Per le Sezioni Unite Civili è possibile che una condotta formalmente rientrante in una previsione disciplinare tipizzata possa legittimamente essere sussunta in una previsione disciplinare generale e atipica .
Le Sezioni Unite Civili, con la sentenza in commento, hanno rigettato il ricorso, fondato su cinque motivi, proposto da un avvocato avverso il provvedimento emesso dal CNF, con cui veniva ritenuto responsabile della violazione degli articolo 9, comma 2, e 63 del codice deontologico e sospeso dall'esercizio della professione per sei mesi. Il provvedimento del Consiglio Nazionale è consequenziale alla condanna, nel 2019, divenuta definitiva nel 2021, dell'avvocato, alla pena di mesi nove di reclusione, nonché all'interdizione dai pubblici uffici e dall'esercizio della professione per il medesimo tempo perché ritenuto colpevole del reato di cui all'articolo 609-bis, comma 3, c.p. poiché «toccava, con intenti inequivoci la mano, i fianchi e la gamba d'una donna recatasi da lui per un colloquio di lavoro». Nel 2022 veniva quindi, sottoposto a procedimento disciplinare dal CDD, il quale lo riteneva responsabile ai sensi degli articolo 9, comma 2, 63 del codice deontologico e sanzionato con l'avvertimento. La decisione veniva poi, impugnata dal Procuratore Generale e accolta dal CNF che sanzionava l'incolpato con la sospensione dall'esercizio della professione per sei mesi. Si giungeva infine, in Cassazione. Nel ricorso, il professionista lamentava l'errata inscrizione dell'illecito tra le violazioni atipiche previste dal combinato disposto degli articolo 4, comma 2 e 9, comma 2 del Codice Deontologico, anziché nelle tipiche disciplinate dall'articolo 63 del Codice Deontologico nonostante la persona offesa non fosse né sua cliente, né sua dipendente, ma persona terza. Le Sezioni Unite, rilevano come il CNF veniva adito al fine di stabilire se la condotta ascritta all'incolpato rientrava nella previsione dell'articolo 63 del Codice Deontologico, con conseguente applicabilità della sola sanzione dell'avvertimento o poteva essere inscritta tra le violazioni atipiche, previste dal combinato disposto degli articolo 4, comma 2 e 9, comma 2 del Codice Deontologico, con conseguente possibilità di irrogare sanzioni più gravi. Per il Supremo Consesso, non è irragionevole la decisione del CNF di sussumere la violenza sessuale nella previsione generale ex articolo 9, comma 2, del Codice Deontologico, invece che in quella speciale, articolo 63, per due ragioni la ragionevolezza è anzitutto, proporzione e misura, cosicché è conforme a proporzione ritenere che un fatto penalmente rilevante non possa rientrare nella previsione più lievemente sanzionata ed è conforme a misura escludere l'applicabilità dell'articolo 63 del Codice Deontologico. Non è la prima volta, del resto, che la Cassazione risolve in senso affermativo la possibilità di far rientrare una condotta formalmente tipizzata, in una previsione disciplinare generale e atipica «il giudice è libero di individuare l'esatta configurazione della violazione tanto in clausole generali, quanto in diverse norme deontologiche o anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche non previste da dette norme».
Presidente Cassano - Relatore Rossetti Fatti di causa 1. L'avvocato V.R. nel 2019 venne condannato alla pena di mesi nove di reclusione, nonché all'interdizione dai pubblici uffici e dall'esercizio della professione per il medesimo tempo pena, tuttavia, sospesa perché ritenuto colpevole del reato di cui all'articolo 609 bis, terzo comma, c.p Gli fu ascritto, in particolare, di avere il 15.9.2017 toccato con intenti inequivoci la mano, i fianchi e la gamba d'una donna recatasi da lui per un colloquio di lavoro. Il suo ricorso avverso la sentenza di condanna fu rigettato da Cass. penumero , sez. 3, Sentenza numero 36755 del 24.2.2021 dep. 11.10.2021 . 2. Nel 2022 V.R. venne sottoposto a procedimento disciplinare dal CDD di Genova fu ritenuto responsabile della violazione degli articolo 9, comma 2, codice deontologico “l'avvocato, anche al di fuori dell'attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense” e 63 del medesimo codice “l'avvocato, anche al di fuori dell'esercizio del suo ministero, deve comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l'affidamento dei terzi” , e sanzionato con l'avvertimento. La decisione fu impugnata dal Procuratore Generale, che ritenne inappropriata la sanzione inflitta. 