In un caso di assistito latitante, è stato chiarito che la nozione di «irreperibile» va intesa in senso lato e può inglobare, quindi, anche le ipotesi di latitanza dell'imputato assistito dal difensore d'ufficio. Non è, dunque, necessario per quest'ultimo esperire un preventivo tentativo di recupero del credito professionale verso il cliente.
La Suprema Corte, con la pronuncia in analisi, si è espressa sulla delicata questione del compenso dell'avvocato in caso di latitanza dell'assistito. Nel caso in esame, un'avvocata, nominata difensore d'ufficio per un cittadino albanese latitante, chiedeva ai giudici di merito la liquidazione degli onorari. La richiesta veniva, tuttavia, respinta poiché la ricorrente non aveva provato di aver tentato di recuperare il credito professionale dal suo assistito, come richiesto dalla legge. L'avvocata, però, ricordando la disciplina nei casi simili di difesa d'ufficio dell'irreperibile, si opponeva al decreto per ottenere dalla Corte d'Appello quanto richiesto. Dopo l'equiparazione dei giudici del latitante all'irreperibile per quanto riguarda la liquidazione del compenso, il Ministero della Giustizia proponeva, allora, ricorso in Cassazione. Il Ministero metteva in luce la differenza concettuale tra latitanza e irreperibilità, le disparità nella ricerca della polizia giudiziaria tra le due situazioni e il principio secondo cui la condizione di irreperibilità si riferisce a una situazione che rende irrintracciabile il debitore, impendendo qualsiasi tentativo di recupero del credito professionale. Per i Giudici, tale tesi appare infondata in quanto, come già ribadito anche in recenti pronunce, la nozione di irreperibile, di cui all'articolo 117 del d.P.R. numero 115/2002, va intesa in senso lato, ossia come non rintracciabilità, comprendente anche le ipotesi di latitanza dell'imputato assistito dal difensore d'ufficio, dato che la norma stessa non chiarisce il significato del termine «irreperibile» in tal senso Cass.16585/2021 . Si è, infatti, ritenuto di dover evidenziare la ratio sottesa al combinato disposto degli artt.116 e 117 del d.P.R. numero 115/2002, per la quale «la condizione di irreperibilità afferisce ad una situazione sostanziale di fatto che, rendendo irrintracciabile il debitore, impedisca di effettuare qualsivoglia procedura per il recupero del credito professionale.» Inoltre, la Corte di Cassazione ha chiarito che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, non si tratta di applicare analogicamente una norma eccezionale l'articolo 117 del d.P.R. numero 115/2002 , che solo per il difensore d'ufficio dell'imputato irreperibile in senso tecnico escluda la necessità del preventivo tentativo di recupero del credito professionale verso il cliente, ma di applicare estensivamente una norma che in tutti i casi di difensore d'ufficio di un imputato sostanzialmente irreperibile prevede che il legale, al quale non é ascrivibile alcuna responsabilità per il comportamento tenuto dall'assistito, non debba procedere al preventivo tentativo di recupero del credito. Invero, «la circostanza che latitante sia l'imputato che volontariamente si sia sottratto alla cattura, e che invece l'irreperibilità possa essersi anche involontariamente determinata, non legittima l'applicazione nel primo caso di un trattamento del difensore d'ufficio deteriore rispetto a quello previsto dall'articolo 117 del d.P.R. numero 115/2002 per il difensore d'ufficio dell'imputato irreperibile, non potendosi fare ricadere sul difensore d'ufficio, che ha eseguito una prestazione doverosa per garantire comunque l'esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito ed assicurare un giusto processo, eventuali responsabilità per la condotta tenuta dal suo assistito e non potendosi penalizzare il diritto del professionista al compenso attraverso l'imposizione di ricerche costose e quasi certamente infruttuose nella specie l'assistito, cittadino straniero latitante, non aveva neppure il permesso di soggiorno .» Alla luce di queste considerazioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Presidente Carrato - Relatore Picaro Fatti di causa L'avv. M.S. veniva nominata difensore d'ufficio nel procedimento penale numero 4827/2009 del cittadino albanese, T.I., dichiarato latitante il 24.1.2008 dal Gip presso il Tribunale di Firenze, ed in quella veste lo patrocinava in diverse fasi/gradi di giudizio, davanti al GUP presso il Tribunale di Firenze, al Tribunale di Livorno in composizione collegiale, alla