Tutela penale dell’attività di vigilanza: per la prova del dolo non sono sufficienti l’avvenuta notifica della PEC e della raccomandata

In tema di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, disciplinato dall’articolo 2638 c.c., ai fini della dimostrazione del dolo dell’amministratore unico e legale rappresentante di una Società che ha omesso di porre a disposizione del revisore la documentazione contabile e societaria necessaria per lo svolgimento dell’attività di revisione, non è sufficiente il dato formale dell’avvenuta notifica della richiesta a mezzo PEC presso l’indirizzo di posta elettronica, né l’invio di una raccomandata presso la sede sociale.

La sentenza in commento concerne la vicenda che ha visto condannato alla pena di 1 anno e 3 mesi di reclusione l'amministratore unico e legale rappresentante di una Società cooperativa a responsabilità limitata, sottoposta per legge alla vigilanza della Direzione centrale per le attività produttive della Regione Friuli Venezia Giulia, per aver ostacolato consapevolmente l'attività ispettiva da parte del revisore incaricato, omettendo, nonostante le reiterate richieste ricevute, di porre a disposizione del revisore la documentazione contabile e societaria necessaria per lo svolgimento dell'attività di revisione. Avverso la sentenza di appello veniva proposto ricorso per cassazione, deducendo sei distinti motivi di impugnazione. I Giudici di Legittimità hanno ritenuto fondato, tra gli altri, il quinto motivo di ricorso con il quale si lamentava l'inosservanza ovvero l'erronea applicazione dell'articolo 2638 comma 2 c.c. in relazione alla sussistenza del dolo diretto, consistente nella consapevolezza di ostacolare le funzioni dell'autorità di vigilanza. Come noto, la tutela penale dell'attività di vigilanza, originariamente assicurata, per il solo settore bancario e finanziario e in relazione alla sola vigilanza della Banca d'Italia, dall'articolo 34 del d.lgs. numero 385/1993, è ora per l'appunto realizzata, in termini generali, dall'articolo 2638 c.c., rubricato “Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza”, introdotto dal d.lgs. numero 61/2002, il quale ha contestualmente abrogato la precedente normativa. Ebbene, la normativa in parola prevede un articolato meccanismo di tutela penale delle funzioni di vigilanza affidate alle autorità pubbliche rispetto a molteplici condotte che ne ostacolano l'esercizio. In particolare, tale tutela è affidata a due autonome fattispecie, secondo il modello che una parte della dottrina penalistica definisce della cd. norma mista cumulativa. La prima fattispecie, prevista dal primo comma, riguarda l'esposizione, nelle comunicazioni previste dalla legge, di fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero l'occultamento con mezzi fraudolenti diversi dall'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero di fatti sempre relativi alla predetta situazione, che i soggetti indicati avrebbero dovuto comunicare. La seconda ipotesi delittuosa di cui all'articolo 2638 comma 2 c.c. che, come anticipato, concerne il caso di specie, prende in considerazione, invece, le condotte «che in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente … ostacolano le funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza». La condotta tipica di cui al comma 2 viene quindi integrata, come anche specificato nella sentenza in commento, «da qualsiasi forma di intralcio all'esercizio delle funzioni di vigilanza, ivi compresa l'omessa comunicazione di informazioni dovute». I Giudici di Piazza Cavour ribadiscono, infatti, che l'evento può essere integrato, oltre che dall'impedimento in toto dell'esercizio della funzione di vigilanza, anche «dall'effettivo ostacolo frapposto al dispiegarsi della funzione, realizzato con comportamenti di qualsiasi forma che devono essere comunque tali da determinare difficoltà di considerevole spessore o un significativo rallentamento dell'attività di controllo, con esclusione del mero ritardo, alla stregua di un'interpretazione conforme al canone costituzionale di offensività». L'integrazione della fattispecie, pertanto, deve essere correlata alla lesione recata alla funzione dalla condotta di ostacolo, che, astrattamente, potrebbe verificarsi anche in presenza di una situazione momentanea, ove realizzi un effettivo ostacolo alla funzione di vigilanza, con esclusione del mero ritardo e di ogni evento che non sia in grado di turbare in modo significativo l'attività dell'organo di vigilanza. Vero è, poi, che il delitto in esame richiede necessariamente che la condotta di ostacolo all'esercizio della funzione di vigilanza sia stata posta in essere consapevolmente, ovvero sia con un dolo generico diretto. Nella sentenza in commento, i Giudici confermano, infatti, che ai fini della dimostrazione del dolo, qui inteso come consapevole sottrarsi alle richieste del sistema di vigilanza, «non può invocarsi il dato formale dell'avvenuta notifica della richiesta a mezzo PEC presso l'indirizzo di posta elettronica … né l'invio di una raccomandata presso la sede sociale». Invero, tali adempimenti rilevano unicamente ai fini di una conoscenza legale di un determinato accadimento l'avvenuto recapito della comunicazione così eseguito, infatti, riconosce esclusivamente una presunzione normativa di effettiva conoscenza. Tuttavia, tale meccanismo non potrà essere di certo utilizzato ai fini della dimostrazione del dolo di un reato, «che consiste sì in una categoria normativa, ma avente come sostrato un dato psicologico reale e non presuntivamente affermato». Non solo. Ai fini della dimostrazione del dolo non possono essere posti alla base di una ricostruzione articolata nemmeno «quegli elementi indizianti eventualmente valorizzati dalla sentenza impugnata». Per quanto concerne il caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour concludono per l'indispensabile nuovo vaglio da parte dei Giudici di merito in ordine al profilo, chiaramente essenziale, dell'effettiva conoscenza, in capo all'imputata, delle comunicazioni trasmesse dal revisore, a partire dalla quale possa affermarsi che la sua condotta omissiva sia stata consapevolmente diretta a determinare tale risultato e, quindi, integrando un dolo generico diretto.

Presidente Pezzullo - Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 21 dicembre 2023, la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza del Tribunale di Gorizia in data 3 marzo 2022 con la quale Ma.Ma. era stata condannata alla pena di 1 anno e 3 mesi di reclusione in quanto ritenuta responsabile del delitto previsto dall'articolo 2638, comma secondo, cod. civ., per avere, in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della Julia Global Service Società Cooperativa a responsabilità limitata, sottoposta per legge alla vigilanza della Direzione centrale per le attività produttive della Regione Friuli Venezia Giulia, ostacolato consapevolmente l'attività ispettiva da parte del revisore incaricato, Pi.Se., omettendo, nonostante le reiterate richieste ricevute, di porre a disposizione del revisore la documentazione contabile e societaria necessaria per lo svolgimento dell'attività di revisione fatto accertato in Monfalcone, dal Omissis all' Omissis . 1.1. Secondo quanto accertato in sede di merito, il revisore aveva inviato all'imputata una comunicazione informale , via PEC, all'indirizzo mail della cooperativa, invitandola a prendere contatti con lui invio cui aveva fatto seguito, in assenza di qualunque risposta, una formale diffida trasmessa alla cooperativa, rimasta anch'essa senza riscontro, nonostante il duplice invio, sia a mezzo PEC, sia con raccomandata, trasmessa al domicilio dell'amministratrice, risultata colà irreperibile, avendo ella mutato più volte residenza senza darne comunicazione alla Camera di commercio. E in assenza di riscontri da parte della destinataria degli avvisi, il revisore si era trovato nell'impossibilità di procedere oltre negli accertamenti. Secondo i Giudici di merito, l'imputata era pienamente a conoscenza delle vicende aziendali cfr. testimonianze di De.Mi. e di Mi.Ga., entrambi dipendenti della cooperativa, rispettivamente figlia e nipote dell'imputata , tanto più che la cooperativa era stata sottoposta a revisione due anni prima, sicché ella era certamente consapevole del fatto che sarebbe stata contattata dal revisore, atteso che i controlli sono previsti, per legge, con cadenza biennale. E dal momento che, in occasione della precedente revisione, erano emersi rilievi a carico della cooperativa, doveva ritenersi che l'imputata si fosse volontariamente sottratta al controllo. 2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la stessa Ma. a mezzo del difensore di fiducia, avv. ANDREA PELLEGRINI, deducendo sei distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero 2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. penumero , la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 2638, comma 2, cod. civ. e della legge regionale del Friuli Venezia Giulia del 3 dicembre 2007, numero 27. La revisione cooperativa prevista dalla predetta legge regionale non rientrerebbe tra le attività di pubblica vigilanza, come ammesso dalla Procura della Repubblica in sede di indagini preliminari v. pag. 69 del fascicolo e riconosciuto in dottrina, ove si affermerebbe che tale nozione riguardi gli enti titolari di funzioni di controllo, ma non le autorità che, come nel caso del revisore, sono prive di poteri di vigilanza e che svolgono solo un compito di regolamentazione poteri che la legge regionale numero 27 del 2007 riconoscerebbe, invece, alla Direzione competente in materia di vigilanza sulla cooperazione, attraverso il Servizio competente per materia. Dunque, al revisore non si applicherebbe l'articolo 2638, comma secondo, cod. civ., tanto più che l'articolo 15, comma 2 - bis, della legge regionale prevedrebbe che la violazione delle norme in materia di revisione sia sanzionata con la sola perdita della qualifica di società di mutuo soccorso e la cancellazione dal Registro delle Imprese e dall'Albo delle società cooperative , sicché sarebbe abnorme che un eventuale ostacolo all'attività di verifica, pur essendo una situazione meno grave, determini addirittura l'applicazione di una sanzione penale. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla presunta conoscenza da parte dell'imputata della richiesta di documentazione effettuata a mezzo raccomandata. Il revisore si sarebbe limitato a inviare una lettera raccomandata al suo domicilio, senza che essa fosse stata effettivamente recapitata, essendo risultata irreperibile a quell'indirizzo. Qualora, invece, egli avesse acquisito il certificato di residenza, la comunicazione sarebbe pervenuta al destinatario, posto che la Ma., come confermato dal teste Br., non aveva cambiato la residenza dal 2012 al 2017. Né egli avrebbe compiuto alcun accesso alla sede della cooperativa, sull'errato presupposto di non avere alcun potere eccessivo, in realtà previsto dalla legge regionale. 2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. penumero , la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 16, comma 6, d.l. numero 185 del 2008, convertito dalla legge numero 2 del 2009, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla conoscenza, da parte dell'imputata, della comunicazione a mezzo PEC inviata dal revisore all'indirizzo della società Julia Global Service e non a un indirizzo personale di costei. L'articolo 16, comma 6, d.l. numero 185 del 2008, convertito dalla legge numero 2 del 2009, invero, potrebbe fondare una presunzione di conoscenza della PEC, ai fini civilistici, nei confronti della cooperativa, ma non, ai fini penali, in capo alla Ma. In ogni caso, sarebbe stato provato che ella non aveva avuto effettiva conoscenza della mail in quanto, anche in considerazione dell'età, non gestiva l'indirizzo PEC, appannaggio di De.Mi., che consultava, stampava le mail e ne riferiva il contenuto all'imputata, quantomeno sino alla conclusione del suo rapporto con la cooperativa, avvenuto il 18 aprile 2016 e, dunque, prima dell'invio della PEC da parte del revisore. In ogni caso, diversamente da quanto riportato in sentenza, il teste Ga. non avrebbe mai dichiarato che la Ma. si occupava attivamente della gestione della cooperativa, avendo egli affermato che tutte le cose a livello elettronico venivano gestite dalla madre, De.Mi. La circostanza che costei, poi, riferisse alla legale rappresentante sarebbe stata apoditticamente affermata a partire dal rapporto di parentela tra le due, ma non sarebbe stata dimostrata, anche perché all'epoca della comunicazione la Mi. si era ormai licenziata dalla cooperativa, sicché residuerebbe un ragionevole dubbio sul fatto che l'imputata fosse stata a conoscenza delle PEC inviate dal revisore. 