In un caso di parricidio la Suprema Corte ha chiarito i motivi per cui, in tema di imputabilità, legittima difesa e circostanze attenuanti, si deve considerare legittima la pronuncia di condanna dei giudici di merito.
Con la pronuncia in analisi, la Corte di Cassazione è stata chiamata ad esprimersi su alcune questioni relative ad un episodio di parricidio. In particolare, nel caso di specie, il ricorrente denunciava l'illegittimità della sentenza impugnata relativamente alla sua capacità di intendere e di volere, al riconoscimento della legittima difesa putativa e alla rilevanza delle circostanze attenuanti. Il ricorso è stato rigettato dalla Suprema Corte. Quest'ultima, trattando congiuntamente i primi due motivi, ha confermato la validità del ragionamento motivazionale dei giudici di merito che, rispetto alla maturità e quindi imputabilità del figlio, avevano evidenziato la certezza di assenza di diagnosi di patologie psichiatriche ovvero di disturbi della personalità pregressi, nonché la lucidità del reo durante il processo. In particolare in secondo grado, rivalutando i test psico-diagnostici con una metodologia maggiormente accreditata in ambito giudiziario, si era facilmente pervenuti ad esiti più coerenti con tutti gli altri elementi di valutazione del percorso di crescita di personalità, affettivo, cognitivo e relazionale in regola con l'età anagrafica dell'imputato. Quanto al secondo motivo, secondo cui l'imputato avrebbe agito a fronte dell'erronea percezione di trovarsi in pericolo lui o i suoi familiari , convinzione derivante dalla sua immaturità, il giudice di merito aveva sottolineato che si trattava d'ipotesi non sostenuta neppure dallo stesso imputato che non aveva mai affermato di aver agito per una valutazione sul rischio concreto e imminente di violenza da parte del padre i problemi tra i due riguardavano, infatti, «una conflittualità cronicizzata, che periodicamente sfociava in scontri e/o confronti, senza alcuna erroneità nella percezione della situazione in atto da parte dell'imputato nell'immediatezza del fatto.» Rispetto alle circostanze attenuanti, poi, i Giudici hanno chiarito che, nonostante la Corte Costituzionale sentenza numero 197/2023 fosse intervenuta sul tema stabilendo che «anche nei processi per omicidio commesso nei confronti di una persona familiare o convivente il giudice deve avere la possibilità di valutare, caso per caso, se diminuire la pena in presenza della circostanza attenuante della provocazione e delle attenuanti generiche», nel caso in esame tale principio non poteva avere alcun rilievo. La possibilità di considerare l'attenuante della provocazione era emersa solo con il ricorso in Cassazione ed era, quindi, fuori dal devolutum. Infine, la Suprema Corte ha evidenziato che i giudici di secondo grado, nel bilanciamento tra circostante aggravanti ed attenuanti generiche, hanno implicitamente ritenuto prevalenti quest'ultime, come impone di ritenere la circostanza che, nel calcolo della pena, sono state effettuate due riduzioni, quella per la minore età e quella per le riconosciute attenuanti generiche. Sul punto, è stata richiamata una precedente pronuncia di legittimità per cui «in tema di giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti ed aggravanti, una volta riconosciuta una circostanza attenuante e operata la relativa riduzione della pena, il giudice ha dimostrato implicitamente e inequivocabilmente di valutarla prevalente rispetto alle contestate circostanze aggravanti, senza che sia necessario che espliciti le ragioni che lo hanno indotto a formulare il giudizio di comparazione.»
Presidente Di Nicola - Relatore Toscani Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in preambolo la Corte di appello di Venezia - Sezione Minori ha parzialmente confermato quella con la quale, in data 25 maggio 2022, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni della stessa città aveva dichiarato C.P. responsabile del reato di omicidio del proprio genitore, C.E 1.1. Il Giudice di primo grado, con l'indicata decisione, riconosciuta l'attenuante di cui all'articolo 98 cod. penumero prevalente sull'aggravante di avere commesso il fatto contro l'ascendente, avuto riguardo alla diminuente per il rito, lo aveva condannato alla pena di nove anni e quattro mesi di reclusione e aveva disposto l'applicazione della misura di sicurezza del riformatorio giudiziario per la durata di un anno. Impugnata da parte dell'imputato la sentenza di primo grado, la Corte di appello ha confermato il giudizio di piena maturità dell'imputato infradiciottenne, escluso la configurabilità della scriminante della legittima difesa, anche putativa, infine riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, sia pure con riduzione parametrata non nella massima estensione, cosi riducendo la pena inflitta a quella di sette anni di reclusione. 1.2. Secondo la conforme ricostruzione dei giudici di merito il proposito criminoso s'inseriva nell'ambito di rapporti conflittuali tra l'imputato e il genitore, più volte minacciato di morte tanto da avere, nell'aprile del 2020, denunciato il figlio che aveva brandito un coltello al suo indirizzo. Centrali, per la ricostruzione dei fatti, erano ritenute le dichiarazioni rese in sede d'incidente probatorio da G.C., C.E. e C.S. rispettivamente madre e germani dell'imputato , le annotazioni di Polizia giudiziaria che riassumevano gli esiti delle indagini svolte, infine la consulenza medico-legale autoptica. In punto d'imputabilità del minorenne, il Giudice per le indagini preliminari, aveva ritenuto di discostarsi dalle conclusioni della perizia, affidata al dr. A. esitata in un giudizio di immaturità grave, di un grado di sviluppo paragonabile a quello di un ragazzo di tredici ovvero quattordici anni , osservando che detto giudizio doveva tenere in considerazione anche altri fattori e, tra questi, il fatto che il minore aveva circa diciassette anni e mezzo al momento del fatto, che conviveva e aveva costituito un nucleo familiare autonomo, disponendo di una sua propria roulotte all'interno del campo nomadi dove vivevano anche i genitori e i fratelli, che conduceva l'autovettura ed era assegnatario di compiti nell'interesse comune del gruppo spese e altri incombenti , che era identificato dagli stessi familiari come l'unico che potesse proteggere altri componenti del gruppo da condotte aggressive che non infrequentemente la vittima metteva in atto nei confronti della moglie principalmente, ma anche di altri membri della famiglia. Riteneva, piuttosto, che la non piena maturità, così come accertata dal perito, potesse riverberarsi sul giudizio di bilanciamento tra l'attenuante di cui all'articolo 98 cod. penumero che, difatti, valutava prevalente sull'aggravante di aver commesso il fatto ai danni dell'ascendente riteneva, invece, che non vi fossero elementi tali da giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche che non avrebbero avuto, comunque, alcun impatto sulla determinazione della pena finale stante il disposto di cui all'ultimo comma dell'articolo 577 cod. penumero 1.3. Il Giudice di secondo grado ha confermato tale impostazione, superando il motivo di appello riguardante l'asserita immaturità del minore, facendosi carico di disporre una nuova perizia sull'imputabilità che affidava alla dr.ssa P. ha, quindi, superato le argomentazioni svolte con i motivi nuovi con cui si è invocata l'applicazione della scriminante della legittima difesa putativa. Ha, invece, accolto il motivo di appello riguardante le circostanze attenuanti generiche, per il riconoscimento delle quali ha ritenuto di valorizzare il comportamento successivo al reato, sulla scorta della documentata dimostrazione dell'imputato di aver messo in atto un processo importante di rivisitazione della propria condotta, con impegno nel percorso di risocializzazione predisposto durante la restrizione in carcere. Su tali basi ha ritenuto che le circostanze attenuanti generiche potessero comportare una riduzione ulteriore rispetto alla pena di quattordici anni di reclusione dopo la prima riduzione ex articolo 98 cod. penumero , circostanza ritenuta prevalente , ma non pari al massimo, dunque con riduzione della pena a quella di sette anni di reclusione. Infine, ha ritenuto che il contenuto delle relazioni psicosociali predisposte nel corso di oltre un biennio di carcerazione, attestanti il cennato percorso di recupero e risocializzazione, imponesse la revoca della misura di sicurezza disposta in primo grado. 2. Avverso detta sentenza propone ricorso l'imputato, per mezzo del difensore di fiducia, avv. Dirk Campajola, chiedendone l'annullamento e affidando l'impugnazione a tre motivi di ricorso. 2.1. Con il primo lamenta la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in punto di ritenuta capacità d'intendere e volere dell'imputato. Nella prima parte dell'articolato motivo si avversa l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata con cui si è ritenuta provata la volontà omicida dell'imputato in base al comportamento serbato da P.C. prima del fatto omicidiario. Il ricorso ripercorre i risultati investigativi al fine di tracciare il contesto in cui si sono svolti detti comportamenti antecedenti, ribadendo la tesi di una immaturità conclamata del minore. Si lamenta un'inattendibile ricostruzione degli accadimenti svolta dai parenti zii, figli e moglie della vittima , come sarebbe reso evidente dalla circostanza che la vedova dichiarava di aver mentito dinanzi al Tribunale dei minorenni di Venezia in merito alle condotte violente del marito nei suoi riguardi e nei confronti dei figli la donna inoltre è stata vaga nell'indicare se la vittima avesse, quel giorno, abusato di alcol e non ha saputo ricordare perché avesse chiesto l'intervento del figlio. Del pari inattendibili sono reputate le dichiarazioni dei due fratelli, difformi in punto di azione omicidiaria, ma conformi sulla descrizione del genitore come persona buona e accudente descrizione smentita dal tenore dei messaggi intercorsi col fratello maggiore, riguardanti i comportamenti prevaricatori e violenti del padre. Nella seconda parte del ricorso la difesa denuncia l'illogicità e la insufficienza della motivazione resa dalla Corte di appello che avrebbe trascurato elementi chiaramente deponenti per l'immaturità dell'imputato. In primo luogo la condotta da questi serbata successivamente al fatto, allorquando si era dato alla fuga come «un ragazzino che capisce di aver commesso un guaio». In secondo luogo tale immaturità sarebbe confermata dalla perizia del dr. A. e dalla consulenza di parte della dr.ssa M. che hanno concordemente concluso nel senso della non imputabilità di C.P Su tali basi la difesa ha i qualificato come paradossale l'affermazione contenuta in sentenza che inferisce la piena capacità del ricorrente dalla circostanza che i familiari adulti più vicini allo stesso non ne avessero mai percepito la sua immaturità ii tacciato d'illogicità l'affermazione della Corte territoriale secondo cui l'adesione alle regole carcerarie era incoerente con l'immaturità sostenuta dal consulente di parte e quella secondo cui non era plausibile che tale adesione fosse effetto delle attenzioni ricevute in carcere e del benessere derivato dall'essere inserito in un contesto più accogliente di quello familiare iii contraddittorio il passaggio della sentenza secondo cui, pur avendo descritto l'imputato come soggetto con un temperamento impulsivo e aggressivo e che presentava tratti antisociali di personalità, ha affermato che il giorno dell'omicidio egli aderì consapevolmente agli schemi mentali della sua cultura di origine e, pur potendo evitare il contatto con il padre, lo attese deliberatamente per regolare i conti. Si censura, poi, l'omesso inquadramento della condotta dell'imputato nell'ambito del «reato culturalmente orientato», ossia il comportamento realizzato da un membro appartenente a una cultura di minoranza, che è considerato reato nell'ordinamento giuridico della cultura dominante ma che, all'interno del gruppo culturale dell'agente è accettato come comportamento normale, approvato ove non sostenuto e incoraggiato. Conclusivamente, si critica la decisione del giudice di secondo grado, immotivatamente adesiva alla tesi del perito all'uopo nominato, senza alcun confronto con le difformi conclusioni della perizia A., invece da preferire in quanto svolta nell'immediatezza degli accadimenti e, come tale, più genuina e veritiera. 2.2. Con il secondo motivo è lamentata la violazione dell'articolo 52 cod. penumero E il vizio di motivazione in punto di esclusione della legittima difesa putativa. La scriminante erroneamente supposta andava riconosciuta in primo luogo perché, com'è stato riferito dai familiari, ogni qualvolta che la vittima si trovava in stato di ebrezza, come la notte dell'omicidio, occorrevano episodi spiacevoli quali botte, litigi incidenti l'imputato era provocato e sfidato a duello dal padre. In secondo luogo, risulta che quella sera l'imputato e i suoi cari si trovarono in una situazione di pericolo, tanto che la madre aveva chiesto aiuto al figlio. E' dunque evidente che la vittima, in manifesta ebrezza, aveva generato nei confronti della donna il terrore di poter essere percossa nuovamente, sicché questa aveva sollecitato l'intervento dell'imputato e, in tale situazione concitata, questi aveva erroneamente supposto che lui e la famiglia corressero un grave pericolo. 2.3. Il terzo motivo denuncia la violazione dell'articolo 62-bis e vizio di motivazione nella parte in cui esclude la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e l'attenuante della provocazione sull'aggravante dell'aver commesso il fatto nei riguardi dell'ascendente. Osserva il ricorrente che la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla legittimità dell'articolo 577, comma terzo, cod. penumero inserito dalla l. numero 69 del 2019, nella parte in cui impedisce il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante della provocazione rispetto all'aggravante prevista per il delitto di omicidio volontario, in relazione al fatto commesso contro il coniuge o l'ascendente. La difesa, dopo aver sintetizzato gli argomenti dell'ordinanza di rimessione della Corte di assise di Torino, ha evidenziato come il caso in scrutinio sarebbe sovrapponibile a quello per il quale è processo, segnalando come il ricorrente - al pari dell'imputato del processo oggetto dell'ordinanza di rimessione - si trovava esposto da anni a comportamenti del padre contrari a norme giuridiche e sociali e il proposito omicidiario insorgeva, per accumulo, sotto lo stimolo di tali reiterati comportamenti ingiusti. Ha, dunque, chiesto che il Collegio tenga conto dell'esito, al momento della proposizione del ricorso per cassazione ignoto, della pronuncia della Corte costituzionale su detta questione di costituzionalità. 3. Il Sostituto Procuratore generale, Giuseppina Casella, intervenuto con requisitoria scritta, depositata in data 26 marzo 2024 e riproposta il 10 giugno 2024, ha prospettato l'annullamento con rinvio limitatamente al diniego della prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche e l'inammissibilità del ricorso nel resto. Considerato in diritto 1. Il ricorso, che deduce censure in parte inammissibili e in parte infondate, dev'essere complessivamente rigettato. 2. Le prime due doglianze che connotano il ricorso proposto nell'interesse di C.P. risultano orientate su due versanti il primo, attinente alla lamentata obliterazione dell'immaturità dell'imputato il secondo, rivolto alla contestazione del mancato riconoscimento della legittima difesa putativa. Quanto, invece, al terzo motivo, in punto di dosimetria della pena, si chiede che il Collegio valuti l'eventuale incidenza dell'esito della decisione della Corte costituzionale sulla questione di legittimità della disposizione contenuta nell'articolo 577 co. 3 c.p. introdotto dalla l. numero 69 del 2019, c.d. codice rosso che vieta eccezionalmente al giudice di dichiarare prevalenti le attenuanti di cui agli articolo 62, primo comma numero 2 e 62-bis cod. penumero rispetto all'aggravante dei rapporti familiari tra autore e vittima dell'omicidio. 2. A proposito del primo e del secondo motivo - che possono essere trattati congiuntamente, stante la connessione logica delle questioni prospettate, poiché il ricorrente ricollega l'elemento dell'erronea supposizione della scriminante all'asserita immaturità dell'agente - occorre muovere dalla considerazione che già il Giudice di primo grado si vedano le p. da 10 a 18 della sentenza di primo grado aveva preso in esame il tema della capacità di intendere e di volere, rectius della maturità, dell'imputato e adeguatamente motivato le ragioni per le quali aveva ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del perito dr. A., che aveva invece concluso per l'incapacità di C.P 2.1. Il Gip ha, in primo luogo, osservato che la disposta perizia psichiatrica del dr. A. aveva escluso l'esistenza a carico dell'imputato di una patologia psichiatrica ovvero di un disturbo della personalità in grado di incidere sulla capacità di intendere e volere e ha ritenuto che tali conclusioni, coerenti con le valutazioni psicologiche in atti, adeguatamente motivate e fondate sull'osservazione clinica del periziando e sulla somministrazione di test, erano rimaste incontestate. In secondo luogo, ha posto in evidenza come lo sviluppo evolutivo complessivo dall'imputato, secondo quanto emergeva dalla stessa valutazione peritale, doveva considerarsi nella norma , all'uopo condividendosi l'affermazione enunciata dal perito secondo cui l'imputato possedeva sufficienti capacità di comprensione, organizzazione e giudizio, ossia un'organizzazione di pensiero, capacità mnestiche, di discernimento e giudizio che ne confermavano l'integrità della capacità di intendere, quantomeno sotto il profilo della maturità intellettiva cognitiva. Ha, poi, precisato che - sebbene la maturità intellettiva poteva essere condizionata da fattori affettivi ed emotivi che impedivano di riconoscere e differenziare, emozioni e conseguenze e nonostante dal compendio processuale emergesse che l'imputato, durante l'infanzia e l'adolescenza, non aveva avuto attenzioni da parte dei familiari, che era cresciuto in un contesto familiare multi problematico, maltrattato sin da bambino, vittima di violenze subite e assistite, perlopiù agite dal padre, alcolista da più di vent'anni - ciò aveva inciso sulla costruzione della sua personalità, ma non sull'efficacia dell'esame di realtà al momento del reato. Ciò si è affermato sulla base del complessivo comportamento e stile di vita dell'imputato che - ha evidenziato il Gip - viveva con una fidanzata ventiseienne non gradita alla famiglia di appartenenza, in una sua roulotte, provvedendo autonomamente alle necessità della coppia che guidava l'autovettura, con la quale si spostava sul territorio, conducendo dunque una vita da adulto e dimostrando una maturità addirittura superiore a quella dei suoi coetanei. Sulla scorta di tali evidenze il Giudice di primo grado ha ritenuto di poter senz'altro superare le affermazioni del perito dr. A. secondo il quale il periziato avrebbe potuto avere un livello di maturità corrispondente a quello di un ragazzo adolescente. Ha, inoltre, valorizzato, in senso conforme alle proprie suindicate conclusioni in punto di maturità, le stesse dichiarazioni dell'imputato in sede d'interrogatorio e il lucido comportamento serbato dal giovane subito dopo aver inferto il colpo mortale era fuggito con l'auto, aveva occultato l'arma e cercato un rifugio per nascondersi , circostanze non compatibili con la perdita della capacità di esame della realtà nei momenti immediatamente precedenti all'azione. Ha ancora evidenziato - rispetto al richiamato stress prolungato legato ai conflitti familiari, all'implicite pressioni ricevute dalla fidanzata e dalla madre a fare qualcosa per fermare il padre - che, tra le caratteristiche della personalità dell'imputato descritte dallo stesso perito, non vi era quella della suggestionabilità ciò a conferma del fatto che i descritti condizionamenti ambientali affettivi, certamente sussistenti, non avevano avuto un effetto causale sulla condotta dell'imputato, da lui pienamente controllabile. Infine, ha attribuito valenza agli accadimenti nel giorno dell'omicidio, in occasione dei quali l'imputato aveva attuato una condotta non dettata da impeto, agendo con pieno dominio dei suoi istinti, in adesione consapevole e in assenza di qualsivoglia evento esterno che avesse potuto provocarla. 2.2. I Giudici di secondo grado hanno confermato tale valutazione, facendosi carico di rispondere alle censure di appello che la difesa reitera pedissequamente e, dunque, inammissibilmente, nel ricorso. In particolare la Corte di assise di appello ha rimarcato i la certezza di assenza di diagnosi di patologie psichiatriche ovvero di disturbi della personalità pregressi ii il rilievo di quanto emergente dal verbale d'interrogatorio dell'8 febbraio 2021, in occasione del quale l'imputato ha dimostrato di saper comprendere tutte le domande, raccontare la propria verità, elaborare una linea difensiva, rispondere in termini pertinenti alle contestazioni iii l'importanza dell'osservazione durante la permanenza inframuraria da parte del personale interno dei tre istituti di pena nei quali è stato recluso iv la rilevanza del dato obiettivo della valutazione proveniente dallo stesso contesto familiare sociale. Sicché - con motivazione priva di fratture logiche ovvero razionali - il Giudice di appello ha indicato gli elementi che facevano propendere per la sicura affidabilità delle conclusioni del perito all'uopo nominato, dr.ssa P., valorizzando la circostanza che la nuova perizia si fondava su una batteria di test psicodiagnostici, affidata ad ausiliario di esperienza, più ampia di quella somministrata nel corso del giudizio di primo grado e con lettura degli esiti affidata all'esperto e non all'elaborazione di un programma. S'è evidenziato come la perizia effettuata nel corso del giudizio di primo grado si era confrontata solo parzialmente con gli elementi socio-pedagogici che la pronuncia di primo grado aveva, invece, posto in risalto e che hanno costituito uno degli ambiti di approfondimento della rinnovazione istruttoria in appello. L'indagine del perito della Corte, dunque, non ha omesso di considerare la storia di vita dell'imputato, la trascuratezza e la deprivazione da questi patite sul piano materiale, educativo e affettivo, ma ne ha valutato anche il percorso scolastico, l'assenza di indicatori di malattia psichiatrica, le cartelle cliniche e il diario personale dei periodi di permanenza nelle tre strutture detentive Treviso, Airola e Bologna , infine gli agiti antisociali, meramente sporadici. La Corte ha, quindi, con motivazione scevra da aporie ovvero fratture logiche, ritenuto recisamente smentita la doglianza secondo cui la rinnovazione istruttoria in appello avrebbe eluso le censure dell'impugnazione, precisando - con motivazione non manifestamente illogica - che il perito di primo grado aveva dato un peso maggiore ai test psico-diagnostici rispetto a tutti gli altri elementi di valutazione richiamati, laddove la perizia in appello aveva, invece, rivalutato quei test con una metodologia maggiormente accreditata in ambito giudiziario, pervenendo a esiti più attendibili e assolutamente coerenti con tutti gli altri elementi di valutazione del percorso di crescita di personalità, cognitivo, affettivo relazionale sociale dell'imputato, che il contesto familiare, scolastico e carcerario ha sempre giudicato il regolare e coerente con l'età anagrafica. Infine, il Giudice di appello non ha trascurato di motivare con specifico riferimento al bagaglio etico e culturale del gruppo di appartenenza, ritenendo dimostrato che, anche all'interno del gruppo familiare comunità OMISSIS in cui era inserito l'imputato, l'azione da questi messa in atto non era considerata né lecita, né ammessa. 2.3. Quanto all'asserita affermazione difensiva secondo cui l'imputato avrebbe agito a fronte dell'erronea percezione di trovarsi in pericolo lui o i suoi familiari , convinzione derivante dalla sua immaturità, il Giudice di secondo grado ha in primo luogo evidenziato che si trattava d'ipotesi non sostenuta neppure dal perito di primo grado e, comunque, esclusa da quanto dichiarato dallo stesso imputato che non ha mai affermato di aver agito a fronte di un percepito il rischio concreto e imminente di violenze fisiche da parte del padre i problemi tra i due riguardavano, invero, una conflittualità cronicizzata, che periodicamente sfociava in scontri e/o confronti, senza alcuna erroneità nella percezione della situazione in atto da parte dell'imputato nell'immediatezza del fatto. 2.4. Conclusivamente sul primo e secondo motivo, ritiene il Collegio che le doglianze in essi contenute si risolvano in una non consentita richiesta di rivalutazione di merito degli elementi di prova raccolti e considerati utili ai fini del giudizio concernente la maturità e imputabilità dell'imputato e all'esclusione riconoscimento della scriminante della legittima difesa putativa. 