Per la III sezione civile della Suprema Corte, per stabilire se il danneggiato è corresponsabile del danno, in tutto o in parte, è sufficiente che la sua condotta abbia avuto carattere colposo, senza necessità di autonomia, imprevedibilità ed inevitabilità.
La III sezione civile della Corte di Cassazione ha ribadito il principio sopra espresso, già più volte statuito dalla Suprema Corte, nell’ordinanza emessa nella Camera di Consiglio dell’8 maggio 2024, pubblicata il successivo 17 ottobre. Il caso La questione sottoposta alla Suprema Corte riguardava la sentenza di secondo grado, emessa dalla Corte di appello di Lecce, che respingeva il gravame incidentale dell’odierno ricorrente. Con la sentenza impugnata, veniva confermata la condanna dell’allora appellante a rifondere i danni ad A.S, subiti a causa di una caduta occorsagli quando era ancora minorenne in una buca insistente sul marciapiede di una via cittadina dell'abitato della città di sua residenza. In primo grado, egli era stato citato in giudizio insieme al comune dai genitori del danneggiato, che agivano per ottenere il risarcimento dei danni subiti dal figlio, caduto in una buca aperta su un marciapiede di una via cittadina, interna a un complesso edilizio realizzato dall'impresa edile dell'odierno ricorrente. La domanda risarcitoria veniva rigettata in primo grado, mentre il giudice d'appello accoglieva la stessa, esclusivamente nei confronti del costruttore, riconosciuto responsabile dell'incidente in concorso con la vittima, per una quota dell’80%. Il giudice d'appello però, aveva omesso di pronunciarsi sull'appello incidentale, con cui l'appellante aveva censurato a sua volta la decisione del primo giudice, impugnandola nella parte in cui aveva ritenuto che il Comune fosse privo di legittimazione passiva. Di conseguenza, questa stessa Corte rinviava alla Corte d'appello, la quale all'esito del giudizio confermava la responsabilità del solo costruttore e la condanna dello stesso a risarcire nella misura già stabilita il danno subito danneggiato. Contro questa sentenza propone ricorso per cassazione l'odierno ricorrente, sulla base di cinque motivi tra cui l'omessa pronuncia su un fatto decisivo del giudizio, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 del codice civile in relazione all'applicazione dell'articolo 2051, e infine la violazione e falsa applicazione dello stesso articolo 2051 e la nullità per omesso esame sulla pronuncia e la violazione dell'articolo 112 del codice di procedura civile, per aver riconosciuto la colpa del danneggiato e dei suoi genitori, senza però attribuirvi il ruolo di causa efficiente ed esclusiva quanto invece di concausa. In questo senso, secondo il ricorrente, il giudice del rinvio avrebbe mancato di esaminare e pronunciarsi su tale questione, per erronea presupposizione di giudicato interno. Ha resistito con controricorso il danneggiato. Si ricordi che, nel caso di responsabilità di cui all’articolo 2051 cod. civ., ai fini della verifica del contributo causale, o concausale, dello stesso soggetto danneggiato nella verificazione dell’evento dannoso è sufficiente che la condotta tenuta da costui abbia carattere colposo. Non è necessario che essa si presenti anche come autonoma, eccezionale, imprevedibile e inevitabile. Il quarto e il quinto motivo di ricorso, trattati congiuntamente, sono stati infatti, accolti dall'ordinanza in commento. Secondo la Suprema Corte, è errata l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui al fine di escludere del tutto la responsabilità del custode non è rilevante la mera condotta colposa del danneggiato, ma la sua eccezionalità, imprevedibilità ed imprevenibilità cioè, il fatto che la condotta non sia in qualche modo prevenibile . Detta statuizione, secondo l'ordinanza è infatti in contrasto con il principio giurisprudenziale ormai acclarato, che prevede che in tema di responsabilità per cosa in custodia, l'incidenza causale, sia essa concorrente o esclusiva del comportamento del danneggiato, presuppone che lo stesso abbia natura colposa, non richiedendosi invece, che la condotta si presenti anche come autonoma, eccezionale, imprevedibile è inevitabile. Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, la Corte d'appello ha errato nel ritenere necessari, per la eventuale quantificazione della concausa, oltre alla condotta colposa anche i criteri della eccezionalità e imprevedibilità. In applicazione di tale principio, sono stati accolti il quarto e il quinto motivo con rinvio alla Corte di appello di Lecce in diversa composizione, per la decisione sul merito e sulle spese che dovrà basarsi sul seguente principio di diritto «ricorrendo la fattispecie di cui all'articolo 2051 del codice civile, ai fini della verifica del contributo causale o concausale dello stesso soggetto danneggiato nella verificazione dell'evento dannoso è sufficiente che la condotta tenuta da costui abbia carattere colposo, non richiedendosi invece che essa si presenti anche come autonoma, eccezionale, imprevedibile e inevitabile»
