Tassa dovuta per l’occupazione del suolo pubblico con i cassonetti dei rifiuti

La società incaricata della gestione dei rifiuti per conto di un Comune non può ottenere l’esenzione dalla tassa per l’occupazione delle aree pubbliche. Tale occupazione con attrezzature e macchinari non coinvolge il suolo demaniale in modo diretto, ma fa parte integrante dell’attività prestata per conto dell’ente pubblico.

La controversia ha ad oggetto l'accertamento di un diritto di credito di un concessionario del servizio di accertamento, liquidazione e riscossione del canone di occupazione degli spazi ed aree pubbliche COSAP per un Comune in provincia di Livorno relativo ad un omesso versamento del predetto canone riferito all'anno 2006 da parte di una società partecipata dal Comune - preposta alla raccolta, trasporto e conferimento in discarica dei rifiuti - che aveva occupato il suolo pubblico con cassonetti per la raccolta dei rifiuti. Il Tribunale di Livorno rigettava la domanda di accertamento negativo sull'esistenza del predetto credito proposta dalla società partecipata dal Comune. Avverso tale sentenza la società partecipata dal Comune proponeva dapprima appello - che veniva rigettato - e poi ricorso per Cassazione articolando 5 motivi di ricorso con cui lamentava, fra le altre cose, che il rapporto con il Comune avrebbe dovuto essere qualificato come concessione e non come appalto e che l'obbligo di restituzione dei cassonetti, gravante sulla stessa, avrebbe determinato l'esenzione dal canone di occupazione degli spazi e aree pubbliche. La Corte di Cassazione con ordinanza numero 25986 del 3/10/2024 rigetta il ricorso, precisando come l'articolo 39 del D.lgs. n° 507/1993, disposizione di legge applicabile ratione temporis al caso di specie, stabilisca che la tassa sia «dovuta dal titolare dell'atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall'occupante di fatto, anche abusivo». Ciò, a detta della Corte, comporta che qualora sia identificabile un soggetto titolare di una concessione sarà quest'ultimo il debitore della tassa, mentre, ove tale soggetto manchi, la tassa sarà dovuta dall'occupante de facto. Secondo gli ermellini tale interpretazione darebbe continuità a quanto affermato nella sentenza Cass. Su n° 8628/2020, con la quale si è stabilito che il soggetto passivo di imposta è, in primo luogo, il soggetto titolare dell'atto di concessione o di autorizzazione o, qualora questo manchi, l'occupante di fatto, che costituisce un'ipotesi residuale come il tema posto dalla ricorrente secondo cui occorrerebbe distinguere tra appalto e concessione, con la conseguenza che, essendo la società partecipata dal comune concessionaria, il canone non sarebbe dovuto, risulterebbe infondato. Secondo la Cassazione nessuna esenzione sarebbe invocabile nel caso di specie, posto che l'unica ipotesi di esenzione dal canone invocabile dal concessionario sarebbe quella prevista dalla lettera e del D.lgs. n° 507/1993 secondo cui non sono soggetti al canone le «occupazioni con impianti adibiti ai servizi pubblici nei casi in cui ne sia prevista, all'atto della concessione o successivamente, la devoluzione gratuita al comune o alla provincia al termine della concessione medesima». Si tratterebbe tuttavia di una disposizione di stretta interpretazione non applicabile al caso di specie, in cui nella concessione originaria del 1997 era previsto che fosse il Comune a trasferire in comodato alla concessionaria i mezzi e le attrezzature di sua proprietà, l'intero parco cassonetti e che quest'ultima, al termine del rapporto, dovesse meramente «riconsegnare» - e non devolvere gratuitamente - al concedente tali beni che il canone di occupazione degli spazi ed aree pubbliche è dovuto anche dalla società «concessionaria» del servizio di raccolta rifiuti per l'occupazione di suolo derivante dai contenitori di raccolta Cass. 2921/2015 Cass. 6799/2015 . Secondo l'orientamento espresso dalla Suprema Corte e richiamato nell'ordinanza in esame, la società appaltatrice di un comune per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti non ha diritto all'esenzione dalla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche prevista dall'articolo 49 lettera a del d.lgs. numero 507 del 1993, trattandosi dello svolgimento di un servizio pubblico per conto del comune, in cui il suolo demaniale non costituisce l'oggetto dell'intervento appaltato, ma viene occupato in via continuativa con strutture e macchinari, con la conseguenza che l'occupazione non è direttamente riconducibile all'ente locale.

Presidente Cesare -  Relatore Varotti Fatti di causa 1.- Nel contraddittorio con Ica s.r.l., concessionario del servizio di accertamento, liquidazione e riscossione del Cosap per il Comune di OMISSIS Li , e nella contumacia di tale Comune, il tribunale di Livorno, adito da OMISSIS spa società partecipata dal Comune predetto respingeva la domanda di accertamento negativo del diritto di credito azionato da Ica mediante i seguenti due avvisi il primo, n° 1/P/08/FC, notificato il 7 agosto 2008, per omessa denuncia ed omesso versamento della COSAP, in relazione all'occupazione di suolo effettuata con cassonetti per la raccolta di rifiuti urbani riferito all'anno 2006 per l'importo di euro 826,00 e relativo all'occupazione di suolo pubblico sul quale insistevano tre contenitori di raccolta sacchetti per rifiuti solidi urbani Rsu , tutti ubicati in via OMISSIS nel Comune di OMISSIS il secondo, n° 3/P/08/FC, notificato sempre il 7 agosto 2008, per omessa denuncia ed omesso versamento del canone occupazione spazi ed aree pubbliche in relazione all'occupazione di suolo effettuata con cassonetti per la raccolta di rifiuti urbani afferente sempre all'anno 2006 di importo pari ad euro 49.791,00, per l'occupazione di suolo pubblico di strade ricomprese in 1a e 2a categoria . 2.- Avverso tale sentenza proponeva appello OMISSIS , ma la Corte respingeva il gravame e condannava l'appellante alla rifusione delle spese. Per quello che qui ancora rileva, osservava la Corte a che contrariamente a quanto ritenuto da OMISSIS , non poteva andare esente dal canone la società privata di gestione del servizio di raccolta rifiuti, essendo irrilevante la forma giuridica assunta per tale gestione appalto o concessione b che la devoluzione dei cassonetti al Comune non “implica[va] la devoluzione gratuita degli impianti di raccolta all'Ente”, oltretutto non essendo essa prevista nelle Convenzioni del 1997 e del 2006 tra Comune e OMISSIS c che l'esenzione prevista dall'articolo 49, lettera a , D.lgs. n° 507/1993 prevista per la Tosap, ma applicabile anche alla Cosap, in ragione della alternatività tra i due prelievi non era applicabile, in quanto essa era invocabile solo quando l'occupazione era effettuata da uno degli Enti previsti dalla norma tra i quali non era collocabile OMISSIS d non aveva alcun rilievo decisivo l'esclusione di talune vie nell'elenco allegato “B” al Regolamento comunale Cosap, poiché non si verteva nella fattispecie di mancanza di presupposto impositivo, dato che gli articolo 38 e 39 del D.lgs. n° 507/1993 sottoponevano al prelievo qualunque tipo di occupazione, donde il valore meramente ricognitivo del predetto elenco. 3.- Ricorre OMISSIS affidando l'impugnazione a dieci mezzi. Resiste Ica che conclude per la reiezione del gravame, mentre l'Ente territoriale non si è costituito. Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell'articolo 380 bis cod. proc. civ. Entrambi i litiganti hanno depositato memorie ai sensi dell'articolo 381-bis.1 cod. proc. civ. Ragioni della decisione 4.- Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 49, lettera e , del d.lgs. 15 novembre 1993 n° 507, in relazione all'articolo 360, primo comma, n° 3, cod. proc. civ. La Corte territoriale avrebbe male interpretato la sentenza di questa Corte Cass. 15629/2004 , posta a fondamento della motivazione, in quanto nella decisione citata il rapporto non era di concessione, ma di appalto. Al contrario, nella presente ipotesi il rapporto tra ricorrente e Comune sarebbe di concessione. Col secondo motivo OMISSIS deduce la violazione e/o la falsa applicazione della direttiva 31 marzo 2004/18/C, della direttiva 2004/17/Ce e dell'articolo 3, commi 6, 10 e 12, del d.lgs. 12 aprile 2006 n° 163, in relazione all'articolo 360, primo comma, n° 3, cod. proc. civ. Che si trattasse di un rapporto concessorio e non di appalto sarebbe desumibile, secondo la OMISSIS , dalle disposizioni contenute nelle citate direttive, le quali avrebbero previsto che la concessione ricorre “quando il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo” disposizioni recepite dal d.lgs. n° 163/2006. Ne deriverebbe che il rapporto tra OMISSIS e Comune doveva necessariamente essere qualificato come concessione di servizi e non come appalto. Col terzo mezzo la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell'articolo 1362 cod. civ.ex articolo 360, primo comma, n° 3 , cod. proc. civ., nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex articolo 360, primo comma, n° 5 , cod. proc. civ. Dalla semplice lettura della Convenzione tra OMISSIS e Comune sarebbe desumibile che OMISSIS non versava alcun corrispettivo all'Ente territoriale infatti l'originaria Convenzione che regolava il rapporto risalente al 1997 , richiamata dalle Convenzioni successive del 2003 e del 2006, era palesemente una concessione, dato che gli obblighi di OMISSIS non erano limitati alla raccolta, al trasporto ed al conferimento in discarica dei rifiuti, ma comprendevano un trasferimento di poteri e di funzioni del Comune al concessionario e non era previsto alcun corrispettivo a carico dell'Ente territoriale da qui la violazione dell'articolo 1362 cod. civ. da parte della Corte d'appello e l'omesso esame della questione di interpretazione della concessione, così come posto da OMISSIS . Col quarto motivo OMISSIS lamenta la violazione e/o la falsa applicazione del d.lgs. 5 febbraio 1997 n° 22 e del d.P.R. 27 aprile 1998 n° 158, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n° 3 cod. proc. civ. Ribadisce che, alla luce delle citate norme, il rapporto non poteva che essere qualificato come concessorio, mentre la Corte d'appello aveva erroneamente focalizzato la sua attenzione sulla natura del concessionario società di capitali , che, per contro, era un elemento del tutto irrilevante. Col quinto mezzo OMISSIS si duole della violazione e della falsa applicazione degli arti. 202, quarto comma, e 204, quarto comma, del d.lgs. n° 152/2006, nonché dell'articolo 113, nono comma, del d.lgs. numero 267/2000, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n° 3 , cod. proc. civ. Posto che l'obbligo di restituzione dei cassonetti al termine del rapporto sarebbe già previsto ex lege articolo 202, quarto comma, e 204, quarto comma, del d.lgs. n° 152/2006, nonché articolo 113, nono comma, del d.lgs. n° 267/2000 , la previsione pattizia sarebbe stata pleonastica, donde la sussistenza dell'obbligo ex articolo 49, lettera e , a carico di OMISSIS , e l'esenzione prevista da tale norma. 5.- Con questi primi cinque motivi, la ricorrente deduce in sostanza che il rapporto col Comune doveva essere qualificato come concessione e non come appalto, come invece statuito dalla Corte territoriale paragrafi 1.3.A-D , e che l'obbligo di restituzione dei cassonetti, gravante su OMISSIS , sia in virtù di legge che della originaria Convenzione del 1997, richiamata da quella del 2006, determinava l'esenzione da Cosap prevista dall'articolo 49, lettera e , del Dlgs n° 507/1993 paragrafo 1.3.E . 6.- I mezzi sono destituiti di fondamento. Le disposizioni di legge applicabili ratione temporis al caso di specie sono contenute negli articolo 38 e ss del D.lgs. n° 507/1993 e, in particolare, nell'articolo 39. È vero che l'articolo 51 del D.lgs. n° 446/1997 ha abolito, a decorrere dal 1° gennaio 1999, la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, ma è anche vero che successivamente l'articolo 31, comma 14, della legge n° 448/1998 ha abrogato la disposizione dell'articolo 51 sopracitato, che disponeva l'abolizione della Tosap. Quest'ultima, dunque, è stata mantenuta in vigore, sebbene come prelievo alternativo al Cosap, introdotto con l'articolo 63 del D.lgs. n° 446/1997, il quale ha, nondimeno, previsto che anche tale canone istituibile mediante apposito Regolamento comunale debba essere pagato “da parte del titolare della concessione”. In conclusione, la norma che disciplina la presente fattispecie è quella del menzionato articolo 39, oggi venuto meno a seguito dell'articolo 1, comma 838, della legge n° 160/2019 complesso normativo che, tuttavia, qui non ci riguarda. Stabilisce, dunque, il menzionato articolo 39 che la tassa sia “dovuta … dal titolare dell'atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall'occupante di fatto, anche abusivo” il che sta a significare che o è identificabile un soggetto titolare di una concessione ed allora sarà quest'ultimo il debitore della tassa , oppure, ove tale soggetto manchi, la tassa è dovuta dall'occupante de facto. Questa interpretazione del testo normativo è quella che il Collegio intende seguire, dando così piena continuità al precedente di Cass. Su n° 8628/2020, col quale si è stabilito che il soggetto passivo di imposta è, in primo luogo, il soggetto titolare dell'atto di concessione o di autorizzazione o, qualora questo manchi, l'occupante di fatto, che costituisce un'ipotesi residuale. Alla luce di tale disposizione appare manifestamente privo di rilievo il tema posto dall'odierna ricorrente, a mente del quale occorrerebbe distinguere tra appalto e concessione, con la conseguenza che, essendo la OMISSIS concessionaria, il canone non sarebbe dovuto. Premesso, infatti, che OMISSIS non rientra tra i soggetti indicati nell'articolo 49, lettera a , del d.lgs. n° 507/1993, l'unica ipotesi di esenzione dal canone astrattamente invocabile dal concessionario sarebbe quella prevista dalla successiva lettera e . Nondimeno, quest'ultima disposizione prevede che non siano soggetti al Canone “le occupazioni con impianti adibiti ai servizi pubblici nei casi in cui ne sia prevista, all'atto della concessione o successivamente, la devoluzione gratuita al comune o alla provincia al termine della concessione medesima”. Trattandosi di esenzione, la disposizione è di stretta interpretazione essa è, dunque, dovuta ove le parti abbiano pattuito, nella concessione o in un successivo atto, la devoluzione gratuita all'Ente territoriale degli impianti di proprietà del Concessionario del servizio al termine della concessione. Caso che qui non ricorre, dato che nella concessione originaria del 1997 – il cui testo è stato parzialmente trascritto dalla OMISSIS a pagina 18 del ricorso e che, a dire della ricorrente, sarebbe parzialmente applicabile anche al rapporto in essere per le ragioni illustrate alla pagina 12 del ricorso sub paragrafo 1.3.C.1 – era previsto che fosse il Comune a trasferire in comodato alla concessionaria “i mezzi e le attrezzature di sua proprietà, costituiti da numero 2 autocompattatori … e l'intero parco cassonetti” e che quest'ultima, al termine del rapporto, dovesse meramente “riconsegnare” e, dunque, non devolvere gratuitamente al concedente tali beni, oltretutto con l'onere di sostenere i costi di “eventuali ammaloramenti”. In conclusione, nessuna esenzione sembra invocabile nella presente fattispecie. Peraltro, proprio in tema di Cosap dovuto per la collocazione di cassonetti di raccolta dei rifiuti, giova ricordare che questa Corte ha già stabilito, con orientamento che questo collegio non ha ragione di modificare, che il Cosap è dovuto anche dalla società “concessionaria” del servizio di raccolta rifiuti per l'occupazione di suolo derivante dai contenitori di raccolta ex multis Cass. 2921/2015 Cass. 6799/2015 . Secondo questo indirizzo, la società appaltatrice di un comune per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti non ha diritto all'esenzione dalla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche prevista dall'articolo 49 lettera a del d.lgs. numero 507 del 1993, trattandosi dello svolgimento di un servizio pubblico per conto del comune, in cui il suolo demaniale non costituisce l'oggetto dell'intervento appaltato, ma viene occupato in via continuativa con strutture e macchinari, con la conseguenza che l'occupazione non è direttamente riconducibile all'ente locale. Le presumibili finalità pubblicistiche della ricorrente, anche ove partecipata dal Comune, non annullano, dunque, il perseguimento del profitto tipico dell'attività d'impresa svolta da una società di capitali, quale è la OMISSIS , come più volte già riconosciuto da questa Corte in casi del tutto analoghi al presente. D'altro canto, l'occupazione effettuata dalla società appaltatrice con gli impianti adibiti al servizio rientra nella ipotesi esonerativa particolare contemplata alla lettera e dell'articolo 49, che tuttavia subordina l'esenzione dalla tassa al caso in cui sia prevista la devoluzione gratuita di detti impianti al comune al termine del rapporto concessorio ipotesi che, qui, per quanto sopra detto, assolutamente non sussiste. In definitiva, i primi cinque motivi vanno disattesi. 7.- Con i motivi sei e sette, esposti ai paragrafi II.2.A-B del ricorso pagine 20-22 , la ricorrente contesta l'applicabilità al caso di specie del principio espresso da Cass. 11175/2004 e Cass. 19693/2018, sottolineando che il posizionamento dei cassonetti era stato fatto non nell'interesse di essa ricorrente, ma per esigenze di decoro e di salute pubblica, agendo OMISSIS come mero sostituto del Comune. Con l'ottavo mezzo, contenuto nel paragrafo III.2.B, pagine 25-31, OMISSIS ribadisce che il servizio era svolto in luogo del Comune e che la sua sottoposizione al prelievo avrebbe fatto ricadere un ulteriore onere sulla collettività. 8.- Anche questi mezzi sono destituiti di fondamento per le ragioni esposte al precedente paragrafo, al quale, pertanto, si rimanda, ribadendosi che è del tutto priva di peso – alla luce della normativa sopra citata, come interpretata dalle Sezioni unite – la deduzione che la OMISSIS , agendo come sostituto del Comune e versando il prelievo, graverebbe i cittadini di un ulteriore onere contributivo. Del tutto privo di peso è, poi, ai fini dell'esenzione in parola, la previsione della consegna al Comune di tutte le “banche dati” degli impianti. In conclusione, anche i motivi da sei ad otto sono infondati si passa, pertanto, all'esame del nono mezzo. 9.- Col nono motivo paragrafo IV.2, pagine 31-33 , OMISSIS deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, l'inserimento di alcune vie nell'elenco allegato al Regolamento Cosap implicava che le strade escluse fossero esenti dal canone. 10.- Il nono mezzo, al pari dei primi, non merita condivisione, essendo del tutto sprovvisto di autosufficienza, dato che la ricorrente non riproduce il testo dell'allegato al Regolamento comunale. Anzitutto, come correttamente osserva la Corte territoriale, gli articolo 38 e l'articolo 39 del d.lgs. n° 507/1993 pongono l'obbligo di pagare il Cosap che riguarda “beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province” , a carico del titolare della concessione o, in mancanza, dell'occupante di fatto. Il presupposto legale per l'applicazione del prelievo è, dunque, costituito da tali evenienze concessione o occupazione di fatto di un bene appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile del Comune , senza che tale obbligo possa essere derogato o modificato dall'inclusione in liste, elenchi o inventari contenuti in atti amministrativi. Secondariamente, deve anche osservarsi come correttamente allega la controricorrente che dallo stesso testo del regolamento Cosap trascritto in nota 127 a pagina 31 del ricorso pare che l'inserimento delle vie comunali nell'elenco predetto abbia unicamente la funzione di classificazione delle strade e di conseguente fissazione dell'importo dovuto a titolo di prelievo a seconda che la via sia di prima o di seconda categoria , con la precisazione che “[n]el caso in cui l'occupazione ricada su strade classificate in differenti categorie, ai fini dell'applicazione del canone si fa riferimento alla tariffa corrispondente alla categoria più elevata”. Dal che si può desumere che l'elenco allegato al Regolamento Cosap non ha carattere tassativo e non manda affatto esenti dal canone le strade in esso non menzionate. In conclusione, anche questo mezzo va rigettato. 11.- Col decimo mezzo paragrafo V, pagina 33 assume che, attesa la fondatezza dell'appello, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto porre le spese a carico della controparte. 12.- Ben poco rimane da dire in ordine al decimo motivo tenuto conto dell'infondatezza della domanda di OMISSIS , quest'ultima è stata correttamente considerata soccombente dalla Corte territoriale, con conseguente correttezza della sua condanna alla rifusione delle spese. Condanna che deve essere ribadita anche per il presente grado di giudizio, in ragione del totale rigetto del ricorso. Per la liquidazione delle spese della presente fase – fatta in base al dm n° 55 del 2014, come modificato dal dm n° 147 del 2022, ed al valore della lite euro 50,6 mila – si rimanda al dispositivo che segue. Nulla sulle spese tra ricorrente e Comune, in ragione della mancata costituzione di quest'ultimo. Va, infine, dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 13, comma 1-quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese in favore della controricorrente costituita, che liquida in euro 5.513,00 e in euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all'iva, se dovuta. Dà, inoltre, atto della sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 13, comma 1-quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente.