Le reiterate e non occasionali condotte volgari ed offensive del lavoratore nei confronti delle colleghe giustificano il licenziamento disciplinare anche nell’ipotesi in cui non si ritenesse sussumibile la condotta nella fattispecie del contratto collettivo, integrando la gravità della vicenda la giusta causa legale.
Nell'ordinanza numero 26735/2024, la Cassazione ha avuto modo di affrontare la questione del recesso datoriale sotto un duplice profilo, sostanziale e procedurale. Il fatto posto in essere dal ricorrente – soggetto posto alla direzione e controllo di un nutrito gruppo di lavoratori - consistente in reiterati comportamenti volgari ed offensivi, inerenti alla sfera sessuale e all'aspetto fisico delle colleghe, poteva dirsi assodato e accertato già nel giudizio di primo grado, all'esito del quale si era ritenuta sproporzionata la sanzione del licenziamento, senza mettere in discussione la sussistenza del fatto contestato. Riformando la sentenza di primo grado, la Corte d'Appello di Venezia ha ritenuto che la gravità di tali fatti, nonché la loro reiterazione, ben potevano giustificare l'irreparabile lesione del vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. Dal punto di vista procedurale, inoltre, la Corte d'Appello aveva ritenuto che il caso in esame non fosse ricompreso nella disciplina del Codice Etico, atteso che le condotte dell'appellato, meramente volgari ed offensive, non erano riconducibili nel novero di quelle discriminatorie. Di conseguenza, la Corte territoriale riteneva corretta l'applicazione della sanzione disciplinare irrogata, atteso che la sua nullità si sarebbe potuta configurare soltanto con riferimento al mancato rispetto delle procedure previste nell'articolo 7 dello Statuto dei lavoratori e non con riguardo a quelle che il datore di lavoro si era autoimposto tramite l'adozione di un codice etico finalizzato a impedire forme particolari di molestie sessuali e discriminazioni. La Corte lagunare, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale di Treviso, ha avuto modo di osservare che i fatti oggetto di causa, sia per il numero delle condotte sia per l'ampio arco temporale nel quale si sono ripetute, rientrassero senz'altro nella previsione del CCNL applicato, giustificando l'applicazione della sanzione espulsiva. Inoltre, ha evidenziato la Corte, anche nell'ipotesi in cui non si fossero ritenuti sussumibili i fatti nella previsione contrattuale collettiva di riferimento, la gravità della vicenda avrebbe potuto pacificamente integrare la giusta causa legale ex articolo 2119 c.c. cfr. Cass. civ. sez. Lav. numero 3283/2020 . Proponendo ricorso per Cassazione, il lavoratore ha impugnato la sentenza di appello, denunciando quattro motivi di ricorso per violazione di legge ex articolo 360 numero 3 c.p.c. per avere la Corte errato nel ritenere il datore non vincolato al rispetto procedurale del codice etico aziendale ritenere irrilevante l'identificazione del CCNL applicabile al rapporto omettere l'esame dei fatti relativi al CCNL da applicare ritenere non violato il CCNL applicato Turismo Sistema Commercio Impresa in relazione al profilo della proporzionalità della sanzione. Nell'ordinanza in commento la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, sulla base delle seguenti argomentazioni a. con riferimento al primo motivo di ricorso la Corte di Cassazione evidenzia come nella sentenza di appello non soltanto si sia ritenuto che nessun vizio fosse integrato dal mancato rispetto della procedura descritta nel codice etico, ma aveva anche affermato che i comportamenti del lavoratore non fossero riconducibili alle molestie sessuali definite nel Codice Etico, ritenendo infondata la pretesa di rispetto delle procedure in esso previste autonoma ratio decidendi non censurata dal ricorrente b. con riguardo al secondo e terzo motivo di ricorso, relativi entrambi alla corretta identificazione ed applicazione del CCNL alla condotta sanzionata, la Cassazione rileva che la Corte d'Appello, pur avendo affermato di ritenere «del tutto irrilevante la determinazione del CCNL applicabile al rapporto», ha poi nei fatti applicato il CCNL Turismo Sistema Commercio e Impresa, secondo la tesi del ricorrente, giungendo alla conclusione che il licenziamento intimato era legittimo, operando la sussunzione della condotta nel CCNL invocato dal ricorrente c. infine, in relazione al quarto motivo, la Suprema Corte rileva come nella sentenza di appello sia stato specificato che, pur applicando il CCNL Turismo Sistema Commercio e Impresa, si sarebbe dovuto considerare che l'articolo 126, co. 4, di tale CCNL, prevede la sanzione del licenziamento per le ipotesi di gravi e reiterate violazioni, già punibili con sanzioni conservative, degli obblighi previsti da norme disciplinari. Pertanto, anche se le singole violazioni commesse fossero state punibili con sanzioni conservative, la loro gravità e reiterazione giustifica il licenziamento ai sensi della richiamata previsione del CCNL applicato. Il tutto senza trascurare che, come sopra evidenziato, la Corte d'Appello aveva già ritenuto che, anche se il fatto contestato non fosse stato sussumibile nella fattispecie contrattuale, la vicenda in concreto aveva assunto connotati di gravità tali da integrare la giusta causa legale. Si rileva, inoltre, che anche tale ratio decidendi non è stata oggetto di impugnazione del ricorso.