Presidente De Stefano - Relatore Guizzi Fatti di causa 1. Pa.Pi. ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza numero 1056/21, del 28 settembre 2021, della Corte d'Appello di Lecce, che – nel pronunciarsi quale giudice del rinvio, a seguito della sentenza 22575/18, del 25 settembre 2018, resa da questa Corte – ha respinto il gravame incidentale dallo stesso esperito avverso la sentenza numero 133/2010, del 3 maggio 2010, del Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, confermandone, così, la condanna a risarcire i danni subiti da Sa.Anumero , a causa di una caduta occorsagli, quand'era ancora minorenne, in una buca insistente sul marciapiede di una via cittadina dell'abitato di M. 2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierno ricorrente di essere stato convenuto in giudizio – unitamente al Comune di Maglie – da Sa.Fr. e La.Anumero , che agirono per ottenere il risarcimento dei danni subiti dal figlio, allora ancora minorenne, Sa.Anumero il quale, raggiunta la maggiore età, ha poi proseguito la causa in proprio , caduto in una buca aperta su un marciapiede di una via cittadina, interna ad un complesso edilizio realizzato dall'impresa edile del Pa.Pi. Gli allora attori precisavano che la buca nella quale era caduto l'allora dodicenne figlio Andrea – la sera del 27 agosto 2005, intorno alle ore 22 00 – era stata realizzata per la installazione di una cabina di distribuzione di energia elettrica in una zona ricompresa in un comparto edificatorio espropriato dal Comune di Maglie, sulla quale l'impresa Pa.Pi., all'inizio degli anni '90, aveva realizzato, in regime di superficie, in virtù di convenzione urbanistica, alcuni alloggi di edilizia residenziale agevolata e convenzionata. Si costituivano entrambi i convenuti, resistendo all'avversaria domanda. Il Pa.Pi., in particolare, deduceva che l'intervento costruttivo di edilizia agevolata da esso effettuato era stato ultimato sin dal 1993, che le opere di urbanizzazione all'epoca realizzate erano state prese in carico dal Comune di Maglie, essendo, altresì, avvenuto il trasferimento ai terzi acquirenti degli alloggi costruiti, sicché ogni rapporto con il Comune e con i luoghi oggetto di causa era cessato, così come il diritto di superficie sulle aree pubbliche, concessogli ai fini costruttivi con la convenzione urbanistica, si era estinto. Rigettata la domanda risarcitoria dal primo giudice, quello d'appello – in riforma della decisione – accoglieva la stessa esclusivamente nei confronti del Pa.Pi., riconosciuto responsabile dell'incidente in concorso con la stessa vittima, per una quota dell'80%. Il giudice di seconde cure, però, ometteva di pronunciarsi sull'appello incidentale con cui il Pa.Pi. aveva censurato, a propria volta, la decisione del primo giudice, impugnandola nella parte in cui aveva ritenuto che, ad esser privo di legittimazione passiva rispetto all'azione risarcitoria, fosse esclusivamente il Comune di Maglie. Tale omissione veniva, tuttavia, censurata da questa Corte con la sentenza numero 22575/18, donde la celebrazione del giudizio ex articolo 394 cod. procomma civ., all'esito del quale veniva confermata la responsabilità del solo Pa.Pi. e la condanna dello stesso a risarcire – nella misura dell'80% – il danno subito dal Sa.Anumero 3. Avverso la sentenza della Corte salentina ha proposto ricorso per cassazione il Pa.Pi., sulla base – come detto – di cinque motivi. 3.1. Il primo motivo denuncia – ex articolo 360, comma 1, numero 4 , cod. procomma civ. – violazione e falsa applicazione dell'articolo 384, comma 2, cod. procomma civ. e dei principi in tema di giudizio di rinvio. Si assume che questa Corte, pur cassando formalmente la precedente decisione del giudice d'appello per omessa pronuncia, ha evidenziato anche il concreto contenuto della predetta postulazione difensiva rimasto inosservato e non deciso, nonché la sua rilevanza in termini logico-giuridici ai fini del giudizio ed altresì la inidoneità delle ragioni di fatto e di diritto poste dalla sentenza di merito alla base dell'affermata insussistenza di responsabilità del Comune a costituire, anche in via indiretta, il fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'Impresa Pa.Pi. . In particolare, il giudice di legittimità – si assume – ha rilevato come esso Pa.Pi. avesse sostenuto che le opere di urbanizzazione a