L’allegazione del pregiudizio è sufficiente per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’illegittimità del recesso datoriale

Una volta dedotta dal ricorrente una situazione di pregiudizio derivante da un comportamento illegittimo della P.A., ai fini dell’identificazione del danno rivendicato deve ritenersi sufficiente il mero richiamo al presupposto di detto pregiudizio, senza che la parte ricorrente sia onerata anche della quantificazione del danno.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con l'ordinanza numero 26926 depositata il 17 ottobre 2024. Il caso La Corte di Appello di Trieste, riformando la pronuncia di primo grado, accoglieva parzialmente le doglianze del lavoratore nella specie, assegnato alle mansioni di direttore amministrativo volte ad ottenere la declaratoria di nullità di una clausola del suo contratto di lavoro, sottoscritto con un'azienda sanitaria pubblica, in forza della quale il datore di lavoro avrebbe potuto recedere anticipatamente dal suddetto contratto in caso di «mera sostituzione del direttore generale». Per l'effetto, il lavoratore reclamava il suo diritto alla corresponsione della differenza tra la retribuzione prevista per l'incarico anticipatamente interrotto a causa del recesso unilaterale del datore di lavoro e la retribuzione percepita per gli incarichi successivamente ricoperti dallo stesso a favore di altri Enti. Nello specifico, ad avviso dei Giudici di merito, il rapporto di lavoro con il direttore amministrativo, regolato dal d.lgs. numero 502/92 e dal D.P.C.M. numero 502/95, non faceva sorgere un «vincolo tra direttore generale e direttore amministrativo tale da giustificare l'applicazione della disciplina del c.d. spoil system», con la conseguenza che il rapporto di lavoro con il direttore amministrativo è assoggettato alla disciplina generale, ivi compreso quanto previsto dall'articolo 2119 c.c. in tema di recesso. In un contesto siffatto, i Giudici di merito dichiaravano la nullità della clausola contrattuale in discorso, ritenendo però carente la prova circa «l'esistenza di una differenza tra il compenso dovuto e quello successivamente percepito» dal lavoratore. Contro tale pronuncia sia il lavoratore che l'azienda sanitaria, in via incidentale, ricorrevano alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. L'aliunde perceptum è un'eccezione la cui fondatezza deve essere provata da chi la muove Il lavoratore si doleva, inter alia, della violazione e falsa applicazione degli articolo 1218,1227, secondo comma, e 2697 c.c., per avere i Giudici di merito applicato «l'articolo 1227 c.c. ad una ipotesi che esula dalla sua area di operatività» nonché per aver «fatto non corretto governo dell'articolo 2697 c.c.». Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, accogliendo per quanto qui rileva il ricorso, riconosceva che, sotto il profilo probatorio, è sufficiente per il lavoratore dedurre di aver subito un «pregiudizio» a causa di un comportamento illegittimo della P.A. ad esempio, come nel caso di specie, producendo le buste paga relative ai successivi incarichi ricoperti da cui poter evincere la minor retribuzione percepita per invocare il risarcimento del danno patito. Secondo la Cassazione, non è infatti necessario fornire «uno specifico conteggio del danno» subito, ben potendo il Giudice, sulla base della «pista probatoria» delineata dal lavoratore e di una semiplena probatio, «dar luogo all'esercizio dei propri poteri istruttori d'ufficio» per procedere all'accertamento di «an e quantum del danno». Peraltro, è principio ormai consolidato quello per cui «l'aliunde perceptum è un'eccezione e, come tale, deve essere provata dal datore di lavoro che la invoca in giudizio, il quale non può limitarsi ad affermare, come nel caso di specie, che il quantum dell'aliunde perceptum equivalga alla precedente retribuzione percepita, poiché affermazioni di tale tenore configurano, secondo la Cassazione, soltanto «mere deduzioni a carattere valutativo». Prosegue la Corte, chiarendo che anche le dimissioni del lavoratore da un incarico assunto successivamente al recesso unilaterale della azienda sanitaria non può considerarsi quale «contributo causale» e «colposo» ai sensi dell'articolo 1227 c.c. legittimante una diminuzione o addirittura, negazione del risarcimento del danno subito dal lavoratore in conseguenza dell'illegittimo recesso dell'azienda sanitaria che, viene ribadito, costituisce «autonoma ed esclusiva fonte causale» dell'evento dannoso. È irrilevante la mancata offerta di eseguire la prestazione da parte del lavoratore Per quanto riguarda invece il ricorso incidentale, l'azienda sanitaria si doleva della violazione degli articolo 1206,1207 e 1227 c.c., per non avere i Giudici di merito considerato che, in ogni caso, il lavoratore non avrebbe avuto diritto ad alcun risarcimento del danno, non avendo costituito in mora l'impresa né offerto a quest'ultima la propria prestazione lavorativa. Motivo che non viene condiviso dalla Cassazione la quale, lo rigettava, osservando che qualora il datore di lavoro si avvalga di una clausola contrattuale nulla per comunicare il recesso dal rapporto di lavoro, il lavoratore è esonerato dall'onere di mettere in mora il datore di lavoro ai fini del riconoscimento del risarcimento dei danni, configurando ciò un recesso unilaterale illegittimo che «integra ex se rifiuto della prestazione del lavoratore da parte del datore». Delineati i principi di diritto, la Cassazione rinviava alla Corte di merito competente per la quantificazione del risarcimento del danno.

Presidente Tria Ritenuto in fatto 1. Con sentenza numero 99/2018, depositata in data 27 luglio 2018, la Corte d'appello di Trieste, nella regolare costituzione dell'appellata AZIENDA SANITARIA UNIVERSITARIA INTEGRATA DI OMISSIS , ha accolto parzialmente l'appello proposto da M.F. avverso la sentenza del Tribunale di Trieste numero 63/2016 del 4 aprile 2016 e, per l'effetto, ha dichiarato la nullità della clausola di cessazione automatica dall'incarico contenuta nel contratto individuale di lavoro concluso in data 2 febbraio 2009 tra l'appellante e l'appellata, respingendo tuttavia le altre domande proposte dallo stesso M.F 2. Quest'ultimo aveva adito il Tribunale di Trieste, riferendo in fatto di avere concluso con la AOU Ospedali Riuniti di OMISSIS un contratto di affidamento dell'incarico quale direttore amministrativo presso l'azienda stessa con scadenza al 2 febbraio 2012 ma che, con delibera in data 28 aprile 2010, era stata disposta la cessazione anticipata dell'incarico dirigenziale a decorrere dal 13 maggio 2010, ai sensi della previsione contenuta nell'articolo 7, ultimo capoverso, del contratto individuale. Deducendo di avere assunto in data 10 novembre 2010 l'incarico di direttore amministrativo dell'ASS numero 3 di OMISSIS , percependo una minore retribuzione, M.F. aveva chiesto di dichiarare la nullità della clausola contrattuale che consentiva il recesso anticipato e di condannare l'Azienda convenuta al risarcimento dei danni, consistenti nelle minori retribuzioni maggiorate del trattamento economico del dirigente meglio retribuito, nonché delle spese di trasferta. 3. Costituitasi l'Azienda convenuta con una nutrita serie di eccezioni, il Tribunale di Trieste aveva respinto integralmente la domanda, argomentando che il rapporto intercorso tra le parti era da ritenersi riconducibile ad un contratto di lavoro autonomo, retto dal principio della libertà di recesso del cliente, con conseguente possibilità di inserimento di termini o condizioni risolutive, ed affermando che la disciplina legale di cui al D.Lgs. numero 502/92 ed al D.P.C.M. numero 502/95 presupponeva la sussistenza di un particolare vincolo fiduciario tra direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario, risultando quindi giustificato il recesso anticipato, in quanto determinato dalla nomina di un nuovo direttore generale. 