In un caso di sospensione dall'attività professionale, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno chiarito la disciplina relativa alla prescrizione dell'azione disciplinare davanti ai giudici di merito, evidenziandone l'evoluzione in seguito alla l. numero 247/2012.
La questione sottoposta all'attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione riguarda la legittimità di una sentenza del CNF per un provvedimento disciplinare nei confronti dei due avvocati ricorrenti. In particolare, il Consiglio Nazionale Forense aveva accolto il ricorso del COA di appartenenza dei due legali con cui si contestavano le violazioni degli articolo 9, 23, 24, 25, 63 e 64 del Codice Deontologico Forense. Tali violazioni sono state sollevate a seguito di una denuncia-querela e poi di un'imputazione in sede penale per il reato di circonvenzione di persona incapace legato a un contratto di vendita. Come sanzione disciplinare, i due avvocati erano stati sospesi per due mesi. Con il ricorso in Cassazione, i legali si erano focalizzati principalmente sulla questione della prescrizione dell'azione disciplinare. Il CNF aveva stabilito che le azioni riferite agli accusati si erano verificate soprattutto tra il 2010 e il 2012, e di conseguenza era stata applicata la disciplina sulla prescrizione precedente alla l.numero 247/2012. Dopo l'introduzione di questa norma, l'unico evento rilevante era stato il mancato pagamento del prezzo di vendita concordato, concluso molto tempo prima, con l'abuso dello stato di incapacità della parte contraente. Per tali atti illeciti era stato avviato un procedimento penale, che aveva interrotto/sospeso la prescrizione fino a luglio 2018, quando il reato era stato dichiarato estinto. Secondo il CNF, l'efficacia della richiesta originaria di citazione a giudizio, al fine della prescrizione dell'azione disciplinare, era rimasta intatta nonostante la nullità di tale richiesta per fini penali. Infatti, per il suo valore oggettivo, «la richiesta di citazione a giudizio, se pur nulla ai fini dell’instaurazione del processo, resta un valido esercizio di espressione dell’azione penale, nonché un valido atto interruttivo della prescrizione». Tale argomentazione, che supportava la decisione di respingere la questione di prescrizione, veniva contestata con il terzo motivo del ricorso con cui si evidenziava la possibilità di rilevare d'ufficio la prescrizione in ogni fase del giudizio. La nuova prescrizione prevista dalla suddetta legge richiede che il potere disciplinare venga esercitato entro sette anni e mezzo e non più cinque dal momento in cui si è verificato il fatto, salvo il caso di riapertura del procedimento disciplinare. Sul punto, i Giudici hanno evidenziato che la nuova norma non può essere applicata retroattivamente ai fatti contestati il canone di retroattività della legge più favorevole in ambito non penale si applica solo al profilo deontologico. Ciò significa che le disposizioni del nuovo Codice Deontologico possono essere applicate anche ai procedimenti disciplinari già in corso al momento della sua entrata in vigore, se risultano più favorevoli per l'avvocato coinvolto. Tuttavia, per quanto riguarda il concetto di prescrizione disciplinare, il suo fondamento è di natura legale e non deontologica, per cui si applica – ha chiarito la Suprema Corte - il principio generale di irretroattività delle norme riguardanti le sanzioni amministrative. Continuando la disamina dei motivi del ricorso, la Cassazione ha, poi, richiamato l'insegnamento costante secondo cui «il sindacato di legittimità nel procedimento disciplinare degli avvocati non si estende al piano delle valutazioni di merito del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi a esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sulla assenza di vizi logici della motivazione messa a base della decisione finale.» Nel caso di specie, per i Giudici, le norme deontologiche richiamate nella sentenza danno ben conto del giudizio finale espresso dal CNF a proposito della mancata osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro. Alla luce di tutte queste considerazioni, le SS.UU. civili della Cassazione hanno, pertanto, rigettato il ricorso.
