«Non possono pretendere dallo Stato italiano il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie 75/362 e 75/363 e successive integrazioni, coloro i quali abbiano iniziato prima del 1991 una specializzazione non contemplata dalle suddette Direttive e di cui non sia dimostrata l’equipollenza di fatto alle specializzazioni ivi previste, a nulla rilevando che la specializzazione conseguita sia stata, in seguito, inclusa tra quelle qualificate conformi alle norme delle Comunità economiche europee dal d.m. 31 ottobre 1991» .
I fatti di causa I ricorrenti convennero dinanzi al Tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca scientifica, il Ministero della Salute ed il Ministero dell'Economia, esponendo che - dopo avere conseguito la laurea in medicina, si erano iscritti ad una scuola di specializzazione, in anni compresi tra il 1977 ed il 1994 - durante il periodo di specializzazione non avevano percepito alcuna remunerazione o compenso da parte della scuola stessa - le direttive comunitarie numero 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva 82/76/CEE, avevano imposto agli Stati membri di prevedere che ai frequentanti le scuole di specializzazione fosse corrisposta una adeguata remunerazione - l'Italia aveva dato tardiva e parziale attuazione a tali direttive solo con la legge 8 agosto 1991 numero 257. Conclusero pertanto chiedendo la condanna delle amministrazioni convenute al risarcimento del danno sofferto in conseguenza della tardiva attuazione delle suddette direttive. Il Tribunale di Roma dichiarò il difetto di legittimazione sostanziale dei tre Ministeri convenuti rigettò le domande proposte da quanti avevano iniziato i corsi di specializzazione prima dell'anno accademico 1983/1984 condannò la Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento del danno nei confronti dei restanti attori, liquidato in euro 6.713,93 per ciascun anno di frequenza del corso di specializzazione, oltre interessi compensativi. La sentenza fu appellata in via principale dalla Presidenza del Consiglio ed in via incidentale dagli attori. La Corte d'Appello di Roma accolse in parte l'appello principale e in parte quello incidentale. La Corte d'appello ritenne, in particolare, che nulla era dovuto a quanti avevano iniziato il corso di specializzazione prima del 29 gennaio 1982, data di entrata in vigore della direttiva 82/76/CEE nulla era dovuto a quanti avevano conseguito il diploma di specializzazione in una materia non rientrante tra quelle elencate dagli articolo 5 e 7 della Direttiva 75/362 La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione. All'esito, con ordinanza interlocutoria 4 aprile 2023, numero 9327, la Prima Sezione Civile di questa Corte ha ritenuto di dovere «invitare l'Ufficio del Massimario a rimettere sintetica relazione» al fine di valutare «se il d.m. 31 ottobre 1991, è suscettibile di applicazione ancorché il corso di specializzazione si sia concluso antecedentemente alla sua emanazione, siccome si assume il medesimo D.M. nasce dall'esigenza di attuare le direttive comunitarie … se del D.M. 31 ottobre 1991 è possibile … una applicazione circoscritta agli anni del corso di specializzazione in itinere successivi alla sua entrata in vigore in linea con quanto, per altro verso, prefigurato da Cass. sez. unumero 23.6.2022, numero 20278 se gli elenchi di cui all'articolo 5, comma 2, e articolo 7, comma 3, della direttiva numero 362/75 debbano o meno definirsi a carattere chiuso , se del caso alla luce dell'articolo 1 della medesima direttiva … ». Ricevuta la suddetta relazione, con una seconda ordinanza interlocutoria, la Prima Sezione Civile di questa Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente, ai fini dell'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, affinché valutassero «se l'articolo 288, § 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, gli articolo 13 e 16 della direttiva 82/76/CEE, l'articolo 8 della direttiva 75/362/CEE e l'articolo 2 della direttiva 75/363/CEE, come modificato dalla direttiva 82/76/CEE, ostino