Presidente Doronzo Relatore Riverso Fatti di causa La Corte d'appello di Venezia, con la sentenza in atti, in accoglimento del reclamo proposto da OMISSIS srl ed in integrale riforma della sentenza impugnata resa dal tribunale di Treviso, ha rigettato la domanda proposta da A.V. per l'accertare l'illegittimità del licenziamento irrogatogli dalla medesima appellante ed ha condannato il lavoratore alla restituzione delle somme percepite ed al pagamento delle spese processuali dei due gradi. A fondamento della sentenza la Corte d'appello ha sostenuto che A.V. si era reso responsabile della serie di violazioni contestategli prevalentemente, ma non solo, come condotte verbali in parte a sfondo sessuale, volgari ed offensive dell'altrui dignità. Il fatto attribuito alla A.V., quantomeno con riferimento alle vicende di cui ai punti uno a otto, della lettera di contestazione disciplinare, poteva dirsi assodato e sotto tale profilo andava confermata la pronuncia impugnata che nel ritenere sproporzionata la sanzione del licenziamento aveva implicitamente affermato la sussistenza del fatto contestato e la sua seppur limitata rilevanza disciplinare. Per quanto riguardava invece l'aspetto procedurale, secondo la Corte alcun vizio poteva dirsi integrato in conseguenza del mancato rispetto della procedura prevista dal Codice Etico adottato in azienda. Anzitutto perché nel caso di specie non si verteva in materia che ricadesse sotto l'ambito di disciplina del Codice Etico posto che i comportamenti dell'appellato, meramente volgari ed offensivi, anche quando inerenti all'aspetto fisico delle colleghe ovvero la sfera sessuale, certamente non risultavano finalizzati a perpetrare discriminazioni né oggettivamente i comportamenti erano discriminatori ovvero a porre in essere ritorsioni e neppure potevano essere qualificati, a mente delle definizioni di cui al Codice Etico, quali molestie sessuali, di modo che non era possibile pretendere il rispetto delle procedure descritte dal medesimo Codice. In ogni caso, quand'anche si fosse dovuta affermare la violazione della procedura di indagine e sanzionatoria prevista dal Codice Etico, non si poteva concludere per la nullità della sanzione disciplinare posto che una simile conseguenza sarebbe stata concepibile solo con riferimento al mancato rispetto delle procedure descritte dall'articolo 7 legge numero 300/1970 e non certo con riferimento a quelle che il datore del lavoro si era auto imposto mediante l'adozione di un codice etico funzionale a impedire particolare forme di molestie sessuali. Quanto alla gravità o meno del fatto contestato e, quindi, all'individuazione della sanzione disciplinare ad esso proporzionata, riteneva il Collegio del tutto irrilevante, pur convincenti le difese di parte datoriale, la determinazione tra i due possibili del CCNL applicabile al rapporto. I fatti non potevano essere considerati di limitata gravità, la reiterazione dei comportamenti e la volgarità delle affermazioni complessivamente considerate davano conto di comportamenti che un qualsiasi datore di lavoro non poteva accettare che fossero tenuti da un proprio dipendente e in particolar modo da colui che ha la direzione ed il controllo di un folto gruppo di lavoratori. Detti comportamenti poiché non occasionali, ed alcuni dei quali di significativa gravità, ben giustificavano l'irreparabile perdita di fiducia da parte del datore di lavoro nel dipendente. I fatti contestati rientravano inoltre nella previsione nel CCNL Turismo Sistema Commercio e Impresa in quanto risultavano adottati in violazione dell'articolo 124, co. 1 lett. g che prevede tra i doveri dei lavoratori quello di “attenersi a rapporti improntati al massimo rispetto della dignità, del diritto e della condizione sessuale della persona nei confronti di colleghi, […] e conseguentemente astenersi, anche in ragione della posizione ricoperta, da comportamenti riconducibili a forme di molestie sessuali . L'articolo 126, comma 1 del medesimo CCNL prevedeva in effetti la sanzione conservativa con riferimento alla condotta del lavoratore che “ n ponga in essere atti e comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, anche di tipo verbale, che offendono la dignità o la libertà della persona che li subisce” ma al quarto comma stabiliva la sanzione del licenziamento per le ipotesi di t gravi e reiterate violazioni compresa la recidiva punibili con sanzione conservative, degli obblighi previsti dalle norme disciplinari . Il complesso delle condotte descritte tenuto conto del loro numero, dell'intensità, del dato temporale di protrazione ben poteva essere ricondotto entro la fattispecie appena sopra descritta, con ciò giustificando la sanzione del licenziamento. Infine, secondo la Corte di appello, doveva essere rilevato