3. Il Consiglio Nazionale Forense accolse l'impugnazione e sanzionò l'incolpato con la sospensione dall'esercizio della professione per sei mesi. A fondamento della decisione il Consiglio Nazionale Forense così ragionò - il CDD, “pur senza richiamarlo espressamente”, pose a fondamento della sanzione la previsione di cui all'articolo 63 del Codice Deontologico, ovvero la norma che prevede come illecito la violazione del dovere di agire verso i terzi in modo da non compromettere la dignità della professione, violazione sanzionata “con l'avvertimento” articolo 63, terzo comma, del Codice Deontologico - questo inquadramento giuridico fu erroneo, in quanto l'illecito ascritto all'incolpato non poteva ritenersi un “comportamento compromettente la dignità professionale nei rapporti coi dipendenti” ex articolo 63 del Codice Deontologico, ma una consapevole violazione della legge penale, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, ed una violazione del dovere di dignità e decoro, di cui all'articolo 9, comma 2, del Codice Deontologico. 4. La sentenza d'appello è stata impugnata per Cassazione da V.R. con ricorso fondato su cinque motivi ed illustrato da memoria. Nessuna delle controparti ha depositato controricorso. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. Col primo motivo è denunciata la nullità della sentenza, perché deliberata in data 22 novembre anteriore a quella fissata per la discussione 23 novembre . 1.1. Il motivo è infondato. Dal verbale dell'udienza del Consiglio Nazionale Forense, allegato al fascicolo d'ufficio ed esaminato da questa Corte in virtù della natura del vizio denunciato, risulta che il CNF si è riunito il 23.11.2023 alle ore 17.54, ed all'esito della discussione “il Collegio [ha] riserva[to] la decisione”. E' quindi indubitabile che la data del 22.11.2023, indicata in calce alla sentenza impugnata come quella di deliberazione, sia un mero lapsus calami. 2. Il secondo motivo. Col secondo motivo è denunciata la violazione dell'articolo 182 c.p.c La tesi sostenuta dal ricorrente può così compendiarsi - il Consiglio Nazionale Forense ha deliberato nonostante nessuno si fosse costituito per l'incolpato - tuttavia V.R. un avvocato difensore per il giudizio dinanzi al Consiglio Nazionale Forense l'aveva pur nominato, e questi avv. Vernazza aveva depositato una istanza con la quale chiese il differimento dell'udienza, a causa di un proprio legittimo impedimento - il Consiglio Nazionale Forense pertanto non avrebbe potuto decidere la causa, ma, rilevata la mancanza di procura, avrebbe dovuto fissare un termine, ai sensi dell'articolo 182 c.p.c., per consentire all'incolpato di sanare il vizio. 2.1. Il motivo è infondato. Infatti a il ricorrente confonde la mancata costituzione con la mancanza di procura se l'appellato non si costituisce nei termini si dirà che è contumace, non certo che ha conferito una procura invalida b dinanzi al Consiglio Nazionale Forense la difesa può essere svolta solo da un avvocato cassazionista munito di procura speciale, circostanza che esclude l'applicabilità dell'articolo 182 c.p.c. Sez. U, Sentenza numero 13431 del 13/06/2014 c corretta, di conseguenza, fu la notifica della citazione a comparire all'udienza dinanzi al Consiglio Nazionale Forense al solo incolpato, e non anche al suo difensore affinché sorga l'obbligo per l'ufficio di notificare gli atti al difensore, infatti, non è sufficiente che un difensore sia stato nominato, ma è necessario che questi si sia fatto presente, nelle forme e nei modi di legge, all'organo giudicante. 3. Il terzo motivo. Col terzo motivo il ricorrente censura la sentenza del Consiglio Nazionale Forense nella parte in cui ha ritenuto che l'illecito a lui ascritto non rientrasse tra quelli previsti dall'articolo 63 del Codice Deontologico punibili con la sanzione dell'avvertimento , ma fosse da inscrivere tra le violazioni “atipiche” previste dal combinato disposto degli articolo 4, comma 2 violazione consapevole della legge penale e 9, comma 2 violazione generica dei doveri di dignità e decoro del codice deontologico. Il motivo, sebbene unitario, contiene due censure così riassumibili a la condotta a lui ascritta rientrava tra gli illeciti “tipici”, e segnatamente quello di cui all'articolo 63 cod. deont. rapporti con i terzi la persona offesa infatti non era né sua