L’articolo 1 della legge numero 229 del 2005 non contempla ex professo l’efficacia retroattiva della disciplina, non apportando, infatti, alcuna deroga alla generale operatività delle leggi soltanto per l’avvenire.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha emanato un importante principio di diritto volto a derimere il problema interpretativo sorto in relazione all'individuazione del momento di decorrenza del vitalizio mensile, introdotto nel 2005, il quale va ad aggiungersi all'indennizzo base già previsto dalla legge del 1992, in favore di chi abbia riportato danni irreversibili alla salute, in conseguenza di vaccinazioni obbligatorie e nonumero La controversia ruota intorno al Decreto Ministeriale Salute del 10 ottobre 2006, attuativo della legge 229/2005, il quale prevede che il vitalizio venga erogato con l'entrata in vigore della legge del 2005, escludendo una decorrenza retroattivo al primo indennizzo base, se questo è stato già erogato. La Corte Suprema ha infatti, stabilito che non vi sia alcuna violazione costituzionale nell'individuare la data di entrata in vigore della legge come momento iniziale di erogazione del vitalizio in quanto nella comune prassi, le leggi si applicano dalla data di efficacia che combacia con l'entrata in vigore. I casi in cui invece, come accaduto, il diritto aggiuntivo è stato riconosciuto anche a chi aveva in precedenza ottenuto dallo Stato l'indennizzo base previsto dalla legge 210/1992, ha fatto sorgere il dubbio circa la possibilità di far retroagire o meno l'assegno mensile al giorno del riconoscimento del primo ristoro base come disciplinato dalla legge 210/1992. Sul punto, la Corte ha chiarito che la coincidenza tra le due linee di indennizzo si realizza solo per chi acquisisce il diritto all'indennizzo base in un momento successivo all'entrata in vigore del nuovo vitalizio poiché il richiamo che la legge 229/2005 fa alla 210/1992 è circoscritto al solo quantum e non investe il diverso profilo della decorrenza. Ciò trova conferma nell'articolo 1, comma 4 della l. 229/2005, con cui, per l'indennizzo aggiuntivo, viene fissata la rivalutazione Istat annuale dell'importo individuato dalla legge, senza preoccuparsi di regolare il periodo anteriore proprio a voler sottolineare la sua portata non retroattiva. Così, alla luce di tali premesse, la Suprema Corte dirime la controversia rinviando la causa alla Corte d'appello di Genova che, in diversa composizione, dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto «l'indennizzo aggiuntivo disciplinato dall'articolo 1 della legge 29 ottobre 2005, numero 229, dev'essere riconosciuto a decorrere dall'entrata in vigore della medesima legge ai soggetti che, a tale data, risultino già titolari dell'indennizzo base, secondo le previsioni dell'articolo 1, comma 4, primo periodo, del decreto del Ministero della salute 6 ottobre 2006, intervenuto ad attuare le previsioni della fonte primaria».
Presidente Berrino - Relatore Cerulo Rilevato che Gi.Fr. conveniva davanti al Tribunale di Rimini Gu.Fi., Un Filo di Eventi Srl e VITTORIA ASSICURAZIONI Spa perché fosse accertato che il sinistro stradale avvenuto a Rimini il 13 giugno 2009 in cui era stato leso suo marito Mo.Ma. - trasportato su motociclo guidato dal Gu.Fi. e di proprietà di Un Filo di Eventi, assicurata con VITTORIA ASSICURAZIONI - era attribuibile in via esclusiva al Gu.Fi. e che per le lesioni patite dal Mo.Ma. l'attrice aveva subito un danno quantificabile in € 302.600, e perché conseguentemente il Gu.Fi., Un Filo di Eventi e VITTORIA ASSICURAZIONI fossero condannati a risarcirle tale danno. Anteriormente a questa causa, con sentenza parziale del 5 luglio 2008, il medesimo Tribunale aveva dichiarato la separazione dei coniugi Mo.-Gi.Fr., confermando un assegno di mantenimento mensile dovuto dal marito alla moglie nella misura di € 1.600. Così nella citazione del primo grado della presente causa la Gi.Fr. lamentava la lesione del suo diritto di credito, allegando quale danno emergente la mancata percezione dell'assegno di mantenimento coniugale e la lesione dell'aspettativa di credito verso il marito quale coniuge separato per diminuita sua capacità reddituale. Si costituivano resistendo la compagnia assicuratrice e il Gu.Fi. Con sentenza del 2 febbraio 2017 il Tribunale, accogliendo la domanda in quanto di ragione, condannava solidalmente i convenuti a corrispondere all'attrice la somma di € 79.600 oltre accessori e spese di lite. Il Gu.Fi. proponeva appello principale la compagnia proponeva appello incidentale adesivo e appello incidentale autonomo la Gi.Fr. resisteva, eccependo tra l'altro l'inammissibilità dell'appello incidentale in quanto tardivo. La Corte d'Appello di Bologna, con sentenza del 15 febbraio 2022, previo rigetto dell'eccezione d'inammissibilità dell'appello incidentale adesivo ed autonomo della compagnia, decideva, come ragione liquida, sul primo e sul terzo motivo dell'appello incidentale autonomo, che riteneva fondati e assorbenti, per cui, pronunciando sull'appello principale … e sull'appello incidentale adesivo e sull'appello autonomo , accoglieva l'appello e pertanto rigettava la domanda della Gi.Fr. La Gi.Fr. ha proposto ricorso principale articolato in quattro motivi il Gu.Fi. si è difeso con controricorso includente pure ricorso incidentale basato su un unico motivo si è difesa con controricorso anche la compagnia. Le parti hanno tutte depositato memoria. Considerato che 1. Prendendo le mosse dal ricorso principale, si osserva che il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, numero 5 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 334 e 325 c.p.c. 1.1 Il giudice d'appello afferma che è orientamento consolidato, e da ultimo confermato con Cass. 26164/2020, che il soccombente possa proporre appello incidentale tardivo ai sensi dell'articolo 334 c.p.c. anche per i capi di sentenza che non siano oggetto di impugnazione principale, purché l'impugnazione incidentale tardiva riguardi un unico rapporto. L'articolo 334 c.p.c. disciplina l'impugnazione incidentale tardiva del destinatario della impugnazione principale a parte il caso del litisconsorte necessario parzialmente soccombente non sarebbe applicabile detta norma all'impugnazione adesiva laddove l'interesse all'impugnazione non deriva da quella principale. Si invoca, come tra i più recenti arresti, Cass. 3286/2022, per cui non è applicabile l'articolo 334 c.p.c. quando l'interesse a proporre il ricorso - tardivo rispetto al termine lungo - non sia sorto per effetto dell'impugnazione principale, ma in conseguenza dell'emanazione della sentenza ed era pertanto originario . La ricorrente ne deduce che il ricorso incidentale avrebbe dovuto essere proposto, nel caso de quo, nei termini ordinari di impugnazione e qui l'appello di VITTORIA ASSICURAZIONI sarebbe incidentale adesivo autonomo e dunque tardivo, il che lo condurrebbe alla inammissibilità. 1.2 Quando è stato presentato il ricorso in esame, la giurisprudenza di questa Suprema Corte effettivamente era orientata nel senso illustrato dal motivo. In particolare S.U. 23903/2020 aveva affermato che l'articolo 334 c.p.c. concerne soltanto l'impugnazione incidentale in senso stretto , vale a dire quella proveniente dalla parte contro la quale è stata proposta l'impugnazione principale o quella chiamata ad integrare il contraddittorio ai sensi dell'articolo 331 c.p.c. Tuttavia, siffatta impostazione ermeneutica nelle more è stata superata, in direzione espansiva dello strumento impugnatorio, da S.U. 8486/2024, enunciando il seguente principio L'impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche quando riveste le forme dell'impugnazione adesiva rivolta contro la parte destinataria dell'impugnazione principale, in ragione del fatto che l'interesse alla sua proposizione può sorgere dall'impugnazione principale o da una impugnazione incidentale tardiva . Su questa linea, tra le pronunce massimate, Cass. ord. 10477/2024 ha poi riconosciuto che, per il principio dell'interesse a impugnare, l'impugnazione incidentale tardiva è ammissibile, a tutela della reale utilità della parte che la propone, tutte le volte in cui l'impugnazione principale mette in discussione l'assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale la parte aveva inizialmente prestato acquiescenza . Il Collegio non può non dare seguito a questa interpretazione, che rende evidente l'infondatezza del motivo per la sopravvenienza del revirement nomofilattico. 2. Il secondo motivo, qualora appunto si ritenga ammissibile l'appello incidentale proposto dalla compagnia, denuncia, ex articolo 360, primo comma, numero 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 345, secondo comma, c.p.c 2.1 Sarebbe stata la prima volta in appello che VITTORIA ASSICURAZIONI avesse contestato all'attuale ricorrente di non avere provato la preventiva escussione del patrimonio del debitore principale Mo.Ma. e di non avere potuto soddisfarsi il credito nonostante il risarcimento del danno che a lui aveva fornito la compagnia. Sarebbe stato pertanto violato l'articolo 345 c.p.c. perché il giudice d'appello ha poi dichiarato manca … la prova dell'incapienza del patrimonio del Mo.Ma. a soddisfare l'obbligazione divorzile , aggiungendo che spettava all'attrice l'onere della dimostrazione di avere preventivamente escusso il patrimonio del debitore principale e di non avere potuto soddisfare il proprio credito nonostante l'avvenuto risarcimento del danno da parte di Vittoria … con ciò provando l'esistenza di una condizione ostativa per l'obbligato ad adempiere la propria obbligazione, o comunque la definitiva lesione dell'esistenza di tale diritto di credito e quindi è stato accolto il primo motivo della compagnia. 2.2 Il motivo è inammissibile, perché assertivo sulla proposizione del primo motivo d'appello di VITTORIA ASSICURAZIONI come un novum, non essendo stato adeguatamente illustrato il tenore della difesa di quest'ultima nel primo grado del giudizio. 3. Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, numero 5 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2043 e 2697 c.c., ancora riguardo all'accoglimento del primo motivo dell'appello proposto da VITTORIA ASSICURAZIONI. 3.1 Si ricostruisce la vicenda della separazione dei coniugi e del sinistro stradale ricorso , p. 18s. per sostenere che il giudice d'appello avrebbe errato, in quanto l'attuale ricorrente, come rilevato dal primo giudice, avrebbe debitamente provato gli elementi necessari ad addivenire a una sentenza di condanna avrebbe dovuto semmai controparte provare elementi idonei a spezzare il nesso di causalità . Andrebbe dunque riformata la sentenza d'appello laddove attribuisce alla Gi.Fr. l'onere di provare di avere preventivamente escusso il patrimonio del debitore principale e di non avere potuto soddisfare il proprio credito nonostante l'avvenuto risarcimento del danno da parte di Vittoria , così violando gli articoli 2043 e 2697 c.c. Infatti il sinistro stradale del 13 giugno 2009 avrebbe determinato, secondo una connessione causale diretta, l'inadempimento del Mo.Ma. alla obbligazione di mantenimento e la revoca del relativo assegno, disposta con ordinanza del Tribunale emessa il 16 settembre 2009. Il danno fatto valere sarebbe dunque la lesione del credito articolo 2043 c.c. derivante dall'assegno di mantenimento in conseguenza dell'incapacità al lavoro del coniuge, determinata dal sinistro e infatti il primo giudice nella sentenza aveva affermato che causalmente, incontestata la responsabilità ex articolo 2054 c.c. e 144 cod. ass. dei convenuti, risponde a un criterio di regolarità fondato su una rilevante frequenza statistica che, all'impossibilità di svolgimento dell'attività lavorativa, costituente la fonte principale se non unica del reddito del debitore, segna l'impossibilità di costui di far fronte all'adempimento dell'obbligazione … . Lo stesso vizio riguarderebbe pure la lesione della aspettativa di credito chance della Gi.Fr., essendosi determinato l'assegno divorzile in € 200, mentre, se non vi fosse stato il sinistro, il Mo.Ma. avrebbe verosimilmente potuto continuare a pagare la somma di € 1600, come l'assegno della separazione, per un periodo pari alla residua carriera sportiva che egli stava svolgendo all'epoca del sinistro. Pertanto la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2043 e 2697 c.c. emergerebbe laddove il giudice d'appello dichiara mancante la prova dell'incapienza del patrimonio del Mo.Ma. a soddisfare l'obbligazione divorzile , perché la ricorrente non si doleva del mancato adempimento dell'obbligazione divorzile, bensì della determinazione di quella obbligazione in misura tale da sancire la perdita pregressa, e comprovata della relativa chance ricorso, pagina 24 . 3.2 Mentre il precedente motivo era diretto a qualificare inammissibile il primo motivo d'appello di VITTORIA ASSICURAZIONI, questa terza censura è diretta a dimostrarlo infondato, e quindi a dimostrare errata la decisione di accoglimento effettuata dalla corte territoriale. VITTORIA ASSICURAZIONI, escludendo che fosse sopravvenuta l'estinzione della prestazione del Mo.Ma. per il fatto del terzo - il sinistro -, ha affermato che l'attrice avrebbe potuto pretendere dal Mo.Ma. l'adempimento dell'obbligo al mantenimento, attesa la compensazione tra perdita di reddito da lavoro … e l'introito … correlato alla transazione . La Corte d'Appello, aderendo alla prospettazione della compagnia, ha riformato la sentenza del primo giudice dichiarando che l'assunto secondo cui risulterebbe raggiunta la prova che il danno di cui l'attrice chiedeva il risarcimento sia scaturito nell'originario depauperamento del patrimonio del marito, in seguito al venir meno del reddito, non è condivisibile per difetto della prova dell'incapienza del patrimonio del Mo.Ma. a soddisfare l'obbligazione divorzile e onere probatorio attoreo sarebbe stato, in tale prospettiva , dimostrare di avere preventivamente escusso il debitore principale - il Mo.Ma. - e di non aver potuto soddisfare il credito nonostante il risarcimento della compagnia sentenza d'appello, pagina 5 . Non si tratta, allora, di una questione riconducibile alla chance di per sé, bensì di un preteso difetto di prova del danno conseguito per via mediata dal sinistro perché l'attrice - rileva la corte territoriale - non avrebbe provato che il sinistro stesso abbia portato l'incapienza del patrimonio del debitore rispetto al credito, e non ha neppure provato di avergli chiesto l'originario diretto credito. Il motivo, in conclusione, verte su questioni fattuali, che lo conducono all'inammissibilità. 4. Il quarto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, numero 5 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2043 e 2697 c.c. nonché 5, comma sesto, l. 898/1970. 4.1 Il terzo motivo dell'appello presentato da VITTORIA ASSICURAZIONI censurava la motivazione della sentenza del primo giudice laddove si è ritenuto provato dalla Gi.Fr. il suo diritto ad assegno di mantenimento di € 1600 mensili per altri tre anni e mezzo dopo il sinistro e assegno di mantenimento di € 800 per ulteriori due anni, cioè fino al luglio 2015. La corte territoriale lo ha accolto in base a considerazioni che non sarebbero comprensibili nella fattispecie, in quanto concernenti . unicamente la correttezza dei criteri di determinazione giudiziale dell'assegno divorzile , mentre inconferente sarebbe in riferimento all'articolo 5, sesto comma, l. 898/1970. Correttamente invece il Tribunale, nel contesto della valutazione equitativa del danno , aveva operato in ragione della oggettiva difficoltà di concretizzare la lesione con riferimento alla componente più incerte sic l'aspettativa di credito, la chance , la posizione patrimoniale e reddituale della … Gi.Fr. e del … Mo.Ma., le loro prospettive di carriera, la loro età, i doveri di cura del figlio , tutti elementi che erano stati ampiamente valorizzati , non per quantificare l'assegno divorzile, bensì per operare una liquidazione equitativa compromessa per il sinistro. 