nullità, sicché la prova testimoniale è ammissibile, anche se con i limiti di cui all’articolo 2724 c.c. ovvero quando vi è un principio di prova per iscritto, quando il contraente è stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta o quando ha, senza sua colpa, perduto il documento che gli forniva la prova . In caso di simulazione relativa, invece, occorre distinguere, in quanto se la domanda è proposta da creditori o da terzi - che, essendo estranei al negozio, non sono in grado di procurarsi le controdichiarazioni scritte - la prova per testi o per presunzioni non può subire alcun limite. Qualora, invece, la domanda venga proposta dalle parti o dagli eredi, la prova per testi, essendo diretta a dimostrare l'esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il necessario requisito di forma, è ammessa quando il contraente ha senza colpa perduto il documento, ovvero quando la prova è diretta fare valere l'illiceità del negozio. Rapporto tra azione revocatoria e azione di simulazione Secondo la giurisprudenza, l'azione di simulazione assoluta o relativa e quella revocatoria, pur diverse per contenuto e finalità, possono essere proposte in via alternativa o subordinata nello stesso giudizio, con la differenza che, nel primo caso, l'attore rimette al potere discrezionale del giudice l'inquadramento della pretesa fatta valere sotto una species iuris piuttosto che l'altra, mentre, nel secondo, richiede espressamente che il giudice prima valuti la possibilità di accogliere una domanda e, solo nell'eventualità in cui questa risulti infondata o, comunque, da rigettare , esamini l'altra. La decisione della Corte di Appello Sulle base delle indicazioni interpretative sopra riassunte, la Corte di Appello ha accolto la domanda di riforma della sentenza di primo grado. La Corte, infatti, ha ritenuto che le parti coinvolte non volessero operare alcun trasferimento dell’immobile ma solo produrre una apparenza di mutamento della titolarità del bene. Ciò sulla base, tra gli altri, della mancata dimostrazione del pagamento del corrispettivo della compravendita di lire 190.000.000 da parte dell’acquirente o del fatto che il venditore era rimasto nell’immobile oggetto di compravendita anche per diversi anni dopo la simulata vendita.
Presidente Labellarte Relatore Rizzi Motivi della decisione P.P., con atto di citazione notificato in data 21.5.2020, ha chiesto al Tribunale di Trani di accertare la simulazione assoluta del contratto di compravendita immobiliare, con patto di riscatto, stipulato in data 9.08.1996, tra V.D.F. e D.S., in forza del quale il primo disponeva in favore della seconda, a fronte del pagamento di un prezzo complessivo di lire 190.000.000,00, il trasferimento dell'appartamento per abitazione, sito in Bisceglie. A fondamento della domanda ha sostenuto che il simulato alienante, V.D.F., è suo debitore della somma di euro 54.000,00, per omesso versamento di assegni di mantenimento mensili dovuti a seguito di dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio resa dinnanzi all'ufficiale di stato civile il contratto di compravendita, di cui si eccepisce la natura simulata, era esclusivamente finalizzato a sottrarre l'immobile all'esecuzione forzata dei creditori dell'alienante quest'ultimo aveva continuato ad occupare con la propria famiglia l'appartamento nel periodo successivo alla vendita, comportandosi come effettivo proprietario, provvedendo anche al pagamento delle relative imposte non vi era prova dell'avvenuto pagamento, non integrata dalla dichiarazione di parte alienante di averlo corrisposto “prima e fuori di questo atto” D.S., simulata acquirente, aveva invitato l'alienante ad esercitare il diritto di riscatto sull'immobile, manifestando il proprio disinteresse all'acquisizione effettiva della res inoltre, benché priva di redditi propri, aveva prestato una fideiussione di lire 250.000.000,00 in favore della Banca di Roma a garanzia delle obbligazioni assunte dal V.D.F. verso la medesima banca, così includendo nella garanzia l'immobile di cui non aveva mai realmente acquisito la proprietà il prezzo di vendita convenuto era di importo eccessivamente esiguo rispetto al valore di mercato dell'immobile ed era stata concordata la dispensa dalle visure immobiliari prodromiche all'acquisto del bene il V.D.F. e la D.S. erano legati da stretti legami di amicizia. Con comparsa depositata in data 23.11.2020 si è costituito in giudizio il convenuto V.D.F., facendo proprie le argomentazioni e deduzioni di parte attrice e sollecitando l'accoglimento integrale della domanda. D.S., invece, non si è costituita in giudizio e all'udienza del 30.11.2020 ne è stata dichiarata la contumacia. La causa è stata decisa con sentenza numero 1010/2022 del 20/01/2020, depositata il 16/06/2022, non notificata, che ha rigettato la domanda, compensando le spese tra le parti. Il giudice di prime