L’assenza di conoscenze scientifiche circa la nocività di talune sostanze non è sufficiente per esonerare il datore di lavoro da responsabilità

La responsabilità dell’imprenditore ex articolo 2087 c.c., pur non configurando un’ipotesi di responsabilità oggettiva, non è circoscritta alla violazione di regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l’integrità psico-fisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e d’indagare l’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l'ordinanza numero 26390 depositata il 10 ottobre 2024. Il caso La Corte di appello di Lecce, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava le doglianze formulate dagli eredi di un lavoratore volte ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale patito dal de cuius a causa di una neoplasia polmonare asseritamente contratta da quest'ultimo nello svolgimento delle mansioni di saldatore presso uno stabilimento siderurgico . Nello specifico, ad avviso della Corte di merito, non era stato assolto dai ricorrenti l'onere probatorio relativo alla concreta esposizione del lavoratore alle sostanze nocive nell'ambito del contesto lavorativo nonché del nesso causale tra la patologia sofferta e tali sostanze. Peraltro, i giudici di merito non ravvisavano nemmeno una «responsabilità della società datrice di lavoro data la mancanza di consapevolezza dei rischi connessi alle sostanze presenti nell'ambiente di lavoro». Ciò, soprattutto, tenuto conto che a quel tempo i.e. sino alla metà degli anni novanta «non esistevano […] certezze scientifiche» circa la nocività dell'amianto con cui il lavoratore era entrato in contatto. Contro tale pronuncia gli eredi del lavoratore ricorrevano alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. L'onere della prova relativo al nesso causale non sempre grava sul lavoratore I ricorrenti si dolevano, inter alia , della violazione e falsa applicazione degli articolo 1218, 2087 e 2697 c.c. e degli articolo 40 e 41 c.p. in relazione alla parte della pronuncia in cui veniva esclusa la responsabilità del datore di lavoro per la «mancata adozione di adeguate misure di prevenzione di patologie tumorali in relazione alla mancanza di consapevolezza della nocività dell'amianto secondo le conoscenze dell'epoca». Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, accogliendo il ricorso, chiarisce innanzitutto che, analogamente a quanto accade per le c.d. malattie tabellate, nel caso in cui la « malattia ad eziologia multifattoriale » includa «una patologia tumorale» che secondo la «scienza medica, ha o può avere origine professionale » opera una « presunzione legale quanto all'origine professionale della patologia ». Resta quindi in capo al datore di lavoro l'« onere probatorio di una diversa eziopatogenesi del danno ». Tale principio discende dal fatto che «in materia di […] malattia professionale, trova applicazione la regola dell' articolo 41 c.p. , con la conseguenza che il rapporto tra l'evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento». In un contesto siffatto, secondo la Cassazione, è possibile escludere il nesso causale soltanto ove si ravvisi con « certezza l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa , di per sé sufficiente a produrre l'infermità e tale da far degradare altre evenienze a semplici occasioni». Il datore di lavoro è tenuto a garantire la sicurezza al meglio delle tecnologie disponibili Una volta rinvenuta nella nocività dell'attività lavorativa la causa del danno all'integrità psico-fisica del lavoratore , per andare esente da qualsivoglia responsabilità, il datore di lavoro deve provare di aver adottato , «pur in difetto di una specifica disposizione preventiva», di «regole d'esperienza e di regole tecniche preesistenti e collaudate», talune misure di prudenza che, benché «generiche» - considerate le scarse o addirittura, assenti conoscenze scientifiche al tempo di insorgenza della malattia – tutelino comunque la salute del lavoratore. In altre parole, ad avviso della Corte, il datore di lavoro non è esonerato dalla responsabilità ex articolo 2087 c.c. per il solo fatto di aver ignorato a ben vedere, incolpevolmente la nocività di talune sostanze. In conclusione, il datore di lavoro è tenuto « a preservare l'integrità psico-fisica e la salute del lavoratore » adottando cautele e misure che tengano conto «della concreta realtà aziendale e della […] maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza» della presenza di sostanze nocive sul luogo di lavoro, anche facendosi carico di indagare «l'esistenza di possibili fattori di rischio in un determinato momento storico».

Presidente Manna - Relatore Amirante Rilevato che 1. Con sentenza numero 4336/2016 il Tribunale di Taranto - sezione lavoro rigettava la domanda proposta da Ma.Le., Ra.Gi. e Ra.Ma. quali eredi di Ra.Gi. volta ad ottenere da Fintecna Spa il risarcimento del danno biologico e morale patito dal loro dante causa, per la patologia neoplasia polmonare di origine professionale da questi contratta, svolgendo le mansioni di saldatore, colatore, operatore di batteria, addetto al raffreddamento presso lo stabilimento siderurgico di T dal 26.7.1971 al 31.1.1997, danno richiesto nella misura di Euro 326.030,60, oltre rivalutazione ed interessi. Affermava il giudice di prime cure che la prova testimoniale non aveva offerto riscontri circa l'esposizione del defunto alle sostanze morbigene indicate nel ricorso. 2. Con Sentenza numero 287/2022 pubblicata il 20/04/2022 la Corte d'Appello di Lecce sez. distaccata di Taranto rigettava l'appello interposto dai Ma.Le. - Ra.Gi. compensando le spese. La Corte d'Appello, rigettato il motivo di appello con il quale veniva denunciata l'erroneità della sentenza di primo grado per mancata applicazione del principio di non contestazione, riteneva carente la prova sia sulla concreta esposizione del Ra.Gi. alle varie sostanze indicate che sulla derivazione causale della patologia da particolari sostanze morbigene, non potendo attribuirsi, a tal fine, rilevanza alle indagini epidemiologiche sull'elevato tasso di inquinamento nell'ambiente dove insiste l'impianto siderurgico ed all'istituzione di organismi preposti al controllo delle immissioni, investendo il grave inquinamento ambientale la generalità della popolazione residente, con la conseguenza che non e concretamente possibile sceverare, in difetto di esatti riscontri sul tipo di agente morbigeno e sulla relativa concentrazione, gli effetti patogeni sul singolo lavoratore dagli effetti globali sull'intera collettività . Negava, altresì, la responsabilità della società datrice di lavoro per mancanza di consapevolezza sui rischi connessi alle sostanze presenti nell'ambiente di lavoro, con riferimento ad un tempo metà anni novanta ed epoca anteriore nel quale non esistevano relative certezze scientifiche, tanto era l'alone di grave dubbio che per molti anni ha circondato gli effetti dell'inquinamento, con ripercussioni sulle misure da adottare per la prevenzione , e ciò anche alla luce delle deposizioni testimoniali dalle quali emergeva che l'amianto ha cessato di essere utilizzato dalla datrice di lavoro fin dal 1986, ossia verosimilmente dal momento in cui il dubbio sulla sua incidenza patogena ha assunto significativa consistenza . 3. Avverso la decisione di secondo grado propongono ricorso per cassazione Ra.Gi. e Ra.Ma. in proprio e quali eredi di Ma.Le. affidato a cinque motivi. 4. La Fintecna Spa replica con controricorso. 5. I ricorrenti hanno depositato memorie illustrative. Considerato che 1. I motivi di ricorso possono essere così sintetizzati. 2. Con il primo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell' articolo 360 comma 1 numero 4 c.p.comma error in procedendo - violazione e falsa applicazione dell' articolo 115 c.p.comma   - erronea applicazione delle regole di accertamento dei fatti, per omessa applicazione del principio di non contestazione di cui all' articolo 115 co. 1 c.p.comma   e   art 416 c.p.comma   Lamentano i ricorrenti che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, a fronte delle puntuali allegazioni di parte ricorrente all. B del fascicoletto Fintecna non aveva specificamente contestate le circostanze relative alle mansioni svolte e al lungo periodo di esposizione all'amianto, limitandosi a dedurre nell'atto di costituzione della Fintecna Spa pag. 1 All. A del fascicoletto Si eccepisce che la narrazione proposta dai Ricorrenti dei 'fatti storici' posti a fondamento della domanda è errata e strumentale nonché obiettivamente generica e, come tale nulla . 3. Con il secondo motivo deducono, ai sensi dell' articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c violazione e falsa applicazione della regola di accertamento di cui all' articolo 115 co. 2 c.p.comma   e 2729 c.comma per aver omesso di porre a fondamento della propria valutazione fatti che rientrano nella comune esperienza affermando che non esiste riscontro probatorio né sulla concreta esposizione alle varie sostanze indicate né sulla derivazione causale della patologia da particolari sostanze morbigene . Deducono i ricorrenti l'erroneità, illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio svolto dalla Corte territoriale ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota nella parte in cui pur qualificando come notorio il grave inquinamento ambientale nei territori dove insiste lo stabilimento siderurgico, non lo ritiene idoneo a fornire la prova del fatto controverso esposizione del de cuius a plurime sostanze patogene, tra cui amianto, che gli hanno causato il tumore polmonare . Deducono che l'effettiva esposizione del lavoratore ad agenti patogeni di origine professionale deve ritenersi certa, e dunque intesa come fatto notorio ai sensi dell' articolo 115 co. 2 c.p.comma , attesa da un lato la rilevanza dei dati epidemiologici ed ambientali richiamati e fatti oggetto di accertamenti giudiziali anche in sede penale dall'altro la presenza nel presente giudizio di altri elementi di prova gravi, precisi e concordanti curriculum lavorativo, certificato di esposizione ad amianto reso dall'Inail a ciò deputata per fini istituzionali, prove testimoniali conferenti . 4. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano ai sensi dell' articolo 360, comma 1, numero 4 c.p.c nullità della sentenza per error in procedendo per violazione e falsa applicazione dall' articolo 132 c.p.comma , comma 2, numero 4 - motivazione apparente e manifestamente contraddittoria, nella parte in cui, pur riportando le dichiarazioni testimoniali che attestano la presenza di sostanze nocive sui luoghi di lavoro, esclude la prova dell'avvenuta esposizione a patogeni di origine professionale. Deducono altresì che l'aver del tutto omesso l'esame del certificato di esposizione ad amianto, nonostante l'evidente rilevanza in ordine alla decisione della causa, e l'aver anche solo trascurato di interrogarsi o di interrogare opportunamente un c.t.u. sull'efficacia patogena di una esposizione ad amianto protrattasi almeno per quindici 19711986 ma diremmo oltre venti 1971 - 1992 anni, ha dato forma ad un motivazione che, complessivamente, può dirsi apparente nella misura in cui è stata fondata sul dato fatto storico . 5. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono, ai sensi 360, comma 1, numero 5, c.p.c. omesso esame di elementi istruttori su fatti controversi e decisivi per il giudizio - travisamento della prova - assenza di 'doppia conforme'. In via subordinata al precedente motivo di ricorso, i ricorrenti impugnano la sentenza per aver la Corte di appello di Lecce rigettato le loro istanze risarcitorie, omettendo di esaminare fatti decisivi per il giudizio, quali le prove testimoniali assunte e i documenti prodotti, violando altresì le regole di valutazione degli elementi probatori acquisiti. Deducono la non ricorrenza dell'ipotesi di doppia conforme posto che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, sono tra loro diverse , considerato che il giudice di primo grado ritiene che le dichiarazioni testimoniali non depongano per un accertamento dell'effettiva esposizione a sostanze nocive, mentre il giudice di appello afferma che le dichiarazioni testimoniali attestano una esposizione occasionale a fumi di saldatura e una esposizione ad amianto fino al 1984, salvo poi incorrere in una motivazione apparente . Lamentano, altresì, un travisamento della prova poiché ad un fatto certamente esistente esposizione a fumi di saldatura, esposizione ad amianto almeno per 15 anni se non per oltre 20 è stata negata la sussistenza, nonostante tale fatto fosse comprovato da un ulteriore documento prodotto e non valutato dal Giudice. Invero, la Corte di Appello ha altresì violato le regole di valutazione degli elementi probatori acquisiti, omettendo di esaminare il certificato di esposizione ad amianto, rilevante e decisivo ai fini della prova del fatto controverso . Deducono, poi, che l'irragionevolezza e la manifesta contraddittorietà dell'iter motivazionale del giudice di appello si riverbera sul quarto capo della medesima che ha ritenuto mancante la prova del nesso causale tra attività lavorativa e decesso del Sig. Ra.Gi. Lamentano l'erroneità della decisione del giudice di merito di non disporre CTU sul nesso di causalità tra il tumore polmonare che ha causato la morte del Sig. Ra.Gi. e l'esposizione ad amianto, la quale, lungi dall'essere esplorativa, era ricollegabile ai documenti e agli altri elementi di prova acquisiti. 6. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell' articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.comma violazione e falsa applicazione degli   articolo 1218,2087   e   2697 c.c.,   articolo 40   e   41 c.p.   per erroneità della pronuncia nella parte in cui ha escluso la responsabilità di parte datoriale per la mancata adozione di adeguate misure di prevenzione di patologie tumorali in relazione alla mancanza di consapevolezza della nocività dell'amianto secondo le conoscenze dell'epoca, posto che la conoscenza della nocività dell'amianto risale quantomeno ai primi anni sessanta. Deducono, altresì che il giudizio di prevedibilità ed evitabilità dei danni determinati dall'esposizione all'amianto vada riferito non allo specifico tipo di neoplasia in concreto manifestatosi, bensì al generico verificarsi di un danno alla salute del lavoratore, essendo questo l'evento che l' articolo 2087 c.comma   e il   D.P.R. 303/1956   mirano a prevenire. 7. Con controricorso Fintecna Spa deduce l'inammissibilità ed infondatezza dei motivi di ricorso nonché l'intervenuto passaggio in giudicato del capo della sentenza in cui si esclude il nesso causale tra patologia contratta dal lavoratore e attività lavorativa, non attinto da uno specifico motivo di impugnazione. 8. In via pregiudiziale va disatteso il rilievo di Fintecna Spa circa l'intervenuto passaggio in giudicato del capo della sentenza in cui si esclude il nesso causale tra patologia contratta dal lavoratore e attività lavorativa. 8.1. Va, infatti, premesso che, la locuzione giurisprudenziale minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall'effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l'esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma, che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull'intera statuizione, perché, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione Cass. Sez. L., numero 16853 del 2018   Cass. numero 12202 del 16/05/2017 , Rv. 644289 - 01 . 8.2. Nella fattispecie in esame, le contestazioni svolte dai ricorrenti attingono, censurandole, complessivamente tutte le statuizioni che hanno fondato il rigetto della domanda sulla ritenuta carenza di prova in ordine alla concreta esposizione del Ra.Gi. a sostanze morbigene ed alla derivazione causale della patologia da tali sostanze. 9. Passando all'esame dei motivi di ricorso, pregiudiziale e, per quanto in appresso si dirà, assorbente è lo scrutinio del quinto motivo esso è fondato. 9.1. Occorre premettere che questa Corte ha affrontato con plurimi arresti la complessa materia, stabilendo taluni principi di diritto che vanno considerati nella risoluzione della controversia in esame. Si è, innanzitutto, affermato che l'inclusione della malattia fra quelle per le quali l'origine professionale è di elevata probabilità determina una presunzione legale in ordine al rapporto causale o concausale, con la conseguenza che, quando la malattia è inclusa nella tabella, al lavoratore è sufficiente dimostrare di esserne affetto e di essere stato addetto alla lavorazione nociva, anch'essa tabellata, affinché il nesso eziologico sia presunto per legge si veda ex multis Cass. Sez. L., numero 38898 del 2021 Cass. Sez. L., numero 20510 del 13/10/2015 , Rv. 637740 - 01 Cass. Sez. L., numero 8638 del 03/04/2008 , Rv. 602946 - 01 Cass. Sez. L., numero 13024 del 24/05/2017 , Rv. 644514 - 01 . Dalla malattia tabellata si differenzia la patologia dichiarata ad eziologia multifattoriale in tal caso, l'applicazione del criterio presuntivo, sì come desunto da ipotesi tecniche teoricamente possibili, subisce un'attenuazione, nel senso che la prova del nesso causale non può basarsi su presunzioni semplici, ma è data per raggiunta sol quando il lavoratore abbia concretamente e specificamente offerto la dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della idoneità della esposizione al rischio a causare l'evento morboso. Ancora diverso è il caso in cui la malattia ad eziologia multifattoriale include una patologia tumorale la quale, secondo la scienza medica, ha o può avere origine professionale. In tal caso si determina una qual reviviscenza della presunzione legale quanto all'origine professionale della patologia, sicché, il datore di lavoro è gravato dell'onere probatorio di una diversa eziopatogenesi del danno. 