Con la Risposta ad interpello numero 203/2024 l’Agenzia delle entrate, in relazione all’emissione delle note di credito di cui all’articolo 26 del d.P.R. IVA 633/1972 ed alla correlata domanda di una società che intendeva effettuare una rinuncia unilaterale verso il credito vantato nei confronti di un’altra società in fallimento, per l’assenza della possibilità di recuperare le somme spettanti, ha risposto nel senso di escludere il diritto alla variazione non potendo la creditrice, a fronte della norma applicabile ratione temporis, emettere la nota di variazione per recuperare l’IVA prima della naturale conclusione della procedura concorsuale, nonostante tale conclusione si ponga in contrasto con l’interpretazione, resa dalla Corte UE, dell’articolo 26 citato.
I limiti alle note di variazione IVA anteriori alle modifiche del 2021 Con interpello, una società ha chiesto chiarimenti circa l'applicazione dell'articolo 26 del d.P.R. IVA633/1972, riferendo di vantare un credito a titolo di IVA «nei confronti di una società oggetto di procedura concorsuale, e di voler di conseguenza rinunciare al medesimo, con l'obiettivo di poter recuperare l'IVA anticipatamente rispetto alla conclusione della procedura», dal momento che trattavasi «di un credito senza alcuna possibilità di recupero». Nella risposta, l'Agenzia ricorda che l'articolo 26 del decreto IVA, da ultimo modificato dall'articolo 18, comma 1, lett. a , del d.l. numero 73 del 25 maggio 2021 cd. “Decreto Sostegni-bis” , al comma 2 prevede che «se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione l'imposta corrispondente alla variazione». Tale possibilità è esclusa dopo il decorso di un anno dall'operazione «qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti». Il d.l. 73/2021 ha modificato l'articolo 26, inserendo il comma 3-bis ed introducendo modifiche sostanziali alla disciplina delle variazioni in diminuzione della base imponibile o dell'IVA dovuta, prevedendo ora che, «in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte», collegato all'apertura di procedure concorsuali, è possibile operare la variazione prevista dal comma 2 dell'articolo 26 cit., «a partire dalla data in cui quest'ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale…» lett. a del comma 3-bis , senza più dover attendere la conclusione della stessa v. tale modifica fa seguito al deposito della sentenza C-246/16 della Corte UE, emessa su rinvio italiano e ad oggetto l'interpretazione dell'articolo 26, ante riforma, di cui si riferisce infra . Il comma 2 dell'articolo 18 del d.l. 73/2021 cit. ha, altresì, testualmente previsto che «Le disposizioni di cui all'articolo 26, comma 3-bis, lettera a , si applicano alle procedure concorsuali avviate dal 26 maggio 2021 compreso». Per tale motivo l'Agenzia ha potuto agevolmente dedurre che, in base alla norma applicabile ratione temporis alla vicenda in oggetto ante riforma 2021 , non possa applicarsi la variazione IVA, ma la società debba attendere la naturale conclusione della procedura concorsuale. L'Agenzia continua, sostenendo la piena compatibilità dell'impianto normativo interno a quello UE, rappresentato dagli articolo 90 e 185 della direttiva IVA 2006/112 v. il precedente articolo 11, parte C, par. 1, comma 2, della Sesta direttiva IVA 77/388/CE , rispettivamente in tema di riduzione della base imponibile e dell'imposta, nella misura in cui gli eventi “simili” che possono consentire la variazione sono di fatto riconducibili a quelli già espressamente elencati dal comma 2 dell'articolo 26 dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione , per effetto dei quali «l'operazione economica originaria, che ha determinato l'esercizio della rivalsa dell'imposta, viene meno in tutto o in parte, ovvero, stante una precisa previsione contrattuale i.e., clausola attributiva della facoltà di recesso , viene meno l'operazione sottostante all'emissione della fattura». Conclude sul punto ribadendo che la compatibilità all'impianto unionale derivi dalla legittima fruizione della deroga prevista dal par. 2 dell'articolo 90 della direttiva, con cui si è circoscritta «la possibilità di ridurre la base imponibile e la relativa imposta, nel caso di mancato pagamento, alle sole ipotesi di esito negativo di una procedura concorsuale o di una procedura esecutiva individuale». La contrarietà all'interpretazione specifica fornita dalla Corte UE La risposta fornita dall'Agenzia, se ineccepibile dal punto di vista formale sulla base della norma vigente ratione temporis, ed al di là della contrarietà della norma interna alla direttiva nella misura in cui l'articolo 18 del decreto IVA prevede l'obbligo della rivalsa inesistente per il sistema unionale, che richiede, invece, il differente e più pregnante obbligo di liquidazione dell'imposta, di cui all'articolo 203 della Dir. 2006/112 , si pone però in contrasto con l'interpretazione fornita dalla Corte UE dell'articolo 26 del decreto IVA. Al riguardo, si riferisce brevemente che, su un problema analogo a quello oggetto della Risposta 203/2024 in commento, era stata in passato attenzionata la Corte UE, proprio su rinvio del giudice italiano, nel caso Enzo Di Maura contro Agenzia delle Entrate in C-246/16, concludendo per il contrasto alla Sesta direttiva IVA 77/388/CEE, articolo 11, parte C, par. 1, comma 2 v. gli attuali articolo 90 e 185 della dir. IVA 2006/112 della norma interna l'articolo 26 del d.P.R. 633/1972 , «nel senso che uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell'IVA all'infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni». Dal momento che un suo cliente era stato dichiarato fallito senza aver pagato la relativa fattura, il sig. Di Maura riduceva la base imponibile IVA. L'Agenzia contestava l'operato, argomentando che la stessa poteva essere effettuata solo dopo l'esperimento infruttuoso di una procedura concorsuale o di una procedura esecutiva individuale, vale a dire una volta acquisita la certezza che il credito non sarebbe stato onorato. Giunta la questione alla Corte UE, questa ricordava che in caso di mancato pagamento totale o parziale del prezzo di acquisto «senza che vi sia stata risoluzione o annullamento del contratto, l'acquirente resta debitore del prezzo convenuto e il venditore, per quanto non più proprietario del bene, dispone sempre – in linea di principio – del suo credito, che può far valere in sede giurisdizionale» p. 16 in sent. . Dato che non può essere escluso che un tale credito «divenga di fatto definitivamente irrecuperabile», il legislatore UE ha lasciato a ciascuno Stato membro «la scelta di determinare se la situazione di non pagamento del prezzo di acquisto, la quale, di per sé, contrariamente alla risoluzione o all'annullamento del contratto, non pone nuovamente le parti nella situazione iniziale, attribuisca diritto alla riduzione della base imponibile nell'importo dovuto alle condizioni che esso stabilisce, o se siffatta riduzione non sia ammessa in tale situazione» p. 16, che rich. C‑337/13, p. 25 . Tuttavia, prosegue la Corte, «contrariamente a quanto sostengono i governi italiano e del Regno Unito», tale motivazione, come già rilevato dall'avv. genumero J. Kokott ai parr. da 32 a 44 delle sue conclusioni, «non può valere a rimettere in discussione la giurisprudenza citata ai punti 17 e 18 della presente sentenza, nel senso che gli Stati membri sarebbero legittimati a escludere del tutto la riduzione della base imponibile dell'IVA». Dato che da una giurisprudenza costante della Corte risulta che le eccezioni devono essere interpretate in maniera restrittiva v. tra i tanti C‑287/00, p. 47, C‑434/05, p. 16, e C‑91/12, p. 23 , si evince che gli Stati membri, «se è vero che possono derogare alla rettifica della base imponibile prevista al primo comma dell'articolo 11 cit. , non hanno tuttavia ricevuto dal legislatore dell'Unione la facoltà di escludere del tutto tale rettifica». Ammettere, quindi, «la possibilità per gli Stati membri di escludere qualsiasi riduzione della base imponibile dell'IVA sarebbe contrario al principio di neutralità dell'IVA, da cui deriva in particolare che, nella sua qualità di collettore d'imposta per conto dello Stato, l'imprenditore dev'essere sgravato interamente dall'onere dell'imposta dovuta o pagata nell'ambito delle sue attività economiche a loro volta soggette a IVA» rich. C‑437/06, p. 25 e C‑204/13, p. 41 . Posto che lo scopo della deroga al diritto di riduzione della base imponibile è quello di «tenere conto dell'incertezza intrinseca al carattere definitivo del non pagamento di una fattura» privando il soggetto passivo del suo diritto alla variazione «finché il credito non presenti un carattere definitivamente irrecuperabile», ciò deve essere reso possibile anche «allorché il soggetto passivo segnala l'esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche a rischio che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nell'ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque». Dato, altresì, che nel sistema interno «la certezza della definitiva irrecuperabilità del credito può essere acquisita, in pratica, solo dopo una decina di anni», ponendo di fatto i soggetti passivi IVA italiani, in situazioni comparabili, in «svantaggio in termini di liquidità rispetto ai loro concorrenti di altri Stati membri», la Corte ha concluso, condivisibilmente, «nel senso che uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell'IVA all'infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni».
Risp. AE numero 203/2024