cure, basandosi sulla circostanza che il V.D.F., facendo proprie tutte le argomentazioni della moglie, aveva affermato che le ragioni della vendita dell'immobile erano state dettate “dalla necessità di sottrarre all'esecuzione forzata gli immobili di sua proprietà”, aggiungendo che scopo dell'atto era “spogliarsi di qualsiasi bene patrimoniale al fine di eludere i propri creditori”, ha ritenuto di qualificare il rapporto come negozio in frode ai creditori e non già assolutamente simulato, stante, per altro, l'assenza della controdichiarazione scritta. Ha considerato l'inserimento della clausola di riscatto come attestazione dell'effettività del trasferimento immobiliare, atteso che non sarebbe stata necessaria ai fini simulatori, poiché il ritorno del bene nel patrimonio di V.D.F. sarebbe stato un effetto insito nell'accordo simulatorio. Ha rilevato come la parte contumace fosse nella disponibilità dell'immobile da oltre un decennio, avendo avanzato una domanda di rilascio dopo la scadenza del termine di esercizio del riscatto rendendo, così, la situazione reale corrispondente a quanto effettivamente pattuito tra le parti. Quindi, ha concluso che gli elementi presuntivi indicati dalla parte attrice fossero unicamente riconducibili alla volontà di eludere gli interessi creditori a fronte di una effettiva volontà di trasferire il bene, fatti salvi gli effetti del patto di riscatto e privi della necessaria gravità, precisione e concordanza rilevanti ai sensi dell'articolo 2729 c.comma per ritenere dimostrata la simulazione assoluta del contratto. Avverso tale decisione P.P. ha proposto appello. In via preliminare ha eccepito la nullità della sentenza per violazione dell'articolo 101 co.2 c.p.c., con conseguente violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, per aver il Tribunale fondato la sentenza su una questione di fatto e diritto – la configurazione di un negozio in frode ai creditori in luogo della simulazione assoluta di un contratto di compravendita rilevata officiosamente e non sottoposta alle parti, cui è così stato impedito di prendere posizione su tale argomento. Con il secondo mezzo di gravame, la P.P. ha contestato la qualificazione del rapporto contrattuale operata dal primo giudice, che ha stravolto la ricostruzione fattuale offerta dall'appellante, fondata al contrario si elementi univoci. Quindi, l'appellante lamenta la violazione degli articoli 1414,2697 cod. civ. e 115, 116 c.p.c., ritenendo incomprensibile la ragione per la quale il Tribunale abbia valutato come confessorie soltanto alcune delle dichiarazioni del V.D.F., operando una selezione arbitraria e non considerando dichiarazioni, invece, corroborate da documenti e che, se ben interpretate, avrebbero dimostrato l'intento simulatorio dei contraenti. In particolare, ha censurato la decisione impugnata nella parte in cui è stata ritenuta necessaria, quale unica prova della simulazione assoluta, la controdichiarazione scritta, che trascura il fatto che l'appellante è soggetto terzo al contratto oggetto di domanda. V.D.F. ha condiviso le ragioni dell'appellante. D.S. è rimasta contumace anche nel giudizio di appello. Non sussiste la violazione, da parte del primo giudice, dell'articolo 101 co. 2 c.p.comma per avere questi qualificato il rapporto come negozio in frode ai creditori, e dell'articolo 112 c.p.c. L'obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d'ufficio, stabilito dall'articolo 101, comma 2, c.p.c., non riguarda le questioni di diritto ma quelle di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, che richiedono non una diversa valutazione del materiale probatorio bensì prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti ovvero un'attività assertiva in punto di fatto e non già solo mere difese cfr. Cass. 2022/numero 1617 . È, poi, noto che il giudice ha il potere di qualificare la domanda in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti, con il limite che la causa petendi rimanga identica, ciò che non accade solo quando i fatti costitutivi del diritto azionato, intesi quale fondamento della pretesa e non quali fatti storici, mutano o, se già esposti nell'atto introduttivo del giudizio in funzione descrittiva, vengono dedotti con una differente portata cfr. Cass. 2024/numero 10402 . Ai precedenti principi si è attenuto il Tribunale che, sulla scorta della prospettazione in fatto operata dall'attrice e, solo, attribuendo una diversa portata agli elementi offerti a sostegno, ha ritenuto non simulato il contratto tra il V.D.F. e la D.S., che hanno effettivamente voluto il trasferimento immobiliare allo scopo di frodare i creditori del venditore. Pertanto, non è stata operata alcuna manipolazione della domanda ma del tutto legittimamente una sua interpretazione che ha condotto ad una qualificazione giudica, funzionale al rigetto, diversa rispetto a quella proposta nell'atto