2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'omessa comunicazione di informazioni dovute alle autorità di vigilanza, non avendo l'imputata comunicato, al più, il cambiamento del domicilio presso la Camera di commercio, non sanzionabile ai sensi dell'articolo 2638 cod. civ., in quanto conoscibile dai pubblici registri e facilmente ricavabile con una richiesta in comune. Una comunicazione che, in ogni caso, non sarebbe dovuta dalla Ma., non essendole stata chiesta la consegna di documentazione da parte del revisore, ma soltanto, e genericamente, di prendere contatto con lui. Quanto all'avere ostacolato le funzioni del revisore, tale situazione ricorrerebbe in presenza di una condotta attiva e non di un comportamento meramente omissivo, non avendo la sentenza spiegato in che modo la mancata risposta a una mail possa integrare un rilevante ostacolo all'attività di vigilanza. 2.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 2638, comma secondo, cod. civ. in relazione alla sussistenza del dolo diretto, consistente nella consapevolezza di ostacolare le funzioni dell'autorità di vigilanza, desunta dal fatto che le procedure di revisione venivano espletate con cadenza biennale e che erano trascorsi due anni dalla precedente revisione a carico della Julia Global Service. In realtà, nei due anni precedenti la revisione si sarebbe svolta linearmente e le osservazioni ricevute sarebbero state sanate senza ripercussioni sulla cooperativa, sicché la circostanza non sarebbe probante. Anche i fatti riferiti dalla Guardia di finanza circa una presunta mancanza di collaborazione sarebbero privi di rilievo, non essendo stato dimostrato che, quando gli operanti si erano recati presso la sua abitazione, ella fosse in casa tanto più che quando la Ma. aveva saputo che la Guardia di finanza la stava cercando, si era subito presentata presso gli Uffici. Quanto poi al ripetuto spostamento della residenza senza fornire alla Camera di commercio le comunicazioni dovute ai sensi dell'articolo 2196 cod. civ., dal 2012 al 2017, la Ma. non avrebbe mai cambiato la residenza, come confermato dal teste Br. all'udienza del 16 maggio 2019. 2.6. Con il sesto motivo, il ricorso censura, ex articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. penumero , la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio. La valorizzazione di precedenti condanne in capo alla Ma. non considererebbe che esse afferirebbero alla Julia Global Servic Società Cooperativa, sicché le vicende in questione avrebbero dovuto essere valutate unitariamente. La pena, in ogni caso, sarebbe sproporzionata rispetto a un fatto lieve, consistente nella mancata risposta ad una mail da parte di una persona anziana così come sarebbe illogico il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 3. In data 3 settembre 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria del Procuratore generale presso questa Corte, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. 4. Con memoria in data 12 settembre 2024 il difensore dell'imputata, in replica alle conclusioni del Procuratore generale, ha dedotto, con riferimento alle questioni poste con il primo motivo, che la requisitoria non spiegherebbe le precedenti affermazioni della Procura della Repubblica per le quali la revisione cooperativa non è un'ispezione o un controllo demandati ad altri organi , né perché il revisore venga considerato un'autorità di pubblica vigilanza e non un organo ausiliario dell'autorità di vigilanza. Con riferimento alla conoscenza della raccomandata postale inviata alla Ma., la Procura generale affermerebbe che essa risulta irrilevante , sicché la raccomandata non potrebbe essere posta a fondamento della condanna. Quanto al terzo motivo di impugnazione, la conoscenza legale della PEC sarebbe presunta, ai fini civilistici, in capo alla società e non al legale rappresentante di essa, considerato che sarebbe stata provata la mancata conoscenza della PEC del revisore da parte della Ma. Con riferimento al quarto motivo di impugnazione la Procura generale nulla aggiungerebbe a quanto già esposto nella sentenza impugnata. Quanto al quinto motivo, si ribadisce la palese mancanza del dolo generico di cui all'articolo 2638 cod. civ., che prevedrebbe espressamente la consapevolezza dell'ostacolo delle funzioni dell'autorità di vigilanza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati. 2. La tutela penale dell'attività di vigilanza, originariamente assicurata, per il solo settore bancario e finanziario e in relazione alla sola vigilanza della Banca d'Italia, dall'articolo 134 del D.Lgs. 1 settembre 1993, numero 385, è ora realizzata, in termini generali, dall'articolo 2638 cod. civ., rubricato Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza , che è stato introdotto dal D.Lgs. 11 aprile 2002, numero 61, il quale ha contestualmente abrogato il menzionato articolo 134. Detto intervento normativo, realizzato in attuazione dell'articolo 11, punto b , della legge delega 3 ottobre 2001, numero 366  che si proponeva di armonizzare e coordinare le ipotesi riguardanti le falsità nelle comunicazioni alle autorità pubbliche di vigilanza, ostacolo alle relative funzioni e omesse comunicazioni da parte di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società eventualmente estendendo le ipotesi stesse a condotte omologhe che, in violazione di disposizioni di legge, ledano i predetti beni , ha comportato, nell'ambito di un fenomeno di successione di norme incriminatrici che ha solo parzialmente modificato il contenuto delle precedenti fattispecie, l'ampliamento della tutela penalistica all'ambito delle funzioni delle autorità di vigilanza , a ricomprendere, accanto alla Banca d'Italia, anche la Consob e altre autorità pubbliche, nel contesto di una estensione anche dei possibili soggetti attivi del