proprio carico erano state ultimate, che l'area pubblica in cui esse insistevano era stata riconsegnata al Comune e che a tale riconsegna aveva fatto seguito la concessione della licenza di abitabilità degli edifici realizzati e lo svincolo delle polizze fideiussorie, come previsto dalla convenzione stipulata, che il marciapiede era da anni aperto al transito pubblico e comunque l'eventuale cantiere esistente in loco era quello aperto per la realizzazione di una cabina elettrica non compresa tra le opere di urbanizzazione di cui alla convenzione e non si trattava di cantiere nella propria disponibilità . In questi termini, dunque, il giudice del rinvio – secondo l'odierno ricorrente – avrebbe dovuto affrontare la questione relativa alla sussistenza o meno del rapporto di custodia in relazione all'area in cui si trovava la buca che ha causato il danno , giacché sussistendo il rapporto di custodia, senz'altro risulterebbero applicabili le disposizioni di cui all'articolo 2051 cod. civ. . Senonché, la Corte salentina si sarebbe limitata ad una sbrigativa e parziale disamina giuridica di alcuni aspetti soltanto delle difese svolte da esso Pa.Pi., avendo trascurato il senso e la rilevanza di tutte le predette allegazioni difensive ai fini della questione da decidere, all'esito della quale la Corte ha ritenuto ancora una volta non provato l'esaurimento degli effetti obbligatori della convenzione tra la Ditta ed il Comune . A tale conclusione, però, essa sarebbe pervenuta avendo omesso del tutto ancor più di quanto non fosse nella sentenza cassata l'accertamento della persistenza in loco di un cantiere appartenente alla ditta stessa, ovvero della effettiva relazione di fatto tra la essa e l'area interessata dalla buca , ovvero quanto questo giudice di legittimità aveva indicato come presupposto determinante per affermare la sua legittimazione passiva nella fattispecie di causa . 3.2. Il secondo motivo denuncia – ex articolo 360, comma 1, numero 3 , cod. procomma civ. – violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 cod. civ. e degli articolo 113,115 e 116 cod. procomma civ., in relazione all'applicazione dell'articolo 2051 cod. civ. Il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver posto a suo carico l'onere di dimostrare l'inesistenza del rapporto di custodia tra l'impresa di cui è titolare e l'area teatro del sinistro, giacché ha concluso con l'affermazione della legittimazione passiva della ditta medesima dopo aver affermato la inopponibilità al Sa.Anumero , per i fini per cui è causa, delle vicende relative alla convenzione con il Comune ed alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e dopo aver comunque addebitato all'impresa la mancata prova, sia dell'intervenuto collaudo e della presa in consegna da parte del Comune di dette opere, che dell'avvenuto trasferimento agli acquirenti degli alloggi realizzati e con essi delle proporzionali quote delle aree condominiali e delle aree di sedime . Il Pa.Pi. lamenta l'erroneità di tale impostazione, atteso che la fattispecie dell'articolo 2051 cod. civ., pur configurando un'ipotesi di responsabilità quasi oggettiva del custode, presuppone pur sempre la prova della sussistenza del rapporto di custodia, dell'evento dannoso e del nesso di derivazione causale di questo con la cosa oggetto di custodia, e l'onere di tale prova incombe, secondo i principi generali, sull'attore , non potendo neppure astrattamente concepirsi una prova negativa della custodia da parte del convenuto . Di conseguenza, non poteva la Corte salentina addossare alla ditta le conseguenze della pretesa irrilevanza nei confronti del Sa.Anumero delle vicende giuridiche ed esecutive della convenzione urbanistica stipulata con il Comune nel 1990 per disciplinare la edificazione e la urbanizzazione dei suoli . Né essa poteva, a fronte delle contestazioni e delle documentate allegazioni in fatto della convenuta odierna ricorrente , ritenere la parte attrice Sa.Anumero sollevata dall'onere di provare la perdurante esecuzione di quella convenzione da parte della Ditta Pa.Pi. . In ogni caso, neppure risulta giuridicamente corretto affermare – ad avviso del ricorrente – che la parte allora convenuta non avesse fornito prova del suo difetto di legittimazione passiva, essendo stati prodotti agli atti di causa la convenzione del 24 aprile 1990 tra il Comune e la Ditta Pa.Pi., il certificato di ultimazione lavori ottenuto dalla Ditta in data 11 giugno 1993 ed il certificato di abitabilità degli alloggi costruiti, rilasciato dal Comune in data 13 dicembre 1993, documenti da leggere in correlazione tra loro. D'altra parte, a ulteriore riscontro della avvenuta ultimazione delle opere di urbanizzazione in epoca antecedente al sinistro varrebbero le risultanze della prova testimoniale espletata in primo grado, così come provato – dal momento che mai fu contestato in giudizio – risulterebbe il fatto che il Comune di Maglie aveva provveduto anche allo svincolo e alla restituzione della cauzione prestata a garanzia delle obbligazioni di cui alla convenzione stessa, prima del rilascio del certificato di ultimazione dei lavori. Sottolinea, inoltre, il ricorrente che con il rilascio del certificato di abitabilità si è anche verificato il presupposto per l'estinzione ipso iure del diritto di superficie che la menzionata convenzione ha costituito sul comparto edilizio di cui trattasi , ad ulteriore dimostrazione del venir meno del rapporto di custodia con la res . Ribadisce, inoltre, di aver richiamato innanzi al giudice del rinvio il principio, enunciato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui, costituendo il trasferimento al Comune delle opere di urbanizzazione un'obbligazione ex lege a carico del lottizzante, con la loro ultimazione si determina una presunzione iuris et de iure di proprietà pubblica. D'altra parte, neppure potrebbe avere rilevanza la prospettazione della mancata esecuzione di un formale collaudo delle opere, stante il principio enunciato da questa Corte secondo cui l'ente pubblico è responsabile ex articolo 2051 cod. civ. per i danni causati a terzi dall'opera ricevuta dall'appaltatore nonostante la illegittimità della detenzione della res damnosa dovuta, appunto, alla mancanza del necessario collaudo. Infine, quanto alla ritenuta carenza di prova dell'avvenuto trasferimento degli alloggi realizzati, si tratterebbe di questione che nulla toglie al quadro innanzi esposto , alla luce della ultimazione dei lavori edili ben tredici anni prima del sinistro e del pacifico utilizzo demaniale dell'area teatro del sinistro. 3.3. Il terzo motivo denuncia – ex articolo 360, comma 1, numero 5 , cod. procomma civ. – omesso esame di un punto decisivo per il giudizio. Assume il ricorrente che il proprio difetto di legittimazione era stato da esso dedotto sulla scorta di altrettante allegazioni di punti di fatto che sono risultati completamente trascurati dalla Corte salentina . In particolare, la deduzione che l'intervento edilizio e le relative opere di urbanizzazione del … , e con essi i lavori della ditta Pa.Pi. in quell'area, sono stati ultimati nel 1993 , risultava confermata dal fatto che il Comune di Maglie svincolò anche la cauzione prestata dall'Impresa a garanzia delle proprie obbligazioni, segno inconfutabile che nessuna lavorazione doveva essere ancora eseguita o era rimasta non consegnata . Inoltre, la sentenza impugnata non avrebbe dato il dovuto rilievo al fatto che la domanda risarcitoria è stata proposta senza allegare che il sinistro si era verificato in un'area identificabile come cantiere, bensì in una zona di pubblico uso non occupata e non detenuta, da alcuno, cioè lasciata abbandonata , e che la buca ivi esistente era stata realizzata non si sa da chi in funzione di una cabina elettrica . Del pari, essa non avrebbe considerato che la buca in cui è caduto Sa.Anumero è ubicata su un'area destinata a marciapiede di Via … come anche confermato dai testi escussi , donde l'applicazione della presunzione di demanialità di cui all'articolo 22 della legge 20 marzo 1865, numero 2248, all. F . 3.4. Il quarto motivo denuncia – ex articolo 360, comma 1, numero 3 , cod. procomma civ. – violazione e falsa applicazione dell'articolo 2051 cod. civ. Si censura la sentenza impugnata per aver escluso il caso fortuito consistente nella condotta colposa del danneggiato, e ciò perché – nella ricostruzione del decisum della Corte salentina offerta dal ricorrente – il comportamento di un ragazzo di dodici anni come il Saponara all'epoca dell'incidente , per quanto imprudente e irresponsabile, non può dirsi assolutamente imprevedibile , essendo, d'altra parte, l'evento occorso oggettivamente prevenibile chiudendo la buca stessa o segnalandone la presenza . Al riguardo, premette il ricorrente di aver ribadito anche innanzi al giudice del rinvio come l'attore non abbia mai fornito prova del fatto storico accaduto, né delle circostanze e modalità con cui si sarebbe verificata la caduta, né, in definitiva, della sua verificazione. Inoltre, si sottolinea che la Corte di rinvio ha assunto un concetto estremamente restrittivo di caso fortuito che mal si concilia con la natura oggettiva della responsabilità predicata dall'articolo 2051 cod. civ. , giacché quando manchi l'intrinseca pericolosità della cosa e le esatte condizioni di questa siano percepibili in quanto tali, ove la situazione comunque ingeneratasi sia superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, va allora escluso che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di meta occasione dell'evento , dovendosi ritenere integrato il caso fortuito. 3.5. Infine, il quinto motivo denuncia – ex articolo 360, comma 1, nnumero 4 e 5 , cod. procomma civ. – omesso esame di un punto decisivo per il giudizio e nullità per omessa pronuncia e violazione dell'articolo 112 cod. procomma civ. Assume il ricorrente di aver censurato, già con il primo ricorso per cassazione e, per l'esattezza, con il sesto motivo dello stesso, dichiarato assorbito da questa Corte la decisione di riconoscere la colpa del danneggiato e dei suoi genitori, senza però attribuirvi il ruolo di causa efficiente ed esclusiva, quanto invece di concausa concorrente e non preponderante nel determinismo dell'evento, nei limiti minimi del venti per cento soltanto della responsabilità complessiva . Orbene, il giudice del rinvio avrebbe mancato di esaminare e di pronunciarsi su tale questione, per erronea presupposizione di giudicato interno, avendo ritenuto la stessa oggetto di intervenuta acquiescenza e, dunque, non più discutibile. 4. Ha resistito all'avversaria impugnazione, con controricorso, il Sa.Anumero , chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata. 5. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'articolo 380-bis.1 cod. procomma civ. 6. Il ricorrente ha presentato memoria. 7. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni. Ragioni della decisione 8. Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito indicati. 8.1. Il primo motivo non è fondato. 8.1.1. Non può, infatti, dirsi disatteso il principio di diritto enunciato da questa Corte nella sentenza che ha dato origine al giudizio di rinvio, come invece denuncia il ricorrente con il presente motivo. È vero, infatti, che in caso di cassazione per omessa pronuncia, il giudice di rinvio, nell'esercizio del potere-dovere che gli compete relativo alla ricostruzione del fatto processuale, è vincolato al rispetto non solo del principio di diritto affermato nella sentenza rescindente, ma anche dei presupposti di fatto – se, nella sentenza rescindente, possono essere stati considerati già accertati definitivamente in sede di merito – e logico-giuridici indispensabili del principio di diritto medesimo, quali risultanti dalla sentenza di cassazione con rinvio, mentre ben può riconsiderare quegli elementi che non costituiscono l'oggetto di autonome statuizioni della sentenza di merito annullata dalla Corte di cassazione, né la premessa logica indispensabile della sentenza di cassazione con rinvio cfr. Cass. Sez. Lav., sent. 26 maggio 2014, numero 11716, Rv. 630972-01 . Tuttavia, nell'ipotesi che occupa, questa Corte ha ritenuto che la generica e non argomentata affermazione della Corte di appello , contenuta nella sentenza poi cassata, affermazione secondo la quale, poiché le opere di urbanizzazione non erano state ultimate, doveva dedursi che l'originario cantiere della ditta Pa.Pi. era ancora in attività , non potesse essere ritenuta una implicita decisione sul gravame del Pa.Pi. stesso . E ciò in quanto, attraverso di esso, costui aveva sostenuto che le opere di urbanizzazione a proprio carico erano state ultimate, che l'area pubblica in cui esse insistevano era stata riconsegnata al Comune e che a tale riconsegna aveva fatto seguito la concessione della licenza di abitabilità degli edifici realizzati e lo svincolo delle polizze fideiussorie, come previsto dalla convenzione stipulata , ed inoltre che il marciapiede era da anni aperto al transito pubblico e che, comunque, l'eventuale cantiere esistente in loco era quello aperto per la realizzazione di una cabina elettrica non compresa tra le opere di urbanizzazione di cui alla convenzione sicché non si trattava di cantiere nella propria disponibilità . Tali temi, però, diversamente da quanto sostenuto dall'odierno ricorrente, non sono rimasti estranei al decisum del giudice del rinvio. Esso, infatti, ha dato atto che il contenuto dell'appello incidentale, già esperito dall'odierno ricorrente, si fondava sull'assunto che la buca in cui si è verificata la caduta si trovasse in un'area pubblica, rientrante nel patrimonio comunale, con conseguente esclusiva responsabilità dell'accaduto, ove ritenuta fondata la domanda risarcitoria, del solo Comune di Maglie , e ciò perché, in thesi , una volta realizzati gli alloggi, come da convenzione del 24.4.90 docomma 3 fascicolo I grado ed ottenuti il certificato di ultimazione dei lavori recante data 11.6.1993 docomma 6 fascicolo I grado ed il certificato di abitabilità in data 13.12.1993 docomma 7 fascicolo I grado , il Pa.Pi. sostiene che le aree residue siano tornate nella esclusiva disponibilità del Comune cfr. pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata Del pari, la sentenza ha dato atto che a sostegno di tale tesi il Pa.Pi. ha richiamato lo svincolo delle fideiussioni rilasciate al Comune a garanzia della realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria che, come da convenzione, dovevano essere realizzate entro due anni dal rilascio della concessione edilizia e comunque prima del rilascio del certificato di abitabilità , nonché di aver proceduto al trasferimento di tutte le unità immobiliari realizzate , sicché con esse avrebbe trasferito agli acquirenti anche le proporzionali quote delle aree comuni e delle aree di sedime cfr. pag. 3 . Tali argomenti essa ha, però, ritenuto di dover superare sul rilievo che il rispetto della convenzione e la realizzazione delle opere di urbanizzazione è questione che attiene ai rapporti tra l'impresa costruttrice ed il Comune , rilevando, altresì, la mancanza agli atti, perché non fornita , della prova dell'intervenuto collaudo delle opere di urbanizzazione e della loro presa in consegna da parte del Comune, di cui comunque mancano anche i relativi progetti , così come la mancanza della prova dell'intervenuto trasferimento agli acquirenti degli alloggi realizzati e, con essi, delle proporzionali quote delle aree comuni e delle aree di sedime, circostanza che la difesa del Pa.Pi. ritiene provata dall'atto per notar Ca. rep. 41729 del 15.7.1993, richiamato ma non prodotto . Del resto, che la Corte salentina, in sede di rinvio, non si sia sottratta al dovere di confrontarsi con tali temi è circostanza che risulta confermata dai motivi di ricorso successivi al primo, che si propongono di confutare proprio gli assunti appena illustrati, su cui si basa la decisione impugnata. 8.2. Il secondo motivo – che si articola, in realtà, in più censure – è in parte non fondato e in parte inammissibile. 8.2.1. Invero, con la censura di violazione dell'articolo 2697 cod. civ. – in astratto, correttamente formulata, perché ipotizza un'inversione nell'onere della prova – il ricorrente lamenta essersi posta a suo carico la dimostrazione dell'inesistenza del rapporto di custodia, in spregio, oltretutto, del principio secondo cui negativa non sunt probanda . Tale doglianza, tuttavia, non è fondata. Invero, la dimostrazione dell'esistenza del rapporto di custodia è stata tratta dalla Corte salentina dall'esistenza della convenzione urbanistica e dalla qualità di concessionario del diritto di superficie assunta dal Pa.Pi. o meglio, dalla sua ditta , ponendosi a carico di costui solo la dimostrazione, non dell'inesistenza, ma del venir meno di tale rapporto e, con esso, del potere di signoria sulla res , costituita, nella specie, dal cantiere ove era posta la buca in cui cadde il Sa.Anumero È, per l'appunto, in tale prospettiva – ovvero, del venir meno del rapporto di custodia – che la sentenza impugnata ha ritenuto di dare rilievo all'assenza di prova tanto dell'intervenuto collaudo delle opere di urbanizzazione e della loro presa in consegna da parte del Comune , così come dell'intervenuto trasferimento agli acquirenti degli alloggi realizzati e, con essi, delle proporzionali quote delle aree comuni e delle aree di sedime, circostanza che la difesa del Pa.Pi. ritiene provata – sottolinea sempre la sentenza impugnata – dall'atto per notar Ca. rep. 41729 del 15.7.1993, richiamato ma non prodotto . Sicché, non a caso, la censura proposta dall'odierno ricorrente, dal piano della denuncia di un'inversione dell'onere della prova, scivola, fatalmente, a quello dell'apprezzamento del risultato probatorio , sostenendo il Pa.Pi. non essere giuridicamente corretto che egli non abbia fornito prova del suo difetto di legittimazione passiva cfr. il ricorso a pag. 21, par. II.b . 8.2.2. Ma una censura siffatta, anche nella misura in cui evoca la violazione degli articolo 115 e 116 cod. procomma civ., si rivela inammissibile. Difatti, la violazione dell'articolo 115 cod. procomma civ. – norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide iuxta alligata et probata partium – può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, numero 11892, Rv. 640192-01 nello stesso senso Cass. Sez. Unumero , sent. 30 settembre 2020, numero 20867, Rv. 659037-01 . Inammissibile, del pari, è la censura di violazione dell'articolo 116 cod. procomma civ., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, essendo la stessa ravvisabile solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all'opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, numero 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, numero 