ad una interpretazione secondo cui, sebbene il diritto alla remunerazione adeguata previsto dall'articolo 13 della direttiva 82/76/CEE a favore dei sanitari che svolgano l'attività di formazione, sia a tempo pieno che a tempo ridotto, e il diritto al riconoscimento del titolo di specializzazione, sempre che sussistano tutti gli altri requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza Europea, spetti anche ai medici che abbiano frequentato corsi di specializzazione di tipologia e durata conformi alla normativa Europea e comuni a due o più Stati membri, che, sebbene non elencati agli articolo 5 e 7 della direttiva 75/363/CEE, sono stati espressamente riconosciuti come tali dalla normativa interna attuativa della direttiva numero 82/76/CEE, possa invece non essere riconosciuto laddove la frequenza dei corsi di specializzazione si collochi cronologicamente tra il 1 gennaio 1983 momento dal quale si concretizzo l'inadempimento dello Stato italiano all'obbligo di attuare la direttiva e l'inizio dell'anno accademico 1991/92 e cioè il primo anno assoggettato all'efficacia ratione temporis della fonte di attuazione . E conseguentemente se il diritto al risarcimento del danno per il ritardo nel recepimento della direttiva numero 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive numero 75/362/CEE e numero 75/363/CEE, da parte dello Stato italiano competa, anche a detti sanitari, limitatamente alla frazione di frequenza dei corsi di specializzazione compresa nel periodo in cui si è concretizzato l'inadempimento dello Stato italiano all'obbligo di attuare la direttiva numero 82/76/CEE». La decisione della Suprema Corte La giurisprudenza della CGUE e della Cassazione sugli iscritti ante 1982-1983 La questione posta a fondamento del secondo motivo di ricorso con il quale si deduce l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui è stata rigettata la domanda di coloro che avevano iniziato il corso di specializzazione in data antecedente al 29 gennaio 1982 è stata decisa dalla Corte di giustizia dell'unione europea, con sentenza numero 3 marzo 2022, in causa C-590/20. La Corte unionale ha stabilito che «la situazione di un medico che si sia iscritto presso una scuola di specializzazione medica prima del 29 gennaio 1982 costituisce una situazione sorta prima dell'entrata in vigore della direttiva 82/76, ma i cui effetti futuri sono disciplinati da tale direttiva a partire dalla scadenza, il 1° gennaio 1983, del termine di trasposizione di quest'ultima. Di conseguenza, poiché … qualsiasi formazione a tempo pieno o a tempo ridotto come medico specialista iniziata nel corso dell'anno 1982 deve, per il periodo che va dal 1° gennaio 1983 fino alla fine della formazione seguita, essere oggetto di una remunerazione adeguata, ai sensi dell'allegato della direttiva 75/362 modificata, tale obbligo di remunerazione vale anche, alle stesse condizioni, per le formazioni iniziate prima dell'entrata in vigore, il 29 gennaio 1982, della direttiva 82/76». Tale principio è stato già recepito da queste Sezioni Unite con sentenza numero 20278 del 23 giugno 2022, ove si è stabilito che il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria numero 82/76/CEE spetta anche a quanti si sono iscritti a corsi di specializzazione negli anni accademici anteriori al 1982-1983. L' “equipollenza” tra la specializzazione conseguita e quella prevista dalla Direttiva La prima censura pone due questioni a se sia rilevabile d'ufficio l'eccezione di “non equipollenza” tra la specializzazione conseguita, e le specializzazioni previste dal diritto comunitario al fini del reciproco riconoscimento b se, ammesso che quell'eccezione fosse rilevabile d'ufficio, il relative esame resti precluso da un atteggiamento di non contestazione da parte della difesa erariale. Sulla rilevabilità d'ufficio della “non equipollenza” Alla prima questione va data risposta affermativa. E' infatti principio generale del diritto processuale che siano rilevabili d'ufficio tutte le eccezioni che la legge non riservi espressamente