Revoca della condizionale illegittimamente concessa: il verdetto delle Sezioni Unite

Il giudice dell’esecuzione può revocare la sospensione condizionale della pena illegittimamente concessa, rilevando la sussistenza di un fatto ostativo al suo riconoscimento, ignoto al giudice di primo grado e noto a quello dell’appello, nonostante a quest’ultimo non sia stata devoluta alcuna questione mediante l’atto di impugnazione

Così ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, con la sentenza numero 36460 depositata il 1 ottobre 2024. Un beneficio di troppo  La Corte di appello di Reggio Calabria, decidendo in funzione di giudice dell'esecuzione su istanza del Pubblico Ministero, disponeva la revoca della sospensione condizionale della pena che era stata riconosciuta a un imputato in primo grado. ù Il giudice di prime cure, non disponendo di un casellario aggiornato, non si era accorto della presenza di numerose condanne definitive, in relazione a due delle quali era stato già concesso il beneficio della condizionale. In Appello però, non era stata sollevata alcuna eccezione e il punto sulla concessione della sospensione della pena non era stato devoluto, nonostante la Corte territoriale avesse a propria disposizione un casellario aggiornato. Quindi il fatto ostativo alla concessione del beneficio era ignoto in primo grado, noto nel secondo, ma nessuno lo aveva sottoposto all'attenzione del decidente mediante l'atto di impugnazione. La difesa, in seguito al provvedimento del giudice dell'esecuzione che revocava la condizionale illegittimamente concessa, proponeva ricorso per cassazione, sottoponendo al supremo giudice di legittimità una questione su cui si sono nel tempo registrati dei contrasti interpretativi. La Prima Sezione della Cassazione, investita del ricorso, lo rimetteva alle Sezioni Unite. Gli orientamenti sul tappeto si può o non si può revocare la condizionale in sede esecutiva se la questione non formava oggetto di impugnazione? Questo è il quesito principale, e non è affatto nuovo alle aule di giustizia. Secondo un primo orientamento, decisamente maggioritario, il giudice di appello anche se la questione non ha formato oggetto di impugnazione, può andare oltre i limiti del devoluto e può quindi procedere alla revoca del beneficio della condizionale illegittimamente concesso dal primo giudice. Se non fa uso di questo suo potere, potrà provvedere il giudice dell'esecuzione. Tale orientamento, che si è manifestato più volte tra il 2010 e il 2021, si concentra su un “requisito” occorre, affinché si possa procedere nel senso sopra indicato, che il fatto ostativo non sia stato valutato nemmeno implicitamente dal giudice dell'appello. A questa condizione potrà supplire, nella revoca, il giudice dell'esecuzione. Varie le ragioni che si pongono a sostegno di questa corrente di pensiero una fra le tante è quella secondo cui il potere del giudice di appello si considera anticipatorio di quello del collega dell'esecuzione. Di conseguenza, il mancato esercizio da parte del primo non preclude l'intervento del secondo in fase esecutiva. La revoca del beneficio è, quindi, di natura meramente dichiarativa. Un opposto filone di pensiero, minoritario, sostiene invece che il giudice dell'esecuzione non può disporre la revoca della condizionale ingiustamente concessa se il giudicante d'appello aveva a propria disposizione gli elementi per farlo e non vi ha provveduto. Si forma, quindi, una preclusione nel caso in cui l'elemento fattuale ostativo alla concessione del beneficio sia stato implicitamente valutato in sede di cognizione. La soluzione delle Sezioni Unite si può revocare la condizionale anche oltre i limiti del devoluto La scelta del massimo Consesso si è orientata sul primo, maggioritario orientamento. Secondo le Sezioni Unite, la “valutazione” che precluderebbe l'esame della questione al giudice dell'esecuzione deve sostanziarsi in un concreto apprezzamento della sussistenza delle ragioni che osterebbero alla concessione del beneficio in discussione. Tale apprezzamento deve essere reale, anche quando è implicito, e deve trasparire da una qualunque statuizione che dimostri il suo reale compimento. Se ciò mancasse, l'errore in ordine alla presenza di una ragione ostativa non sarebbe valutativo – tale, quindi, da generare una preclusione – ma percettivo e legittimerebbe l'intervento residuale del giudice dell'esecuzione. Il vero nodo del problema  Consiste nel coordinamento del principio che consente al giudice dell'esecuzione di intervenire laddove non lo abbia fatto la corte d'appello, alla quale il punto non sia stato devoluto con l'atto di impugnazione. Il rispetto dei limiti della parziale devolutività dell'appello è, per le Sezioni Unite, imprescindibile. Anzi, è proprio quest'ultimo a legittimare l'intervento del giudice dell'esecuzione, che agisce in via sussidiaria e residuale proprio laddove non può farlo il giudice d'appello. Insomma, questa sentenza oltre ad aver fatto chiarezza, opera sempre meritoria, anche quando ciò avviene contro le aspettative dell'imputato o del condannato, ha ricondotto a unità il sistema, evitando che si possa legittimare l'idea dell'esistenza di un “superpotere” del giudice d'appello cioè quello di disporre d'ufficio la revoca della condizionale in assenza di un'impugnazione specifica sul punto che la legge, invero, non gli assegna.

Presidente Cassano - Relatore Santalucia Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.