Corte di appello di Firenze ed alla Corte di cassazione. Conclusosi il giudizio di legittimità il 23.5.2019, l'avv. M.S. presentava istanza di liquidazione degli onorari del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Firenze, che - a differenza di quanto avvenuto per i compensi professionali dei precedenti gradi, regolarmente liquidati a carico dello Stato - veniva respinta il 14.5.2020, in quanto presentata senza aver prima tentato di recuperare dal proprio assistito il credito professionale vantato nei suoi confronti secondo il disposto dell'articolo 116 del D.P.R. numero 115/2002. Contro il decreto del 14.5.2020, proponeva opposizione, con ricorso ex articolo 702 bis c.p.c., 170 del D.P.R. 30.5.2002 numero 115 e 15 del D.Lgs. 1.9.2011numero 150, l'avv. M.S., la quale, ai fini dell'accoglimento della sua istanza di liquidazione, invocava l'applicazione estensiva dell'articolo 117 del D.P.R. numero 115/2002, che in caso di difesa d'ufficio dell'irreperibile, al quale andava equiparato il latitante, esonerava il difensore dall'onere del preventivo esperimento delle procedure di recupero del credito professionale. Si costituiva nel giudizio di opposizione il Ministero della Giustizia, che - pur dando atto del contrasto giurisprudenziale della Suprema Corte sul punto - chiedeva il rigetto dell'opposizione, aderendo a quell'orientamento che escludeva l'applicazione analogica dell'articolo 117 del D.P.R. numero 115/2002, dettato per l'imputato irreperibile, al latitante, perché considerava tale norma di carattere eccezionale rispetto al principio generale dell'articolo 116 dello stesso decreto, secondo il quale il difensore d'ufficio poteva richiedere allo Stato i propri compensi professionali solo a condizione che dimostrasse di avere inutilmente attivato la procedura di recupero del credito nei confronti del cliente. Il Presidente delegato della Corte di appello di Firenze, previo intervento del Pubblico Ministero che concludeva per il rigetto dell'opposizione , con l'ordinanza numero cronol. 233/2020 del 28.9.2020, in accoglimento dell'opposizione ed in riforma dell'impugnato provvedimento, liquidava a favore dell'avv. M.S. l'importo di € 1.130,00, oltre accessori di legge, per l'attività professionale svolta a favore del latitante T.I. nel giudizio di cassazione, e condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della M.S. dell'importo di € 1.830,00 oltre accessori di legge per i compensi del giudizio di opposizione. A sostegno dell'adottata ordinanza, il citato Presidente delegato - richiamava la prevalente giurisprudenza di legittimità Cass. civ. numero 13498/2007 Cass. penumero numero 115/2005 Cass. penumero numero 10367/2004 , che equiparava il latitante al soggetto irreperibile ai fini della liquidazione del compenso al difensore d'ufficio senza la necessità di attivare preventivamente procedure di recupero del credito professionale - sottolineava che per i precedenti gradi di giudizio l'avv. M.S. aveva già ottenuto le sue spettanze professionali per la difesa apprestata a favore del latitante T.I., senza dover dimostrare di avere vanamente attivato procedure di recupero dei crediti professionali - rilevava che la distinzione concettuale tra latitante ed irreperibile, pur sussistente, incideva su aspetti che non giustificavano il diniego del compenso al difensore d'ufficio - considerava che non vi era ragione di pregiudicare il diritto al compenso del difensore d'ufficio sol perché nel caso di latitanza l'imputato si sottrae volontariamente all'esecuzione di una cattura, mentre l'irreperibilità può anche essere involontaria, posto che il difensore è chiamato d'ufficio ad assistere l'imputato, latitante o irreperibile che sia. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero della Giustizia, affidandolo ad un unico motivo. Ha resistito con controricorso l'intimata Avv. M.S E' stata formulata proposta di definizione anticipata ex articolo 380 bis c.p.c. per inammissibilità e/o manifesta infondatezza con richiamo al principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine all'equiparazione - ai fini della liquidazione del compenso al difensore d'ufficio - della posizione del difensore dell'imputato latitante a quella del difensore dell'imputato irreperibile, per il quale l'articolo 117 del D.P.R. numero 115 del 2002 non prevede il previo inutile esperimento delle procedure per il recupero dei crediti professionali come condizione per la liquidazione da parte dell'autorità