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, numero 18092, Rv. 658840-02 , mentre ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360, comma 1, numero 5 , cod. procomma civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione Cass. Sez. Unumero , sent. 30 settembre 2020, numero 20867, Rv. 659037-02 , ovvero evidenziando la presenza, nella motivazione, di profili di irriducibile contraddittorietà cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, numero 23940, Rv. 645828-01 Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, numero 22598, Rv. 650880-01 o di inconciliabilità logica da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, numero 16111, Rv. 649628-01 , tali da rendere le sue argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento Cass. Sez. Unumero , sent. 3 novembre 2016, numero 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, numero 13977, Rv. 654145-01 . Né giova al ricorrente il richiamo alla pronuncia di questa Corte secondo cui, in tema di appalto di opere pubbliche, il verbale di ultimazione dei lavori e la consegna delle chiavi trasferiscono al committente sia il possesso dell'opera sia il conseguente onere di custodia, senza che sia anche necessario il collaudo o il rilascio del relativo certificato , che costituisce l'atto formale indispensabile ai soli fini dell'accettazione dell'opera da parte della pubblica amministrazione così Cass. Sez. 1, sent. 16 aprile 2014, numero 8874, Rv. 631089-01 , giacché ciò che la sentenza ha escluso è la presa in consegna delle opere di urbanizzazione , e non il solo collaudo. 8.3. Anche il terzo motivo è in parte non fondato e in parte inammissibile. 8.3.1. Esso addebita alla sentenza impugnata l'omesso esame di tre fatti , l'ultimo dei quali – ovvero, l'essere la buca, in cui cadde il Sa.Anumero , ubicata su un'area destinata a marciapiede di Via Omissis , donde l'applicazione della presunzione di demanialità di cui all'articolo 22 della legge 20 marzo 1865, numero 2248, all. F – non è riconducibile al paradigma dell'articolo 360, comma 1, numero 5 , cod. procomma civ., giacché quello omesso, più che un fatto, risulta essere una questione . Al riguardo, infatti, va rammentato che il vizio di legittimità, di cui alla norma testé menzionata, è ipotizzabile quando l'omissione investa un fatto vero e proprio non una questione o un punto della sentenza e, quindi, un fatto principale, ex articolo 2697 cod. civ. cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo od anche un fatto secondario cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale , purché controverso e decisivo così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, numero 17761, Rv. 641174-01 nello stesso senso Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, numero 23238, Rv. 646308-01 , vale a dire un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, numero 21152, Rv. 632989-01 Cass. Sez. Unumero , sent. 23 marzo 2015, numero 5745, non massimata , un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, numero 5133, Rv. 629647-01 , e come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni Cass. Sez, 6-1, ord. 6 settembre 2019, numero 22397, Rv. 655413-01 . Il tutto, poi, non senza considerare che l'inammissibilità del motivo discende pure – a norma degli articolo 366, comma 1, numero 6 , cod. procomma civ. – dalla constatazione che il ricorrente non si doveva limitare a dedurre quale fosse il fatto omesso e la sua decisività , ma anche il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente dato che non può essere, di certo, essere costituito – secondo quanto si sostiene, invece, a pag. 30 del ricorso – dagli scritti defensionali di parte avversa o dalle deposizioni dei testi escussi, giacché esse danno solo conto del fatto che il Sa.Anumero cadde in una grossa buca , nonché il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale cfr., Cass. Sez. Unumero , sent. 7 aprile 2014, numero 8054, Rv. 629831-01 in senso conforme, tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 11 aprile 2017, numero 9253, Rv. 643845-01 Cass. Sez. 6-3, ord. 10 agosto 2017, numero 19987, Rv. 645359-01 , e ciò non nel solo giudizio di rinvio, bensì nei due precedenti gradi di merito, in ragione del carattere chiuso del giudizio ex articolo 394 cod. procomma civ. Del pari inammissibile, perché si tratta di omissione avente ad oggetto non un fatto naturalisticamente inteso , ma una argomentazione difensiva , è la censura con cui è lamentato che la Corte avrebbe omesso di considerare che la domanda risarcitoria è stata proposta senza allegare che il sinistro si era verificato in un'area identificabile come cantiere, bensì in una zona di