3. Quanto al terzo motivo di ricorso, lo stesso è passibile di rigetto. Va preliminarmente premesso che, successivamente al deposito da parte di C. del ricorso per cassazione, la Corte costituzionale, con sentenza numero 197 del 2023 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 577, terzo comma, cod. peri., ritenendo che il divieto posto dalla norma censurata determini una violazione dei principi di parità di trattamento di fronte alla legge, di proporzionalità e individualizzazione della pena sanciti dagli articoli 3 e 27 della Costituzione e ha affermato il principio secondo cui «Anche nei processi per omicidio commesso nei confronti di una persona familiare o convivente il giudice deve avere la possibilità di valutare, caso per caso, se diminuire la pena in presenza della circostanza attenuante della provocazione e delle attenuanti generiche». Ciò detto, osserva il Collegio che, tuttavia, nel caso che ci occupa, la pronuncia in parola non può avere alcun rilievo. Essa non rileva, invero, quanto al bilanciamento dell'aggravante di cui all'articolo 577cod. penumero con l'attenuante della provocazione, anche nella forma c.d. per accumulo , perché quello della possibilità di configurare detta attenuante è un tema inedito, mai dedotto prima del ricorso per cassazione e, come tale, fuori dal devolutum. Né rileva quanto al bilanciamento dell'aggravante de qua con le circostanze attenuanti generiche, poiché la Corte di appello le ha implicitamente ritenute prevalenti, come impone di ritenere la circostanza che, nel calcolo della pena, ha operato due riduzioni, quella per l'articolo 98 cod. penumero e quella per le riconosciute attenuanti generiche oltre all'ulteriore riduzione per il rito , congruamente motivando la ragione per cui ha ritenuto di non accordare la riduzione ex articolo 62- bis cod. penumero nella sua massima estensione. Pertinente si reputa, al riguardo, l'arresto di questa Corte secondo cui «In tema di giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti, una volta riconosciuta una circostanza attenuante e operata la relativa diminuzione di pena, il giudice ha dimostrato implicitamente e inequivocabilmente di valutarla prevalente rispetto alle contestate circostanze aggravanti, senza che sia necessario che espliciti le ragioni che lo hanno indotto a formulare il giudizio di comparazione» Sez. 6, numero 41362 del 09/11/2006, Lovaglio, Rv. 235433 . 4. Come preannunciato, dalle considerazioni svolte discende il rigetto del ricorso. A detta pronuncia non consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria, trattandosi d'imputato minorenne al momento della commissione del fatto. La previsione di cui all'articolo 29 del d.lgs. 28.7.1989 numero 272 che, derogando al generale principio della soccombenza del condannato in tema di pagamento delle spese del processo e di custodia cautelare, stabilisce che la sentenza di condanna nei confronti di persona minore di età non comporta detto obbligo, s'inserisce, infatti, nel quadro della disciplina del processo minorile, strutturalmente finalizzato alla ripresa o al recupero del percorso educativo del minore. La ratio cui è ispirata la norma è di esonerare il minore dalle negative conseguenze che gli deriverebbero dall'applicazione dell'anzidetta regola della soccombenza, e ciò - ha più volte rilevato questa Corte - vale sia riguardo al giudizio di merito sia a quello di legittimità, dovendosi pertanto escludere una interpretazione del predetto articolo 29 in base alla quale l'esonero può operare soltanto con riferimento alla definizione dei procedimenti di merito e non anche in sede di legittimità così già sez. 4, numero 11194 del 1.6.1999, Milanovic P., rv. 214385 . Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, poi, definitivamente affermato che «Il minorenne che abbia proposto ricorso per cassazione non può essere condannato, in caso di rigetto o dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione, al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende Sez. U, numero 15 del 31.5.2000, Radulovic, Rv. 216704 . In caso di diffusione del presente provvedimento, vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso.