Con sentenza numero 173 del 2024, la Corte Costituzionale, a proposito della misura cautelare del divieto di avvicinamento, ha affrontato il delicato, e non nuovo, tema del bilanciamento tra i valori - da un lato, la libertà di movimento della persona indagata, dall’altro, l’incolumità fisica e psicologica della persona minacciata – rafforzando il ruolo del giudice de libertate e confermando il limite posto all’operatività di automatismi.
La decisone Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Modena ha sollevato, in riferimento agli articolo 3 e 13 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 282-ter, commi 1 e 2, c.p.p., come modificato dalla l. numero 168 del 2023, nella parte in cui «non consente al giudice, tenuto conto di tutte le specificità del caso concreto e motivando sulle stesse, di stabilire una distanza inferiore a quella legalmente prevista di 500 metri» e al contempo «prevede che, qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle modalità di controllo, il giudice debba necessariamente imporre l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi, senza, invece, possibilità di valutare e motivare, pur garantendo le esigenze cautelari di cui all'articolo 274 c.p.p., la non necessità di applicazione del dispositivo elettronico di controllo nel caso concreto». Il giudice a quo ha evidenziato che nei confronti di indagato del reato di atti persecutori, aggravato da preesistente relazione affettiva, a norma dell'articolo 612-bis, comma 2, c.p., era stata applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa con l'attivazione del dispositivo elettronico di controllo remoto e con la prescrizione di mantenere dalla persona offesa e dai luoghi dalla stessa abitualmente frequentati – allo stato individuati nella casa di abitazione e nel luogo di lavoro – una distanza di almeno cinquecento metri. A questo proposito si è sottolineato che i Carabinieri, delegati per l'esecuzione della misura, hanno evidenziato tanto la non sufficiente copertura della rete mobile, necessaria per il funzionamento del dispositivo elettronico di controllo presso il luogo di residenza dell'indagata, quanto l'impossibilità di osservare la distanza minima legale di cinquecento metri, attese le modeste dimensioni del centro abitato. La Corte costituzionale ha ritenuto non fondate le censure formulate dal giudice a quo, in quanto, per un verso, «la distanza indicata non appare in sé esorbitante, e corrisponde alla funzione pratica del tracciamento di prossimità, che è quella di dare uno spazio di tempo sufficiente alla potenziale vittima di più gravi reati per trovare sicuro riparo e alle forze dell'ordine per intervenire in soccorso» per altro verso, qualora risultasse «impraticabile il divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico per ragioni di non fattibilità tecnica, il giudice deve rivalutare la fattispecie concreta senza preclusioni, né automatismi, e quindi, in aderenza alle regole comuni di adeguatezza e proporzionalità, come può aggravare la coercizione cautelare, così può alleviarla». Le argomentazioni della Corte a Ricostruzione normativa e ratio della riforma del 2023 In via di premessa, occorre ricordare che per il rimettente la questione non è manifestamente infondata in quanto le disposizioni censurate appaiono «travalicare i limiti della ragionevolezza e della proporzione, quali corollari del principio di uguaglianza consacrato nell'articolo 3 Cost.», atteso che «il carattere fisso della distanza minima di cinquecento metri e l'effetto di aggravamento della misura determinato dagli ostacoli tecnici inerenti al dispositivo di controllo impedirebbero di tenere conto della gravità del fatto, della personalità dell'indagato e di altre specificità che possono presentarsi nel caso sottoposto al giudice quali, come nel caso di specie, la concreta conformazione del territorio ». Si è dedotta, poi, la violazione dell'articolo 13 Cost., «sotto il profilo della riserva di giurisdizione sulla misura restrittiva della libertà personale, in quanto sia l'estensione dell'area interdetta, sia le conseguenze di aggravamento degli ostacoli tecnici, sarebbero stabilite dal