giudiziaria con richiamo a Cass. 8.6.2007 numero 13498 . Comunicata la proposta in data 20.11.2023, l'Avvocatura dello Stato per il Ministero della Giustizia ha presentato tempestiva istanza di decisione ex articolo 380 bis comma 2° c.p.c In esito alla fissazione dell'adunanza in camera di consiglio, entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 380 bis.1 c.p.c Ragioni della decisione 1 Con l'unico motivo il Ministero della Giustizia denuncia, in relazione all'articolo 360 comma primo numero 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 116 e 117 del D.P.R. numero 115/2002, sostenendo che l'ordinanza impugnata, date le molteplici differenze esistenti tra la situazione del soggetto latitante rispetto a quella del soggetto irreperibile, avrebbe dovuto respingere l'istanza di liquidazione del compenso presentata dal difensore d'ufficio di imputato latitante, per non avere preventivamente tentato il recupero del credito professionale nei confronti del cliente, come richiesto dall'articolo 116 del D.P.R. numero 115/2002. Dopo avere richiamato l'orientamento prevalente della Suprema Corte, che ai fini della liquidazione del compenso al difensore d'ufficio equipara il caso in cui il patrocinato sia latitante a quello in cui sia irreperibile, ritenendo per entrambi non necessario il preventivo tentativo di recupero del credito professionale verso il cliente Cass. numero 13498/2007 Cass. penumero numero 115/2005 Cass. penumero numero 10367/2004 , e l'orientamento minoritario Cass. numero 13875/2010 Cass. penumero numero 32289/2003 Cass. penumero numero 48217/2001 , che ritiene invece inapplicabile analogicamente al difensore di imputato latitante l'articolo 117 del D.P.R. numero 115/2002, norma qualificata come eccezionale che esclude la necessità del preventivo tentativo di recupero del credito professionale verso il cliente solo per il difensore di imputato irreperibile, il Ministero ricorrente dichiara di aderire a quest'ultimo orientamento. Al fine di giustificare il possibile superamento dell'orientamento maggioritario, il Ministero adduce i seguenti argomenti 1 la lettera degli articoli 116 e 117 del D.P.R. numero 115/2002 indica che il difensore d'ufficio ha diritto di essere remunerato dallo Stato a condizione che abbia preventivamente tentato, sia pure inutilmente, di recuperare il credito professionale nei confronti del proprio assistito, salvo il caso in cui sia irreperibile 2 la relazione illustrativa del D.P.R. numero 115/2002, dalla quale è desumibile l'intenzione del legislatore, conferma la bontà di tale interpretazione, in quanto espone, per l'articolo 116, che la procedura disciplinata rappresenta “un modo per assicurare l'effettività e l'efficacia della difesa d'ufficio, garantendo la retribuzione al difensore, se il proprio assistito non paga”, e per l'articolo 117, che la procedura rappresenta “un modo per assicurare l'effettività e l'efficacia della difesa d'ufficio, garantendo la retribuzione al difensore, in caso di irreperibilità del difeso” 3 tra latitanza ed irreperibilità esiste una distinzione ontologica, in quanto la prima é frutto di un'opzione strategica difensiva, mentre la seconda non è determinata da una condotta necessariamente volontaria Cass. penumero numero 32289/2003 4 l'irreperibilità è dichiarata allorquando il soggetto non venga trovato “nel luogo di nascita, dell'ultima residenza anagrafica, dell'ultima dimora, in quello dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa e presso l'amministrazione carceraria centrale” articolo 159,157 e 169 c.p.p. , mentre la latitanza presuppone solo che il destinatario di un provvedimento limitativo della sua libertà si sottragga volontariamente all'applicazione dello stesso articolo 296 c.p.p. 5 le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai fini della dichiarazione di latitanza e dell'irreperibilità sono diverse, in quanto le prime non devono essere effettuate in tutti i luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione d'irreperibilità Cass. penumero numero 31285/2017 , per cui l'applicazione analogica dell'articolo 117 del D.P.R. numero 115/2002, che esclude la necessità del preventivo tentativo di recupero del credito professionale, sarebbe ipotizzabile, se quell'articolo si riferisse al latitante, per estendere il trattamento di favore all'ipotesi dell'imputato irreperibile, per il quale la polizia giudiziaria deve effettuare ricerche più approfondite, ma non nel caso inverso. 2 Ritiene il collegio - di contro - che deve essere ribadito l'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte di gran lunga maggioritario e reiterato anche in recenti pronunce, secondo il quale la nozione di irreperibile di cui all'articolo 117 del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 117, va intesa in senso lato, ossia come irrintracciabilità, comprendente anche le ipotesi di latitanza dell'imputato assistito dal difensore d'ufficio, atteso che la norma stessa non specifica il significato del termine irreperibile e non richiama espressamente gli articoli 159 e 160 c.p.p., sicché non chiarisce se irreperibile è solo il soggetto che tale sia stato dichiarato nel corso del procedimento penale con apposito decreto del giudice, ovvero anche la persona che, pur rintracciata nel procedimento penale, venga successivamente a trovarsi in una situazione di sostanziale irrintracciabilità vedi in tal senso Cass. 11.6.2021 numero 16585 Cass. 20.8.2020 numero 17452 Cass. 7.2.2020 numero 2923 Cass. 24.6.2015 numero 13132 Cass. 8.6.2007 numero 13498 . Si è, infatti, ritenuto di dover valorizzare la ratio sottesa al combinato disposto degli articoli 116 e 117 del D.P.R. numero 115 del 2002, per la quale il difensore è tenuto ad esperire le procedure per il recupero dell'onorario e delle spese, non potendo queste essere poste a carico dell'erario solo per l'assunzione officiosa dell'incarico professionale, se tali procedure non sono possibili perché se il debitore non è rintracciabile è, appunto, irreperibile, non può esigersi che il difensore esperisca alcuna attività in tal senso, questa essendo del tutto vanificata da tale condizione del debitore medesimo, e le spese, in tal caso, vanno poste a carico dell'erario, che ha diritto di ripetere le somme anticipate da chi si è reso successivamente reperibile . Ne discende che la condizione di irreperibilità afferisce ad una situazione sostanziale di fatto che, rendendo irrintracciabile il debitore, impedisca di effettuare qualsivoglia procedura per il recupero del credito professionale. Depone per tale conclusione anche la considerazione che l'irreperibilità deve sussistere al momento in cui il creditore è in grado di azionare la sua pretesa, e se a quel momento il procedimento penale si è già concluso e non si faccia questione alcuna in sede di esecuzione, non è dato al giudice emettere più alcun decreto ex articolo 160 c.p.p. la diversa tesi comporterebbe la conclusione - non conforme ai principi costituzionali - che se l'indagato, imputato o condannato non sia stato formalmente dichiarato irreperibile nel procedimento penale e tale si sia reso dopo la conclusione dello stesso, nessun compenso spetterebbe al difensore pur non essendo questi in grado di esperire alcuna procedura recuperatoria nei confronti di quel soggetto, e del resto le sezioni penali di questa Corte hanno ritenuto l'equiparabilità, in materia di liquidazione delle spese al difensore d'ufficio, dell'irreperibilità di fatto presunta ex articolo 161 comma 4° c.p.p. dell'imputato assistito, a quella formalmente dichiarata ex articolo 159 c.p.p. Cass. penumero 3.7.2003, Lanni Cass. penumero 3.12.2002, Abate Azaro . Quanto agli ulteriori argomenti addotti dal Ministero allo scopo di superare l'orientamento maggioritario di questa Corte già richiamato, si ritiene che essi siano inidonei a giustificare un mutamento dell'interpretazione da considerarsi essenzialmente consolidata. Anzitutto non si tratta di applicare analogicamente una norma eccezionale l'articolo 117 del D.P.R. numero 115/2002 , che solo per il difensore d'ufficio dell'imputato irreperibile in senso tecnico escluda, ai fini della liquidazione del compenso da parte dello Stato, la necessità del preventivo tentativo di recupero del credito professionale verso il cliente, ma di applicare estensivamente una norma che in tutti i casi di difensore d'ufficio di un imputato sostanzialmente irreperibile, ossia irrintracciabile, prevede che il difensore, al quale certamente non è ascrivibile alcuna responsabilità per il comportamento tenuto dal suo assistito, non debba procedere al preventivo tentativo di recupero del suo credito professionale verso il cliente per ottenere il pagamento dallo Stato del compenso spettante per l'opera doverosamente prestata, tentativo che sarebbe quasi certamente vano ed inutilmente dispendioso, una volta che la polizia giudiziaria, che certamente dispone di mezzi di ricerca ben più penetranti rispetto al difensore, non sia riuscita