di citazione che non comportava l'esigenza che fosse prospettata alle parti. Ciò posto, l'appello nel merito è fondato e deve essere accolto. La prova della simulazione è ammissibile per testimoni posto che la domanda è proposta da un creditore di una delle parti ex articolo 1417 c.comma e quindi può essere tratta anche da presunzioni stante il disposto di cui all'articolo 2729, comma 2, c.comma cfr. Cass. 2014/numero 22801 e non necessariamente a mezzo della controdichiarazione. Si è infatti affermato che “in tema di simulazione assoluta del contratto, nel caso in cui la relativa domanda sia proposta da terzi estranei al negozio, spetta al giudice del merito valutare l'opportunità di fondare la decisione su elementi presuntivi, da considerare non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, a consentire illazioni che ne discendano secondo l'”id quod plerumque accidit”, restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico” cfr. Cassa 2021/numero 36478 . Nel caso di specie, l'appellante ha prodotto un complesso di elementi che, valutati nel loro complesso, assolvono all'onere probatorio su di essa gravante e conducono a concludere, che, effettivamente, i convenuti non intesero operare alcun trasferimento dell'immobile ma solo produrre una apparenza di mutamento della titolarità del bene. Tanto, allo scopo irrilevante ai fini del presente giudizio di sottrarre l'immobile all'esecuzione forzata dei creditori dell'alienante, ponendo in essere il contratto simulato di compravendita immobiliare. Rileva, nel senso anzidetto, la mancata dimostrazione del pagamento del corrispettivo della compravendita di lire 190.000.000 da parte dell'acquirente -per altro, all'epoca della stipulazione del contratto per cui è causa, di soli ventidue anni e in attesa di occupazione di cui il venditore dichiara l'avvenuto versamento prima del negozio omettendo di specificare la modalità della corresponsione. Si tratta, per altro, di un prezzo decisamente inferiore a quello di mercato, che l'ing. S.C., tecnico incaricato dall'appellante, con una valutazione non contraddetta da alcun elemento di segno contrario ha stimato in lire 434milioni circa. Senza, per altro, che siano emerse ragioni in forza delle quali le condizioni peculiari del predio o quelle in cui è stato stipulato il contratto giustificassero la pattuizione di un prezzo inferiore alla metà del suo valore di mercato. È, poi, emerso che il V.D.F., per lunghi anni, è rimasto nel possesso dell'immobile, circostanza non oggetto di contestazione, ed abbia provveduto al pagamento delle imposte relative, in luogo dell'acquirente, tanto è vero che la D.S. proprio a quell'indirizzo, viale X. in Bisceglie, il 6 agosto 2002, sei anni dopo la sottoscrizione del contratto per cui è causa, gli ha inviato un telegramma allegato numero 6 della produzione di primo grado . Così come dimostra pure la corposa documentazione allegata al numero 9 della produzione operata con la costituzione in giudizio in primo grado. Anche essa non contestata. Entrambe le esposte circostanze risultano, in modo piuttosto evidente, contraddire il trasferimento della proprietà del bene che, invece, è rimasto per lungo tempo nella disponibilità del venditore che lo ha utilizzato sopportandone il pagamento degli oneri. A corroborare gli elementi evidenziati, indirizzandoli ulteriormente verso la conclusione enunciata, vi è il fatto che la D.S., il 30 marzo 1999, ha prestato una fideiussione a garanzia delle obbligazioni assunte dal V.D.F., ovvero da colui che occupava l'immobile vendutole, nei confronti della Banca di Roma, fino alla concorrenza della significativa somma di lire 250.000.000 docomma numero 11 della produzione attorea in primo grado . In sostanza, l'appellata avrebbe acquistato per 190.000.000 di lire un immobile del V.D.F., non rivendicandone il possesso e garantendo i debiti di costui sino a 250.000.000 di lire, così rischiando -inspiegabilmente di perdere il bene acquistato in caso di inadempimento del debitore principale garantito. La spiegazione offerta nel giudizio di appello ben oltre la soglia stabilita dal codice di rito per le allegazioni difensive non muta i termini della questione, posto che la ragione dedotta, sottesa al trasferimento, indizia comunque verso la simulazione in funzione della conservazione, solo formale, della garanzia in favore del padre della D.S., anche lui impegnato a garantire i debiti del V.D.F In sostanza, l'operazione mirava a trasferire fittiziamente il bene del venditore ad un soggetto di comodo per sottrarlo a possibili azioni dei creditori e, al contempo, garantire all'apparente acquirente di garantire i debiti della controparte contrattuale, potendo contare, quale propria garanzia, sull'immobile compravenduto. In tal senso si è in presenza di un contratto in frode ai creditori che, però, non è affatto incompatibile con il negozio simulato perché, come si vedrà anche dagli elementi di seguito dedotti, non è incompatibile con la comune volontà delle parti di non trasferire effettivamente il bene ma, solo, di crearne l'apparenza agli occhi dei terzi, tra cui vi è da annoverare la P.P D'altro canto, la causa simulandi non deve essere necessariamente provata e neppure deve sussistere, non essendo un elemento necessario della fattispecie ma, solo, utile per fornire indizi rilevatori dell'accordo simulatorio cfr. Cass. 2023/numero 2539 Cass. 2006/numero 8428 . Proprio gli elementi evidenziati portano a spiegare il patto convenuto dai contraenti, che hanno previsto che “la parte venditrice si riserva di riscattare l'immobile…venduto nel termine di sei anni da oggi mediante la restituzione del prezzo ed i rimborsi di legge”. Il primo giudice ha ritenuto che il patto di riscatto dimostri l'effettività del trasferimento immobiliare tanto che le parti, per ottenere l'effetto della retrocessione del bene, hanno attribuito al venditore la facoltà di riscattarlo. In realtà, il contesto sopra descritto, che connota il frangente precedente alla stipulazione del contratto e le vicende successive, consente di considerare la previsione in esame quale ulteriore indizio della simulazione del contratto ed il mezzo per far conseguire al V.D.F., nuovamente, la titolarità dell'immobile. Si perviene all'esposta conclusione alla luce delle già esposte singolari modalità della vendita, avvenuta, si rammenta, per un prezzo decisamente basso rispetto al valore del bene, del fatto che esso è rimasto nella disponibilità dell'alienante, che ha continuato ad abitarlo, dell'assunzione della garanzia dei debiti del venditore da parte dell'acquirente fino alla concorrenza di una somma addirittura superiore al valore dell'immobile e, da ultimo, del certamente inconsueto invito all'esercizio del riscatto formulato dalla D.S., con il menzionato telegramma dell'agosto 2002, in prossimità della scadenza del termine convenuto. Vi è pure da osservare che il prezzo del riscatto è stato fissato dalle parti in un importo pari a quello originario di acquisto benchè il termine sia stato convenuto a distanza di sei anni, con ciò neutralizzando la tendenza dell'epoca al notorio aumento costante dei valori immobiliari nel tempo e senza, quindi, alcuna compensazione del fatto che il V.D.F. aveva continuato a disporre del bene. In conclusione, i fattori annotati risultano convergenti verso la natura simulata della compravendita, perché denunciano, se valutati nel loro complesso, la mancanza di volontà delle parti di produrre l'effetto tipico del negozio posto in essere, ovvero il trasferimento della proprietà di un bene dietro il pagamento del corrispettivo. Pertanto, deve essere dichiarata la nullità del contratto, per anomalia della causa rispetto allo schema tipico che ne giustifica il riconoscimento normativo cfr. Cass. 2018/numero 7459 . Le spese di lite del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo, in relazione ai valori compresi tra i minimi e medi per controversie di valore compreso tra € 52.001,00 e € 260.000,00, come aggiornati dal d.m. 147/2022, esclusa la fase istruttoria e di trattazione in appello che non vi è stata. Tanto per adeguare il compenso all'effettivo valore della lite ritraibile da quello del contratto colpito dalla domanda. Le spese tra l'appellante e il V.D.F. devono essere compensate, atteso che l'appellato ha sollecitato l'accoglimento della domanda, sicché tra di essi non vi è soccombenza. L'accoglimento dell'appello non comporta l'applicazione dell'articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. numero 115 del 2002, relativo all'obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato già versato all'atto della proposizione dell'impugnazione. P.Q.M. La Corte di Appello di Bari, Seconda Sezione Civile, in composizione collegiale, definitivamente pronunziando sull'appello proposto da P.P. avverso la sentenza numero 1010 del Tribunale di Trani, depositata il 16/06/2022, non notificata, rigettata ogni diversa istanza, così provvede Dichiara la contumacia di D.S. Accoglie la domanda e, per l'effetto, dichiara nullo il contratto di compravendita stipulato, in data 09 agosto 1996 per Notar C.L. rep. 14823 Raccomma 3097 , registrato a Trani il 16/08/1996 al numero 1627, tra V.D.F. e D.S. Compensa le spese di lite tra P.P. e V.D.F. Condanna D.S. alla rifusione delle spese di lite in favore di P.P. e di V.D.F. che liquida, quanto al primo grado, per la P.P. in € 264,00 per spese ed € 10.000,00 per onorari di avvocato, e per il V.D.F. in € 6.000,00 per onorari di avvocato, e, quando al secondo grado, per la P.P. in € 1.165,00 per spese ed € 7.500,00 per onorari di avvocato, e per il V.D.F. in € 6.000,00 per onorari di avvocato tutte oltre rimborso spese generali in ragione del 15%, IVA e CPA come per legge.