legislatore direttamente ed indiscriminatamente». La Corte Costituzionale, prima di affrontare le due questioni di legittimità, ha compiuto un'attenta ricostruzione normativa della previsione in esame, al fine di cogliere i plurimi interventi di riforma e, con essi, la ragion d'essere della scelta operata dal legislatore ovvero, da un lato, «l'avvertita necessità di includere nella sfera di protezione le relazioni non fondate sulla condivisione della casa familiare» dall'altro, «l'esigenza di accentuare la funzione protettiva della misura, che per i reati di genere si pone in termini peculiari», attraverso l'imposizione del dispositivo di controllo tecnico, cosiddetto braccialetto elettronico. Anche a proposito del controllo elettronico la Corte ha formulato alcune considerazioni preliminari, al fine di ricordare, come sostenuto nel diritto vivente, che gli arresti domiciliari con controllo elettronico sono adesso la regola e quelli “semplici” l'eccezione e di evidenziare la particolare operatività pratica che connota il ricorso al braccialetto quale modalità esecutiva del divieto di avvicinamento. Infatti, «mentre negli arresti domiciliari il braccialetto è un presidio unidirezionale, che consente alle forze dell'ordine di monitorare un'eventuale evasione, nel divieto di avvicinamento esso è un presidio bidirezionale, che, in caso di avvicinamento vietato, allerta non solo le forze dell'ordine, ma anche la vittima, dotata di apposito ricettore». Successivamente, la Corte è passata a sottolineare tutte le modifiche apportate con la l. numero 168 del 2023, ispirata dalla «ratio di massimizzare la capacità difensiva del tracciamento di prossimità», come l'obbligatorio ricorso al controllo elettronico nel divieto di avvicinamento, la fissazione di una distanza minima, che deve essere comunque non inferiore a cinquecento metri, nonché l'estensione di tale previsione pure all'eventuale tutela dei prossimi congiunti della persona offesa e delle persone con questa conviventi o a questa legate da relazione affettiva. A tal proposito, la Corte non ha mancato di rilevare che, se analoghe modifiche hanno riguardato anche la misura cautelare di cui all'articolo 282-bis c.p.p., non hanno, invece, interessato il divieto di avvicinamento disposto in fase precautelare, quale prescrizione accessoria dell'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare, di cui all'articolo 384-bis c.p.p. b Limiti agli automatismi applicativi in materia cautelare Queste premesse hanno consentito alla Corte di passare al tema di fondo proposto dal giudice a quo ovvero l'ipotizzabile “automatismo” determinato dal riformulato articolo 282-ter c.p.p. con una previsione «tanto rigida da precluderne ogni adeguamento alle esigenze cautelari del caso concreto, imponendone peraltro l'aggravamento nel caso in cui – come nella specie – le piccole dimensioni del centro abitato e l'assenza di una sufficiente copertura di rete, aspetti evidentemente non imputabili all'indagato, determinino l'oggettiva inattuabilità di una misura siffatta». Questo tema ha, da tempo, colto l'attenzione della Corte, che nella vicenda in esame non ha perso l'occasione di ricordare la corposa elaborazione giurisprudenziale prodotta al fine di ribadire, da un lato, come la coercizione cautelare, in ossequio al principio di ragionevolezza ex articolo 3 Cost. e al favor libertatis ex articolo 13 Cost., deve rispondere ai criteri del minor sacrificio e, dall'altro, che, in relazione alle fattispecie di reato per le quali opera una presunzione assoluta di pericolosità e con esso il persistente automatismo custodiale, la stessa Corte, investita delle censure ex articolo 3,13 e 27 Cost., ha dichiarato le stesse manifestamente infondate ordinanza numero 136 del 2017, per il reato ex articolo 416-bis c.p. o non fondate sentenza numero 191 del 2020, per il reato ex articolo 270-bis c.p. , facendo leva «sull'eccezionale pericolosità correlata alla normale persistenza del vincolo associativo mafioso o terroristico , a fronte della quale si è ritenuto non censurabile il bilanciamento effettuato dal legislatore, con la finalità di prevenire il rischio di un'eventuale