Presidente Cassano - Relatore Terrusi Fatti di causa Gli avvocati Bo.Pi. e La.Anumero hanno impugnato dinanzi a queste Sezioni Unite la sentenza numero 125 del 2024 del CNF, che in accoglimento del gravame proposto dal COA di Lamezia Terme ha riconosciuto la loro responsabilità per le violazioni di cui agli articolo 9, 23, 24, 25, 63 e 64 cod. deontologico. Le violazioni sono state contestate in conseguenza di una denuncia-querela e poi di un'imputazione in sede penale per il reato di circonvenzione di persona incapace, relativamente a un contratto di vendita concluso nell'agosto 2010 con la sig.ra Ro.Ma. Ai due avvocati è stata inflitta la sanzione disciplinare della sospensione per mesi due. Contro la sentenza del CNF sono stati dedotti undici motivi di ricorso. Questa Corte, su istanza dei ricorrenti alla quale ha replicato il COA di Lamezia Terme con apposita memoria anche rispetto al merito del ricorso , ha sospeso l'esecuzione della sentenza, onde evitare che la sanzione disciplinare della sospensione fosse di fatto interamente scontata prima ancora della definizione del ricorso. È rimasta ovviamente impregiudicata ogni questione in ordine al fondamento dei motivi di impugnazione. In prossimità dell'udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria con allegazione di documenti, segnatamente costituiti da un verbale d'udienza dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme, nel giudizio promosso dalla signora Ro.Ma. al fine di ottenere l'invalidazione del contratto di vendita del 13-8-2010 verbale contenente la dichiarazione testimoniale del notaio rogante Ma.Al Il Procuratore generale ha depositato una requisitoria scritta. Ragioni della decisione I. - Deve preliminarmente osservarsi che la produzione documentale sopra citata non è ammissibile. La difesa dei ricorrenti sostiene che si sia trattato di un documento sopravvenuto , utilizzabile nell'auspicata sede di rinvio e anche funzionale alla dimostrazione dell'ammissibilità del decimo motivo di ricorso, teso a contrastare la non ammissione delle richieste istruttorie fra cui, per l'appunto, la chiamata a testimoniare del notaio Ma.Al. La circostanza che si tratti di un documento sopravvenuto è irrilevante, e la produzione - come detto - non è ammissibile perché il giudizio di cassazione è retto, in questa materia, dalle norme del Codice di procedura civile. Ne deriva che la produzione è ammessa solo in rapporto ai documenti che riguardano la nullità della sentenza o l'ammissibilità del ricorso o del controricorso articolo 372 cod. proc. civ. . Tali non sono i documenti richiamati nella memoria e contestualmente prodotti. Non lo sono neppure in relazione al concetto di nullità della sentenza , in quanto, nel riferimento dell'articolo 372 cod. proc. civ., deve intendersi per tale la nullità derivante dai vizi propri della sentenza stessa - e cioè dalla mancanza dei requisiti essenziali di forma e di sostanza prescritti dal coordinato disposto degli articolo 132,156 e 161 cod. proc. civ. -, oltre che quella originata, in via riflessa, da vizi radicali del procedimento che attengano alla identificazione dei soggetti del rapporto processuale cd. legitimatio ad processum e alla legittimità del contraddittorio tra le varie, Cass. Sez. 6-5 numero 22095-18, Cass. Sez. 6-3 numero 24942-21, Cass. Sez. 3 numero 29221-23 . II. - In undici motivi i ricorrenti denunziano nell'ordine i la violazione degli articolo 56 del r.d. numero 1578 del 1933 e 36 della L. numero 247 del 2012, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile, per la mancata proposizione di un appello incidentale, l'eccezione di prescrizione già sollevata dagli incolpati innanzi al CDD e ribadita davanti al CNF la decisione sarebbe errata in quanto l'articolo 50 del r.d. numero 1578 del 1933 e l'articolo 61 della L. numero 247 del 2012 ammettono la possibilità di ricorso incidentale avverso le determinazioni del CDD solo da parte del pubblico ministero, e di conseguenza non lo impongono all'incolpato che risulti assolto nell'ambito del procedimento disciplinare ii la violazione degli articolo 56 del r.d. numero 1578 del 1933 e 36 della L. numero 247 del 2012, nonché degli articolo 112 cod. proc. civ. e 37 della stessa L. numero 247 del 2012, nella parte in cui la sentenza impugnata, con motivazione irragionevole, ha omesso di considerare che la decisione di primo grado era stata contestata specificamente nei paragrafi 7 e 8 della memoria depositata il 3-10-2023 iii la violazione degli articolo 56 e 51 del r.d. numero 1578 del 1933 e 36 e 56 della L. numero 247 del 2012, per omessa considerazione della rilevabilità d'ufficio della prescrizione medesima iv la violazione degli articolo 56 del r.d. numero 1578 del 1933 e 36 della L. numero 247 del 2012, nonché degli articolo 