4. Proposto gravame da parte di M.F., la Corte d'appello di Trieste, richiamati precedenti di questa Corte, ha invece escluso che dalla disciplina del D.Lgs. numero 502/92 e del D.P.C.M. numero 502/95 venga a derivare un vincolo tra direttore generale e direttore amministrativo tale da giustificare l'applicazione della disciplina del c.d. spoil system, concludendo, quindi, nel senso dell'assoggettamento del rapporto di lavoro del direttore amministrativo alla disciplina generale dettata dall'articolo 2119 c.c., con conseguente nullità della clausola contrattuale che consenta il recesso unilaterale del datore di lavoro per effetto della mera sostituzione del direttore generale. Ritenuta, quindi, la illegittimità del recesso, la Corte territoriale ha tuttavia confermato il rigetto della domanda del ricorrente avente ad oggetto la condanna del datore di lavoro alla corresponsione della differenza tra la retribuzione prevista per l'incarico interrotto a causa del recesso unilaterale e la retribuzione percepita dallo stesso M.F. per incarichi che aveva successivamente ricevuto. Disattesa l'eccezione con cui l'appellata opponeva che l'appellante non avesse proceduto alla formale offerta delle prestazioni lavorative – in quanto il recesso è stato ritenuto di per sé idoneo a porre il datore in mora credendi – la Corte d'appello ha invece ritenuto fondata l'eccezione ex articolo 1227, secondo comma, c.c., valorizzando la circostanza delle dimissioni rassegnate dell'appellante dall'incarico successivamente ricevuto e concludendo che, in assenza di adeguata prova dell'esistenza di una differenza tra il compenso dovuto e quello successivamente percepito, non sussistevano elementi sufficienti per affermare l'effettiva esistenza di un credito residuo. 5. Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Trieste ricorre ora M.F Resiste con controricorso e ricorso incidentale AZIENDA SANITARIA UNIVERSITARIA INTEGRATA DI OMISSIS . 6. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli articolo 375, secondo comma, e 380-bis.1, c.p.c. Le parti hanno depositato memorie. Considerato in diritto 1. Il ricorso principale è affidato a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all'articolo 360, numero 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1218,1227, secondo comma, e 2697 c.c. “erronea sussunzione della fattispecie concreta nella normativa astratta applicata”. Il ricorrente censura la decisione per avere quest'ultima ritenuto che, in virtù dei successivi incarichi rivestiti dal ricorrente medesimo presso le Aziende di OMISSIS e OMISSIS ed in applicazione della regola dell'aliunde percipiendum, al ricorrente medesimo non spettava alcun risarcimento. Argomenta, invece, di avere sin dal giudizio di primo grado individuato specificamente le differenze stipendiali dalle quali era possibile evincere che i successivi incarichi erano comunque remunerati in misura inferiore all'incarico presso la AZIENDA SANITARIA UNIVERSITARIA INTEGRATA DI OMISSIS , concludendo che, anche a voler valorizzare le dimissioni dall'incarico presso l'ASS di OMISSIS , residuerebbe in ogni caso un danno differenziale. Deduce, quindi, che la Corte territoriale non solo avrebbe applicato l'articolo 1227 c.c. ad una ipotesi che esula dalla sua area di operatività, ma avrebbe fatto non corretto governo dell'articolo 2697 c.c., gravando lo stesso ricorrente dell'onere di contestare un mero argomento difensivo, mentre i presupposti dell'originaria domanda del ricorrente erano da ritenersi già pienamente provati. 2.2. Il motivo è fondato. La Corte territoriale, invero, non ha fatto corretta applicazione degli articolo 2697 e 1227 c.c., da un lato seguendo un ragionamento che si è tradotto in un sostanziale rovesciamento degli oneri probatori, e dall'altro, escludendo qualsiasi diritto del ricorrente al risarcimento dei danni, sulla scorta di un generico – e non pertinente – riferimento all'aliunde percipiendum. Secondo un principio che è desumibile da precedenti di questa Corte in fattispecie diversa ma avente comunque caratteri di affinità quanto al profilo degli oneri probatori Cass. Sez. L - Sentenza numero 22294 del 25/07/2023 , una volta dedotta dall'odierno ricorrente una situazione di pregiudizio derivante da un comportamento illegittimo della p.A. – consistente, nel caso ora in esame, nell'anticipato recesso dal contratto di lavoro e nella conseguente perdita delle relative retribuzioni - ai fini dell'identificazione del danno rivendicato doveva ritenersi sufficiente il richiamo appunto al presupposto di detto pregiudizio, senza che la parte potesse ritenersi onerata né della quantificazione delle “minori somme