pubblico uso non occupata e non detenuta, da alcuno, cioè lasciata abbandonata . Quanto, invece, al fatto costituito dallo svincolo della cauzione prestata dalla ditta Pa.Pi. a garanzia delle proprie obbligazioni, segno inconfutabile – secondo il ricorrente – che nessuna lavorazione doveva essere ancora eseguita o era rimasta non consegnata , deve rilevarsi che esso è stato esaminato cfr. pag. 3 della sentenza, primo e secondo capoverso, ove si legge il Pa.Pi. sostiene che le aree residue siano tornate nella esclusiva disponibilità del Comune , ciò che risulterebbe, viepiù, secondo la tesi prospettata, dallo svincolo delle fideiussioni… , ma ritenuto, evidentemente, privo di rilievo, ciò che rende la censura non fondata, non potendo addebitarsi alla Corte territoriale alcun omesso esame . 8.4. Il quarto e il quinto motivo – suscettibili di scrutinio unitario, giacché involgono entrambi il tema del contributo dello stesso danneggiato allora minore nella causazione del danno – sono fondati. 8.4.1. È, infatti, erroneo l'assunto della Corte leccese – su cui si appunta, in particolare, il quinto motivo dell'odierno ricorso – secondo cui in sede di legittimità non si è discusso della misura della concorrente responsabilità del danneggiato nella causazione del danno , bensì solo dell'asserito difetto di legittimazione passiva del Pa.Pi. . Difatti, tale affermazione è contraddetta – oltre che dal rilievo che il precedente ricorso per cassazione e, per l'esattezza, il suo sesto motivo, dichiarato assorbito da questa Corte ebbe ad investire specificamente tale tema – dalla seguente constatazione. Ovvero, che la stessa sentenza oggi impugnata indica come coperti dal giudicato solo l'esclusione della responsabilità del Comune e l'entità dei danni riportati dal Saponara, all'epoca di fatti minorenne, nonché la circostanza che si verte, nella fattispecie, in materia di responsabilità ex articolo 2051 cod. civ. cfr. pag. 3, par. 1, ultimo capoverso . Errata è, poi, l'affermazione – censurata con il quarto motivo di ricorso – secondo cui, quanto 'rileva al fine di escludere del tutto la responsabilità del custode… non è la mera condotta colposa del danneggiato, ma la sua eccezionalità, imprevedibilità e imprevenibilità '. Su tali basi, dunque, la sentenza impugnata ha ritenuto che nella fattispecie in esame, non può affermarsi che la condotta dì un ragazzo appena dodicenne fosse assolutamente imprevedibile e, allo stesso modo, non può affermarsi che l'evento non fosse prevenibile mediante l'adozione di idonee cautele, quali ad esempio la chiusura del lato aperto della piattaforma con una staccionata, ovvero, la chiusura provvisoria della buca ivi esistente, di talché deve escludersi che la condotta del danneggiato e di che ne aveva l'onere della vigilanza e del controllo possano avere reciso del tutto il nesso eziologico tra il danno e la res custodita . Tale argomentare, per vero, contrasta con il principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di responsabilità per cosa in custodia, l'incidenza causale concorrente o esclusiva del comportamento del danneggiato presuppone che lo stesso abbia natura colposa, non richiedendosi, invece, che la condotta si presenti anche come autonoma, eccezionale, imprevedibile e inevitabile da ultimo, tra le molte, Cass. Sez. 3, sent. 24 gennaio 2024, numero 2376, Rv. 670396-01 . 9. Su tali basi, quindi, sia il quarto che il quinto motivo meritano accoglimento, donde la necessità di cassare, in relazione, la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'Appello di Lecce, in diversa composizione, per la decisione sul merito e sulle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità, alla stregua del seguente principio di diritto ricorrendo la fattispecie di cui all'art 2051 cod. civ., ai fini della verifica del contributo causale, o concausale, dello stesso soggetto danneggiato nella verificazione dell'evento dannoso è sufficiente che la condotta tenuta da costui abbia carattere colposo, non richiedendosi, invece, che essa si presenti anche come autonoma, eccezionale, imprevedibile e inevitabile . 10. Infine, per la natura della causa petendi va di ufficio disposta l'omissione, in caso di diffusione, delle generalità e degli altri dati identificativi del controricorrente ai sensi dell'articolo 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, numero 196. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto e il quinto motivo di ricorso, rigettandolo per il resto, e cassa in relazione la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d'Appello di Lecce, in diversa composizione, per la decisione sul merito e sulle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.