51, 38 e 44 del r.d. numero 1578 del 1933, perché l'ammissibilità dell'eccezione di prescrizione consentirebbe oggi di ribadire che in effetti l'azione disciplinare era prescritta in ordine a tutti gli addebiti, con la sola eccezione della violazione dell'articolo 64 del cod. deontologico, avente però a oggetto il mancato pagamento del prezzo della compravendita illecito permanente, quest'ultimo, tuttavia da escludere nel merito, avendo gli incolpati adempiuto - essi dicono - alla relativa obbligazione. Da questo punto di vista, secondo i ricorrenti, la sentenza avrebbe dovuto ritenere prescritta l'azione disciplinare per almeno tre ordini di ragioni a per inapplicabilità dell'articolo 44 del r.d. numero 1578 del 1933, non sussistendo in concreto una condotta penalmente rilevante ex articolo 643 cod. penumero , essendosi a sua volta concluso il procedimento penale con pronuncia di non doversi procedere per prescrizione b per inapplicabilità della medesima norma in conseguenza dell'estinzione dell'azione disciplinare già al momento di esercizio dell'azione penale c per intervenuta prescrizione di tutte le condotte, non essendo codeste sussumibili, neanche astrattamente, nel paradigma dell'articolo 643 cod. penumero v la violazione e falsa applicazione dell'articolo 23, terzo comma, cod. deontologico e, in subordine, la manifesta irragionevolezza della decisione e lo sviamento di potere, in quanto la condotta dei professionisti, anche ad ammetterne - per astratta ipotesi - la ricorrenza e la dimostrazione, non poteva dirsi ricadente nell'alveo applicativo della detta disposizione vi la violazione o falsa applicazione degli articolo 24 e 25 del cod. deontologico, per le medesime ragioni vii la violazione dell'articolo 132 cod. proc. civ. e degli articolo 530,533 e 192 cod. proc. penumero , nonché la manifesta irragionevolezza della sentenza impugnata e la ricorrenza di un'ipotesi di motivazione meramente apparente e perplessa quanto alla ritenuta esistenza di un rapporto professionale relativo alla gestione della successione della sig.ra Ro.Ma. in morte della madre viii la violazione degli articolo 132 cod. proc. civ. e la manifesta irragionevolezza della decisione a proposito dell'articolo 64 del cod. deontologico, alla luce del riconosciuto e dimostrato pagamento delle somme convenute con il contratto di compravendita ix la violazione del combinato disposto degli articolo 10 Regolamento CNF numero 2 del 2014, 530, 533 e 603 cod. proc. penumero , 6CEDU e 132 cod. proc. civ., oltre che la illogicità e irrazionalità della motivazione derivante dall'omesso esame di elementi istruttori e dalla mancata ammissione di prove ritualmente richieste a proposito dello stato soggettivo della Ro.Ma., rilevante ai fini dell'articolo 643 cod. penumero - stato soggettivo di infermità o di deficienza psichica che si sarebbe dovuto escludere alla luce del compendio istruttorio acquisito e delle prove richieste dagli incolpati e non ammesse x la violazione o falsa applicazione delle medesime norme a proposito della ritenuta ricorrenza dell'induzione dei professionisti alla stipula dell'atto e al loro approfittamento, stante invece la ferrea volontà della Ro.Ma., dimostrata documentalmente e oggetto di specifiche richieste di prova, di alienare l'immobile ai professionisti xi la violazione o falsa applicazione ancora delle medesime norme in relazione alla ritenuta sussistenza del requisito dell'ingiusto profitto, considerata la congruità del prezzo corrisposto che si sarebbe dovuta ricavare sempre dai documenti prodotti e dalle prove costituende dedotte e non ammesse. III. - È opportuno procedere a una disamina dei motivi di ricorso accorpandone le questioni sottostanti. IV. - Le prime quattro censure attengono alla statuizione del CNF sulla prescrizione. Secondo i ricorrenti l'azione disciplinare avrebbe dovuto esser dichiarata prescritta. Le censure vanno disattese per l'assorbente ragione che la sentenza impugnata contiene due rationes decidendi tra loro autonome, la seconda delle quali in ogni caso esatta. V. - Dalla sentenza risulta che il CDD, prima di assolvere gli incolpati nel merito degli addebiti loro rivolti, aveva espressamente respinto l'eccezione di prescrizione sul rilievo che, nel procedimento penale, anche la richiesta di citazione a giudizio poi dichiarata nulla aveva integrato l'esercizio dell'azione penale e quindi aveva determinato l'effetto interruttivo/sospensivo del termine. In appello gli incolpati avevano riproposto semplicemente l'eccezione, onde paralizzare, in limine, il gravame del COA. Il CNF ha ritenuto inammissibile l'eccezione medesima richiamando il principio di formazione progressiva del giudicato , perché il capo della decisione di rigetto del CDD di Catanzaro non era stato oggetto di tempestiva impugnazione tramite ricorso incidentale , né di specifica censura nella memoria del 3 ottobre 2023. A tale ratio, tuttavia, ne ha aggiunta un'altra. Ha infatti comunque escluso - con ciò confermando l'assunto del CDD - che il termine di prescrizione fosse decorso in esito all'interruzione e alle sospensioni conseguenti all'esercizio dell'azione penale e di quella disciplinare. Specificamente il CNF ha affermato che i fatti addebitati agli incolpati si erano svolti in larga parte dal 2010 al 2012 , con conseguente applicazione del regime prescrizionale previgente alla L. numero 247 del 2012 in vero dopo l'entrata in vigore della citata legge non v'era stato altro che il mancato pagamento del prezzo convenuto per la vendita, la quale però era stata stipulata ben prima, con abuso dello stato di incapacità critica della contraente. Per tali condotte -di abuso e di circonvenzione - era stato promosso un procedimento penale, che aveva determinato l'effetto interruttivo/sospensivo della prescrizione fino al luglio 2018, quando infine era stata dichiarata l'estinzione del reato. Secondo il CNF l'efficacia della richiesta originaria di citazione a giudizio, quanto al termine di prescrizione dell'azione disciplinare, era rimasta intatta, sebbene quella richiesta fosse stata dichiarata nulla ai fini penali infatti, per il suo valore oggettivo la richiesta di citazione a giudizio, se pur nulla ai fini dell'instaurazione del processo, resta un valido esercizio di espressione dell'azione penale, nonché un valido atto interruttivo della prescrizione . VI. - Simile ratio decidendi, di per sé in grado di sorreggere la decisione d rigetto della questione di prescrizione che qui rileva, è infondatamente criticata in iure nel terzo motivo di ricorso, mercé riferimento alla necessità di rilevare d'ufficio la prescrizione in ogni grado. Non è stata oggetto di censura la specifica affermazione de facto secondo la quale gli addebiti si erano concretizzati prima della L. numero 247 del 2012. Ed è appena il caso di osservare come per questa parte la conclusione della sentenza sia ben plausibile, essendo state contestate condotte di abuso nei riguardi di un soggetto latamente debole o addirittura incapace culminate nell'induzione a stipulare la vendita dell'agosto 2010 fatto di circonvenzione di tipo istantaneo, anche ai fini dell'offensività della condotta, benché l'imputazione penale abbia poi indicato comportamenti protratti fino al 2012. VII. - Ora, a differenza della prescrizione prevista dal Codice penale - notoria causa di estinzione del reato -, la prescrizione sancita dall'ordinamento professionale degli avvocati è causa di estinzione dell'azione disciplinare. La prescrizione è in questo senso rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado, e anche in sede di legittimità, stante la natura pubblicistica dell'istituto. Ma vi è che è interrotta dal promovimento dell'azione disciplinare fin dall'atto di apertura del procedimento ed è sospesa in caso di promovimento dell'azione penale. In base all'articolo 51 del r.d. numero 1578 del 1933, applicabile in ragione dell'epoca di realizzazione dei fatti addebitati, il termine di prescrizione era di cinque anni. In quel contesto, dinanzi a fatti costituenti anche reato, iniziata la corrispondente azione penale il termine restava sospeso fino alla definizione del processo penale con sentenza irrevocabile. VIII. - Nel caso concreto risulta dalla sentenza che in relazione ai fatti indicati come protratti fino al 2012 inizi del 2012 , per i quali era stata esercitata nel maggio 2015 l'azione penale, il procedimento disciplinare era stato avviato a seguito di comunicazioni del COA del febbraio 2016. Dopodiché, all'esito della declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio con provvedimento del gennaio 2018 e a seguito della conseguente rinnovazione dell'atto ad aprile 2018, il reato era stato dichiarato estinto per prescrizione con sentenza predibattimentale del giugno di quell'anno. Si tratta di circostanze che influenzano in modo decisivo il regime di prescrizione dell'azione disciplinare. Esse inducono alla conclusione per cui il termine quinquennale era stato interrotto dall'esercizio