eventualmente dovute” né della contestazione delle avverse allegazioni, concernendo queste ultime non fatti ma mere deduzioni a carattere valutativo l'equivalenza dei compensi del nuovo incarico rispetto a quello precedentemente ricoperto . Essendo la vicenda fattuale di inoccupazione od occupazione a condizioni deteriori effetto concreto e diretto dell'anticipato recesso – dalla Corte stessa dichiarato illegittimo – la quantificazione del danno veniva a concernere il piano della prova, anche sotto il profilo del riparto del conseguente onere ex articolo 2697 c.c., e non quello dell'introduzione della domanda e della pretesa risarcitoria, con la conseguenza che - pur nell'esplicito riconoscimento da parte dell'odierno ricorrente dell'assunzione di un altro incarico peraltro asseritamente meno remunerato – non avrebbe potuto la Corte territoriale gravare il ricorrente dell'onere di procedere ad uno specifico conteggio del danno quale presupposto per il riconoscimento del medesimo, pervenendo in caso contrario – come poi è avvenuto – al rigetto della domanda. In altri termini, a fronte dell'allegazione di un danno da minor retribuzione – ed in presenza della produzione delle buste paga da questa Corte già ritenute elemento probatorio decisivo sempre Cass. Sez. L - Sentenza numero 22294 del 25/07/2023 – la presenza di una semiplena probatio avrebbe semmai imposto alla Corte territoriale – come si vedrà anche in relazione al secondo motivo - di esercitare i propri poteri istruttori d'ufficio per verificare l'effettiva sussistenza ed entità del danno, mentre non avrebbe consentito l'esclusione radicale del riconoscimento risarcitorio unicamente per la presunta difficoltà del relativo calcolo. Rammentato, poi, il principio per cui l'aliunde perceptum è un'eccezione e, come avviene per tutte le eccezioni, deve essere provata da chi la sollevi, vale a dire dal datore di lavoro ogni qual volta si discuta di danno da lucro cessante cfr., ad esempio, Cass. 14 giugno 2022, numero 19163 Cass. 31 gennaio 2017 numero 2499 Cass. 12 maggio 2015, numero 9616 Cass. 17 novembre 2010, numero 23226 Cass. 26 ottobre 2010, numero 21919 Cass. 1° giugno 2004 numero 10531 Cass. 9 aprile 2003 numero 5532 Cass. 29 agosto 2000 numero 11341 Cass. 22 ottobre 1998 numero 10522 Cass. 27 marzo 1996 numero 2756 Cass. 19 luglio 1990 numero 7380 Cass. 20 giugno 1990 numero 6193 e altre – sicchè sarebbe stato onere semmai del datore di lavoro provare anche il quantum di detto aliunde perceptum senza limitarsi ad affermare la sua equivalenza alla precedente retribuzione - si deve ulteriormente rilevare che la Corte territoriale ha fatto inadeguato governo anche della regola di cui all'articolo 1227 c.c. valutando le dimissioni dell'odierno ricorrente dall'incarico successivamente assunto come contributo causale al verificarsi del danno conseguente al precedente illegittimo recesso della ricorrente incidentale. Governo inadeguato, in quanto la scelta di dimettersi da un successivo incarico, distinto da quello oggetto del contendere, non avrebbe potuto essere qualificata come contributo colposo del lavoratore al prodursi di un danno che aveva invece autonoma ed esclusiva fonte causale nella condotta illegittima della p.A., quasi che tali dimissioni – rientranti invece nella piena autonomia decisionale del lavoratore – costituissero di per sé condotta contra legem, e fermo restando che, anche solamente sul piano squisitamente logico, l'evidenza della riconducibilità cronologica di tali dimissioni ad un momento ben successivo a quello dell'inizio del prodursi del danno imputabile alla ricorrente incidentale non avrebbe mai potuto condurre la Corte territoriale alla esclusione radicale del riconoscimento del danno, come invece è avvenuto. 3.1. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all'articolo 360, numero 4, c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento la violazione e falsa applicazione degli articolo 111 Cost. 421 e 437, secondo comma, c.p.c., “anche in relazione agli articolo 112,115,116 c.p.c.”. Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d'appello - rigettando integralmente la domanda sulla base di un'eccezione che copriva un arco temporale più ridotto rispetto a quello interessato dalla domanda medesima, avrebbe omesso di statuire sui periodi non interessati dall'eccezione - avrebbe in ogni caso omesso di avvalersi dei propri poteri istruttori per procedere ad una consulenza tecnica d'ufficio. 3.2. Anche tale motivo è fondato. Questa Corte, infatti, ha reiteratamente chiarito - anche con riferimento al giudizio d'appello - che nel rito del lavoro, l'esercizio dei poteri istruttori del giudice - che può essere utilizzato a prescindere dalla maturazione di preclusioni probatorie in capo alle parti - vede quali presupposti la ricorrenza di una semiplena probatio e l'individuazione di quegli elementi che sono stati ricondotti alla categoria della «pista probatoria», e cioè di quelle informazioni che emergono dal complessivo materiale probatorio, anche documentale, e che costituiscono fattore che non solo vale a superare una rigida applicazione delle già richiamate preclusioni istruttorie e degli stessi limiti all'attività istruttoria, ma anche giustifica – ed anzi rende doveroso – l'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio, oltre ad una valorizzazione complessiva e non parziale del materiale probatorio, sebbene anche solo indiziario Cass. Sez. L - Ordinanza numero 26597 del 23/11/2020 Cass. Sez. L, Ordinanza numero 33393 del 17/12/2019 Cass. Sez. L - Ordinanza numero 32265 del 10/12/2019 Cass. Sez. L - Ordinanza numero 11845 del 15/05/2018 Cass. Sez. L - Ordinanza numero 28134 del 05/11/2018 Cass. Sez. L, Sentenza numero 9034 del 06/07/2000 . Tale principio, del resto, costituisce gemmazione di un principio più generale, anch'esso oggetto di reiterata enunciazione e riferito proprio alla verifica dell'effettiva sussistenza di uno scenario di assoluta mancanza di prova, quale quello evocato dalla decisione impugnata. A mente di tale principio, nel rito del lavoro, la necessità di assicurare un'effettiva tutela del diritto di difesa di cui all'articolo 24 Cost., nell'ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all'articolo 111, secondo comma, Cost. e in coerenza con l'articolo 6 CEDU, comporta l'attribuzione di una maggiore rilevanza allo scopo del processo - costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito - che non solo impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte o, comunque, risultino ispirate ad un eccessivo formalismo, tale da ostacolare il raggiungimento del suddetto scopo, ma conduce a considerare del tutto residuale l'ipotesi di assoluta mancanza di prove Cass. Sez. L, Sentenza numero 18410 del 01/08/2013 . Alla luce di tali principi, ha errato la Corte territoriale nel rigettare la domanda risarcitoria dell'odierno ricorrente, da un lato facendo – come in visto in precedenza – non corretta applicazione dell'articolo 1227 c.c. e dall'altro lato omettendo di procedere a qualunque forma di istruttoria – a cominciare dall'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio – sulla scorta della generica considerazione per cui l'odierno ricorrente non aveva proceduto ad una specifica e dettagliata quantificazione della propria pretesa risarcitoria né aveva replicato alle contestazioni in ordine alla sussistenza del danno. Sarebbe stato invece onere della Corte territoriale, a fronte dell'accertata nullità della clausola di recesso anticipato dal rapporto di lavoro e della deduzione in ordine all'esistenza di un danno correlato alle minori retribuzioni del nuovo incarico, assumere tali elementi quali “pista probatoria” per dar luogo all'esercizio dei propri poteri istruttori d'ufficio in ordine all'accertamento di an e quantum del danno. 4.1. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all'articolo 360, numero 5, c.p.c., l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio con connessa violazione degli articolo 115 e 116 c.p.c. Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale, nella propria decisione, avrebbe omesso di valutare - l'efficacia temporale delle dimissioni, le quali non avrebbero potuto elidere il danno pregresso - “la valutazione dell'effettiva incidenza delle dimissioni in relazione all'ammontare del danno anche per il periodo posteriore”. 