Allorché il detenuto sia stato ristretto in regime ordinario e successivamente, ma prima del 2000, sia stato ristretto in regime di cui all’articolo 41 bis per poi tornare nuovamente alle precedenti condizioni, si deve verificare se l’interruzione del regime di maggiore favore abbia determinato una regressione del percorso trattamentale, tale da rientrare, ora per allora, nella limitazione ai colloqui e alla corrispondenza telefonica di cui agli articoli 37 e 39 d.P.R. 230/2000.
Il condannato, detenuto dal 1992 per i reati di omicidio e associazione a delinquere di stampo mafioso , veniva sottoposto a regime di 41- bis tra il 1993 e il 2007. Prima di allora, usufruiva del regime di colloqui ordinari previsto dall' articolo 37 d.P.R. 230/2000 , che stabilisce sei colloqui visivi e quattro telefonici, salvo che non si tratti di soggetti condannati per reati di cui all'articolo 4- bis , per cui i colloqui visivi scendono a quattro e quelli telefonici a due. Secondo una circolare del DAP del 3 novembre 2000, la normativa in questione va applicata ai detenuti e agli internati ristretti dopo il 6 settembre 2000. Nel caso di specie, essendo che il condannato risulta ristretto dal 1992, allo stesso dovrebbe applicarsi il regime di favore senonché, secondo il Tribunale di Sorveglianza, poichè era stato sottoposto al regime di cui all'articolo 41- bis o.p., ed avendo pertanto subito una regressione trattamentale, il regime di maggior favore non può essere applicato. Proponeva, dunque, ricorso per cassazione il detenuto deducendo vizio di legge e di motivazione in relazione agli articolo 18 o.p., 37 comma 8, 39, commi 2 e 7, d.P.R. 230/2000 e articolo 7, per due diversi motivi. In primo luogo, perché secondo la sentenza della Corte Costituzionale numero 32/2020 , la limitazione di cui all'articolo 4- bis non potrebbe applicarsi atteso che i reati in esecuzione sarebbero stati commessi nel 1990. In secondo luogo, il Tribunale avrebbe dovuto procedere allo scioglimento del cumulo , dato che il reato in esecuzione non sarebbe l'associazione a delinquere di stampo mafioso, ma l'omicidio non aggravato dal metodo mafioso , per cui si sarebbe dovuto ripristinare il regime più favorevole. La Corte, ritenendo infondato il primo motivo, ha riportato quanto affermato dal giudice delle leggi nella sentenza numero 32/2020 per cui in fase esecutiva opera il principio del tempus regit actum , secondo cui le pene devono essere eseguite in base alla legge in vigore al momento dell'esecuzione e non in base a quella in vigore al momento del fatto. La regola subisce un'unica eccezione, rappresentata dalla circostanza che la normativa sopravvenuta comporti una trasformazione della natura della pena e della sua concreta incidenza sulla libertà personale . In altri termini, il principio subisce una deroga laddove debba applicarsi una pena che è « aliud rispetto a quella stabilita al momento del fatto». Tale situazione si verifica allorquando al momento del fatto era prevista una pena da eseguirsi «fuori dal carcere» e al momento della sua esecuzione, la stessa pena, che presenta lo stesso nomen iuris , vada eseguita «dentro al carcere». In questo caso, è palese come la differenza sia di natura qualitativa . Pertanto, la Corte Costituzionale non ha affermato l'illegittimità dell'applicazione del principio del tempus regit actum in sede esecutiva, bensì con tale ragionamento ha confermato che questa è la regola che merita deroghe solo per taluni specifici istituti che direttamente incidono sostanzialmente sulla natura della pena Cass. numero 31753/2024 . Il regime dei colloqui, che certamente incide su un diritto soggettivo del detenuto, tuttavia, non ha nulla a che vedere con la natura, la qualità o la quantità della pena e, dunque, a tale istituto non si applica il divieto di retroattività della norma più sfavorevole previsto dall' articolo 25 Cost. Nondimeno, tenuto conto che tra i reati per cui è stato effettuato un cumulo trattamentale, soltanto il reato associativo meritava le limitazioni previste dall'articolo 4- bis , il giudice della sorveglianza deve necessariamente verificare, “ puntualmente e in concreto , dandone conto nella motivazione”, della sussistenza delle condizioni richieste dalla norma e, quindi, specificare se, operato lo scioglimento del cumulo, la pena da eseguirsi riguardi un reato per il quale gli articoli 37 e 39 prevedono la limitazione. Se pur astrattamente meritevole di beneficiare del trattamento più favorevole previsto dagli articoli 37 e 39 atteso che è applicabile anche al soggetto che si ritrovava ristretto per reati ostativi prima del 2000 , secondo il Tribunale di Sorveglianza lo stesso è escluso perché l'articolo 14 della Circolare del DAP del novembre 2000 richiede la permanenza delle medesime condizioni e quindi il requisito del «non regresso» dal percorso rieducativo . Nessuna limitazione automatica. Nel caso specifico, però, afferma la Corte, annullando con rinvio al Tribunale di Sorveglianza, l'applicazione dell'eccezione di cui all' articolo 37 e 39 d.P.R. 230/2000 non è automatica, perché il percorso trattamentale del detenuto non ha riguardato un beneficio premiale poi decaduto lo stesso, infatti, terminato il periodo di trattamento meno favorevole ha ripreso a scontare la pena in regime ordinario . Pertanto, il giudice dovrà accertare e motivare precisamente se l'interruzione del regime di maggior favore abbia o meno comportato una regressione del proprio percorso trattamentale.
Presidente De Marzo Relatore Monaco Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Sorveglianza di L'Aquila, con ordinanza in data 4 aprile 2024, ha rigettato il reclamo proposto da L.M. avverso l'ordinanza con cui il Magistrato di sorveglianza di L'Aquila ha respinto il reclamo con il quale il detenuto ha chiesto di ripristinare il regime dei colloqui e delle telefonate di cui ha beneficiato in precedenza, cioè prima dell'applicazione nei suoi confronti del regime differenziato di cui all' articolo 41 bis ord. penumero , senza che operassero le limitazioni previste dagli articolo 37 e 39 D.P.R. 230 del 2000 . 2. L.M. è condannato alla pena dell'ergastolo per i reati di omicidio e associazione a delinquere di stampo mafioso, entrambi commessi nel 1990 o comunque sino al 1990. Lo stesso è detenuto dall'anno 1992 circa e dal 1993 al 2007 è stato sottoposto a regime di 41 bis ord. penumero Prima di essere sottoposto al regime differenziato di cui all'articolo 41 bis ha usufruito dei colloqui ordinari . Il D.P.R. 230/2000 ha stabilito il numero di sei colloqui visivi e quattro telefonici. Agli articolo 37 e 39 ha previsto la limitazione per i condannati per reati di cui all'articolo 4 bis primo comma, primo periodo a quattro visivi e due telefonici. La circolare D.A.P. 3 novembre 2000 ha stabilito che la normativa vada applicata ai detenuti e agli internati ristretti dopo il 6 settembre 2000. A fronte di tale quadro normativo e di tale situazione il Tribunale ha evidenziato che a L.M., detenuto ininterrottamente dal 1992, dovrebbe, in astratto, applicarsi il precedente regime, cioè quello di maggior favore. Ciò detto, però, lo stesso Tribunale ha ritenuto che questo sia impedito dal fatto che la sottoposizione al regime di cui all' articolo 41 bis ord. penumero ha determinato una regressione trattamentale. 3. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l'interessato che, a mezzo del difensore, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli articolo 18 ord. penumero , 37, comma 8, 39 , commi 2 e 7, D.P.R. 230 del 2000 , 25 cost. e 7 Cedu , anche con riferimento allo scioglimento del cumulo. La difesa, in un articolato motivo, rileva che il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato e applicato la normativa in quanto i reati sono stati commessi nel 1990 per cui a L.M., a seguito della sentenza numero 32 del 2020 della Corte cost. , non potrebbero applicarsi le limitazioni di cui all' articolo 4 bis ord. penumero nello specifico, poi, si sarebbe dovuto comunque procedere allo scioglimento del cumulo per cui il reato in esecuzione non sarebbe l'associazione a delinquere di tipo mafioso, delitto compreso nell'articolo 4 bis, primo comma, primo periodo, ma l'omicidio di cui all' articolo 575 cod. penumero senza che questo possa considerarsi aggravato ex articolo 416 bis. 1 cod. penumero in quanto l'aggravante della quale si tratta è stata introdotta dall' articolo 7 del d.l. numero 152 del 1991 , conv. con I. numero 203 del 1991, dopo la commissione del reato e, quindi, non è stata contestata né ritenuta la circostanza che il condannato sia stato sottoposto al regime di cui all' articolo 41 bis ord. penumero dal 1993 all'anno 2007 non comporterebbe il divieto di applicare il regime più favorevole che, anzi, avrebbe dovuto essere già ripristinato non appena cessato tale regime. 4. In data 11 giugno 2024 sono pervenute in cancelleria le conclusioni scritte con le quali il Sost. Proc. Genumero Roberto Aniello chiede che il ricorso sia rigettato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono. 2. In un unico motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'applicabilità al ricorrente delle limitazioni previste dagli articolo 37, comma 8, 39, commi 2 e 7, D.P.R. 230 del 2000 nel caso in cui la pena in esecuzione si riferisca a reati di cui all' articolo 4 bis, primo comma, primo periodo, ord. penumero e Circa l'interpretazione della circolare D.A.P. 3 novembre 2000 contenuta nel provvedimento impugnato. Le doglianze sono fondate nei termini che seguono. 2.1. Il regime dei colloqui dei detenuti è regolato dagli articolo 18 ord. penumero , 37 e 39 D.P.R. 230 del 2000 . Per quanto rileva nel caso di specie, il comma 8 dell'articolo 37 e i commi 2 e 7 dell'articolo 39 prevedono delle limitazioni per i condannati e gli internati per i quali l'esecuzione riguardi la pena inflitta in relazione a uno dei reati previsti dal primo periodo del primo comma dell' articolo 4 bis ord. penumero 2.2. La difesa, in prima battuta, facendo riferimento alla sentenza della Corte cost. numero 32 del 2020 , rileva che la limitazione non sarebbe applicabile al ricorrente in quanto la pena in esecuzione si riferisce a reati commessi in data anteriore al 1991. La censura è infondata. Nella pronuncia citata la Corte costituzionale -sollecitata a seguito della diversa disciplina introdotta in materia di reati contro la pubblica amministrazione che prevedono limitazioni per la concessione di benefici penitenziari e per le misure alternative alla detenzione era chiamata a pronunciarsi circa la compatibilità costituzionale e convenzionale del pacifico orientamento giurisprudenziale, costituente diritto vivente, per cui le modificazioni apportate all' articolo 4 bis, comma 1, ord. penumero sono applicabili anche ai fatti di reato pregressi in virtù del principio tempus regit actum che opera per la fase esecutiva. La conclusione della Corte costituzionale è stata nel senso della «l'illegittimità costituzionale dell' articolo 1, comma 6, lettera b , della legge 9 gennaio 2019, numero 3 Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici , in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte all' articolo 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, numero 354 Norme sull' ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in vigore della legge numero 3 del 2019 , in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge numero 354 del 1975 , della liberazione condizionale prevista dagli articolo 176 e 177 del codice penale e del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione previsto dall' articolo 656, comma 9, lettera a , del codice di procedura penale », nonché della «l'illegittimità costituzionale dell' articolo 1, comma 6, lettera b , della legge numero 3 del 2019 , nella parte in cui non prevede che ii beneficio del permesso premio possa essere concesso ai condannati che, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, abbiano già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio stesso». Il tenore testuale del dispositivo e, soprattutto, la motivazione della sentenza, non consentono di ritenere che la dichiarazione di illegittimità si estenda a tutti gli istituti e all'intera disciplina dell'esecuzione. Da una parte, infatti, la Corte ha espressamente confermato la regola generale per cui in fase esecutiva opera il principio tempus regit actum, in quanto ha ribadito che «non v'è dubbio che vi siano ragioni assai solide a fondamento della soluzione, sinora consacrata dal diritto vivente, secondo la quale le pene devono essere eseguite di regola in base alla legge in vigore al momento dell'esecuzione, e non in base a quella in vigore al tempo della commissione del reato» cfr. punti 4.3.2 della sentenza e seguenti . Dall'altra ha evidenziato che «La regola appena enunciata deve, però, soffrire un'eccezione allorché la normativa sopravvenuta non comporti mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, bensì una trasformazione della natura della pena, e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato. In tal caso, infatti, la successione normativa determina, a ogni effetto pratico, l'applicazione di una pena che è sostanzialmente un aliud rispetto a quella stabilita al momento del fatto con conseguente piena operatività delle rationes, poc'anzi rammentate, che stanno alla base del divieto di applicazione retroattiva delle leggi che aggravano il trattamento sanzionatorio previsto per il reato. Ciò si verifica, paradigmaticamente, allorché al momento del fatto fosse prevista una pena suscettibile di essere eseguita fuori dal carcere, la quale per effetto di una modifica normativa sopravvenuta al fatto divenga una pena che, pur non mutando formalmente il proprio nomen iuris, va eseguita di norma dentro il carcere. Tra il fuori e il dentro la differenza è radicale qualitativa, prima ancora che quantitativa. La pena da scontare diventa qui un aliud rispetto a quella prevista al momento del fatto con conseguente inammissibilità di un'applicazione retroattiva di una tale modifica normativa, al metro dell' articolo 25, secondo comma, Cost. E ciò vale anche laddove la differenza tra il fuori e il dentro si apprezzi in esito a valutazioni prognostiche relative, rispettivamente, al tipo di pena che era ragionevole attendersi al momento della commissione del fatto, sulla base della legislazione allora vigente, e quella che è invece ragionevole attendersi sulla base del mutato quadro normativo». In tal modo il giudice delle leggi, quindi, in sintesi, procedendo a una complessiva rimeditazione della portata del divieto di retroattività sancito dall' articolo 25, secondo comma, Cost. , in relazione alla disciplina dell'esecuzione della pena, non si è pronunciato in assoluto per l'illegittimità dell'applicazione del principio tempus regit actum alla fase dell'esecuzione ma, piuttosto, ne ha confermato l'operatività ribadendo che questa costituisce la regola, generale e astratta, che però, in via di eccezione, non può essere seguita per alcuni specifici istituti che, per loro natura, hanno una diretta incidenza sostanziale sulla natura della pena per una prima analisi Sez. 1, numero 31753 del 1/7/2024, Viola, numero m. . 2.3. Il regime dei colloqui, che pure regola le modalità di esercizio e incide su un diritto soggettivo del detenuto, non afferisce alla natura, alla qualità o alla quantità della pena. A tale regime, pertanto, come correttamente ritenuto dai giudici della sorveglianza, non si applica il divieto di retroattività delle norme più sfavorevoli di cui all' articolo 25, comma 2, cost. 2.4. Sotto altro profilo il ricorrente evidenzia che allo stato, comunque, si sarebbe dovuto procedere allo scioglimento del cumulo in quanto la pena ora in esecuzione non si riferisce a un reato che rientra tra quelli previsti dell' articolo 4 bis, primo comma, primo periodo, ord. penumero e pertanto allo stesso non si applica la limitazione ai colloqui e alla corrispondenza telefonica di cui agli articolo 37 e 39 D.P.R. 230 del 2000 . Ciò anche a fronte di quanto previsto dalla circolare del D.A.P. del 3 novembre 2000 per cui la nuova disciplina opera solo nei confronti dei soggetti ristretti per reati ostativi dopo il 6 settembre 2000. La censura è fondata nei termini che seguono. 2.4.1. L.M. è detenuto ininterrottamente dall'anno 1992 per i reati di associazione a delinquere di tipo mafioso e di omicidio volontario, entrambi commessi nell'anno 1990. Lo stesso è stato sottoposto a regime ordinario dalla data di inizio della detenzione sino al 2 febbraio 1993, allorché gli è stato applicato il regime differenziato di cui all' articolo 41 bis ord. penumero , durato sino al 12 aprile 2007. Da tale data e sino a oggi, per quanto risulta dagli atti, la pena viene eseguita nuovamente in regime ordinario. 2.4.2. Il reato di cui all'articolo 416 bis cod. penumero per cui il ricorrente è stato condannato è espressamente compreso nell'indicazione e di cui all' articolo 4 bis, primo comma, primo periodo, ord. penumero e, pertanto, comporta l'applicazione della limitazione di cui agli articolo 37 e 39 D.P.R. 230 del 2000 . Il diverso reato di omicidio volontario, invece, non comporta necessariamente l'applicazione della medesima limitazione. In assenza della formale contestazione dell'aggravante di cui all' articolo 7 D.L. 152 del 1991 , infatti, il giudice della sorveglianza, al fine di verificare se il reato rientra tra quelli indicati dall' articolo 4 bis ord. penumero , è tenuto a verificare, puntualmente e in concreto, dandone conto nella motivazione, della sussistenza, in fatto, delle condizioni previste dalla norma in questo senso, recentemente Sez. 1, numero 41235 del 26/06/2019, Larosa, Rv. 277451 01 Sez. 1, numero 33565 del 21/05/2019, Commisso, Rv. 276496 01 in precedenza, tra le tante, Sez. 1, numero 45137 del 20/06/2014, Greco, Rv. 261130 01 . Nel caso di specie la motivazione del provvedimento impugnato, considerato anche che il delitto è stato commesso in data antecedente l'entrata in vigore della previsione della circostanza aggravante, è sul punto totalmente inesistente così che non è possibile comprendere se, procedendo allo scioglimento del cumulo, la pena allo stato in esecuzione si riferisca o meno a un reato per il quale gli articoli 37 e 39 D.P.R. 230 del 2000 prevedono la limitazione [cfr. anche il paragrafo 4 della Circolare 3 novembre 2000 colloqui e corrispondenza telefonica dei detenuti e degli internati, articoli 37 e 39 d.p.r. 230/2000 per cui «Il presupposto che limita a quattro i colloqui è costituito dal fatto di essere detenuti od internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del primo comma dell'articolo 4bis della legge e per i quali si applichi il divieto di benefici ivi previsto. I reati presi in considerazione sono, perciò, l'associazione di stampo mafioso 416 bis cod. penumero , il sequestro di persona a fini di estorsione 630 cod. penumero , l'associazione al fine di traffico illecito di stupefacenti articolò 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309 , e tutti i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416 bis cod. penumero ovvero al fine di agevolare le associazioni lì previste. È il caso di ricordare, in proposito, che la specifica aggravante, articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, numero 352, poi convertito in legge 12 luglio 1991, numero 203 , per effetto della circolare 9 luglio 1998 non comporta l'automatica associazione al circuito di alta sicurezza ciò conferma quanto detto al § 3»]. 2.4.3. A fronte della specifica affermazione del Tribunale per cui al ricorrente in astratto si dovrebbe applicare la disposizione intertemporale contenuta nel paragrafo 12 della Circolare 3 novembre 2000 colloqui e corrispondenza telefonica dei detenuti e degli internati, articoli 37 e 39 d.p.r. 230/2000 secondo la quale le limitazioni previste dagli articolo 37 e 39 D.P.R. 230 del 2000 si riferiscono ai soggetti ristretti per reati ostativi dopo il 6 settembre 2000 e non ai soggetti già ristretti in tale data, pure per reati ostativi, laddove questi erano già stati ammessi ai colloqui premiali, anche se non ne avevano in concreto fruito ma che questa soluzione è esclusa in virtù di quanto disposto dal successivo paragrafo 14, d'altro canto, quello che assume un rilievo ancora più pregnante è la necessità di verificare se nel caso di specie sia operativa o meno l'eccezione di cui al citato paragrafo 14 della circolare. Ciò in quanto, in caso di risposta negativa, al ricorrente, che è ristretto per un reato ostativo ininterrottamente da data precedente al 6 aprile 2000, non si applicherebbe comunque la limitazione prevista per i colloqui, anche a prescindere dall'essere il reato in esecuzione ostativo. Sotto tale profilo il mero rinvio contenuto nel provvedimento impugnato alla previsione di cui al paragrafo 14 della medesima circolare -per cui Il precedente carattere premiale dei colloqui ulteriori per i soggetti individuati nel § 13, inoltre, richiede che la particolare circostanza sia supportata dalla permanenza delle stesse condizioni. Ciò non per una sorta di ultrattività della norma sul colloquio premiale, quanto per la necessità che la particolare circostanza resti integrata dal requisito del non regresso nel percorso rieducativo non è da solo decisivo. Le disposizioni contenute in una circolare che regolano e limitano un diritto soggettivo del detenuto, infatti, devono essere oggetto di stretta e rigorosa interpretazione e applicazione per cui il giudice è tenuto, considerando la situazione e la posizione specifica del detenuto, a bilanciare i contrapposti interessi e, quindi, a verificare in concreto se la compressione dei diritti del soggetto sia legittima. A ben vedere, l'automatica applicazione dell'eccezione contenuta nel paragrafo 14, pure giustificata in sede di prima gestione dell'iniziale applicazione della limitazione prevista dagli articolo 37 e 39 D.P.R. 230 del 2000 , non è coerente con il sistema allorché il percorso trattamentale del detenuto è ripreso in regime ordinario e questo si è protratto per un tempo significativo. In tale situazione, infatti, considerato anche che le previsioni relative al numero e alle modalità di effettuazione dei colloqui si riferiscono alla gestione ordinaria degli stessi e non hanno alcun carattere premiale, si deve ritenere che, nel caso in cui il percorso trattamentale sia effettivamente e positivamente ripreso, il giudice sia tenuto ad accertare in concreto, rendendo congrua e puntuale motivazione sul punto, se l'interruzione del regime di maggior favore abbia determinato una regressione del percorso trattamentale tale da rientrare, ora per allora, nella limitazione ai colloqui e alla corrispondenza telefonica di cui agli articolo 37 e 39 D.P.R. 230 del 2000 in virtù dell'indicazione contenuta nel paragrafo 14 della circolare, che, è bene ricordarlo, ha natura eccezionale e si riferisce ai primi periodi di applicazione della modifica normativa. 2.5. Alla luce delle considerazioni esposte nel caso di specie, nel quale il detenuto è stato di nuovo sottoposto al regime ordinario dal 12 aprile 2007 a oggi, la motivazione del provvedimento impugnato quanto all'applicazione o meno della normativa ordinaria della disciplina dei colloqui è, nel senso in precedenza indicato, carente. L'ordinanza impugnata, in conclusione, deve essere annullata con rinvio affinché il Tribunale di sorveglianza di L'Aquila, libero nell'esito e attenendosi ai principi indicati, proceda a un nuovo giudizio sul punto. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di L'Aquila.