dell'azione disciplinare dopo che era stata esercitata l'azione penale con effetto sospensivo fino alla irrevocabilità della sentenza pronunciata in quella sede. Deve infatti osservarsi che a nel regime disciplinare anteriore alla legge numero 247 del 2012 l'interruzione del termine di prescrizione dell'azione disciplinare ha effetti permanenti per tutta la fase giurisdizionale che si svolge davanti all'organo disciplinare, protraendosi, eventualmente, dinanzi alle Sezioni unite della Corte di cassazione e al giudice di rinvio cfr. Cass. Sez. U numero 23364-15, Cass. Sez. U numero 7761-20 b a sua volta l'effetto sospensivo consegue all'esercizio in sé dell'azione penale e ciò in dipendenza del principio secondo cui gli atti interruttivi della prescrizione del reato sono idonei a conseguire lo scopo anche se nulli, in quanto rilevano per il loro valore oggettivo di espressione della persistenza dell'interesse punitivo da parte dello Stato cfr. Cass. Penumero Sez. 3 numero 43836-07, Cass. Penumero Sez. 3 numero 29081-15, Sez. 5 numero 40996-21 . IX. - È il caso di aggiungere che non esisteva, nel regime di cui si è fatta menzione, una norma analoga a quella dell'articolo 56, ultima parte, della L. numero 247 del 2012. Ciò sta a dire che il nuovo regime di prescrizione di cui alla L. numero 247 del 2012, che è di dicembre di quell'anno e che dunque è sopravvenuto ai fatti che qui interessano, è certamente più favorevole all'incolpato. La nuova prescrizione di cui alla L. cit., fatto salvo il caso di riapertura del procedimento disciplinare, oggi impone che il potere disciplinare sia portato a compimento in sette anni e mezzo dal fatto. Questa norma, sopravvenuta ai fatti addebitati, non può avere tuttavia un'applicazione retroattiva. Il canone di retroattività della legge più favorevole in ambito diverso da quello penale è limitato al profilo deontologico risponde al principio per cui in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, la L. 31 dicembre 2012, numero 247, articolo 65, comma 5, nel prevedere, con riferimento alla nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, che le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato, riguarda esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e del nuovo codice deontologico Cass. Sez. U numero 1822-15 . Invece, per l'istituto della prescrizione la fonte è legale e non deontologica, cosicché resta operante il criterio generale dell'irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative criterio - codesto - che rende inapplicabile lo ius superveniens introdotto con la ripetuta legge numero 247 cit., articolo 56, terzo comma v. Cass. Sez. U numero 11025-14, Cass. Sez. U numero 1822-15 . X. - Il terzo motivo di ricorso va quindi rigettato, essendo esatta la ratio decidendi in base alla quale la sentenza impugnata ha ritenuto che la prescrizione dell'azione disciplinare non fosse maturata. XI. - Di conseguenza i motivi primo e secondo divengono inammissibili per difetto d'interesse cfr. tra le moltissime Cass. Sez. U numero 16602-05 e Cass. Sez. U numero 10374-07, e da lì in poi praticamente tutta la giurisprudenza delle sezioni semplici , mentre il quarto resta assorbito. XII. - I restanti motivi, dal quinto all'undicesimo, attengono alla statuizione sul merito dell'incolpazione disciplinare. Questi ulteriori motivi sono in parte infondati e in parte inammissibili. XIII. - La ricostruzione in fatto della vicenda in esame emerge in modo lineare dalla motivazione della sentenza. Tale motivazione non può considerarsi né perplessa né tanto meno apparente, sicché non ha luogo discutere di nullità ex articolo 132 cod. proc. civ. Sulla base delle prove documentali il CNF ha sottolineato essere emerse in modo chiaro e inconfutabile le circostanze seguenti a la sig.ra Ro.Ma. era stata sottoposta ad amministrazione di sostegno b prima della sottoposizione aveva intrattenuto rapporti economici e contrattuali coi due avvocati e si era a essi manifestata come persona psicologicamente molto fragile, incapace di gestirsi economicamente in modo adeguato c ella aveva chiesto, in tale condizione, consistenti anticipi di somme di denaro ai due professionisti, che li avevano accordati pur consapevoli dei suindicati tratti della personalità della cliente. Dopodiché il CNF ha osservato che - ancora in modo inconfutabile - era altresì emerso che la sig.ra Ro.Ma., a seguito del decesso della madre, si era rivolta nel luglio 2010 ai due avvocati per la pratica successoria, confidando nella loro qualifica di legali, anche se poi, su loro indicazione, alcune incombenze tecniche erano state svolte da un geometra. In questo senso si era comunque instaurato un rapporto di assistenza professionale tra la Ro.Ma. e gli avvocati. Ulteriormente la sig.ra Ro.Ma. aveva perseverato nella richiesta e nell'ottenimento di prestiti in denaro dai due professionisti, cosa che aveva determinato l'insorgenza di una condizione di dipendenza - non solo economica ma anche psicologica - in pendenza del rapporto. In questo contesto, già di per sé censurabile sotto il profilo deontologico , era maturata la vicenda del contratto di vendita del 13-8-2010 vicenda relativa a un appartamento posto in Lamezia Terme che la medesima Ro.Ma. aveva ereditato dalla madre. Il CNF ha ritenuto che le modalità della . stipula presentassero aspetti deplorevoli e censurabili deontologicamente sintetizzabili nel fatto di i avere i due avvocati portato la sig.ra Ro.Ma. a stipulare il summenzionato contratto di compravendita, in fretta e furia, . a ridosso del ferragosto e appena trentasette giorni dopo la morte della madre , in un comune diverso da quello di residenza e ministero di un notaio che nemmeno aveva rogato il contratto nel suo studio in pratica, essi avevano agito animanti da una gran fretta, fin troppo sospetta , manifestando lo scopo di non consentire alla signora Ro.Ma. di prestare la necessaria attenzione e di procedere con la dovuta ponderazione in merito al contratto di compravendita, per lei molto importante, che stava andando a stipulare ii avere perfezionato l'acquisto a un prezzo obiettivamente molto esiguo e, addirittura, anche inferiore al valore del bene indicato nella perizia di parte esibita dagli stessi incolpati prezzo indicato come per la più gran parte già pagato in contanti prima del 4-7-2006 cosa inverosimile poiché a quella data non risultava neppure che le parti si conoscessero e con conseguente quietanza a saldo e rinuncia all'ipoteca legale. In questo senso il CNF ha ritenuto credibile il racconto della sig.ra Ro.Ma., che aveva sostenuto, nel corso dell'audizione dinanzi al CDD di Catanzaro, di non essersi resa conto di avere venduto il bene immobile in questione agli avvocati. Dacché in fatto gli incolpati si erano approfittati della fragilità psichica e dell'incapacità a gestirsi economicamente della medesima Ro.Ma. poi appunto sottoposta ad amministrazione di sostegno , e anche della fiducia e dell'affidamento dalla medesima riposto nei loro confronti, per gli intercorsi rapporti professionali e personali. Secondo il CNF, con tale agire gli incolpati avevano infranto diversi precetti deontologici - quelli di cui agli articolo 63 e 64 del nuovo cod. deontologico, in precedenza previsti dagli articolo 56 e 59 del vecchio cod. deontologico, imponendosi invece all'avvocato di comportarsi, nei rapporti interpersonali, anche al di fuori dell'esercizio della professione, in modo tale da non compromettere la fiducia dei terzi nella classe forense e nella dignità della professione, e di adempiere regolarmente alle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi - quelli afferenti al conflitto di interessi con la cliente articolo 23, 24, 25 del nuovo cod. deontologico, in precedenza contemplati dagli articolo 35 e 37 del vecchio cod. deontologico , stante il divieto per l'avvocato di intrattenere con il cliente o la parte assistita rapporti economici, patrimoniali o commerciali e l'obbligo di astenersi dall'entrare in conflitto di interessi - quelli soprattutto relativi all'articolo 9 del nuovo cod. deontologico e all'articolo 5 del vecchio cod. deontologico, giacché gli stessi avvocati, in ossequio al dovere di probità, mai si sarebbero dovuti approfittare della descritta condizione personale e psicologica della sig.ra Ro.Ma., e mai avrebbero dovuto stipulare con una persona che si trovasse in una simile situazione un contratto di compravendita immobiliare con contenuto manifestamente penalizzante e iniquo, oltre che palesemente falso relativamente alla dichiarazione che il prezzo era stato interamente pagato e alla correlata quietanza . rilasciata dalla venditrice . XIV. - Nei motivi che vanno dal nono all'undicesimo, connessi tra loro e suscettibili di unitario e pregiudiziale esame, i ricorrenti sottopongono a censura la ricostruzione della vicenda nelle sue articolazioni storiche, dolendosi del mancato esame di circostanze documentali e della mancata ammissione di prove a discarico. Ma è semplice osservare