In caso di psicologo che interviene in un gruppo di alunni, l’oggetto della relazione terapeutica è il rapporto dello psicologo con l’intera comunità di riferimento il che rafforza la necessità di assicurare riserbo e discrezione sugli incontri e sugli esiti degli stessi.
Il Consiglio di Stato si pronuncia sul bilanciamento tra il diritto di accesso agli atti amministrativi e la riservatezza di detti atti perché coperti dal segreto professionale opposto dallo psicologo. Durante la frequentazione della scuola superiore, un'alunna aveva subìto episodi di prepotenza e bullismo da parte di un compagno di classe. Per tali motivi chiedeva il cambio di sezione che, tuttavia, le veniva negato dal Dirigente Scolastico. Pertanto, per l'anno successivo si trasferiva presso un altro liceo. I genitori della ragazza chiedevano di poter accedere ai documenti amministrativi scolastici per poter acquisire il verbale dell'assemblea, la relazione della psicologa della scuola e della professoressa referente per il bullismo, in seguito al percorso iniziato con la classe. Veniva, tuttavia, esibito solo il verbale della riunione di classe ma non anche la relazione del referente per il bullismo, né quella della psicologa. Il ricorso al TAR ed il provvedimento di diniego I genitori dell'alunna ricorrevano al TAR spiegando che l'accesso avesse natura di accesso difensivo e che la motivazione del diniego fosse illegittima. La scuola, da parte sua, affermava che, quanto alla relazione della psicologa, la stessa fosse un elemento di un più ampio intervento nella classe, relativo ad un più ampio progetto scolastico, autonomo ed indipendente rispetto ai fenomeni occorsi. La scuola, in particolare, opponeva l'esistenza del segreto professionale specificando che il segreto era stato opposto solo verbalmente in passato, mentre in giudizio veniva formalmente rinnovato per iscritto. Il TAR rigettava, così, il ricorso ritenendo che nel caso di specie l'opposizione del segreto professionale precludesse, in radice, l'esercizio del diritto di accesso, senza necessità di effettuare alcun tipo di bilanciamento con altri interessi. Il segreto professionale quale motivo ostativo all'accesso agli atti Contro tale sentenza, la madre e la figlia ricorrevano al Consiglio di Stato che respingeva la richiesta delle ricorrenti di accedere agli atti attribuendo rilevanza centrale al segreto professionale della psicologa rispetto alla relazione e all'intervento sul gruppo alunni. Ai sensi dell'art.24, comma1, lett. a della l. numero 241/1990, infatti, il diritto di accesso è escluso, nei casi di segreti e di divieti di divulgazione espressamente previsti dalla legge, come nel caso di segreto professionale. Secondo il Consiglio di Stato, a nulla rilevava che l'opposizione rappresentata dalla professionista che aveva redatto la relazione fosse stata prima espressa informalmente, e solo successivamente formalizzata, perché non è evidentemente quest'atto ad impedire l'ostensione che era, invece, già in origine preclusa attesa la natura del documento ed il segreto professionale che impediva di esercitare il diritto di accesso. Il lavoro dello psicologo Più precisamente, proprio con riguardo al lavoro che lo psicologo, soprattutto di una scuola, è chiamato a svolgere, i giudici rilevano che tale professionista interviene terapeuticamente, non solo con riferimento ad un singolo assistito, ma anche, soprattutto in caso di terapie somministrate ad adolescenti, nei confronti di un gruppo ristretto di individui. In questo secondo caso, l'intervento è finalizzato per meglio orientare le relazioni dei singoli fra loro, dei singoli con il gruppo e del gruppo con i singoli. Nel caso di specie, il consenso del singolo componente del gruppo, o, in ipotesi, il consenso espresso da tutti componenti del gruppo oggetto dell'intervento, giammai avrebbero potuto sollevare il professionista dal relativo obbligo di riservatezza, dal momento che l'oggetto della relazione terapeutica è il rapporto di quest'ultimo con l'intera comunità di riferimento, il che rafforza – e dunque produce un effetto esattamente inverso – la necessità di assicurare riserbo e discrezione sugli incontri e sugli esiti degli stessi.
