La sottoposizione del lavoratore a carcerazione preventiva, anche per fatti estranei al rapporto di lavoro, non costituisce inadempimento degli obblighi contrattuali, ma consente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ove, in base ad un giudizio ex ante, tenuto conto di ogni circostanza rilevante ai fini della determinazione della tollerabilità dell’assenza, non persista l’interesse del datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni del dipendente, senza che sia configurabile a carico del datore di lavoro l’obbligo del cd. repechage.
Il caso La sentenza in commento affronta il caso di un dipendente di un'azienda elettrica, licenziato a seguito di provvedimento di restrizione della libertà personale, tramutato dopo 10 mesi, in obbligo di firma quotidiano, cui era seguito anche un licenziamento per giusta causa. In particolare, dopo una sospensione della prestazione lavorativa per 12 mesi dovuta alla detenzione domiciliare, al lavoratore era stata comunicata la risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'articolo 34, comma 3 del CCNL Elettrici, posto che anche la nuova misura cautelare risultava incompatibile con l'organizzazione aziendale. Entrambi i giudici del merito hanno ritenuto legittimo il licenziamento e valida la clausola contrattuale collettiva. La carcerazione preventiva consente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo La Suprema Corte conferma la validità dell'articolo 34 comma 3 ora articolo 23 comma 3 , che prevede che in caso di interruzione del servizio dovuta a provvedimenti restrittivi della libertà personale del lavoratore per fatti estranei al rapporto di lavoro o comunque tali da impedirne la prestazione lavorativa, ove non ricorrano gli estremi del recesso per giusta causa, è fatta salva, ove già esistente a livello aziendale, la conservazione per un periodo di 12 mesi del rapporto di lavoro del lavoratore non in prova, che rimane sospeso senza retribuzione né decorrenza di anzianità. Viene precisato che tale norma codifica una situazione di fatto volta ad assicurare un bilanciamento tra gli interessi contrapposti delle parti, cioè la preventiva e generale rappresentazione ai lavoratori che l'assenza prolungata per più di 12 mesi, ancorché non imputabile, determina di regola il venir meno dell'interesse datoriale all'eventuale futura prestazione residua, decorso un congruo periodo di diritto alla conservazione del posto. Si verifica un caso di impossibilità sopravvenuta Quanto sopra è riconducibile alla categoria generale dell'impossibilità sopravvenuta dell'obbligazione di cui agli articolo 1463 e 1464 c.c., in cui il recesso è determinato dalla mancanza di un interesse apprezzabile all'adempimento parziale della prestazione, rimanendo la permanenza o meno di un interesse rilevante a ricevere le possibili prestazioni da parametrare alla stregua di criteri oggettivi, riconducibili a quelli fissati dall'articolo 3 della legge numero 604/1966 e, cioè, con riferimento alle oggettive esigenze dell'impresa, da svolgere con una valutazione ex ante e non ex post. In tale valutazione si deve tenere conto delle dimensioni dell'impresa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva, della natura e dell'importanza delle mansioni del dipendente, del già maturato periodo di sua assenza, della ragionevole prevedibilità di ulteriore durata dell'impossibilità di rendere la prestazione, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le mansioni senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della tollerabilità dell'assenza.
Presidente Doronzo - Relatore Michelini Rilevato che 1. Con sentenza numero 3796/2015, la Corte d'Appello di Napoli dichiarava improcedibile il gravame di Ve.Gi. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, che ne aveva rigettato le domande volte alla dichiarazione di illegittimità dei provvedimenti, disposti nei suoi confronti da ENEL DISTRIBUZIONE Spa, di risoluzione del rapporto in data 22/9/2011 e di licenziamento disciplinare in data 17/11/2001 2. Con sentenza numero 20079/2018, questa Corte accoglieva per quanto di ragione il ricorso di Ve.Gi., relativamente al motivo concernente la dichiarata improcedibilità dell'appello, ribadendo che questa può essere dichiarata unicamente nei casi di inesistenza della notifica e non anche nei casi in cui - come quello in esame - la notifica sia stata effettuata dall'appellante, sia pure in violazione del termine posto dall'articolo 435, comma terzo infatti, nel rito del lavoro l'inosservanza, in sede di ricorso in appello, del termine dilatorio a comparire non comporta la nullità dello stesso atto di appello, bensì quella della sua notificazione, sanabile ex tunc per effetto di spontanea costituzione dell'appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex articolo 291 c.p.c. cassava per questa ragione la sentenza impugnata e rinviava, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione. 3. Riassunta la causa dal lavoratore, la Corte d'Appello di Napoli, con sentenza numero 5901/2019 rigettava l'appello e compensava tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio 4. Con la seconda sentenza d'appello, la Corte di Napoli osservava, in particolare, che - al lavoratore era stata comunicata risoluzione del rapporto di lavoro in data 22.9.2011, ai sensi dell'articolo 34, comma 3, CCNL Elettrici applicato al rapporto e successivamente gli era stato comunicato licenziamento per giusta causa in data 17.11.2011 - a seguito di impugnazione di entrambi i provvedimenti datoriali, il Tribunale aveva rigettato i ricorsi riuniti, affermando la legittimità della clausola contrattuale collettiva posta a base del primo licenziamento - segnatamente il primo recesso era stato comminato a seguito di provvedimento di restrizione della libertà personale arresti domiciliari del 18.9.2010, poi tramutato, dopo dieci mesi, in obbligo di firma quotidiano ciò aveva comportato la sospensione del rapporto di lavoro e la mancata prestazione lavorativa per il periodo di 1 anno - l'azienda, decorso il termine di dodici mesi previsto dalla norma contrattuale collettiva, aveva comunicato la risoluzione del rapporto, atteso che, anche in seguito alla modifica della misura cautelare, detta condizione risultava incompatibile con l'organizzazione aziendale - la fattispecie regolata dalla norma contrattuale collettiva veniva ricondotta alla verificazione di fatto che, ancorché non imputabile al lavoratore, è tale da non consentire di fornire la regolare prestazione lavorativa, quale impossibilità sopravvenuta con effetti estintivi del rapporto, secondo una previsione contrattuale che individua l'arco temporale di tolleranza ex ante in dodici mesi, determinando la mancanza della prestazione lavorativa per ragioni non imputabili al dipendente un difetto funzionale della causa anche quando la misura cautelare custodiale era stata sostituita da misura coercitiva obbligatoria - non vi era interesse ad agire in relazione al successivo recesso disciplinare, perché privo di efficacia, essendo intervenuto a rapporto già cessato 5. avverso la sentenza della Corte d'Appello di Napoli quale giudice del rinvio propone ricorso per cassazione Ve.Gi. con sette motivi resiste E-distribuzione con controricorso entrambe le parti hanno depositato memoria al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza Considerato che 1. con il primo motivo, il ricorrente deduce articolo 360, numero 3, c.p.c. violazione ed erronea o falsa applicazione degli articolo 101 Cost., 113, 112, 101 c.p.c. sostiene che la clausola di risoluzione automatica del rapporto lavorativo non può derogare in peius le disposizioni legali, e che, optando per la procedura disciplinare, il datore aveva rinunciato ad avvalersene 2. con il secondo motivo, deduce articolo 360, numero 3, c.p.c. violazione degli articolo 1418,1343,1344 c.c., nullità o illegittimità dell'articolo 34 CCNL Elettrici, violazione degli articolo 2118 e 2119 cc., 1 ss. legge numero 604/1966, 7 e 18 legge numero 300/1970, 25 CCNL Elettrici, 2066 e 2071 c.c. in tema di inderogabilità e di contenuto del contratto collettivo sostiene l'erroneità del mancato accoglimento dell'eccezione di nullità dell'articolo 34 CCNL, che si pone in contrasto con la normativa sui licenziamenti e con i principi di tipicità e tassatività dei motivi di recesso, e che non è stata considerato la violazione della procedura disciplinare 3. con il terzo motivo, deduce articolo 360, numero 3, c.p.c. violazione o falsa applicazione degli articolo 1175,1337,1375 c.c. e difetto di motivazione e causa della risoluzione, inesistenza dell'impossibilità della prestazione, nullità del provvedimento per nullità della causa ex articolo 1343 c.c. sostiene erronea mancata considerazione della violazione dei principi di buona fede e correttezza contrattuale, in quanto era stata rifiutata la prestazione lavorativa e non erano stati specificati i motivi dell'impossibilità della prestazione 4. Con il quarto motivo, deduce articolo 360, numero 3 e numero 5, c.p.c. violazione del giudicato e omesso esame del giudicato relativamente alla sentenza penale di assoluzione del lavoratore, da parte del Tribunale di Napoli del 2017, in procedimento in cui il datore di lavoro si era costituito parte civile senza impugnare la pronuncia 5. Con il quinto motivo, deduce articolo 360, numero 3, c.p.c. nullità della sentenza per mancata applicazione della normativa sui licenziamenti con un'interpretazione abnorme dell'articolo 34 CCNL cit., violazione o falsa applicazione degli articolo 1256 e 2729 c.c. e dell'articolo 5legge numero 604/1966 in tema di prova, nonché imputabilità della causa al datore di lavoro sostiene che, attivato l'articolo 25 CCNL, il datore non poteva procedere ai sensi dell'articolo 34 6. Con il sesto motivo, deduce articolo 360, numero 3, c.p.c. violazione o errata applicazione dell'articolo 34 CCNL ed errata qualificazione della fattispecie sostiene che la Corte di merito ha errato nell'applicare l'articolo 34 CCNL, senza considerare che la procedura era alternativa a quella disciplinare, parimenti avviata 7. Con il settimo motivo, deduce articolo 360, numero 3, c.p.c. omessa decisione in tema di violazione degli articolo 113,115,116 c.p.c., violazione degli articolo 2697 c.c., 244 e 416 c.p.c., vizio di motivazione inadeguata, in contrasto con i fatti e illogica nell'utilizzo di una prova inesistente 8. Le censure riferite al profilo della dedotta nullità e conseguente richiesta di disapplicazione dell'articolo 34 CCNL Elettrici applicato al rapporto, oggetto del primo e del secondo motivo, da trattare congiuntamente per connessione, non sono fondate 9. Come di recente chiarito da questa Corte in fattispecie regolata dalla norma contrattuale collettiva in esame Cass. numero 6714/2021 , la sottoposizione del lavoratore a carcerazione preventiva anche per fatti estranei al rapporto di lavoro non costituisce inadempimento degli obblighi contrattuali, ma consente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ove, in base ad un giudizio ex ante, tenuto conto di ogni circostanza rilevante ai fini della determinazione della tollerabilità dell'assenza tra cui le dimensioni dell'impresa, il tipo di organizzazione tecnico-produttiva, le mansioni del dipendente, il già maturato periodo di sua assenza, la ragionevolmente prevedibile ulteriore durata dell'impedimento, la possibilità di affidare temporaneamente ad altri le mansioni senza necessità di nuove assunzioni , non persista l'interesse del datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni del dipendente, senza che sia configurabile, inoltre, a carico del datore di lavoro, l'obbligo del cd. repêchage 10. In questo senso, l'articolo 34 CCNL Elettrici codifica una situazione di fatto oggetto di bilanciamento degli interessi contrapposti delle parti, ovvero la preventiva e generale rappresentazione ai lavoratori che l'assenza prolungata per più di dodici mesi, ancorché non imputabile, determina, di regola, il venire meno dell'interesse datoriale all'eventuale e futura prestazione residua, decorso, cioè, un congruo periodo di diritto alla conservazione del posto 11. La riconduzione della fattispecie alla categoria generale dell'impossibilità sopravvenuta dell'obbligazione di cui agli articolo 1463 e 1464 c.c. significa che la specifica fattispecie come regolata dal CCNL applicato al rapporto configura il recesso come determinato dalla mancanza di un interesse apprezzabile all'adempimento parziale della prestazione, rimanendo la persistenza o meno di un interesse rilevante a ricevere le possibili prestazioni, in ipotesi di assenza dal lavoro per carcerazione preventiva o altra misura cautelare, da parametrare alla stregua di criteri oggettivi, riconducibili a quelli fissati nell'ultima parte dell'articolo 3 della legge numero 604/1966, e cioè con riferimento alle oggettive esigenze dell'impresa, da svolgere, però, con una valutazione ex ante, e non già ex post, in cui si tenga conto delle dimensioni dell'impresa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva, della natura ed importanza delle mansioni del dipendente, del già maturato periodo di sua assenza, della ragionevole prevedibilità di ulteriore durata dell'impossibilità, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le mansioni senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della tollerabilità dell'assenza così Cass. numero 6714/2021, cit., in motivazione cfr. anche Cass numero 19135/ 2016, numero 12721/2009, numero 6803/2003 12. La Corte territoriale si è attenuta a tali principi, in particolare alla regola per cui la sussistenza dell'impedimento va verificata al momento del recesso Cass. numero 13662/2018 con accertamento in fatto, di cui è chiara la ratio decidendi, ha ritenuto che il protrarsi dell'assenza del dipendente, per più di un anno, fosse tale da determinare la perdita di interesse del datore di lavoro all'eventuale prestazione residua la valutazione svolta circa l'interesse dell'imprenditore alla prestazione lavorativa, rimessa al giudice di merito, che vi ha provveduto avendo riguardo alle possibili e prevedibili capacità lavorative del prestatore e all'organizzazione dell'azienda, non è censurabile in sede di legittimità 13. In via derivata, risulta non fondato anche il quarto motivo di ricorso, perché la formazione di giudicato penale sugli addebiti disciplinari è estranea ai motivi del recesso in esame, intimato in base a clausola contrattuale collettiva legittima e riferita a circostanze oggettive prolungata assenza, anche per causa non imputabile al lavoratore, assenza di interesse del datore alle prestazioni residue in base ad accertamento in fatto con valutazione ex ante svincolate dall'esito del giudizio penale 14. La ritenuta legittimità della clausola contrattuale collettiva determina altresì l'infondatezza delle censure riferite al profilo della dedotta alternatività tra la procedura di recesso di cui all'articolo 34 CCNL Elettrici applicato al rapporto e quella disciplinare di cui all'articolo 25 CCNL pure avviata da parte datoriale oggetto del quinto e sesto motivo, ma in parte anche del primo e del secondo 15. La pacifica sequenza temporale dei fatti come riportata a pp. 17-18 del ricorso è, in sintesi la seguente settembre 2010 - sospensione del rapporto lavorativo a seguito di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari aprile 2011 - contestazione disciplinare luglio 2011 - sostituzione della misura cautelare, messa a disposizione del lavoratore, conferma della sospensione del rapporto lavorativo da parte del datore di lavoro settembre 2011 - risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'articolo 34 CCNL novembre 2011 - licenziamento disciplinare 16. Parte datoriale ha avviato entrambe le procedure previste dalla contrattazione collettiva la procedura di recesso ai sensi dell'articolo 34 CCNL si è conclusa anteriormente il licenziamento disciplinare è stato intimato per il caso di accoglimento di impugnativa del precedente recesso poiché il primo recesso è stato ritenuto legittimo, le questioni riguardanti il secondo licenziamento, condizionato all'annullamento del primo recesso in accoglimento dell'impugnativa dello stesso, condizione non verificatasi, risultano non più rilevanti, come correttamente osservato dalla Corte di merito, qualificando la relativa domanda come carente di interesse ad agire 17. Del resto, il fatto che la procedura di recesso per impossibilità prolungata della prestazione lavorativa nei termini fissati dalla contrattazione collettiva e quella disciplinare possano essere percorse parallelamente risulta anche dalla lettera della norma contrattuale, che, tra l'altro, stabilisce che in ogni altro caso di interruzione del servizio dovuta a provvedimenti restrittivi della libertà personale del lavoratore o comunque tali da impedirne la prestazione lavorativa, ove non ricorrano gli estremi per la risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'articolo 25 provvedimenti disciplinari del presente contratto, è fatta salva, ove già esistente a livello aziendale, la conservazione del rapporto di lavoro del lavoratore non in prova per un periodo di 12 mesi , che rimane sospeso a tutti gli effetti, senza alcuna corresponsione né decorrenza di anzianità l'impedimento prolungato alla prestazione lavorativa è sì alternativo al licenziamento disciplinare, perché gli istituti rispondono a logiche e presupposti diversi, ma non in termini di preclusione di una procedura rispetto all'altra o tali da assegnare alla procedura disciplinare un significato di sterilizzazione della procedura di recesso per impedimento della prestazione lavorativa 18. Il terzo e il settimo motivo, che attengono a profili di valutazione probatoria sull'impossibilità di proficuo utilizzo della prestazione lavorativa, dopo la sostituzione della misura cautelare, non sono ammissibili 19. Essi si risolvono nella contestazione della valutazione probatoria dei giudici di merito, insindacabile in sede di legittimità qualora congruamente argomentata Cass. numero 29404/2017, numero 1229/2019, S.U. numero 34476/2019, S.U. 20867/2020, numero 5987/2021, numero 6774/2022, numero 36349/2023 , non essendo consentita, sotto l'apparente deduzione di una violazione di norme di legge, la rivalutazione dei fatti e delle prove operata nel merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un terzo grado di merito nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame v. Cass. numero 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata Cass. numero 20553/2021, numero 20814/2018, numero 18721/2018, numero 8758/2017 20. In ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l'impugnazione P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.