4.2. Il motivo è inammissibile, in quanto i profili di cui lamenta l'omesso esame non costituiscono fatti storici veri e propri – da intendersi come riferiti a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest'ultimo profilo Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza numero 22397 del 06/09/2019 Cass. Sez. 1 - Ordinanza numero 26305 del 18/10/2018 Cass. Sez. 2 - Sentenza numero 14802 del 14/06/2017 - ma si sostanziano in prove ed in elementi di fatto, peraltro oggetto di considerazione da parte della Corte territoriale con valutazione che non è sindacabile nella presente sede. Va invero ribadito che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass. Sez. 2 - Ordinanza numero 27415 del 29/10/2018 , e ciò in quanto le deduzioni aventi ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attengono alla mera sufficienza della motivazione, e cioè ad un profilo non più deducibile come motivo di ricorso Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza numero 11863 del 15/05/2018 . 5. Il ricorso incidentale è affidato a tre motivi. 6.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all'articolo 360, numero 5, c.p.c., l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio “con connessa violazione degli articolo 115 e 116 c.p.c.”. La ricorrente incidentale censura la decisione della Corte di Trieste in quanto quest'ultima avrebbe omesso di valutare l'esistenza di una disciplina regionale – la Delibera G.R. F.V.G. 4012/2003 – che avrebbe approvato uno schema tipo di contratto secondo quanto previsto dall'articolo 3-bis, D. Lgs. numero 502/1992, di cui l'odierna ricorrente incidentale si era avvalsa. Tale circostanza sarebbe decisiva in quando l'odierno ricorrente non avrebbe mai impugnato tale delibera mentre l'odierna ricorrente incidentale si sarebbe solo conformata agli atti della Regione. 6.2. Il motivo è inammissibile e infondato. In primo luogo, infatti, si deve rilevare che il motivo, da un lato, non rispetta il disposto di cui all'articolo 366 c.p.c. - non avendo la ricorrente incidentale proceduto alla riproduzione dei passaggi essenziali di tale delibera e del relativo schema-tipo, limitandosi ad una generica localizzazione della medesima negli atti processuali – e, dall'altro lato, qualifica come fatto storico un profilo che, in realtà, concerneva il vaglio di fondatezza della domanda, e quindi cerca di estendere inammissibilmente il paradigma di cui all'articolo 360, numero 5 , c.p.c. Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza numero 22397 del 06/09/2019 Cass. Sez. 1 - Ordinanza numero 26305 del 18/10/2018 Cass. Sez. 2 - Sentenza numero 14802 del 14/06/2017 . In secondo luogo, si deve rilevare che la decisione impugnata ha, in realtà, menzionato la delibera di cui si assume l'omesso esame pag. 4 della decisione ma si è conformata all'orientamento espresso in materia da questa Corte Cass. Sez. L, Sentenza numero 14349 del 09/07/2015 Cass. Sez. L - Sentenza numero 24079 del 07/09/2021 Cass. Sez. L - Sentenza numero 19739 del 11/07/2023 Cass. Sez. L - Ordinanza numero 1895 del 18/01/2024 , dovendosi qui ribadire che l'eventuale regolazione del rapporto sarebbe dovuta avvenire con atto legislativo della Regione, conformemente a quanto stabilito dall'articolo 3-bis, D.Lgs. numero 502/1992, e peraltro, a propria volta, in conformità ai principi sanciti dall'articolo 97 Cost. Da ciò discende un ulteriore profilo di carenza del motivo di ricorso, dal momento che la circostanza di cui si è assunto l'omesso esame non può ritenersi decisiva ai fini del giudizio, anche in virtù del fatto che il ricorrente principale non sarebbe stato comunque tenuto ad impugnare autonomamente la delibera, ben potendone chiedere la disapplicazione ex articolo 63, D. Lgs. numero 165/2001. 7.1. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all'articolo 360, numero 3, c.p.c., la violazione dell'articolo 112 c.p.c. e la “errata applicazione dell'articolo 63 D. Lgs. 165/2001 e dell'articolo 1218 cc, in quanto la Corte non si è pronunciata sulle eccezioni che l'ASUI ha tempestivamente svolto in considerazione del fatto che il rapporto è disciplinato anche dalle regole dettate dalla Regione con la precitata Delibera, che il dott. M.F. avrebbe dovuto impugnare autonomamente e che, anche se disapplicabile in questa sede, comunque rappresentava un fatto del terzo idoneo ad escludere ogni colpa in capo alla ASUI”. 