a rintracciare l'imputato sia ai fini di una formale dichiarazione di irreperibilità, sia ai fini dell'applicazione di una misura cautelare, o della pena definitiva. In secondo luogo, dai passi dei lavori preparatori degli articoli 116 e 117 del D.P.R. numero 115/2002 richiamati dal ricorrente sopra riprodotti, non si desume alcuna univoca volontà del legislatore di escludere la possibilità per il difensore d'ufficio del latitante di rivolgersi direttamente allo Stato per il pagamento del compenso dovutogli per l'ufficio doverosamente prestato, senza dover tentare preventivamente il recupero del credito professionale nei confronti del cliente latitante, in quanto relativamente all'ambito applicativo dell'articolo 117 ci si riferisce genericamente al “caso di irreperibilità del difeso”, ossia ad una condizione di fatto di sostanziale irrintracciabilità, senza richiamare le norme del codice di procedura penale articolo 159, 157 e 169 c.p.p. che stabiliscono quali ricerche debbano essere compiute per addivenire ad una formale dichiarazione d'irreperibilità dell'imputato anche residente, o dimorante all'estero. In terzo luogo, la circostanza che latitante sia l'imputato che volontariamente si sia sottratto alla cattura, e che invece l'irreperibilità possa essersi anche involontariamente determinata, non legittima l'applicazione nel primo caso di un trattamento del difensore d'ufficio deteriore rispetto a quello previsto dall'articolo 117 del D.P.R. numero 115/2002 per il difensore d'ufficio dell'imputato irreperibile, non potendosi fare ricadere sul difensore d'ufficio, che ha eseguito una prestazione doverosa per garantire comunque l'esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito ed assicurare un giusto processo, eventuali responsabilità per la condotta tenuta dal suo assistito e non potendosi penalizzare il diritto del professionista al compenso attraverso l'imposizione di ricerche costose e quasi certamente infruttuose nella specie l'assistito, cittadino straniero latitante, non aveva neppure il permesso di soggiorno . In quarto luogo, le diverse modalità di effettuazione delle ricerche da parte della polizia giudiziaria ai fini della dichiarazione di irreperibilità dell'imputato e per poter considerare lo stesso latitante, stabilite dal codice di procedura penale, richiamate da parte ricorrente, e la diversa stabilità riconosciuta dall'ordinamento alla dichiarazione d'irreperibilità ed a quella di latitanza a differenza della prima ad effetto permanente e non valevole per i singoli gradi del giudizio , risultano ininfluenti ai fini della soluzione da dare alla questione del pagamento del difensore d'ufficio dell'imputato sostanzialmente irrintracciabile, in quanto come detto l'articolo 117 del D.P.R. numero 115/2002 non fa riferimento all'irreperibilità in senso tecnico, che rileva nell'ambito del procedimento e del processo penale, ma ad una nozione sostanziale di irrintracciabilità. 3 ln definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, ricorso é da dichiarare manifestamente infondato. Alla sua reiezione conseguono la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento, in favore di M.S., delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in dispositivo, nonché - secondo la previsione dell'ultimo comma dell'articolo 380 bis c.p.c. - la condanna, sempre in favore della citata controricorrente, al risarcimento danni ex articolo 96 comma 3° c.p.c., oltre alla condanna al pagamento, ai sensi dello stesso articolo 96, comma 4°, in favore della Cassa delle ammende, degli importi indicati in dispositivo, posto che la motivazione addotta dalla proposta di definizione anticipata, necessariamente sintetica, é stata confermata sia nel dispositivo che nella motivazione vedi Cass. sez. unumero numero 36069/2023 , e che le sanzioni previste dall'ultimo comma dell'articolo 380bis c.p.c. si applicano anche alle Amministrazioni dello Stato vedi in argomento diffusamente Cass. numero 15354/2024, alla cui motivazione si rinvia con particolare riferimento alla ravvisata applicabilità dell'articolo 96, comma 4°, c.p.c. . Trattandosi di ricorso proposto da un'Amministrazione centrale dello Stato il Ministero della Giustizia non trova applicazione – ancorché soccombente – la disciplina prevista dall'articolo 13, punto 1-quater del D.P.A. 30 maggio 2002, numero 115, in tema di raddoppio del contributo v., per tutte, Cass. sez. unumero numero 9938/2014 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.