Presidente Lipari Estensore Zeuli Fatto e Diritto 1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso proposto dalla parte appellante avverso il provvedimento prot. 00-OMISSIS del -OMISSIS-, comunicato all'appellante sig.ra -OMISSIS in pari data, a firma del Dirigente Scolastico dell'Istituto Statale d'Istruzione Secondaria Superiore Cicognini – Rodari, recante diniego parziale della domanda di accesso del -OMISSIS-, integrata con domanda del -OMISSIS e del provvedimento prot. 000-OMISSIS del -OMISSIS-, comunicato all'appellante sig.ra -OMISSIS in pari data, a firma del Dirigente Scolastico dell'Istituto Statale d'Istruzione Secondaria Superiore Cicognini – Rodari, recante diniego della domanda di accesso del -OMISSIS in particolare alla relazione redatta dalla psicologa dr.ssa -OMISSIS-, all'esito degli incontri presso la Classe -OMISSIS -OMISSIS del -OMISSIS e del -OMISSIS A sostegno del gravame sono esposte le seguenti circostanze in fatto all'epoca dei fatti l'odierna appellante era esercente la potestà genitoriale nei confronti della figlia minore -OMISSIS che, medio tempore, ha conseguito la maggiore età ed è oggi parte appellante insieme alla madre il -OMISSIS aveva presentato all'Istituto resistente una domanda di accesso agli atti, qualificando il proprio interesse difensivo, come parte integrante della denuncia presentata agli organi di competenza infatti, la figlia aveva frequentato, per l'anno scolastico -OMISSIS-, la classe -OMISSIS -OMISSIS presso il Liceo Musicale ISSS Cigognini Rodari di Prato, nel corso del quale si sarebbero verificati in suo danno nonché di altro studente, fenomeni di prepotenza e bullismo da parte di un compagno di classe l'impatto di queste vicende aveva indotto la giovane, dopo che il Dirigente Scolastico le aveva negato il passaggio ad altra sezione, a trasferirsi, per l'anno scolastico successivo, presso altro liceo i fatti sopra accennati avevano condotto alla presentazione di una denuncia-querela, da parte della allora parte ricorrente, presso la Legione Carabinieri Toscana, Comando di --OMISSIS- a tutela della figlia minore, i genitori avevano domandato al Dirigente di trasferirla ad altra sezione dell'Istituto, con richiesta che veniva disattesa, adducendo l'esistenza di motivi di privacy legati al gruppo classe dell'altra sezione con istanza del -OMISSIS-, l'allora parte ricorrente inoltrava alla scuola domanda di accesso per acquisire i seguenti atti “Verbale dell'assemblea di classe -OMISSIS svoltasi il giorno -OMISSIS ma redatto in data -OMISSIS-. Relazione della Dott.ssa -OMISSIS-, psicologa, in seguito ai due incontri del -OMISSIS e -OMISSIS in classe -OMISSIS--. Relazione della Prof.ssa -OMISSIS-, ref. per il bullismo, in seguito al percorso iniziato con la classe -OMISSIS--” - l'istanza veniva negata con provvedimento del -OMISSIS-, nel quale il Dirigente adduceva che i documenti richiesti non potessero essere ostesi, in quanto atti endo-procedurali coperti da privacy il -OMISSIS successivo, la parte riscontrava il diniego, rappresentando che la natura endo-procedurale al più avrebbe comportato un differimento, ma non il rifiuto di ostensione, e che comunque non risultava alcun procedimento disciplinare in corso nei confronti dei minori interessati, che consentiva di qualificare i suddetti atti come endo-procedimentali in ogni caso, le generiche ragioni di privacy non erano in grado di sorreggere il rifiuto opposto riesaminata la domanda, il -OMISSIS-, il prefato Dirigente ostendeva il verbale della riunione di classe del -OMISSIS-, ma non la relazione del referente per il bullismo, né quella della psicologa, relativa alle sedute del -OMISSIS e del -OMISSIS-, sul presupposto che il T.U. di cui al D. Lgs. numero 297 del 1994 non prevede la verbalizzazione degli incontri indicati, e dunque che la richiesta aveva ad oggetto documenti non previsti la parte proponeva ricorso al TAR Toscana, anche ai sensi dell'articolo 116 c.p.a. avverso questi atti, chiarendo che l'accesso, che era oggetto delle sue domande, aveva natura di accesso difensivo e che la motivazione del diniego era illegittima perché il concetto di atto ostensibile prescinde dalla qualificabilità del documento richiesto come tipico l'amministrazione scolastica si costituiva in giudizio sostenendo, tra l'altro, quanto alla relazione della psicologa, che la stessa era un elemento di un più ampio intervento nella classe, relativo ad un più ampio progetto scolastico, autonomo ed indipendente rispetto ai fenomeni occorsi, cd. “progetto benessere” con l'ordinanza istruttoria numero -OMISSIS del -OMISSIS-, il primo giudice chiedeva chiarimenti alla parte intimata, che aveva opposto l'esistenza del segreto professionale con riferimento alla relazione della psicologa, chiedendole di precisare se tale decisione fosse stata assunta in via autonoma dall'Istituto, oppure in presenza di una formale ed esplicita opposizione della professionista, appositamente interpellata e legittimata a far valere il relativo segreto in data -OMISSIS con la nota a chiarimenti, alla quale era allegata la dichiarazione postuma della suddetta psicologa, l'Istituto scolastico precisava che il segreto era stato opposto solo verbalmente in passato, mentre in quella circostanza veniva formalmente rinnovato. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso ritenendo che nel caso di specie l'opposizione del segreto professionale precludesse, in radice l'esercizio del diritto di accesso, senza necessità di effettuare alcun tipo di bilanciamento con altri interessi. Tanto premesso, la parte appellante deduce i seguenti motivi di appello avverso la suddetta decisione I. Violazione e falsa applicazione dei principi ricavabili dagli articolo 22,23,24 della l. 7 agosto 1990 numero 241. Violazione e falsa applicazione dei principi ricavabili dagli articolo 1 e ss del d.P.R. 12 aprile 2006 numero 184. Violazione e falsa applicazione dei principi ricavabili dagli articolo 620 c.p. e 200 c.p.p. Violazione e falsa applicazione dei principi ricavabili dall'articolo 11 del Codice di deontologia degli psicologi approvato dal Consiglio Nazionale dell'Ordine ai sensi dell'articolo 28, comma 6 lettera c della Legge numero 56/89. 2. Benché sia stata ritualmente citata, non si è costituita in giudizio l'amministrazione appellata. 3. L'unico motivo d'appello, dopo aver evidenziato la sussistenza di un interesse difensivo concreto ed attuale della parte ad ottenere la documentazione richiesta, come attestato dai fatti in narrativa e dalla stessa denuncia penale presentata, contesta l'illegittimità della decisione di primo grado, per aver ritenuto che, nel caso di specie, fosse opponibile il segreto professionale. La parte appellante, in questo senso, dopo aver precisato che la ridetta prestazione professionale era stata svolta anche nei confronti della stessa studentessa, odierna instante, rappresenta che la pretesa di quest'ultima a conoscere il contenuto della relazione è ancor più fondata, proprio per questo motivo. In ogni caso, aggiunge la doglianza in esame, il segreto professionale sarebbe stato opposto solo in un momento successivo al primo diniego, mentre, in occasione delle precedenti richieste, alcuna motivazione in tal senso era stata espressa dall'amministrazione intimata il che, anche volendo, impediva al primo giudice di qualificare la dichiarazione della psicologa del -OMISSIS come atto rinnovativo di una precedente opposizione all'ostensione. Dunque, l'unico motivo che in tesi avrebbe potuto ostare all'ostensione dei relativi atti, sarebbe stata l'opposizione dei contro-interessati titolari di dati sensibili. Tuttavia – sottolinea la parte appellante – non risulta che la scuola abbia attivato il procedimento di cui al D.P.R. 184 del 2006 per coinvolgere questi ultimi, con conseguente difetto di motivazione e carenza dei presupposti del diniego impugnato. 3.1. Il motivo è infondato. 3.1.1. Ai sensi della lett. a del comma 1 dell'articolo 24 della L.numero 241 del 1990, infatti, il diritto di accesso è escluso, tra gli altri, nei casi, in cui senz'altro rientra quello in specie, in quanto segreto professionale di segreti e di divieti di divulgazione espressamente previsti dalla legge. 3.1.2. La previsione legale, espressa ed inderogabile, non aveva dunque, in tesi, necessità di essere esplicitata dalla amministrazione che deteneva la relazione della psicologa, la predetta dottoressa -OMISSIS-, proprio perché detta previsione ne precludeva, in radice, l'ostensibilità. 3.1.3. Di conseguenza, poco o nulla rileva che l'opposizione rappresentata dalla professionista che ha redatto il documento, sia stata prima espressa informalmente, e solo successivamente sia stata formalizzata, perché non è evidentemente quest'atto ad impedire l'ostensione che era invece, già in origine preclusa attesa la natura del documento ed il segreto professionale che impediva di esercitare il diritto di accesso. 3.1.4. Inoltre che i presupposti astratti per l'esercizio di quest'ultimo esistessero, nel caso di specie, evidentemente non consentiva l'estensione della sua portata ad un ambito non contemplato dalle previsioni di legge, quale appunto è da ritenersi l'esistenza, in questo caso, del segreto professionale. 4. Il sub-motivo al motivo di appello evidenzia che il primo giudice avrebbe errato, ad ogni buon conto, nel ritenere che il segreto professionale, imposto dall'articolo 11 del codice deontologico degli psicologi, sia assoluto rispetto al diritto di accesso, nel senso che sia sempre e comunque opponibile al titolare del relativo diritto. 4.1. Sostiene la parte appellante che esso debba, piuttosto, essere relativizzato a maggior ragione allorquando, come in questo caso, l'attività professionale sia fuoriuscita dal rapporto con il singolo assistito, per inserirsi in una più ampia attività procedimentale condotta da una Pubblica Amministrazione, nel caso di specie, appunto il ricordato “progetto benessere” avviato dalla scuola con riferimento alla classe di appartenenza dell'appellante. 4.2. Questa delimitazione, secondo la doglianza in esame, sarebbe evidente dalla lettura dell'articolo 12 del codice deontologico, che consente di derogare al segreto di cui al precedente articolo 11, previo consenso dell'interessato. Il che significa – si aggiunge – che quel segreto tutela l'assistito ed il suo rapporto con lo psicologo, e non direttamente il professionista. E poiché, in questo caso l'assistita, cioè la destinataria della prestazione, i cui esiti si vorrebbero mantenere segreti, si identifica con la stessa parte appellante, è evidente che non ha senso averle opposto il relativo segreto e che si sarebbe potuto ovviare ad eventuali inconvenienti relativi ad interessi sensibili di terzi presenti nell'atto, apportando i necessari omissis ai documenti ostesi. 4.3. L'assunto, secondo la parte appellante, troverebbe ulteriore conferma nell'articolo 13 del suddetto codice che parimenti prevede una deroga al segreto professionale tutte le volte in cui scatta, per il professionista l'obbligo di referto. Obbligo che, a sua volta, inserisce la relazione in un più ampio procedimento amministrativo e la fa divenire ostensibile, al pari degli altri documenti che vengono confezionati nel corso dello stesso. 4.4. Quanto precede, a maggior ragione dovrebbe valere nel caso di specie dal momento che, in una nota inviata, l'-OMISSIS-, al difensore della parte appellante, la stessa psicologa autrice della relazione aveva avuto modo di precisare che quell'elaborato aveva ad oggetto incontri di informazione ed orientamento, che “non rientrano in alcun modo nelle attività di prestazione sanitaria”. 5. Il motivo è infondato. 5.1. Conviene premettere che, per come è prospettata, la doglianza omette di considerare un tratto fondamentale, e altrettanto generale, della funzione e delle attività professionali dello psicologo. Quest'ultimo, infatti interviene terapeuticamente, non solo con riferimento ad un singolo assistito, ma anche, di norma, ed anzi sempre più frequentemente, soprattutto in caso di terapie somministrate ad adolescenti, nei confronti di un gruppo ristretto di individui. Questa seconda tipologia di intervento serve a risolvere o a prevenire conflitti che si siano generati, o possano generarsi, all'interno della relativa comunità, o anche solo – il che accade sovente nel caso di interventi su singole classi di studenti delle scuole superiori – è richiesto al fine di meglio orientare le relazioni dei singoli fra loro, dei singoli con il gruppo e del gruppo con i singoli. 5.2. Re-inquadrata in questa dimensione, che è poi verosimilmente quella che ha occasionato l'intervento della psicologa di cui alla controversia, l'attività della dottoressa -OMISSIS-, il segreto professionale da quest'ultima opposta riacquista tutta la sua significatività. Infatti, nel caso di specie, il consenso del singolo componente del gruppo, o, in ipotesi, il consenso espresso da tutti componenti del gruppo oggetto dell'intervento, giammai avrebbero potuto sollevare il professionista dal relativo obbligo di riservatezza, dal momento che l'oggetto della relazione terapeutica è il rapporto di quest'ultimo con l'intera comunità di riferimento, il che, in certo senso, rafforza – e dunque produce un effetto esattamente inverso – la necessità di assicurare riserbo e discrezione sugli incontri e sugli esiti degli stessi. 5.3. Né è condivisibile quanto affermato dalla doglianza in esame, secondo la quale il segreto professionale è posto solo a tutela degli assistiti. Al contrario, ritiene il Collegio che detto segreto sia previsto anche a tutela della libertà di scienza, che, nell'esercizio dell'attività professionale, deve essere garantita ai prestatori d'opera intellettuale nel nostro ordinamento, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 2239 del c.c. e, soprattutto, dal comma 1 dell'articolo 33 della Costituzione. È evidente, infatti, che se non si garantisse la riservatezza delle valutazioni, dei giudizi e delle opinioni da costoro espresse nel corso dell'attività professionale, quella libertà potrebbe essere seriamente compromessa. 5.4. In definitiva, anche a voler ammettere che il segreto professionale, a fronte dell'esercizio del diritto di accesso da parte degli aventi diritto, possa presentare un margine di relativa elasticità, nel caso di specie, alla luce dei presupposti appena esplicitati, questa delimitazione non è invocabile. 6. Conclusivamente, l'appello va rigettato. Le ragioni della controversia e la sua novità giustificano la compensazione integrale delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima , definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa le spese del grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.