cliente, né sua dipendente dunque era una persona “terza” b la rilevanza penale dell'addebito non sottraeva quest'ultimo all'applicazione dell'articolo 63 del Codice Deontologico, ma al massimo avrebbe potuto comportare l'applicazione delle aggravanti di cui all'articolo 22, comma 2, c.d 3.1. Il motivo impone di affrontare gradatamente tre questioni a se sia sindacabile dalla Corte il giudizio col quale il Consiglio Nazionale Forense ha sussunto i fatti disciplinarmente illeciti entro una determinata previsione del codice deontologico b in caso affermativo, se con riferimento agli illeciti disciplinari valga la regola lex specialis derogat generali c nel merito, se sia fondata la censura di falsa applicazione dell'articolo 9 del Codice Deontologico. 3.2. La prima questione va risolta ribadendo i tradizionali princìpi per cui - l'illecito disciplinare è necessariamente atipico - di conseguenza la Corte non può sostituirsi all'organo disciplinare nel valutare se una determinata condotta rientri o meno in una previsione disciplinare di portata generale quale è, per l'appunto, quella che sanziona gli atti lesivi “del decoro e della dignità” professionali - la Corte può tuttavia sindacare, sotto il profilo della violazione di legge, la ragionevolezza con cui l'organo disciplinare ha ricavato, dalla previsione deontologica generale, il precetto da applicare al caso concreto così, con ampia motivazione, Sez. U, Sentenza numero 19705 del 13/11/2012 poiché la norma deontologica non fornisce, “per sua intrinseca natura, elementi tassativi per la definizione delle condotte disciplinarmente illecite, il sindacato di legittimità deve tener conto del fatto che la categoria normativa impiegata finisce con l'attribuire agli organi disciplinari forensi un compito di individuazione delle condotte sanzionabili, nel quale non può ammettersi una sostituzione da parte dal giudice di legittimità, consistente nella riformulazione o ridefinizione di tali condotte” . 3.3. La seconda questione va risolta nel senso che il principio lex specialis derogat generali trova applicazione anche in materia disciplinare. Infatti, per quanto detto, la Corte può sindacare la decisione del Consiglio Nazionale Forense sul piano della “ragionevolezza” con la quale ha ricavato dalla norma deontologica generale il precetto del caso concreto. Ed il principio di gerarchia delle norme in base al criterio di specialità, per la sua rispondenza ai canoni della logica formale, deve trovare applicazione anche in materia disciplinare. 3.4. Nel merito, il suddetto canone di ragionevolezza non è stato violato dal Consiglio Nazionale Forense. L'organo disciplinare doveva stabilire se la condotta ascritta all'incolpato - sulla quale non vi era più contestazione in punto di fatto - rientrasse nella previsione dell'articolo 63 del Codice Deontologico, con conseguente applicabilità della sola sanzione dell'avvertimento oppure rientrasse nella previsione dell'articolo 9, secondo comma, del Codice Deontologico, con conseguente possibilità di irrogare sanzioni più gravi. 3.4.1. L'articolo 9, comma 2, del Codice Deontologico stabilisce “l'avvocato … , al di fuori dell'attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense”. L'articolo 63, primo e secondo comma, stabilisce invece “l'avvocato … , al di fuori dell'esercizio del suo ministero, deve comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l'affidamento dei terzi. 2. L'avvocato deve tenere un comportamento corretto e rispettoso nei confronti dei propri dipendenti, del personale giudiziario e di tutte le persone con le quali venga in contatto nell'esercizio della professione”. 3.4.2. A fronte di queste due previsioni, non irragionevole è stata la decisione del Consiglio Nazionale Forense di sussumere la violenza sessuale nella previsione generale, invece che in quella speciale, per due ragioni. La prima è che “ragionevolezza” è, innanzitutto, proporzione e misura ovvero null'altro che la epieicheia aristotelica così, in motivazione, Sez. 3, Sentenza numero 12408 del 07/06/2011, con riferimento alla ragionevolezza del giudizio equitativo . Sicché fu conforme a proporzione ritenere che un fatto penalmente rilevante non rientrasse nella previsione più lievemente sanzionata e fu conforme a misura escludere l'applicabilità dell'articolo 63 del Codice Deontologico la tesi del ricorrente, infatti, condurrebbe all'insostenibile reductio ad absurdum per cui qualunque fatto illecito extraprofessionale commesso dall'avvocato in danno di terzi sarebbe sempre punibile soltanto con l'avvertimento. 