L’assenza di conoscenze scientifiche circa la nocività di talune sostanze non è sufficiente per esonerare il datore di lavoro da responsabilità

La responsabilità dell’imprenditore ex articolo 2087 c.c., pur non configurando un’ipotesi di responsabilità oggettiva, non è circoscritta alla violazione di regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l’integrità psico-fisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e d’indagare l’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l'ordinanza numero 26390 depositata il 10 ottobre 2024. Il caso La Corte di appello di Lecce, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava le doglianze formulate dagli eredi di un lavoratore volte ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale patito dal de cuius a causa di una neoplasia polmonare asseritamente contratta da quest'ultimo nello svolgimento delle mansioni di saldatore presso uno stabilimento siderurgico. Nello specifico, ad avviso della Corte di merito, non era stato assolto dai ricorrenti l'onere probatorio relativo alla concreta esposizione del lavoratore alle sostanze nocive nell'ambito del contesto lavorativo nonché del nesso causale tra la patologia sofferta e tali sostanze. Peraltro, i giudici di merito non ravvisavano nemmeno una «responsabilità della società datrice di lavoro data la mancanza di consapevolezza dei rischi connessi alle sostanze presenti nell'ambiente di lavoro». Ciò, soprattutto, tenuto conto che a quel tempo i.e. sino alla metà degli anni novanta «non esistevano […] certezze scientifiche» circa la nocività dell'amianto con cui il lavoratore era entrato in contatto. Contro tale pronuncia gli eredi del lavoratore ricorrevano alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. L'onere della prova relativo al nesso causale non sempre grava sul lavoratore I ricorrenti si dolevano, inter alia, della violazione e falsa applicazione degli articolo 1218,2087 e 2697 c.c. e degli articolo 40 e 41 c.p. in relazione alla parte della pronuncia in cui veniva esclusa la responsabilità del datore di lavoro per la «mancata adozione di adeguate misure di prevenzione di patologie tumorali in relazione alla mancanza di consapevolezza della nocività dell'amianto secondo le conoscenze dell'epoca». Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, accogliendo il ricorso, chiarisce innanzitutto che, analogamente a quanto accade per le c.d. malattie tabellate, nel caso in cui la «malattia ad eziologia multifattoriale» includa «una patologia tumorale» che secondo la «scienza medica, ha o può avere origine professionale» opera una «presunzione legale quanto all'origine professionale della patologia». Resta quindi in capo al datore di lavoro l'«onere probatorio di una diversa eziopatogenesi del danno». Tale principio discende dal fatto che «in materia di […] malattia professionale, trova applicazione la regola dell'articolo 41 c.p., con la conseguenza che il rapporto tra l'evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento». In un contesto siffatto, secondo la Cassazione, è possibile escludere il nesso causale soltanto ove si ravvisi con «certezza l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, di per sé sufficiente a produrre l'infermità e tale da far degradare altre evenienze a semplici occasioni». Il datore di lavoro è tenuto a garantire la sicurezza al meglio delle tecnologie disponibili Una volta rinvenuta nella nocività dell'attività lavorativa la causa del danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, per andare esente da qualsivoglia responsabilità, il datore di lavoro deve provare di aver adottato, «pur in difetto di una specifica disposizione preventiva», di «regole d'esperienza e di regole tecniche preesistenti e collaudate», talune misure di prudenza che, benché «generiche» - considerate le scarse o addirittura, assenti conoscenze scientifiche al tempo di insorgenza della malattia – tutelino comunque la salute del lavoratore. In altre parole, ad avviso della Corte, il datore di lavoro non è esonerato dalla responsabilità ex articolo 2087 c.c. per il solo fatto di aver ignorato a ben vedere, incolpevolmente la nocività di talune sostanze. In conclusione, il datore di lavoro è tenuto «a preservare l'integrità psico-fisica e la salute del lavoratore» adottando cautele e misure che tengano conto «della concreta realtà aziendale e della […] maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza» della presenza di sostanze nocive sul luogo di lavoro, anche facendosi carico di indagare «l'esistenza di possibili fattori di rischio in un determinato momento storico».

Presidente Manna - Relatore Amirante Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.