che ove non si fosse ritenuta la sussumibilità del complessivo fatto contestato dentro la fattispecie negoziale sopra indicata, la vicenda così come ricostruita avrebbe comunque assunto connotati di gravità tali da integrare la giusta causa legale Cass.3283/20209 . Contro la sentenza ha proposto il ricorso per cassazione A.V. con quattro motivi di ricorso cui ha resistito OMISSIS srl con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell'articolo 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ex articolo 360 numero 3 c.p.c. la violazione degli articoli 2104,2 comma, 1334 c.c., 1989 c.c., 2087 c.c., 2087 c.c. in quanto la Corte distrettuale ha errato nel ritenere il datore di lavoro non vincolato al rispetto di norme procedimentali unilateralmente poste affermando che alcun vizio potesse dirsi integrato in conseguenza del mancato rispetto della procedura descritta dal codice etico adottato in azienda. 1.1. Il motivo è inammissibile posto che la Corte d'appello non ha solo affermato la tesi secondo cui alcun vizio poteva dirsi integrato in conseguenza del mancato rispetto della procedura descritta dal codice etico, ma prima ancora aveva sostenuto con autonoma ratio decidendi, non adeguatamente censurata ordinanza numero 15399 del 13/06/2018 , che i comportamenti addebitati al ricorrente, per la loro natura, non potevano essere ricondotti alle molestie sessuali secondo le definizioni di cui al Codice Etico e quindi non rientravano nell'ambito della relativa disciplina sicchè era infondata la sua pretesa di rispetto delle procedure descritte dal medesimo codice. 2. Con il secondo motivo si denuncia ex articolo 360 numero 3 c.p.c. la violazione dell'articolo 18,4 comma della legge numero 300/1970 in quanto la Corte distrettuale ha errato nel ritenere irrilevante l'identificazione del CCNL applicabile al rapporto. Anche tale censura non risulta dirimente posto che la Corte d'appello, pur avendo affermato di ritenere “del tutto irrilevante la determinazione tra i due possibili del CCNL applicabile al rapporto”, ha poi nei fatti applicato, ai fini della valutazione della condotta sanzionata, proprio il contratto Turismo Sistema Commercio e Impresa, secondo la tesi sostenuta dalla difesa ricorrente, ed è pervenuta alla conclusione che il licenziamento intimato era comunque legittimo, operando quindi la sussunzione della condotta all'interno del CCNL invocato dal ricorrente. Pertanto anche a questo proposito c'è una distinta ratio decidendi non attinta dal motivo di ricorso. 3. Con il terzo motivo si deduce l'omesso esame dei fatti relativi al CCNL su cui la Corte aveva affermato che non importasse accertare quale fosse quello applicabile al rapporto e su cui quindi non si era pronunciata. Anche tale motivo deve essere disatteso per le stesse preclusive ragioni enunciate in relazione al secondo. 4. Con il quarto motivo si denuncia ex articolo 360 numero 3 c.p.c. la violazione del CCNL Turismo Sistema Commercio Impresa posto che l'articolo 126, primo comma, prevede la sanzione conservativa per il lavoratore che n ponga in essere altri comportamenti indesiderati a connotazione sessuale anche di tipo verbale che offendono la dignità o la libertà della persona che li subisce. Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi. La Corte d'appello ha invero specificato che, quand'anche si fosse applicata la disciplina invocata del CCNL Turismo Sistema Commercio Impresa, andava in ogni caso considerato che l'articolo 126, comma 4 del medesimo CCNL stabiliva la sanzione del licenziamento per le ipotesi di gravi e reiterate violazioni punibili con sanzioni conservative degli obblighi previsti dalle norme disciplinari. Pertanto, quand'anche le singole violazioni fossero state punibili con sanzioni conservative, tuttavia per la loro gravità e reiterazione esse potevano comunque condurre al licenziamento secondo l'ulteriore previsione della contrattazione collettiva. Infine, come riportato nella parte in fatto, va pure evidenziato che, secondo la Corte di appello, ove non si fosse ritenuta la sussumibilità del complessivo fatto contestato dentro la fattispecie del contratto collettivo, la vicenda in concreto ricostruita aveva assunto connotati di gravità tali da integrare la giusta causa legale Cassazione 3283/20209 ed anche tale ratio decidendi non risulta in alcun modo impugnata nel ricorso. Pertanto anche su questo versante la sentenza risulta sorretta da rationes decidendi distinte ed autonome ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicché ne deriva l'inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una soltanto di esse. 5. Alla stregua delle premesse il ricorso deve essere quindi dichiarato complessivamente inammissibile. 6. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.