3.5. Tali princìpi sono già stati affermati da questa Corte in fattispecie analoghe, in cui si trattava di stabilire se una condotta formalmente rientrante in una previsione disciplinare tipizzata, potesse legittimamente essere sussunta in una previsione disciplinare generale ed atipica quesito cui la Corte ha sempre dato risposta affermativa, osservando che il giudice disciplinare è “libero di individuare l'esatta configurazione della violazione tanto in clausole generali, quanto in diverse norme deontologiche o anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche non previste da dette norme” così Sez. U, Sentenza numero 15852 del 07/07/2009, la quale ha ritenuto corretta la decisione del Consiglio Nazionale Forense con cui un avvocato il quale aveva utilizzato espressioni ingiuriose nei confronti di un collega in uno scritto difensivo fu sanzionato non già ai sensi dell'articolo 20 del Codice Deontologico abrogato - che puniva l'uso di espressioni offensive nei riguardi dei colleghi -, ma ai sensi dell'articolo 22 comma 1 dello stesso codice, il quale puniva i comportamenti contrari a correttezza e lealtà verso i colleghi nello stesso senso Sez. U - , Sentenza numero 8313 del 25/03/2019, Rv. 653285 - 01 si veda infine, con riferimento all'ipotesi di avvocato sanzionato disciplinarmente per avere commesso il reato di violenza sessuale, da ultimo Sez. U - , Sentenza numero 9546 del 12/04/2021, in motivazione . 4. Il quarto motivo. Col quarto motivo è denunciata la violazione dell'articolo 653 c.p.p Tale norma sarebbe stata violata, nella prospettazione del ricorrente, perché mentre il giudice penale aveva escluso la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 61, numero 11 c.p. abuso di relazioni d'ufficio , il Consiglio Nazionale Forense aveva motivato la scelta della sospensione semestrale ritenendo che il reato fu commesso “con abuso della propria posizione di datore di lavoro”. 4.1. Il motivo è infondato. Il ricorrente estrapola dalla sentenza una singola affermazione, apparentemente erronea, che tuttavia letta nel generale contesto della motivazione è irrilevante rispetto all'esito della decisione. Il Consiglio Nazionale Forense infatti non ha affatto negato che il giudice penale riconobbe nel reato commesso dall'incolpato una “forma attenuata” p. 6 della sentenza , ma ha motivato la scelta della misura sanzionatoria facendo riferimento all' “abuso della propria posizione di datore di lavoro rispetto alla soggettiva sudditanza in cui si trovava l'aspirante all'impiego come segretaria”. E' dunque evidente che la motivazione della sentenza impugnata ha fatto ricorso alla figura retorica dell'ellissi, designando come “datore di lavoro” quegli che, dal contesto scrittorio, meglio si sarebbe dovuto definire “potenziale datore di lavoro”. 5. Il quinto motivo. Col quinto motivo è denunciata la violazione dell'articolo 22, comma primo, del Codice Deontologico. Il ricorrente sostiene che la sanzione della sospensione può essere irrogata solo in due casi - in presenza di “comportamenti o responsabilità gravi”, ipotesi non ricorrente perché il giudice penale aveva ritenuto gli atti commessi dall'imputato “scarsamente invasivi in quanto avvenuti al di sopra dei vestiti” di breve durata “non particolarmente insistenti” interrotti quando la persona offesa ha manifestato disagio o si è allontanata fisicamente - oppure quando non sussistano le condizioni per irrogare la sanzione della censura, aspetto “completamento omesso nel provvedimento impugnato”. 5.1. Il motivo è inammissibile. La correttezza nella scelta della sanzione da applicare non è infatti censurabile in sede di legittimità ex plurimis, Sez. U - , Sentenza numero 20344 del 31/07/2018, Rv. 650268 - 01 6. L'istanza di sospensione dell'esecutorietà della pronuncia impugnata resta assorbita dalla decisione, per effetto della quale non c'è più un autonomo interesse al suo esame ex multis, Sez. U, Sentenza numero 19367 del 18.7.2019 . 7. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate. 7.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115 nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, numero 228 . PER QUESTI MOTIVI la Corte di cassazione - rigetta il ricorso.