reato, ora individuati negli amministratori, nei sindaci, nei direttori generali e negli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, laddove il precedente testo si riferiva soltanto a chi svolgeva funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche, intermediari finanziari e soggetti inclusi nell'ambito della vigilanza consolidata per questa ricostruzione v. Sez. 5, numero 21067 del 11/03/2004, Bernardini, Rv. 229192 - 01 Sez. 5, numero 1252 del 08/11/2002, dep. 2003, Secchiero, Rv. 224113 - 01 . Peraltro, a partire dalla legge 28 dicembre 2005, numero 262  recante Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari , l'articolo 15, comma 1, lett. c , che ha modificato l'articolo 2638, commi primo e secondo, cod. civ., ha ulteriormente esteso l'ambito dei possibili soggetti attivi con l'inserimento dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari . L'articolo 2638 cod. civ., dunque, prevede un articolato meccanismo di tutela penale delle funzioni di vigilanza affidate alle autorità pubbliche rispetto a molteplici condotte che ne ostacolano l'esercizio cfr. Sez. 6, numero 17290 del 13/01/2006, Marino, in motivazione tutela che è affidata a due distinte e autonome fattispecie, secondo il modello che una parte della dottrina penalistica definisce della ed. norma mista cumulativa. La prima fattispecie, prevista dal comma primo, riguarda l'esposizione, nelle comunicazioni previste dalla legge, di fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero l'occultamento con mezzi fraudolenti diversi dall'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, di fatti sempre relativi alla situazione predetta, che i soggetti indicati avrebbero dovuto comunicare la seconda ipotesi delittuosa, contemplata dal comma successivo, concerne le condotte che, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ostacolano le funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza . Secondo la giurisprudenza di legittimità, il delitto previsto dal primo comma dell'articolo 2638 cod. civ. è un reato di mera condotta, che nel caso dell'occultamento di fatti deve concretarsi nel ricorso a mezzi fraudolenti, senza risolversi nel mero silenzio sulla loro esistenza Sez. 6, numero 40164 del 09/11/2010, Alma, Rv. 248821 - 01 , mentre quello previsto dal secondo comma è un delitto di evento, che richiede la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che, come appresso di dirà, può assumere qualsiasi forma Sez. 5, numero 6884 del 12/11/2015, dep. 2016, Giacomoni, Rv. 267169 - 01 Sez. 5, numero 42778 del 26/05/2017, Consoli, Rv. 271442 - 01 . Mentre nel primo caso l'elemento soggettivo è descritto con l'espressione, al fine di ostacolare le funzioni di vigilanza , integrando una ipotesi di dolo specifico, nel secondo comma esso deve essere identificato nel dolo generico diretto, atteso l'utilizzo nella disposizione incriminatrice dell'avverbio consapevolmente . In quest'ottica, pertanto, l'articolo 2638 cod. civ. sembra salvaguardare un bene istituzionale, strumentale alla protezione del bene - finale - del regolare funzionamento del mercato, che tuttavia non entra direttamente nell'alveo della protezione penale approntata dalla disposizione in commento. 3. Tra le molteplici questioni interpretative e applicative delle due fattispecie vengono in rilievo, nella presente vicenda, in particolare 3 profili problematici a la individuazione dell'autorità di vigilanza le cui funzioni siano state vulnerate b la definizione del perimetro delle condotte di ostacolo all'attività di vigilanza c l'esatta configurazione dell'elemento soggettivo. 3.1. Le autorità di vigilanza. Si è detto che la fattispecie di reato prevista dall'articolo 2638 cod. civ., così come novellato dall'articolo 1, D.Lgs. 11 aprile 2002, numero 61, si differenzia dalla precedente prevista dall'articolo 134, D.Lgs. 1 settembre 1993 numero 385  in tema di tutela dell'attività di vigilanza bancaria e finanziaria in quanto, tra l'altro, si riferisce ad attività di controllo di autorità pubbliche di vigilanza anche diverse dalla Banca d'Italia, cui si riferiva esclusivamente il menzionato articolo 134 Sez. 5, numero 1252 del 08/11/2002, dep. 2003, Secchiero, Rv. 224113 - 01 . Secondo la giurisprudenza di legittimità, l'articolo 2638 cod. civ. si riferisce ad un concetto tecnico di vigilanza, che deve essere inteso nel senso di potere di tipo ispettivo funzionale a esercitare un controllo preventivo e successivo sull'attività dei soggetti sottoposti, al fine di garantirne l'affidabilità nel mercato e nel rapporto con il pubblico Sez. 6, numero 44234 del 24/10/2005, Greco, Rv. 232849 - 01 in termini v. altresì Sez. 5, numero 10108 del 31/10/2014, Penocchio, in motivazione Sez. 3, numero 28164 del 29/05/2013, Mio, in motivazione . La delega del 2001, infatti, al punto b dell'articolo 11, chiedeva al legislatore delegato di armonizzare e coordinare le ipotesi sanzionatorie riguardanti le falsità nelle comunicazioni alle autorità pubbliche di vigilanza, l'ostacolo allo svolgimento delle relative funzioni e le omesse comunicazioni alle autorità medesime da parte di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società, enti o soggetti sottoposti per legge alla vigilanza di tali autorità, anche mediante la formulazione di fattispecie a carattere generale. Con una previsione non necessariamente rivolta alle sole discipline preesistenti, né sul piano della formulazione letterale non essendovi alcun riferimento esplicito a una siffatta delimitazione , né su quello sistematico, non cogliendosi nella legge delega alcuna ragione per la quale dalla armonizzazione dovessero essere lasciate fuori autorità pubbliche di vigilanza con caratteristiche dunque funzionali assimilabili a quelle già regolamentate. Nella relazione ministeriale di accompagnamento all'articolato, poi, si dice semplicemente che in attuazione dell'articolo 11 della legge delega si è ritenuto di costruire una fattispecie a carattere generale alla quale poter ricondurre le diverse figure previste al di fuori del codice, garantendo così l'uniformità sanzionatoria e ancora, che la elevata sanzione penale si spiega in considerazione della grande rilevanza che, in un sistema di libero