7.2. Anche tale motivo è inammissibile. Ferma, invero, la già argomentata non decisività del profilo in questione – come appena osservato in relazione al primo motivo – si osserva che il vizio dedotto nel motivo sarebbe stato in realtà riconducibile all'ipotesi di cui all'articolo 360, numero 4 , c.p.c. in combinato disposto con l'articolo 112 c.p.c. Deve allora trovare applicazione il principio – da questa Corte reiteratamente affermato - per cui, nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al numero 4 del primo comma dell'articolo 360 c.p.c., con riguardo all'articolo 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché il ricorso sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge Cass. Sez. U, Sentenza numero 17931 del 24/07/2013 Cass. Sez. 1, Sentenza numero 24553 del 31/10/2013 Cass. Sez. 2 - Ordinanza numero 10862 del 07/05/2018 , come è appunto avvenuto nel caso in esame, dal momento che il motivo di ricorso, al di là della formulazione della sua rubrica, omette radicalmente di dedurre la nullità decisione. 8.1. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all'articolo 360, numero 3, c.p.c., la violazione degli articolo 1206,1207 e 1227 c.c., in quanto la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto irrilevante, ai fini risarcitori, la mancata offerta della prestazione da parte dell'odierno ricorrente principale. Si argomenta, invece, che quest'ultimo avrebbe dovuto procedere alla messa in mora dell'azienda per poter avere titolo a richiedere le retribuzioni. 8.2. Il motivo, pur essendo ammissibile Cass. Sez. 2 - Ordinanza numero 33109 del 10/11/2021 è tuttavia infondato. Infatti, i precedenti di questa Corte invocati dalla ricorrente a sostegno delle proprie ragioni sono riferiti all'ipotesi in cui, apposto illegittimamente un termine al contratto di lavoro, il lavoratore sospenda l'esecuzione della prestazione per – come ha osservato questa Corte Cass. Sez. U, Sentenza numero 14381 del 08/10/2002 – “attuazione di fatto del termine nullo”, in tal caso risultando evidente che la spontanea attuazione della previsione illegittima - e quindi l'altrettanto spontanea interruzione della prestazione lavorativa – comportano il venir meno della sinallagmaticità del rapporto e rendono riconducibile alla stessa condotta del lavoratore il mancato conseguimento della remunerazione, giustificando quindi la subordinazione di ogni pretesa economica alla previa offerta formale della prestazione lavorativa. È tuttavia da ritenersi che sia ben diversa l'ipotesi in cui il datore, avvalendosi di una clausola contrattuale nulla, venga a comunicare al lavoratore il recesso dal rapporto, in quanto tale recesso unilaterale ed illegittimo, viene ad integrare ex se rifiuto della prestazione del lavoratore da parte del datore, esonerando il primo dall'onere di procedere alla messa in mora del secondo ai fini del riconoscimento del risarcimento dei danni, come peraltro da questa Corte già chiarito in fattispecie consimile di illegittima sospensione del rapporto per collocamento in cassa integrazione guadagni non conforme a legge Cass. Sez. L, Sentenza numero 7524 del 27/03/2009 . A tale principio la decisione in esame risulta essersi correttamente richiamata, da ciò derivando la infondatezza del motivo di ricorso. 9. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso principale deve essere accolto limitatamente ai primi due motivi, inammissibile essendo il terzo, mentre il ricorso incidentale deve essere respinto. La decisione impugnata deve, quindi, essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d'appello di Trieste, in diversa composizione, la quale, nel conformarsi ai principi qui richiamati, provvederà a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il primo e secondo motivo del ricorso principale, inammissibile il terzo rigetta il ricorso incidentale cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Trieste in diversa composizione. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.