che le censure sono, dal primo punto di vista, genericamente rivolte a contrastare l'esito della valutazione delle prove acquisite, che invece l'impugnata sentenza ha svolto con completezza di riferimenti, e dal secondo punto di vista sono altresì completamente generiche. Nella sostanza si assume che da altri dati documentali sarebbe stata dimostrata la mancanza di notizie circa l'insorgenza di patologie psichiatriche della Ro.Ma. tali da limitarne in qualche modo la capacità di intendere e di volere, avendo nello stesso arco temporale la medesima Ro.Ma. provveduto ad altre alienazioni e all'assunzione di obbligazioni cosa che - si dice - si sarebbe potuta appurare in base alla dedotta prova per testi. Si tratta tuttavia di elementi di scarso peso, in quanto destinati a dimostrare al più un neutro fatto negativo la mancanza di notizie , e comunque finalizzati al sovvertimento del giudizio di fatto in ordine all'approfittare delle condizioni soggettive della contraente. Al contrario va richiamato l'insegnamento costante di questa Corte v. per tutte Cass. Sez. U numero 14777-15 secondo cui il sindacato di legittimità nel procedimento disciplinare degli avvocati non si estende al piano delle valutazioni di merito del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi a esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sulla assenza di vizi logici della motivazione messa a base della decisione finale. L'apprezzamento della rilevanza della condotta dell'incolpato rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto di sindacato cfr. Cass. Sez. U numero 24647-16, Cass. Sez. U numero 18395-16, Cass. Sez. U numero 8038-18 , salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell'uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito sviamento che nella specie niente consente di affermare. XV. - A loro volta i motivi che vanno dal quinto all'ottavo - pure questi da esaminare congiuntamene - sono da disattendere di conseguenza. Per un verso si basano su elementi di fatto l'inesistenza di incarichi e di rapporti professionali con la parte e l'avvenuto pagamento del prezzo della vendita in contrasto con quanto l'impugnata sentenza ha motivatamente stabilito e in tema di ricorso per cassazione è notoriamente inammissibile il motivo che si fondi su una situazione di fatto diversa da quella prospettata e accertata nel giudizio di merito ex multis, Cass. Sez. 5 numero 23045-15 . Per altro verso sottopongono profili non suscettibili di esame in questa sede. Deve essere ribadito che l'illecito disciplinare è necessariamente atipico per l'illecito disciplinare dei professionisti non trova applicazione il principio di stretta tipicità dell'illecito proprio del diritto penale, e non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, ma solo l'enunciazione dei doveri fondamentali la cui concretizzazione - e conseguente valutazione - è affidata all'autonomia dell'ordine professionale v. Cass. Sez. U numero 37550-21, Cass. Sez. U numero 27996-13 . La Corte non può sostituirsi all'organo disciplinare nel valutare se una determinata condotta rientri o meno in una previsione disciplinare di portata generale qual è quella ritenuta dal CNF con riguardo agli atti lesivi del decoro e della dignità professionali v. da ultimo Cass. Sez. U numero 26369-24 . La Corte può sindacare, sotto il profilo della violazione di legge, la ragionevolezza con cui l'organo disciplinare ha ricavato, dalla previsione deontologica generale, il precetto da applicare al caso concreto cfr. anche Cass. Sez. U numero 19705-12 . Nel caso concreto il canone di ragionevolezza non risulta in alcun modo violato, poiché le norme deontologiche richiamate nella sentenza danno ben conto, e plausibilmente, del giudizio finale espresso dal CNF a proposito della mancata osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro doveri che nella salvaguardia della reputazione e della immagine della professione forense impongono anche fuori dell'esercizio del ministero una condotta, nei rapporti interpersonali, tale da non compromettere la dignità della professione e l'affidamento dei terzi. XVI. - Il ricorso è rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza. Ricorrendo i presupposti di cui all'articolo 52 del D.Lgs. numero 196 del 2003, deve essere disposta l'omissione delle generalità e dei dati identificativi dei soggetti interessati. P.Q.M. La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in 5.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.