mercato, riveste la tutela del corretto svolgimento delle funzioni di controllo affidate alle pubbliche autorità di vigilanza . E come puntualmente rilevato dalla dottrina, l'esigenza di armonizzazione ha trovato risposta nella formulazione, appunto, di una norma a carattere generale come quella dell'articolo 2638 cod. civ. In tale prospettiva si è affermato, ad esempio, che integra il delitto di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza la dolosa omissione, da parte del presidente di una società di calcio professionistica di fornire informazioni obbligatorie alla Federazione Italiana Gioco Calcio FIGC , posto che a questa è riconosciuta la titolarità di un potere ispettivo e di controllo di rilevanza pubblicistica attinente alla regolarità delle gestione delle società professionistiche di calcio Sez. 5, numero 10108 del 31/10/2014, dep. 2015, Penocchio, Rv. 262629 - 01 . Ciò in quanto lo Statuto del Coni, adottato dal Consiglio nazionale del Coni il 26 febbraio 2008, all'articolo 23 afferma che ai sensi del D.Lgs. 23 luglio 1999, numero 242, hanno valenza pubblicistica, tra le altre, le attività delle federazioni sportive nazionali relative al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici, attività nelle quali le federazioni si conformano agli indirizzi e ai controlli del CONI - ente di natura pubblica - pur senza modifica dell'ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse e in quanto all'articolo 19 dello statuto della FIGC è poi previsto il potere di controllo in capo a tale ente, per delega del Coni, sul rispetto dei principi della corretta gestione delle società professionistiche, avvalendosi di un organismo tecnico di controllo denominato Commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche COVISOC con ciò riconoscendosi alla FIGC un potere ispettivo e di controllo di rilevanza pubblicistica perché attinente alla regolare gestione delle società professionistiche di calcio, la cui tutela penale è stata rinvenuta ai sensi dell'articolo 2638 cod. civ. Nella stessa prospettiva si è ritenuto che rientra nel perimetro di tale fattispecie, l'ostacolo frapposto all'esercizio delle funzioni della Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio Professionistiche, organo che ai sensi dell'articolo 20, comma quarto, dello Statuto del C.O.N.I. assume specifica funzione pubblicistica Sez. 3, numero 28164 del 29/05/2013, Mio, Rv. 257142 - 01 . Viceversa, si è ritenuto che non integri il delitto di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche l'omissione di comunicazioni dovute all'Autorità per l'energia elettrica e il gas Sez. 5, numero 28070 del 11/02/2013, Dispenza, Rv. 255565 - 01 , così come l'omessa segnalazione all'Ufficio italiano cambi UIC di un'operazione sospetta da parte del responsabile di un istituto bancario Sez. 6, numero 44234 del 24/10/2005, Greco, Rv. 232849 - 01 . 3.2. L'ostacolo alle attività di vigilanza. Come detto, il secondo comma dell'articolo 2638 cod. civ. fa riferimento, nel delineare il fatto tipico, ai comportamenti che, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ostacolano le funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. La condotta tipica, pertanto, è costituita da qualsiasi forma di intralcio all'esercizio delle funzioni di vigilanza, ivi compresa l'omessa comunicazione di informazioni dovute Sez. 5, numero 49362 del 07/12/2012, Banco, Rv. 254065 - 01 Sez. 6, numero 17290 del 13/01/2006, Marino, in motivazione e il fatto previsto dalla norma incriminatrice postula che l'ostacolo all'attività di controllo si verifichi effettivamente, quale effetto della condotta dell'agente Sez. 1, numero 16800 del 20/10/2022, dep. 2023, Novelli Rv. 284625 - 01 . Dunque, il delitto in parola è reato a forma libera di evento Sez. 5, numero 21878 del 16/03/2023, De Blasi, Rv. 284753 - 01 evento che può essere integrato, oltre che dall'impedimento in toto dell'esercizio della funzione di vigilanza, anche dall'effettivo ostacolo frapposto al dispiegarsi della funzione, realizzato con comportamenti di qualsiasi forma che devono essere comunque tali da determinare difficoltà di considerevole spessore o un significativo rallentamento dell'attività di controllo, con esclusione del mero ritardo, alla stregua di un'interpretazione conforme al canone costituzionale di offensività Sez. 5, numero 29377 del 29/05/2019, Mussari, Rv. 276524 - 01 . E nel caso in cui la condotta sia realizzata in forma omissiva, come nell'ipotesi tipizzata dalla stessa norma incriminatrice, il reato si configurerà come omissivo improprio. E', quella proposta, un'interpretazione armonica rispetto agli obiettivi dell'intervento espressi nella relazione al decreto legislativo numero 61 del 2002, ove era stato precisato che si è ritenuto di prevedere la stessa pena per ambedue le ipotesi, attesa la sostanziale equivalenza fra la più grave condotta di falso, nella prima, e le condotte meno gravi, nella seconda, che però determinano l'ostacolo alle funzioni di vigilanza . Ciò che, appunto, conferma l'opzione ermeneutica che qualifica la condotta come a forma libera e, al contempo, la necessità che essa produca l'effetto, naturalistico o giuridico, di impedimento o di significativo intralcio all'esercizio della funzione di cui si è detto in precedenza. In altri termini, l'impedimento potrà sostanziarsi, innanzitutto, in un condizionamento, qualitativo o quantitativo, nell'esercizio della funzione di vigilanza, atteso che la nozione di ostacolo rimanda a un intervento opposto allo svolgimento di un'azione o all'esplicazione di una facoltà, valido a ridurne notevolmente l'effetto o la portata, ovvero anche a ritardarne il compimento, mentre non appartengono, invece, ad essa i caratteri della insuperabilità e definitività Sez. 5, numero 49362 del 07/12/2012, Consorte, Rv. 254063 - 01 o potrà consistere, nell'ipotesi in cui l'effetto di ostacolo sia stato esercitato nella sua massima portata, in un mancato esercizio della stessa funzione. E quando detta funzione concerna poteri ispettivi o di verifica, il reato potrà essere integrato, sul piano oggettivo, in presenza di qualunque comportamento che ne impedisca effettivamente l'esercizio, ivi comprese le molteplici e differenti condotte, puramente omissive, attraverso cui il destinatario dell'azione di verifica si sottragga al controllo. Tale interpretazione appare quella più rispettosa del principio di offensività, nel senso che l'integrazione della fattispecie deve essere correlata alla lesione recata alla funzione dalla condotta di ostacolo, che, astrattamente, potrebbe verificarsi anche in presenza di una situazione momentanea, ove realizzi un effettivo ostacolo alla funzione di vigilanza, con esclusione del mero ritardo e di ogni evento che non sia in grado di turbare in modo significativo l'attività dell'organo di vigilanza. 3.4. L'elemento soggettivo. Il delitto contemplato dal secondo comma dell'articolo 2638 cod. civ. è a dolo generico diretto, dovendosi escludere, tra le forme di dolo idonee a integrare la fattispecie incriminatrice, il dolo eventuale atteso l'utilizzo nella disposizione incriminatrice dell'avverbio consapevolmente Sez. 5, numero 21878 del 16/03/2023, De Blasi, Rv. 284753 - 01 . 4. Tanto premesso e venendo all'analisi della presente vicenda processuale alla luce delle censure sviluppate nel ricorso, non può esservi dubbio in relazione alla titolarità, in capo all'imputata, della qualifica richiesta dalla norma incriminatrice con riferimento al delitto ascrittole. E, infatti, pacifico e non contestato che Ma.Ma. rivestisse la qualità di amministratore unico e di legale rappresentante della Julia Global Service Società Cooperativa a responsabilità limitata. Ed altrettanto pacifico è che tale società fosse soggetta al controllo da parte di organi pubblici di vigilanza. 4.1. A quest'ultimo riguarda va, infatti, ricordato che l'articolo 45 Cost., nell'affermare che la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata , stabilisce altresì che la legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità . Dunque, il regime delineato dall'ordinamento è quello di un particolare favore verso questo modello imprenditoriale in ragione della sua peculiare funzione sociale favore che si esprime attraverso il riconoscimento di cospicue agevolazioni su molti fronti e al quale fa da contraltare la previsione di un regime di controlli esterni all'area della società diretti a verificare il mantenimento, da parte di quest'ultima, delle caratteristiche proprie dell'impresa mutualistica. L'attuale sistema della vigilanza delle società cooperative è delineato, in termini generali, dal decreto legislativo 2 agosto 2002, numero 220, emesso in attuazione dell'articolo 7, legge numero 142 del 2001, che ha riformato il sistema della vigilanza delineato dalla legge 14 dicembre 1947, numero 1577 c.d. legge Basevi . Il decreto legislativo e il successivo decreto ministeriale del 6 dicembre 2004 che ne costituisce attuazione, ai quali rinvia l'articolo 2545 - quaterdecies cod. civ. nello stabilire che le società cooperative sono sottoposte alla vigilanza e agli altri controlli previsti dalle leggi speciali , definiscono le finalità della vigilanza cooperativa, diretta all'accertamento dei requisiti mutualistici per tutte le forme di società cooperative, loro consorzi, gruppi cooperativi, società di mutuo soccorso ed enti mutualistici, consorzi agrari e, in particolare, l'assenza di scopi di lucro dell'ente nonché la sua legittimazione a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altro genere vigilanza la cui competenza è attribuita al Ministero delle attività produttive, che la esercita mediante ispezioni straordinarie e revisioni cooperative, queste ultime attraverso personale iscritto nel ed. elenco dei revisori , con la cadenza biennale stabilita dall'articolo 2 del decreto legislativo che contempla alcune eccezioni e secondo le modalità di svolgimento della revisione stabilite dall'articolo 7, decreto ministeriale del 6 dicembre 2004, che ha regolato, tra gli altri aspetti, anche il potere di diffida da parte del revisore entro un termine da 30 giorni a 3 mesi articolo 8 e la proposta di adozione dei provvedimenti sanzionatori articolo 11 previsti dall'articolo 12 del decreto legislativo dalle sanzioni amministrative pecuniarie alla cancellazione dall'albo delle cooperative, dalla gestione commissariale allo scioglimento autoritativo . Questa disciplina è applicabile, ai sensi dell'articolo 1, D.Lgs. numero 220 del 2002, a tutte le forme di società cooperative e ai loro consorzi, ai gruppi cooperativi, alle società di mutuo soccorso e agli enti mutualistici, nonché consorzi agrari. 4.2. Tanto osservato in termini generali, va evidenziato che l'articolo 1, comma 5, D.Lgs. numero 220 del 2002 stabilisce che restano ferme le funzioni di vigilanza riservate alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito della rispettiva competenza territoriale . A questo riguardo, deve rilevarsi che l'articolo 5 dello Statuto speciale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, numero 11, attribuisce alla Regione, con l'osservanza dei limiti generali indicati nell'articolo 4 e in armonia con i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato nelle singole materie, potestà legislativa in una seria di materie, tra le quali, al numero 17 , rientra anche quella della cooperazione, compresa la vigilanza sulle cooperative . Coerentemente con tale previsione, il legislatore regionale, con la legge Friuli Venezia Giulia del 3 dicembre 2007, numero 27, ha dettato una Disciplina organica in materia di promozione e vigilanza del comparto cooperativo , attraverso la quale è stato stabilito, per quanto di interesse, che la vigilanza sul settore delle cooperative si estrinsechi, in base all'articolo 15, comma 1, della predetta legge regionale, attraverso atti di indirizzo, quali i suggerimenti e i consigli forniti agli enti per il miglioramento della gestione lett. a , ma anche attraverso controlli volti ad accertare, anche attraverso una verifica della gestione amministrativo - contabile, la natura mutualistica dell'ente, verificando l'effettività della base sociale, la partecipazione dei soci alla vita sociale e allo scambio mutualistico con l'ente, la qualità di tale partecipazione, l'assenza di scopi di lucro dell'ente, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, e la legittimazione dell'ente a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura lett. b o, ancora, ad accertare la consistenza dello stato patrimoniale, attraverso l'acquisizione del bilancio d'esercizio, delle relazioni del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, nonché, ove prevista, della certificazione di bilancio lett. c . Nell'ambito di tale attività, l'organo di vigilanza - che l'articolo 2, comma 1, lett. a della legge regionale individua nella Direzione competente in materia di vigilanza sulla cooperazione, di seguito denominata Direzione, attraverso il Servizio competente per materia - si avvale del revisore, il quale, nell'esercizio delle sue funzioni, è dunque un incaricato di pubblico servizio, secondo quanto previsto dall'articolo 17, comma 7, legge numero 27 del 2007. Al revisore, infatti, è conferita la facoltà di a accedere presso la sede della cooperativa e in tutti gli altri luoghi di esercizio dell'attività, anche presso terzi, e sentire tutti i soggetti coinvolti nell'attività dell'ente medesimo, compresi i terzi b acquisire e trattenere la documentazione dell'ente cooperativo per un periodo massimo di trenta giorni, nonché estrarne copia c siglare i libri sociali e gli altri documenti al fine di impedire alterazioni o manomissioni degli stessi comma 6 potendo, inoltre, egli diffidare gli enti cooperativi a eliminare le irregolarità sanabili e avendo il compito di verificare, alla scadenza del termine indicato nella diffida, l'avvenuta regolarizzazione, mediante apposito accertamento v. articolo 17, comma 1 . E qualora riscontri il permanere delle anomalie rilevate, il revisore è tenuto, altresì, a trasmettere alla Direzione il verbale di revisione con la proposta di provvedimento v. articolo 17, comma 2, legge numero 27 del 2007 . Consegue alle considerazioni che precedono che, ai sensi dell'articolo 2638 cod. civ., l'autorità di vigilanza deve essere individuata, nel caso di specie, nella Direzione regionale competente in materia di vigilanza sulla cooperazione, ovvero nella Direzione centrale per le attività produttive della Regione Friuli Venezia Giulia, laddove il revisore costituisce un soggetto che svolge compiti ausiliari, attraverso un'attività funzionale all'esercizio dei poteri di indirizzo, accertativi e sanzionatori che spettano alla suddetta Direzione. Ed è, dunque, rispetto a quest'ultima che vanno verificate le condotte ascritte all'imputata e, in particolare, se esse abbiano ostacolato l'esercizio della funzione di vigilanza della Direzione, impedendole di svolgere, per il tramite del revisore, le prescritte verifiche. Ne consegue, pertanto, la complessiva infondatezza delle argomentazioni difensive articolate con il primo motivo di ricorso, volte a dimostrare che il revisore non poteva essere qualificato come autorità di vigilanza, posto che tale circostanza non assume alcuna rilevanza ai fini della integrazione della fattispecie incriminatrice qui in rilievo. 5. Parimenti infondati devono ritenersi il quarto e il quinto motivo di ricorso. Si è già osservato come l'articolo 2638, comma secondo, cod. civ. sanzioni la condotta di chi ostacoli consapevolmente le funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità e come l'evento del delitto de quo, consistente nell'ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, possa realizzarsi sia frapponendo al suo fisiologico dispiegarsi difficoltà significative o determinandone un significativo rallentamento che incida in maniera rilevante sulla funzione in parola Sez. 5, numero 29377 del 29/05/2019, Mussari, Rv. 276524 - 01 , sia, ovviamente, impedendo in toto detto esercizio. In questa prospettiva, la mancata risposta ai ripetuti tentativi da parte del revisore di stabilire un contatto con l'amministratrice, in uno con la mancata trasmissione della documentazione contabile e societaria necessaria per lo svolgimento dell'attività di revisione, ha costituito una condotta che certamente aveva ostacolato l'esercizio della funzione di controllo, non consentendo all'organo di vigilanza e ai suoi ausiliari, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, di accedere alle informazioni ritenute necessarie e di dare concreto avvio alla procedura di revisione, costituente la prima e iniziale fase delle attività di vigilanza. 6. Il secondo, il terzo e il quinto motivo sono, invece, fondati. 6.1. Si è detto che il delitto in esame, per essere integrato, richiede necessariamente che la condotta di ostacolo all'esercizio della funzione di vigilanza sia stata posta in essere consapevolmente, ovvero con un dolo generico diretto. Il che presuppone, all'evidenza, che l'imputata fosse consapevole nelle azioni positive realizzate dal revisore al fine di acquisire, nell'esercizio dei compiti di ausilio dell'organo di vigilanza, le informazioni atte a verificare la situazione della società cooperativa, onde intervenire in caso di violazione delle regole che la riguardavano, in particolare sul versante del permanere della sua vocazione mutualistica. E tuttavia, come si dirà, la motivazione della sentenza si palesa carente sul piano della dimostrazione che tale effettiva consapevolezza vi fosse e che, dunque, la mancata risposta alle reiterate sollecitazioni del revisore fosse il frutto di una scelta deliberata e non di una inerzia non voluta. 6.2. In argomento va evidenziato, in premessa, che ovviamente ai fini della dimostrazione del dolo, qui inteso come consapevole sottrarsi alle richieste del sistema della vigilanza, non può invocarsi il dato formale dell'avvenuta notifica della richiesta a mezzo PEC presso l'indirizzo di posta elettronica della società cooperativa né l'invio di una lettera raccomandata all'indirizzo della sede sociale. Tali adempimenti, invero, rilevano unicamente ai fini di una conoscenza legale di un determinato accadimento, nel senso che all'avvenuto recapito della comunicazione, eseguito in forme rituali, è riconosciuta una presunzione normativa di effettiva conoscenza e tuttavia un siffatto meccanismo non può certo essere utilizzato ai fini della dimostrazione del dolo di un reato, che consiste sì in una categoria normativa, ma avente come sostrato un dato psicologico reale e non presuntivamente affermato. Dunque, la circostanza che la comunicazione informale di avvio del procedimento di revisione e la successiva diffida formale a consentirne l'espletamento, corredata dall'avvertimento dei provvedimenti conseguenti previsti dall'articolo 23, legge regionale numero 27 del 2007, fossero state regolarmente notificate a mezzo PEC in data 12 novembre 2016 e 25 novembre 2016, pur integrando un meccanismo di conoscenza legale delle comunicazioni a fini processuali da parte di un soggetto che era amministratrice e legale rappresentante della società cooperativa a responsabilità limitata, non consente di affermare, ai fini della sussistenza del dolo, che ella fosse effettivamente a conoscenza dell'invito informale a prendere contatto con il revisore e della successiva diffida formale da parte del medesimo. Né, per la stessa ragione, può ritenersi significativa la circostanza che la notifica del successivo invito a mezzo lettera raccomandata sia formalmente andata a buon fine ove non si dimostri che l'imputata ne abbia avuto effettiva conoscenza tanto più che la raccomandata in questione nel caso di specie era stata recapitata presso la residenza dell'imputata risultante alla Camera di commercio e, dunque, a un indirizzo diverso da quello della residenza effettiva, che la sentenza ha riferito essere stata più volte mutata nel corso degli anni. 6.3. Né maggiore rilevanza, ai fini della dimostrazione del dolo, può attribuirsi agli elementi indiziari valorizzati dalla sentenza impugnata, i quali, per come riportati dalla Corte di appello, nel complessivo ragionamento ricostruttivo dalla stessa compiuto, non forniscono un univoco significato probatorio all'apparato giustificativo allestito, che presenta, dunque, profili di manifesta illogicità. Sul punto, va osservato che la stessa sentenza impugnata ha dato atto che la Ma. non curava la lettura della casella di posta elettronica incombenza di cui si occupava la figlia, la quale aveva però cessato il suo rapporto di lavoro con la cooperativa prima dei fatti in contestazione. Ne consegue che la Corte territoriale ha dovuto spiegare le ragioni per le quali, muovendo da tale premessa, dovesse ritenersi, applicando le regole ordinarie di inferenza probatoria, che ella fosse stata comunque a conoscenza delle comunicazioni inviatele. Da un lato, si è valorizzata la circostanza che né l'imputata, né i dipendenti della cooperativa sentiti a dibattimento Mi. e Ga. avessero mai riferito di eventuali malfunzionamenti della PEC o di problematiche nell'accesso alla casella di posta o nella ricezione dei messaggi e avendo, anzi, la Mi. dato conto del fatto che ad essa si poteva accedere in qualunque momento dallo smartphone, da un computer presso la sua abitazione e da alcuni terminali posti nei locali della cooperativa. Tali circostanze, nondimeno, non valgono a dimostrare l'effettiva conoscenza della comunicazione, una volta assunto come premessa il fatto che, come detto, la Ma. non si occupasse della lettura della posta elettronica della cooperativa. Nella medesima prospettiva, appare generica l'affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui la Mi., figlia della Ma., non avesse mai riferito che la madre non conosceva il contenuto delle comunicazioni che pervenivano via PEC alla cooperativa, posto che essa descrive un contesto organizzativo che, per quanto riportato nel provvedimento impugnato, era precedente all'invio delle comunicazioni di cui si discute, avendo la Mi. cessato il suo rapporto di lavoro con la cooperativa in data 18 aprile 2016. In proposito, l'affermazione secondo cui doveva ritenersi assolutamente verosimile che la donna avesse continuato a frequentare la madre e a prestarle aiuto per l'utilizzo degli strumenti informatici non appare fondata su alcuno specifico elemento di fatto. E l'osservazione, pur astrattamente condivisibile, secondo cui la Ma. non poteva aver smesso improvvisamente di occuparsi della cooperativa, sicché, ragionevolmente, doveva aver trovato un modo per continuare a leggere la posta certificata, non fornisce alcuno specifico riscontro all'effettiva conoscenza delle due comunicazioni in argomento. Parimenti, non dirimente può ritenersi il passaggio della deposizione di Ga., nipote della Ma. e dipendente della Julia Global Service, secondo cui la nonna era a conoscenza delle dinamiche della cooperativa e si occupava attivamente della gestione della stéssa, posto che, ancora una volta, la Corte territoriale ha precisato che secondo il teste l'imputata richiedeva l'ausilio della Mi. per l'utilizzo dei sistemi informatici. Quanto, infine, ai tentativi della Guardia di finanza di mettersi in contatto con l'imputata, si è al cospetto di circostanze indubbiamente suggestive, ma che non restituiscono in maniera univoca, per come rappresentate in sentenza, un quadro pienamente rassicurante in ordine alla effettiva conoscenza delle comunicazioni trasmesse. Ciò è a dirsi per l'episodio della visita domiciliare, in relazione al quale non è stato spiegato sulla base di quali elementi di fatto potesse ritenersi che la Ma. fosse in casa all'arrivo dei militari ma anche per la telefonata sulla sua utenza cellulare, ricevuta dalla figlia, rispetto alla quale non sono stati indicati gli elementi di fatto in base ai quali ritenere provato che costei avesse riferito alla madre della chiamata in questione. Ne consegue, conclusivamente, che appare indispensabile un nuovo vaglio da parte dei Giudici di merito in ordine al profilo, chiaramente essenziale, della effettiva conoscenza, in capo all'imputata, delle comunicazioni trasmesse dal revisore, a partire dalla quale possa affermarsi che la sua condotta omissiva, certamente efficace sul piano causale nell'impedire l'esercizio della funzione di vigilanza, sia stata consapevolmente diretta a determinare tale risultato. 7. All'accoglimento dei motivi principali e al conseguente annullamento sul punto relativo alla configurabilità dell'elemento soggettivo consegue che le censure relative al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche devono ritenersi assorbite, anche se ovviamente non precluse nella fase di rinvio. 8. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste.