La Suprema Corte torna su un tema spesso sottoposto alla sua attenzione, stante pure il comprensibile interesse a coltivare le impugnazioni per ottenere una rideterminazione talvolta, significativamente più mite della pena in concreto.
Più in dettaglio, i Giudici chiariscono i criteri per poter valutare – e correttamente motivare – la sussistenza del vincolo della continuazione tra reati giudicati con distinte pronunce, commessi da un soggetto appartenente a varie associazioni a delinquere. Lo fanno comparando le sollecitazioni del ricorrente con la giustificazione resa dai magistrati territoriali e ritenendo insufficiente l'approfondimento condotto da quest'ultima. Il caso Il procedimento a quo origina dall'esito dell'istanza, promossa dall'odierno ricorrente alla Corte d'Appello di Lecce, per l'applicazione del regime della continuazione in executivis tra tre decisioni una, passata in giudicato nel Luglio del 2019 e resa dalla Corte d'Appello di Roma, per traffico di sostanze stupefacenti nell'ambito di associazione per delinquere , con fatti commessi a Roma, Taranto e Bari le successive due, pronunciate dai giudici distrettuali salentini – per questo aditi in funzione di giudice dell'esecuzione – divenute irrevocabili la prima nel Gennaio 2019 e l'ultima nel Febbraio 2023, per analoghe ipotesi delittuose commesse nel territorio pugliese. Mentre gli episodi oggetto delle ultime due sentenze venivano unificati, poiché commessi nello stesso contesto associativo ed in periodi di tempo contigui, quelli per cui era intervenuta condanna a Roma erano reputati estranei al disegno criminoso iniziale del condannato , giacché vi era coincidenza solo parziale di locus commissi delicti e ragioni nel merito per credere verosimile che costituissero autonoma iniziativa di quest'ultimo, tanto da aver generato contrasti in seno al sodalizio di sua originaria appartenenza. Interpone ricorso per Cassazione la difesa, deducendo, con unico ed articolato motivo, erronea applicazione della legge penale e carenze motivazionali, stante l'illogicità della giustificazione con la quale, omettendo di confrontarsi con una serie di risultanze processuali – tra queste le mansioni rivestite dall'impugnante, incaricato delle forniture dello stupefacente anche tramite il gruppo capitolino e, non di meno, l'incontroversa diffusione sul territorio tarantino di tali sostanze – si sarebbero considerati atomisticamente comportamenti commessi nello stesso arco temporale ed affluenti al progetto associativo principale , travisando, peraltro, la lettura di alcune conversazioni intercettate, dalle quali era emerso un conflitto tra i componenti della consorteria in realtà, imputabile non all'attivazione di nuovi canali di approvvigionamento da parte del ricorrente, ma alla critica delle modalità di rendicontazione verso i promotori del rendimento di questi ultimi . Il Collegio – su richiesta contraria del Procuratore generale, che aveva insistito con requisitoria scritta per l'inammissibilità del ricorso, asserendo sollecitasse un'indebita rilettura nel merito della decisione, non essendovi fallacie in parte motiva – annulla l'ordinanza con rinvio per un nuovo giudizio alla Corte d'Appello di Lecce in diversa composizione. L'Estensore premette al principio di diritto un'analitica ricostruzione delle evidenze a carico, funzionale a circoscrivere le caratteristiche dei diversi episodi contestati e, così, verificare la fondatezza della doglianza difensiva. Esprime, quindi, la condivisa posizione della giurisprudenza di legittimità, per poi giungere all'esito dello scrutinio di ultima istanza. L'identità del disegno criminoso tra reati associativi e reati fine realizzati tramite distinti sodalizi Il nodo essenziale, infatti, concerne le modalità corrette per declinare l'istituto nell'ambito di una pluralità di delitti commessi da persone aggregate a diversi consessi associativi. Gli ordinari requisiti per la sua applicabilità devono qui confrontarsi con la possibilità che la prossimità temporale e la sovrapponibilità delle condotte non siano indicatori sufficienti per poterli sussumere in un unico progetto criminale possibilità che, peraltro, merita d'essere attentamente vagliata, avendo implicazioni quod poenam non sottovalutabili, che potrebbero concorrere, quando non sussistano altre condizioni ostative, al raggiungimento delle soglie previste per l'ottenimento di benefici penitenziari. In tali casi, gli interpreti hanno da tempo affermato che occorre una puntuale indagine sulla natura dei vari sodalizi , sulla loro operatività e continuità nel tempo, nonché sui rapporti eventualmente esistenti tra l'una e l'altra azione, così da ricondurre ad un unico e complessivo disegno iniziale la progressiva adesione dello stesso soggetto a più gruppi, anche in rapporto alla compagine che concorre a stabilire l'ulteriore patto associativo si cita, sul punto, Cass., Sez. VI Penumero , 22/12/2016, numero 3337 . La ragionevolezza della tesi difensiva alternativa Ed allora, se queste sono le coordinate ermeneutiche da adoperare, pare chiaro al Collegio come l'ipotesi prospettata in sede di esecuzione dal deducente non sia estranea alla logica e, pertanto, avrebbe dovuto essere oggetto di specifica analisi in iter motivo, richiedendo «una verifica più stringente degli elementi sulla base dei quali è stata infine esclusa l'identità del disegno criminoso». In concreto, afferma la Sezione I che «può non arbitrariamente aggiungersi che anche il segmento romano […] attenga, in definitiva, al medesimo ambito geografico della sua pregressa ma contestuale attività delittuosa pugliese, giacché risulta che il luogo della propria operatività fosse pur sempre Taranto”, soggiungendo come “sarebbe stato del tutto ragionevole e nient'affatto arbitrario collegare la già esistente associazione tarantina all'attività di procacciamento dello stupefacente che […] svolse in direzione di Roma», sicché la sua partecipazione ai due gruppi poteva effettivamente costituire espressione del suo sviluppo delinquenziale tramite altre vie. Conclusioni La sentenza in commento espone in modo organico e lineare il ragionamento operato dal Supremo Collegio, divenendo strumento utile per il giurista pratico che intenda proporre istanze analoghe, avendo modo di comprenderne – e condividerne con l'interessato/a – l'aleatorietà e potendo valorizzare dinanzi al giudice dell'esecuzione tutti gli elementi utili a ricostruire l'appartenenza dei fatti ad un identico disegno criminale.
Presidente Di Nicola - Relatore Valiante Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza depositata in data 5.1.2024, la Corte d'Appello di Lecce, in parziale accoglimento di un'istanza formulata nell'interesse di M.A., ha applicato la disciplina della continuazione tra i fatti giudicati con due sentenze di condanna dell'imputato rese dalla stessa Corte d'Appello di Lecce, la prima in data 4.4.2018 irrevocabile il 29.1.2019 per i reati di cui agli articolo 74 dpr numero 309 del 1990 in Taranto fino ad aprile 2013 , 73 dpr numero 309 del 1990 in Taranto il 13.7.2012 e 73 dpr numero 309 del 1990 in Lecce l'11.3.2013 , e la seconda in data 12.10.2022 irrevocabile il 24.2.2023 per i reati di cui agli articolo 73 dpr numero 309 del 1990 in Taranto il 6.1.2014 , 73 dpr numero 309 del 1990 in Taranto il 5.1.2014 e 73 dpr numero 309 del 1990 in Taranto da dicembre 2013 a febbraio 2014 . Ha rigettato, invece, l'istanza di applicazione della disciplina della continuazione per i fatti giudicati con una terza sentenza di condanna della Corte d'Appello di Roma in data 27.11.2018 irrevocabile il 4.7.2019 per i reati di cui agli articolo 74 dpr numero 309 del 1990 in Roma, Taranto e Bari sino a marzo 2014 , 73 dpr numero 309 del 1990 in Roma il 2.11, 7.11, 24.11 e 3.12.2013 e 73 dpr numero 309 del 1990 in Roma e Taranto il 6.2.2014 . In particolare, l'ordinanza unifica i fatti di spaccio di cui alle sentenze della Corte d'Appello di Lecce, in quanto commessi nello stesso contesto associativo cui apparteneva l'imputato, facente capo a C.G., e per un arco temporale sovrapponibile tanto è vero che il reato di cui all' articolo 74 dpr numero 309 del 1990 , contestato nel procedimento definito con la seconda sentenza del 2022, fu dichiarato improcedibile nel giudizio di cognizione per essere stata già esercitata l'azione penale nel processo definito con la prima sentenza del 2018. Il provvedimento impugnato opera invece una diversa valutazione per i fatti definiti con la sentenza della Corte d'Appello di Roma, nella quale è emerso che l'imputato, tra il 2013 e il 2014, si rifornisse di sostanza stupefacente da un'associazione per delinquere di Roma, effettuando acquisti tra novembre 2013 e marzo 2014. Il giudice dell'esecuzione, sulla base della considerazione secondo cui la continuazione richiede che le diverse azioni siano ricomprese nel medesimo disegno criminoso sin dal primo momento, non ha ravvisato elementi sintomatici di una comune programmazione rispetto ai reati oggetto delle altre due sentenze. Pur riconoscendo che il lasso temporale di commissione dei complessivi reati sia in parte coincidente e che le ipotesi delittuose accertate siano omogenee, l'ordinanza esclude che questi elementi, di per sé, siano indicativi della sussistenza della continuazione, in quanto c'è solo una parziale coincidenza del locus commissi delicti, giacché i fatti della sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Roma hanno ad oggetto condotte commesse dal sodalizio di Roma cui aderiva l'imputato. Né ci sono elementi - aggiunge la Corte d'Appello di Lecce - per affermare che la sostanza stupefacente fosse stata acquistata a Roma per conto dell'associazione di Taranto anche le dichiarazioni rese nella fase di cognizione dal coimputato C.E., richiamate nell'interesse dell'imputato, sono generiche, perché costui si è limitato a riferire di sapere che l'imputato fosse il nipote del capo dell'associazione di Taranto, mentre ha invece dichiarato che il gruppo di Roma aveva avuto contatti soltanto con M.A., il quale autonomamente ordinava la sostanza e la pagava. Il giudice dell'esecuzione ha poi osservato che sia emerso che, proprio nel periodo in cui l'imputato si procurava la droga a Roma, fossero sorti dissapori nel contesto criminale tarantino di sua appartenenza, appunto perché M.A. acquistava senza dare conto ai consociati degli acquisti stessi e dei proventi delle vendite. Ha dato atto, altresì, che alla fine del 2013 questa situazione aveva determinato la reazione nei confronti di M.A. degli altri associati e dello zio capo dell'associazione, il quale - come bene riportato nella sentenza di primo grado del g.i.p. del Tribunale di Lecce - aveva convocato l'imputato per chiedergli conto di questa attività svolta in autonomia senza farne partecipe l'associazione. L'ordinanza ha aggiunto, infine, che erano diversi anche i correi dei reati giudicati con le tre sentenze. 2. Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di M.A., articolando un unico motivo, con il quale denuncia, ai sensi dell'articolo 606, lett. b ed e , cod. proc. penumero , la inosservanza ed erronea applicazione dell' articolo 81 cod. penumero nonché la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in riferimento agli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso. Premettendo che la Corte d'Appello di Lecce avesse riconosciuto il vincolo della continuazione tra i fatti giudicati con le due proprie sentenze appunto sul presupposto, che nell'ambito di un'associazione ex articolo 74 DPR numero 309 del 1990 operante a Taranto dal 2012 al 2014, l'imputato aveva commesso una pluralità di delitti-fine, il ricorso censura che il riconoscimento della continuazione non sia stato esteso alla sentenza della Corte d'Appello di Roma, la quale ha accertato che l'imputato, nel periodo di operatività dell'associazione tarantina, si recasse a Roma per procurarsi lo stupefacente da immettere nel suo mercato di appartenenza. Il ricorso lamenta che il giudice dell'esecuzione non abbia considerato alcuni accertamenti fattuali dei giudizi di merito, oggetto di specifica allegazione difensiva tra questi, il fatto che il capo BD della sentenza della Corte d'Appello di Lecce del 2022 imputava a M.A. di essere incaricato, nell'ambito dell'associazione tarantina, dello stoccaggio e degli approvvigionamenti dello stupefacente in questa qualità, dunque, egli acquistava la sostanza anche dai fornitori romani. Tuttavia, il giudice dell'esecuzione ha valutato che non sussistessero elementi concreti per ritenere che lo stupefacente acquistato a Roma fosse destinato al sodalizio tarantino di cui faceva parte l'imputato, facente capo a C.G. si tratta - secondo il ricorrente - di affermazione contrastante con una pluralità di risultanze fattuali, in parte erroneamente considerate e in parte pretermesse. In particolare, la difesa aveva dimostrato che quello romano fosse da tempo un canale di approvvigionamento del clan di Taranto. Nella sentenza della Corte d'Appello del 2018, infatti, vi era un capitolo dedicato ai rapporti intrattenuti da tre partecipi del clan C.G. con fornitori stranieri, e fra questi tale C.E., residente a Tivoli, sposato con S.V La Corte d'Appello di Lecce, tuttavia, non ha dedicato spazio a questo elemento, che invece era da considerarsi decisivo perché C.E. e S.V. sono gli stessi fornitori da cui ha acquistato M.A. nel procedimento definito dinanzi alla Corte d'Appello di Roma. Anche la valutazione delle dichiarazioni di C.E. da parte del giudice dell'esecuzione - sostiene il ricorso - non si confronta con l'effettivo contenuto dei verbali delle sue dichiarazioni, da cui viceversa emerge il legame del dichiarante con tale M.C., pure appartenente al clan C.G. di Taranto, nonché con lo stesso capo clan e con il cugino S.F. questi elementi trovano riscontro nelle sentenze della Corte d'Appello di Lecce. Si lamenta, ancora, che anche nella parte in cui fa riferimento a presunti dissapori tra l'imputato e il clan di Taranto l'ordinanza è affetta da manifesta illogicità, perché travisa il contenuto delle risultanze di merito oggetto delle sentenze. Infatti, la stessa sentenza del g.i.p. del Tribunale di Lecce citata dal giudice dell'esecuzione dà atto anche che quel contrasto era stato immediatamente ricomposto, ma questo dato non è riportato nel provvedimento impugnato inoltre, nelle intercettazioni citate nella medesima sentenza, emergeva che l'eroina acquistata da M.A. a Roma venisse poi immessa nel territorio di appartenenza del clan di Taranto, in collaborazione con il capoclan e con S.F La pretermissione di queste circostanze - conclude il ricorso - ha disarticolato il ragionamento logico del giudice dell'esecuzione, rendendo solo apparente la motivazione sul punto. 3. Con requisitoria scritta del 21.3.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto che sia dichiarata l'inammissibilità del ricorso, in quanto propone una rilettura degli elementi di fatto già valutati dalla Corte d'Appello di Lecce con motivazione persuasiva, non manifestamente illogica né contraddittoria. Considerato in diritto 1. Il motivo di ricorso è da ritenersi fondato, nei termini che saranno di seguito esposti. 2. Risulta dagli atti che la condanna di M.A. nel procedimento definito con sentenza irrevocabile della Corte d'Appello di Roma in data 27.11.2018 parz. rif. g.i.p. del Tribunale di Roma del 13.2.2018 sia intervenuta - per il reato di cui all'articolo 74 DPR numero 309 del 1990 capo a per aver partecipato ad una associazione costituita per la commissione di più delitti connessi all'illecito traffico di sostanze stupefacenti, quale stabile destinatario di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente da immettere sul mercato illecito pugliese - per il reato di cui agli articolo 81, comma 2, cod. penumero e 73, comma 1, DPR numero 309 del 1990, in concorso con S.V. e C.E. capo b , per avere la S.V., su disposizione del C.E., trasportato a Taranto in più occasioni un quantitativo imprecisato di eroina onde consegnarla a M.A. perché provvedesse alla sua commercializzazione nel territorio pugliese - per il reato di cui agli articolo 110 cod. penumero e 73, comma 1, DPR numero 309 del 1990 capo c , in concorso con N.I., K.A., C.E. e S.V., per avere K.A. consegnato a N.I., previ accordi con C.E., 300 grammi di cocaina trasportati dalla S.V. a Taranto e consegnati a M.A. perché provvedesse alla sua vendita in territorio pugliese. Risulta, altresì, che i predetti singoli episodi delittuosi di cui all' articolo 73 DPR numero 309 del 1990 siano stati posti in essere in un arco temporale compreso tra il 2.11.2013 e il 6.2.2014 e che il periodo di operatività dell'associazione romana sia stato accertato fino al mese di marzo del 2014, mentre l'associazione tarantina a delinquere, per l'appartenenza alla quale M.A. è stato condannato nelle sentenze della Corte d'Appello di Lecce già oggetto dell'applicazione della disciplina del reato continuato, era contestata a far data dal 2012 e con carattere di permanenza. E' evidente, dunque, che la partecipazione all'associazione tarantina con la commissione dei relativi reati-fine, da un lato, e la partecipazione all'associazione romana con la commissione dei relativi reati-fine, dall'altro, siano esattamente riferibili al medesimo periodo temporale. Peraltro, può non arbitrariamente aggiungersi che anche il segmento romano della dedizione di M.A. al traffico di sostanze stupefacenti attenga, in definitiva, al medesimo ambito geografico della sua pregressa ma contestuale attività delittuosa pugliese, giacché risulta che il luogo della propria operatività fosse pur sempre Taranto, ove gli veniva consegnata la droga ivi trasportata da altri associati romani in funzione della sua commercializzazione in territorio pugliese . 3. Ciò premesso, va ricordato che quando la continuazione deve essere valutata con riferimento a più reati associativi, non è sufficiente, per il riconoscimento del vincolo della medesimezza del disegno criminoso, far riferimento alla tipologia del reato e all'omogeneità della condotta a fronte della riconosciuta appartenenza di un determinato soggetto a più sodalizi criminosi, ma occorre specificamente indagare sulla natura dei vari sodalizi, sulla concreta operatività degli stessi e sulla loro continuità nel tempo, in modo che possa dirsi che l'iniziale deliberazione criminosa ha trovato espressione concreta nella progressiva appartenenza di un soggetto ad una pluralità di organizzazioni. In tale quadro, assume peculiare rilievo sia il profilo della contiguità temporale sia quello della individuazione della compagine che concorre alla formazione del sodalizio, elementi certamente idonei a disvelare l'originaria unicità del momento deliberativo e il suo passaggio alla concreta fase attuativa Sez. 6, numero 6851 del 9/2/2016, dep. 2017, Rv. 266106 - 01 . In ogni caso, la esistenza della identità del disegno criminoso deve essere accertata o esclusa caso per caso, in relazione alle modalità concrete di commissione dei reati di cui si chiede l'unificazione, desumibili dalle sentenze Sez. 4, numero 3337 del 22/12/2016, dep. 2017, Rv. 268786 - 01 . 4. In applicazione di questi criteri, il giudice dell'esecuzione correttamente considera - quanto ai delitti delle tre sentenze per cui si chiede l'applicazione della disciplina di cui all' articolo 81, comma 2, cod. penumero - che la omogeneità della tipologia dei reati commessi e la loro prossimità temporale non siano sufficienti per il riconoscimento del vincolo della continuazione. Tuttavia, la motivazione del successivo diniego della richiesta difensiva non si confronta coerentemente con gli altri elementi di cui si doveva tenere conto per la valutazione della sussistenza o meno della eventuale identità del disegno criminoso. Sotto questo profilo, risulta dalle sentenze leccesi del 2018 che M.A. sia stato giudicato e condannato quale associato - con compiti di direzione, promozione e organizzazione - di un sodalizio di stampo mafioso attivo in Taranto, dedito alla commissione di una serie di delitti, tra cui era compreso il traffico organizzato di sostanze stupefacenti in particolare, all'imputato era addebitato di essere affiliato di rilievo, anche in ragione del vincolo di parentela che lo legava al capo clan C.G., e di essere stato incaricato della reggenza temporanea della consorteria in esito al sinistro stradale patito dal C.G., con il compito di sovrintendere alla generalità degli affari illeciti della consorteria . Al tempo stesso, risulta dalle sentenze romane, pure del 2018, che l'associazione romana facente capo a C.E., dedita in Italia al traffico di sostanze stupefacenti provenienti dall'estero, contasse su M.A. detto R. come stabile destinatario localizzato a Taranto di partite di droga che venivano trasportate in Puglia da alcuni degli associati. In particolare, la sentenza del g.i.p. del Tribunale di Roma confermata sul punto dalla Corte d'Appello di Roma, che, in conseguenza della rinuncia dell'imputato ai motivi sulla responsabilità, si è limitata alla sola riforma della pena irrogatagli in primo grado , dà atto, nella disamina degli elementi di prova a carico di M.A., della collaborazione processuale di C.E., accreditatosi come membro di un'associazione criminale di etnia albanese dedita al traffico internazionale di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente prevalentemente del tipo eroina e in misura minore del tipo cocaina, importata in Italia e smerciata in parte nel territorio pugliese. Evidenzia, altresì, che C.E., nei suoi interrogatori in cui rendeva dichiarazioni auto ed etero accusatorie, giudicate intrinsecamente attendibili ed estrinsecamente suffragate da numerosissimi elementi di riscontro , ha indicato M.A. quale uno dei fedeli e consolidati acquirenti dello stupefacente stesso, che si occupava della relativa distribuzione nella città di Taranto . Richiama, inoltre, il contenuto di plurime conversazioni telefoniche intercettate, dalle quali si è desunto, anche per il tramite di contestuali operazioni di polizia giudiziaria dirette all'acquisizione di riscontri, che più volte S.V., su incarico di C.E., si fosse recata a Taranto per la consegna della droga a M.A., il quale a sua volta provvedeva al pagamento delle forniture. La conclusione è che è stata ritenuta provata la sussistenza di una associazione che commerciava ingenti quantitativi di sostanza stupefacente, in relazione alla quale era emerso il ruolo di organizzatore di C.E., quello di fedelissimi collaboratori della S.V. e di N.I. nonché quello di M.A. quale stabile acquirente di consistenti quantitativi di eroina, e poi anche di cocaina, da smerciare non certo al minuto nel mercato pugliese . 5. Dal complesso delle sentenze che hanno costituito l'oggetto della valutazione del giudice dell'esecuzione, risulta, dunque, che - M.A. faceva parte con compiti direttivi e organizzativi di una associazione a delinquere a Taranto, dedita al traffico di sostanze stupefacenti, per un periodo addirittura con il compito di sovrintendere alla generalità degli affari illeciti - nel medesimo periodo faceva capo anche ad un'associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, operante prevalentemente a Roma, dalla quale acquistava stabilmente e periodicamente cospicui quantitativi di eroina e cocaina da smerciare non certo al minuto nel mercato pugliese . Che - come afferma la sentenza del g.i.p. del Tribunale di Roma - lo stupefacente acquistato a Roma e consegnato a M.A. a Taranto non fosse destinato al commercio al minuto, significa evidentemente che era invece destinato al suo smercio all'ingrosso. E se è cosi, significa, al tempo stesso, che la sua distribuzione sul mercato tarantino necessitava di una struttura dotata di uomini e mezzi, la quale si incaricasse della organizzazione e del coordinamento dello spaccio, potendo contare su una già sperimentata capacità operativa e su un certo controllo del territorio. In questa prospettiva, sarebbe stato del tutto ragionevole e nient'affatto arbitrario collegare la già esistente associazione tarantina all'attività di procacciamento dello stupefacente che M.A. svolse in direzione di Roma. Si intende dire che, acclarate indiscutibilmente la omogeneità della tipologia dei reati e la contiguità temporale della loro commissione, la partecipazione dell'imputato a due diverse associazioni a delinquere poteva considerarsi espressione della graduale progressività del suo iniziale impegno criminoso, nel senso che, impiantato nei suoi luoghi di appartenenza un traffico associativo di stupefacenti, era necessario, poi, prevedere di assicurarsi l'accesso a stabili canali di approvvigionamento della sostanza, anche mediante l'adesione ad altri sodalizi criminali, in funzione essenzialmente del procacciamento della sostanza stessa. Insomma, la successiva partecipazione di M.A. ad altra associazione, con la conseguente commissione di più reati-fine, aveva l'attitudine ad apparire sorretta dallo stesso scopo della prima associazione per agevolarne la operatività. Peraltro, la medesimezza del disegno criminoso poteva considerarsi avvalorata o quantomeno non avversata dalla concreta natura dei due sodalizi in questione, dal momento che quello romano facente capo a C.E. non era né coincidente o concorrente con quello di Taranto, né, per converso, del tutto alieno rispetto ad esso sicché ben avrebbe potuto ipotizzarsi la sussistenza di un piano unitario che, magari previa deliberazione solo a grandi linee delle singole violazioni di legge, contemplava comunque la evenienza di un apporto esterno all'associazione tarantina mediante la commissione di un altro reato associativo da parte di uno dei suoi dirigenti. 6. Ciò posto, la Corte d'Appello di Lecce, tuttavia, non ha ravvisato elementi sintomatici di una comune programmazione dei reati per i quali è intervenuta condanna della Corte d'Appello di Roma rispetto ai reati oggetto delle altre due sentenze. In particolare, può non infondatamente sintetizzarsi che, secondo il provvedimento impugnato, non sia possibile affermare che la sostanza stupefacente fosse acquistata da M.A. a Roma per conto dell'associazione di Taranto per due ordini di ragioni. Da un lato, si è osservato che il coimputato collaborante C.E. non aveva fatto esplicito riferimento a gruppi criminali pugliesi quali destinatari finali della sostanza acquistata dall'imputato si era limitato a riferire di sapere che l'imputato fosse il nipote del capo dell'associazione di Taranto . Si tratta, però, di argomentazione in definitiva inconferente, giacché nel caso di specie la identità del disegno criminoso ovvero, la corrispondenza tra un eventuale disegno programmato e le condotte oggettive conseguentemente poste in essere doveva sussistere, non tra due associazioni intese come enti e nemmeno intese come gli individui che le componevano, bensì in capo a M.A. la circostanza che C.E. non conoscesse la precisa collocazione della droga che gli vendeva, perciò, non sarebbe rilevante ai fini dell'eventuale disconoscimento della continuazione, e ciò a voler tacere del fatto che comunque l'albanese era consapevole dei legami di parentela del ricorrente con il capo dell'associazione di Taranto e della immissione della sostanza stupefacente sul mercato pugliese. Dall'altro lato, il provvedimento impugnato sottolinea che era emerso piuttosto, in uno dei processi leccesi, che proprio in quel periodo M.A. avesse avuto motivi di contrasto con la sua associazione di appartenenza, dall'interno della quale gli veniva appunto contestato di agire in autonomia nel settore del traffico di stupefacenti. Senonché, dalla sentenza richiamata emerge innanzitutto in particolare, dalle intercettazioni che le critiche principali a M.A. erano motivate dal fatto che costui avesse autonomamente contrattato ed acquistato una partita di marijuana, provvedendo anche a piazzarla sul mercato. Non si può trattare, pertanto, della droga arrivata a Taranto dal canale romano, che consisteva invece, come si è detto, in eroina e cocaina, sostanze di diversa natura. E anche nel prosieguo della sentenza in questione, risulta non tanto che M.A. non avvisasse i consociati dei nuovi approvvigionamenti di droga, quanto che costoro lamentassero una insufficiente rendicontazione dei relativi guadagni e una loro altrettanto insufficiente spartizione. Dunque, da questi elementi evidenziati dal giudice dell'esecuzione non è possibile trarre la obbligata conclusione che il ricorrente acquistasse lo stupefacente a Roma per traffici da lui gestiti in completa autonomia e in modo del tutto sganciato dalla associazione criminosa a cui faceva riferimento e tanto meno con persone diverse dai suoi sodali abituali . 7. Alla luce di quanto fin qui considerato, dunque, il parziale diniego dell'applicazione della disciplina del reato continuato, pur in presenza di indici assai significativi come la omogeneità della tipologia dei reati e la contiguità temporale degli stessi, avrebbe necessitato di una verifica più stringente degli elementi sulla base dei quali è stata infine esclusa l'identità del disegno criminoso. Ne consegue, quindi, che l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte d'Appello di Lecce in diversa composizione per un nuovo esame della richiesta alla luce dei criteri già affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che sono stati sopra richiamati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'Appello di Lecce in diversa composizione.