9.2. Si è, inoltre, precisato, che la previsione in tabella,   ex articolo 139 del D.P.R. numero 1124 del 1965 , come integrato dall' articolo 10 del D.Lgs. numero 38 del 2000 , di un'attività lavorativa come fattore che con elevata probabilità può cagionare una specifica malattia, non opera sul piano della presunzione dell'origine professionale della malattia e dell'inversione dell'onere probatorio, a differenza della previsione nelle tabelle previste dall'articolo 3 dello stesso decreto, che costituiscono il catalogo delle patologie ad eziologia professionale presunta, ma rileva, comunque, su quello dell'assolvimento del carico probatorio, per cui, in tal caso, il lavoratore non deve fornire anche la prova delle singole sostanze a cui è stato esposto nel corso dell'attività lavorativa, essendo tale prova assorbita da quella dello svolgimento dell'attività inclusa nella tabella, già riconosciuta come nociva In tal senso Cass. Sez. L., numero 8416 del 05/04/2018 , Rv. 648620 - 01 . 9.3. È, inoltre, jus receptum che, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, trova applicazione la regola dell' articolo 41 c.p. , con la conseguenza che il rapporto tra l'evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, potendosi escludere l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge solo se possa essere ravvisato con certezza l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, di per sé sufficiente a produrre l'infermità e tale da far degradare altre evenienze a semplici occasioni così Cass. Sez. L., Ordinanza numero 678 del 2023   Cass. civ., Sez. L., 31.10.2018, numero 27952 . Pertanto, è stato, ad es., deciso che il decesso per malattia professionale nella specie, un carcinoma polmonare dovuto a prolungata esposizione all'amianto e agli idrocarburi può essere dichiarato come di origine professionale nonostante la presenza di una concausa quale il tabagismo così   Cass. civ., Sez. L., 12.6.2019, numero 15762 , in fattispecie in cui il tabagismo era stato si concausa dell'evento, ma non causa esclusiva . 10. Ciò posto, occorre evidenziare che la patologia dalla quale era affetto il Ra.Gi. neoplasia polmonare risulta tra quelle tabellate sul punto si veda Cass. Sez. L., Ordinanza numero 38898 del 2021 che la riconduce alla voce   57 della Tabella D.M. 9.04.2008 . Come rilevato anche dai ricorrenti, inoltre, la produzione di coke - cui il Ra.Gi. risulta essere stato adibito per circa 1 anno dal dicembre 1995 al gennaio 1997 - risulta indicata nell'elenco delle lavorazioni/esposizioni che con elevato grado di probabilità causa tumori al polmone nella tabella allegata al D.M. 10.6.2014, Lista I gruppo 6 Tumori professionali . L'onere della prova, per quanto sin qui detto, non gravava dunque sul lavoratore, essendo, al contrario, tenuto il datore di lavoro a provare una diversa eziopatogenesi. 11. La sentenza impugnata, ove rigetta la domanda in quanto non esiste riscontro probatorio né sulla concreta esposizione alle varie sostanze indicate né sulla derivazione causale della patologia da particolari sostanze morbigene , contrasta con i suesposti principi con l'esito di ribaltare l'onere della prova del nesso causale in capo al lavoratore. 11.1. Va, inoltre, rilevato che dalle dichiarazioni dei testi escussi, come riportate in sentenza, emergeva l'adibizione del Ra.Gi. all'impianto di raffreddamento, nel quale l'amianto risultava utilizzato fino al 1986, e l'esposizione pur definita occasionale ai fumi della saldatura. L'esposizione a sostanze trovava, poi, ulteriore conferma nel curriculum lavorativo rilasciato dal datore di lavoro all. C del fascicolo del ricorso per cassazione il quale risulta prodotto come allegato 6 al ricorso introduttivo dal quale emergeva l'adibizione del Ra.Gi. all'impianto di raffreddamento, con varie mansioni dal settembre 1971 a tutto il 1995 ed al reparto cokeria dal dicembre 1995 al gennaio 1997, e dal certificato rilasciato dall'Inail che attesta che il Ra.Gi. è stato esposto all'amianto per le mansioni svolte nei reparti e per i periodi indicati nel prospetto allegato ossia dal luglio 1971 al dicembre 1992 all. 7 del ricorso introduttivo ed all. D del fascicolo di cassazione . 12. A tale ultimo riguardo va rilevato che nell'ambito valutativo del nesso eziologico, questa Corte ha, anche di recente Cass. civ., Sez. L. numero 678 del 12/01/2023, Rv. 666501 - 01   Cass. civ., Sez. L., numero 5174 del 16/3/2015 avuto modo di puntualizzare, circa le certificazioni Inail in questione, la loro rilevanza al di fuori dello specifico contesto di riferimento in cui sono emesse Cass., numero 18008 del 2014 , vale a dire quello del conseguimento dei benefici previdenziali previsti dall' articolo 13, comma 8, L. 27 marzo 1992, numero 257 , e successive modificazioni. Inoltre, appunto in relazione a fattispecie concreta simile a quella che qui ci occupa riguardante domanda risarcitoria   ex articolo 2087 c.comma   contro due datrici di lavoro , la suddetta decisione ha specificato che dette certificazioni INAIL, se non possono avere valore dirimente, possono assumere rilievo ai fini di concorrere ad integrare la prova circa l'esposizione all'amianto. 13. Deve, infine, osservarsi che, in materia di esposizione dei lavoratori alle polveri di amianto, la responsabilità dell'imprenditore   ex articolo 2087 c.comma , pur non configurando un'ipotesi di responsabilità oggettiva, non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e d'indagare l'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. Cass. Sez. L. numero 24217 del 13/10/2017, Rv. 646106 - 02 . Ciò posto va segnalato che, contrariamente a quanto affermato nell'impugnata sentenza, all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro del dante causa dei ricorrenti, era ben nota da numerosi anni la intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto impiegato nelle lavorazioni, tanto che le stesse erano circondate legislativamente di particolari cautele fin dal principio del secolo scorso, indipendentemente dal grado di concentrazione di fibre in relazione a periodi temporali di esposizione per attività lavorativa. Pertanto, qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, essendo irrilevante la circostanza che il rapporto di lavoro si sia svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto, quali quelle contenute nel   D.Lgs. 15 agosto 1991, numero 277 , successivamente abrogato dal   D.Lgs. 9 aprile 2008, numero 81 . 14. Va, inoltre, tenuto conto che in materia di tutela della salute del lavoratore, il datore di lavoro è tenuto, ai sensi dell' articolo 2087 c.comma , a garantire la sicurezza al meglio delle tecnologie disponibili, sicché, con riferimento alle patologie correlate all'amianto, l'obbligo, risultante dal richiamo effettuato dagli   articolo 174   e   175 del D.P.R. numero 1124 del 1965   all' articolo 21 del D.P.R. numero 303 del 1956 , norma che mira a prevenire le malattie derivabili dall'inalazione di tutte le polveri visibili od invisibili, fini od ultrafini di cui si è tenuti a conoscere l'esistenza, comporta che non è sufficiente, ai fini dell'esonero da responsabilità, l'affermazione dell'ignoranza della nocività dell'amianto a basse dosi secondo le conoscenze del tempo, ma che sia necessaria, da parte datoriale, la dimostrazione delle cautele adottate in positivo In tal senso Cass. Sez. L. numero 18503 del 21/09/2016, Rv. 641194 - 01 . 15. In conclusione, va accolto il quinto motivo di ricorso, con conseguente assorbimento dei restanti. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di appello di Bari, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi di diritto richiamati nei punti che precedono e provvedendo, altresì, alle spese del presente giudizio di legittimità. 16. Va disposta d'ufficio l'omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati significativi dei ricorrenti e della vittima delle lesioni per cui è causa ai sensi dell' articolo 52 D.Lgs. 196 del 2003 . P.Q.M. La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'Appello di Bari alla quale demanda anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.