all'iniziativa di parte così già la fondamentale decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza numero 1099 del 03 febbraio 1998, in motivazione principio ribadito ancora di recente da Sez. U, Ordinanza interlocutoria numero 10531 del 07 maggio 2013 . A questo principio non sfugge l'eccezione di “equipollenza” tra il diploma di specializzazione conseguito in Italia dagli odierni ricorrenti, e quelli previsti da almeno due Stati dell'Unione europea. Tale eccezione, infatti, ha ad oggetto un fatto estintivo della pretesa attorea, e cioè la mancanza di nesso causale tra l'inadempimento dello Stato ed il danno sul presupposto che, quand'anche vi fosse stata un tempestivo recepimento della direttiva, lo Stato non era però obbligato a prevedere una adeguata remunerazione anche per le scuole di specializzazione prescelte dai ricorrenti . Sull'onere di allegazione dell'equipollenza Alla seconda questione va data risposta negativa. E' pacifico nella giurisprudenza di legittimità che l'onere di contestazione debba essere assolto in modo chiaro e specifico ex multis, Sez. 3, Sentenza numero 10860 del 18/05/2011 nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza numero 19896 del 06/10/2015 Sez. 3, Sentenza numero 6094 del 26/03/2015, in motivazione Sez. 3, Sentenza numero 13079 del 21/05/2008 . Tuttavia, anche l'onere di analitica contestazione dei fatti dedotti dall'attore non è senza eccezioni esso, infatti, viene meno quando l'attore, per primo, si sottragga all'onere di analitica allegazione dei fatti posti a fondamento della domanda. L'onere di contribuire alla fissazione del thema decidendum e, di conseguenza, del thema probandum, opera, infatti, identicamente rispetto all'una o all'altra delle parti in causa, sicché, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non può che essere per forza di cose altrettanto generica, ed in questo caso la genericità della difesa non solleva affatto l'attore dai suoi oneri probatori Sez. 3, Sentenza numero 21075 del 19/10/2016 . Vanno quindi, ribaditi seguenti princìpi a se l'allegazione attorea è specifica, e la contestazione del convenuto manca od è generica, l'attore è sollevato dall'onere di provare i fatti allegati e genericamente contestati b se l'allegazione attorea è specifica, e la contestazione del convenuto è altrettanto specifica, l'attore ha l'onere di provare i fatti allegati c se l'allegazione attorea è generica e sempre che tale genericità non comporti la nullità della citazione, ai sensi dell'articolo 164 c.p.c. , e la contestazione del convenuto è altrettanto generica, l'attore ha l'onere di provare i fatti allegati d se l'allegazione attorea è generica, e la contestazione del convenuto è specifica il che non può teoricamente escludersi , l'attore ha non solo l'onere di provare i fatti allegati, ma – prima ancora quello di contestare analiticamente i fatti dedotti dal convenuto, che altrimenti dovranno darsi per ammessi per tutti e quattro questi princìpi si vedano già Sez. 3 -, Ordinanza numero 11252 del 10/05/2018 e Sez. 3, Ordinanza numero 19340 del 03/08/2017 . Applicando, dunque, i suddetti princìpi al caso di specie, è agevole rilevare come nessuno degli odierni ricorrenti, nell'atto introduttivo del giudizio, assolse in modo analitico ed esaustivo l'onere di indicare se, e per quali ragioni di fatto, la specializzazione da essi rispettivamente conseguita fosse da ritenersi equipollente a quelle previste da almeno due Stati membri dell'Unione europea. Le specializzazioni per le quali la Corte d'appello ha negato l'equipollenza, infatti, non coincidevano formalmente con alcuna di quelle previste dalle direttive comunitarie numero 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva 82/76/CEE. In tale ipotesi non coincidenza tra specializzazione conseguita e discipline previste dalle suddette direttive comunitarie questa Corte ha già da tempo stabilito che l'onere di allegazione dei fatti da parte di chi domandi il risarcimento del danno derivato dalla tardiva attuazione in Italia delle suddette direttive deve essere assolto in modo preciso e dettagliato, e solo quando sia stato assolto tale onere, sorge per l'amministrazione convenuta l'onere di contestazione della equipollenza tra la specializzazione conseguita in Italia e quelle comuni ad almeno due Stati membri da ultimo, con ampia motivazione, Sez. 3, Ordinanza numero 25388 del 29.8.2023, § A.3.1 dei “Motivi della decisione” ma già in precedenza, ex multis, Sentenza numero 23199 del 15/11/2016 . Gli odierni ricorrenti, pur deducendo di avere “assolto in modo puntuale” l'onere di allegazione, non solo non trascrivono o riassumono i termini in cui quell'onere fu assolto così violando l'onere di cui all'articolo 366, numero 6, c.p.c. , ma anzi ammettono essi stessi di essersi limitati ad assolvere tale onere “elencando le specializzazioni” da ciascuno di essi conseguite. Tuttavia la questione della “equipollenza” tra la specializzazione conseguita e quelle previste dalla Direttiva 75/362/CEE è una questione mista, di fatto e diritto. E' di diritto, perché l'equipollenza è richiesta dall'ordinamento comunitario quale presupposto affinché sorga l'obbligo degli Stati membri di prevedere una adeguata remunerazione in favore di chi frequenti un scuola di specializzazione è, tuttavia, anche di fatto, poiché l'equipollenza tra i titoli accademici rilasciati in Italia e quelli comuni ad almeno due Stati membri va accertata non nominalmente, ma in base ai contenuti dei rispettivi insegnamenti indagine, quest'ultima, che ovviamente impone la dimostrazione dei contenuti oggettivi dell'insegnamento impartito nelle scuole di specializzazione che si assumono “equipollenti”. Pertanto l'onere di allegazione che era presupposto dell'onere di contestazione si sarebbe dovuto assolvere non già limitandosi a dichiarare di avere conseguito questa o quella specializzazione, ma esponendo le ragioni concrete per le quali il corso di specializzazione seguito, nonostante la diversa denominazione, coincideva de facto con una delle specializzazioni elencate dalla Direttiva ad es., coincidenza delle materie di insegnamento impartite, equivalenza degli orari, coincidenza delle esercitazioni pratiche . Il mancato assolvimento di tale onere di allegazione esonerava dunque le Amministrazioni convenute da quello di una puntuale contestazione. La questione posta dall'ordinanza interlocutoria Essa si compendia in due quesiti a se abbia diritto ad essere risarcito del danno sofferto a causa della tardiva attuazione della Direttiva 75/363 e successive integrazioni colui che si sia iscritto prima del 1991 ad un corso di specializzazione nonincluso tra quelli di cui agli articolo 5 e 7 dalla suddetta Direttiva, ma in seguito dichiarato ad essi equipollente con atto normativo di diritto interno b se, in caso di risposta negativa, una simile soluzione contrasti con l'ordinamento comunitario. I postulati erronei dell'ordinanza interlocutoria. Il primo postulato erroneo Quanto al primo quesito, l'ordinanza interlocutoria si fonda su tre assunti non condivisibili, i quali ne minano il successivo sviluppo. Il primo postulato è che non avrebbero diritto ad alcun risarcimento coloro che «hanno frequentato corsi di specializzazione di tipologia e durata conformi alle norme comunitarie e comuni a due o più Stati membri, ma menzionati per la prima volta soltanto nella normativa di attuazione delle direttive comunitarie», e cioè col d. lgs. 257/91 e col d.m. 31 ottobre 1991. Postulato erroneo, perché quel diritto non fu mai negato da alcuno. Se, infatti, la specializzazione conseguita fu coincidente con quelle previste dalla Direttiva, il risarcimento è dovuto per questa sola ragione. Se la specializzazione conseguita non fu coincidente con una di quelle previste dalla Direttiva, la giurisprudenza di questa Corte ha accordato all'interessato la possibilità di ottenere comunque il risarcimento, purché alleghi e provi l'equipollenza di fatto tra la specializzazione conseguita e quelle “comunitarie”, nonostante la differenza nominale. Dunque, l'avere conseguito una specializzazione in una materia non inclusa negli articolo 5 o 7 della Direttiva non esclude e non ha mai escluso il diritto al risarcimento semplicemente, è circostanza che addossa all'attore l'onere di provare il fatto costitutivo della pretesa, come per qualsiasi domanda risarcitoria. Il secondo postulato erroneo Il secondo postulato da cui muove l'ordinanza interlocutoria può così riassumersi - la Direttiva 75/362 ha imposto a ciascuno Stato membro di riconoscere i titoli di medico o medico specialista conseguiti negli altri Stati - il riconoscimento, tuttavia, può essere automatico quando il diploma è comune a tutti gli Stati membri, oppure a due di essi oppure non automatico, nel caso di specializzazioni non comuni ad almeno due Stati - ai fini del riconoscimento nonautomatico l'articolo 8 della Direttiva prevede che ciascuno Stato membro possa esigere dai cittadini degli altri Stati membri che essi soddisfino le condizioni di formazione previste dal diritto interno. Da queste previsioni l'ordinanza interlocutoria ha ritenuto di poter trarre la conclusione che il suddetto articolo 8 abbia imposto a tutti gli Stati membri di «predisporre la propria normativa in modo tale da garantire anche l'operatività del criterio di riconoscimento delle ulteriori specializzazioni comuni a due o più Stati membri non espressamente inserite nell'elenco di cui all'articolo 7» p. 30 dell'ord. int. . Così interpretato l'articolo 8, se ne è tratto il corollario per cui a quella norma imponeva un obbligo agli Stati membri b il d.m. 31 ottobre 1991 ha dato attuazione a quell'obbligo c ergo, anche chi ha conseguito specializzazioni non previste dalla Direttiva, ma in seguito contemplate dal suddetto d.m. 31 ottobre 1991, ha diritto ad una adeguata remunerazione. Questa lettura dell'articolo 8 Dir. 75/362 non è condivisibile. Essa muove da un erroneo presupposto interpretativo, e fa dire alla norma quel che vanamente in essa si cercherebbe. Scopo delle Direttive 75/362 e 75/363 fu garantire la libera circolazione delle persone e il libero esercizio dell'attività professionale di medico all'interno dei confini della in allora Comunità. L'attività del medico, infatti, può consistere anche in una sola prestazione, e nessun medico si sobbarcherebbe l'onere di conseguire una seconda laurea in un altro Paese, al solo fine di eseguire ivi poniamo un solo intervento chirurgico. Per conseguire questo risultato la Comunità non scelse però la strada del diritto uniforme, resa malagevole dalla grande difformità tra le legislazioni dei singoli Stati in materia di corsi di laurea, diplomi di specializzazione, accesso alle professioni mediche. Lo si legge a chiare lettere nel VII Considerandodella Direttiva 75/362, ove si afferma che il coordinamento da essa introdotto non ha lo scopo di «armonizzare tutte le disposizioni degli Stati membri concernenti la formazione dei medici specialisti», ma solo quello di consentire il reciproco riconoscimento dei diplomi di laurea e di medico specialista, e che pertanto la direttiva intendeva introdurre il reciproco riconoscimento dei diplomi, ma «non un'equivalenza materiale delle formazioni cui si riferiscono tali diplomi» così si legge nel successivo VIII Considerando . Non è dunque esatto ritenere che l'articolo 8 della Direttiva abbia imposto “obblighi di conformazione” agli Stati membri. Quella norma non ha imposto agli Stati membri alcun obbligo, ma ha solo accordato loro una facoltà quella di esigere dai cittadini degli altri Stati membri, che domandino il riconoscimento del diploma conseguito in materie non previste dalla Direttiva o conseguiti in altri Stati terzi, di «soddisfare le condizioni di formazione che esso Stato membro prescrive a tal fine» nella legislazione nazionale. In pratica l'articolo 8 impone all'Italia di riconoscere il diploma in cardiologia conseguito dal medico francese in Germania facoltizza l'Italia a non riconoscere il diploma di cardiologia conseguito dal un medico francese in Brasile. Sostenere, pertanto, che l'articolo 8 della Direttiva 75/363 abbia imposto agli Stati membri un qualsiasi obbligo circa il numero, i contenuti e la denominazione delle specializzazioni impartite dalle Università significa, più che interpretare la norma, riscriverla. Il terzo postulato erroneo Non condivisibile, infine, è il terzo postulato da cui muove l'ordinanza interlocutoria p. 32 e cioè ritenere che tutti coloro i quali abbiano frequentato una scuola di specializzazione post lauream dovrebbero, per obbligo di fonte comunitaria, ricevere lo stesso trattamento. La Direttiva 75/362 non fu un letto di Procuste che parificò la posizione di qualsiasi medico specialista. Quella Direttiva si limitò a imporre agli Stati membri di riconoscere ad ogni effetto di legge in particolare al fine di evitare che il medico potesse essere sanzionato per esercizio abusivo della professione i diplomi conseguiti negli altri Stati membri, ma a condizione si trattasse di diplomi previsti dagli articolo 4 e 6, oppure riconosciuti a discrezione dallo Stato ospitante. Le regole intese ad armonizzare i requisiti delle scuole di specializzazione erano preordinate al fine di garantire il riconoscimento reciproco delle lauree e dei diplomi lo si afferma nel Considerando I della Direttiva 75/362 , non a garantire la parità di qualsiasi specializzazione in qualsiasi materia. Escluso dunque che l'articolo 8 abbia imposto all'Italia un obbligo di prevedere l'equipollenza di questa o quella specializzazione, resta da stabilire se comunque l'introduzione del d.m. 31 ottobre 1991 abbia inciso sulla posizione di quanti si fossero iscritti ad una scuola di specializzazione prima dell'emanazione del suddetto decreto, per concluderla dopo. La risposta non può che essere negativa. Allorché il legislatore diede una prima, parziale attuazione alle Direttive 75/362, 75/363 e 82/76, introdusse l'obbligo per l'avanti non omogeneo del tempo pieno articolo 1, d. lgs. 257/91 . Il tempo pieno fu tuttavia imposto solo per la formazione specialistica dei medici «ammessi alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, di tipologia e durata conformi alle norme della comunità economica europea e comuni a due o più Stati membri» articolo 1, d. lgs. cit., comma primo . Contemporaneamente, fu delegato il ministro della sanità a formare l'elenco delle suddette specializzazioni comma 2 . Il Ministro della Sanità vi provvide col d.m. 31 ottobre 1991 in Gazz. uff. 8.11.1991 numero 262 , norma che retroattiva non era, in assenza di disposizioni di diritto intertemporale. Infatti, la Direttiva 75/362 stabilì quali specializzazioni dovessero ritenersi comuni a tutti gli Stati membri, ovvero comuni ad almeno due Stati, ma non impose affatto agli Stati membri di stabilire l'equipollenza per altre specializzazioni, non elencate dalla Direttiva. Questa era solo una facoltà lasciata ai singoli Stati, poiché per quanto detto «il coordinamento [introdotto dalla Direttiva] non ha il risultato di armonizzare tutte le disposizioni degli Stati membri concernenti la formazione dei medici specialisti». Dunque, di quel decreto non si potrebbero invocare “ora per allora” gli effetti, al fine di pretendere dallo Stato di essere risarciti per non essere stati remunerati nel corso d'una specializzazione che lo Stato non aveva alcun obbligo di far remunerare. Il principio di diritto Sulla questione sollevata dall'ordinanza interlocutoria va dunque affermato il seguente principio di diritto «Non possono pretendere dallo Stato italiano il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie 75/362 e 75/363 e successive integrazioni, coloro i quali abbiano iniziato prima del 1991 una specializzazione non contemplata dalle suddette Direttive e di cui non sia dimostrata l'equipollenza di fatto alle specializzazioni ivi previste, a nulla rilevando che la specializzazione conseguita sia stata, in seguito, inclusa tra quelle qualificate “conformi alle norme delle Comunità economiche europee” dal d.m. 31 ottobre 1991».
Presidente Cassano - Relatore Rossetti Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.