4.2 Il terzo motivo dell'appello della compagnia censurava effettivamente - come si riscontra a pagina 6 della sentenza qui impugnata - l'avere il Tribunale ritenuto provato che la Gi.Fr. aveva diritto all'assegno del mantenimento nella misura di € 1.600 mensili per tre anni e mezzo dopo il sinistro e nella misura di € 800 per i due anni seguenti e la corte territoriale dichiara, in sostanza, che la quantificazione dell'assegno divorzile è regolata dall'articolo 5, sesto comma, l. 898/1970, di cui richiama i criteri, per affermare poi che l'attrice non aveva fornito prova rispetto a detti criteri, apportando soltanto allegazioni assertive, su cui il Tribunale ha pretermesso l'effettiva comparazione delle condizioni economiche patrimoniali delle parti . Per provare il danno, cioè la perdita di un assegno divorzile superiore a quello pattuito dagli ex coniugi nella misura di € 200 per la situazione di sostanziale incapienza in cui era incorso il Mo.Ma. ricorso, pagina 26 , è evidente che la Gi.Fr. doveva provare il diverso importo da attribuire all'assegno, il che non poteva prescindere dai criteri della l. 898/1970, che - afferma il giudice d'appello - il Tribunale in sostanza ha pretermesso , attribuendo poi la corte territoriale all'attuale ricorrente soltanto allegazioni ma non prove. Anche questa censura, pertanto, ricade in una critica fattuale, dovendosi peraltro riconoscere che, per determinare l'assegno divorzile, i criteri normativi erano proprio evincibili dalla l. 898/1970. Il motivo risulta dunque infondato. Il ricorso principale, in conclusione, merita rigetto. 5.1 Il ricorso incidentale del Gu.Fi. denuncia, con il suo unico motivo, in riferimento all'articolo 360, primo comma, nnumero 3 e 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 132, secondo comma, numero 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 111, sesto comma, Cost., per avere il giudice d'appello in motivazione omesso ogni riferimento all'accoglimento dell'appello proposto dal Gu.Fi., malgrado il suo identico contenuto sostanziale rispetto all'appello incidentale della compagnia le censure veicolate sarebbero infatti identiche . Si chiede pertanto la correzione ai sensi dell'articolo 384, secondo comma, c.p.c. Inoltre l'accoglimento del ricorso incidentale sarebbe necessario perché l'errore del giudice d'appello impedirebbe la formazione del giudicato sul nostro secondo motivo , per cui occorrerebbe l'integrazione della motivazione rispetto al dispositivo della sentenza d'appello, per rendere idonea la statuizione alla futura formazione del giudicato anche su domanda del Gu.Fi. Tuttavia, il ricorso incidentale sarà assorbito in caso di accoglimento del contromotivo indicato nel paragrafo III, e cioè se il giudice di legittimità riterrà esistente una statuizione implicita favorevole al Gu.Fi. e idonea a passare in giudicato. 5.2 Il ricorrente incidentale riconosce che l'appello della compagnia aveva identico contenuto sostanziale rispetto al suo. È evidente, allora, che essendo stato accolto l'appello di VITTORIA ASSICURAZIONI, questo motivo è privo di interesse. Peraltro lo stesso ricorrente espressamente lo qualifica assorbito nel caso in cui sia accolto il suo contro-motivo riguardante l'ammissibilità del suo stesso appello nella denegata e come si è visto realmente infondata ipotesi che fosse inammissibile l'appello della compagnia, il che non è avvenuto. Pertanto il ricorso deve effettivamente ritenersi assorbito. 6. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato, assorbito quello incidentale. Sussistono giusti motivi per compensare le spese tra tutte le parti, in quanto nelle more sono sopravvenute le Sezioni Unite di questa Suprema Corte con la sentenza numero 8486/2024 che ha mutato l'interpretazione giurisprudenziale messa in discussione nel ricorso principale. Seguendo l'insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 numero 4315 si dà atto, ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, D.P.R. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. Rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale, e compensa le spese processuali. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, D.P.R. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.