sopravvalutazione, da parte del giudice, dell'adeguatezza di una misura non carceraria sentenza numero 191 del 2020 ». Rispetto alle due questioni di legittimità formulate, la Corte ha evidenziato come «ogni considerazione si sposta quindi sul piano del bilanciamento tra i valori in tensione da un lato, la libertà di movimento della persona indagata, dall'altro, l'incolumità fisica e psicologica della persona minacciata». Proprio in ragione della ricerca di tale bilanciamento, la Corte ha ritenuto che l'applicazione del braccialetto elettronico «non impedisce alla persona soggetta al divieto di avvicinamento di uscire dalla propria abitazione e soddisfare tutte le proprie necessità di vita, purché essa non oltrepassi il limite dei cinquecento metri dai luoghi specificamente interdetti o da quello in cui si trova la vittima del reato in relazione al quale il divieto stesso è stato disposto». A tal proposito, ha aggiunto che «la distanza indicata non appare in sé esorbitante, e corrisponde alla funzione pratica del tracciamento di prossimità, che è quella di dare uno spazio di tempo sufficiente alla potenziale vittima di più gravi reati per trovare sicuro riparo e alle forze dell'ordine per intervenire in soccorso». Né una diversa soluzione sembra ragionevole per ambiti territoriali ristretti secondo la Corte, infatti, «negli abitati più piccoli la distanza di cinquecento metri può rivelarsi stringente, ma, ove ciò si verifichi, all'indagato ne viene un aggravio che può ritenersi sopportabile, quello di recarsi nel centro più vicino per trovare i servizi di cui necessita, senza rischiare di invadere la zona di rispetto». Sempre nell'ottica del conseguimento del necessario bilanciamento, in ragione del quale «a un sacrificio relativamente sostenibile per l'indagato si contrappone l'impellente necessità di salvaguardare l'incolumità della persona offesa», la Corte ha cercato di sostenere la propria tesi facendo ricorso alle fonti sovranazionali. Sul punto, ha evidenziato come «oltre che non irragionevole, questo bilanciamento asseconda il criterio di priorità enunciato dall'articolo 52 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica» del 2011 così come Il controllo elettronico nell'attuazione delle ordinanze restrittive e degli ordini di protezione è specificamente previsto dalla direttiva UE 2024/1385. Superata la doglianza riguardante la distanza dei cinquecento metri, la Corte ha affrontato l'altra censura proponendo una interpretazione “in senso costituzionalmente adeguato”. Partendo dal dato letterale, ovvero valorizzando la particella “anche”, che figura nell'articolo 282-ter, comma 1, c.p.p., al fine di limitare il ricorso da parte del giudice, necessariamente, a misure “più gravi” tutte le volte in cui si verifichi la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, la Corte è giunta ad affermare che anche per l'adozione del divieto di avvicinamento disciplinato nell'articolo 282-ter c.p.p., è riproducibile «il modulo di rivalutazione delle esigenze cautelari individuato dalle sezioni unite della Corte di cassazione per l'ipotesi di indisponibilità del braccialetto elettronico negli arresti domiciliari inattuabili gli arresti con controllo elettronico, non subentra alcun automatismo, né a favore dell'indagato arresti “semplici” , né a suo sfavore custodia in carcere , occorrendo invece rivalutare l'idoneità, la necessità e la proporzionalità di ciascuna misura in relazione alle esigenze cautelari del caso concreto Cass., sez. Unumero , numero 20769 del 2016 ». Di conseguenza, ove risulti «impraticabile il divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico per ragioni di non fattibilità tecnica, il giudice deve rivalutare la fattispecie concreta senza preclusioni, né automatismi, e quindi, in aderenza alle regole comuni di adeguatezza e proporzionalità, come può aggravare la coercizione cautelare, così può alleviarla». Da tale interpretazione ne esce rafforzata la funzione giurisdizionale de libertate, ma al contempo anche l'onere sul piano motivazionale in ordine al bilanciamento, nel caso concreto, tra tutela della persona offesa e principio del minor sacrificio.