Peculato: è necessaria la “relazione” del pubblico agente con il bene

In materia di delitti contro la Pubblica Amministrazione, la Suprema Corte ha chiarito che si parla di peculato solo quando vi è lo sfruttamento della relazione “di possesso per ragioni di ufficio o di servizio” del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi su un caso di condanna per reati di associazione a delinquere, per più fatti di ricettazione e per peculato, dei tre motivi di impugnazione, ha ritenuto fondato solo quello relativo alla responsabilità concorsuale per il reato di peculato ex articolo 314 c.p. . Nello specifico, gli imputati si erano accordati per commettere reati all'interno del magazzino presso il quale lavoravano, per un lasso di tempo determinato e con un'attività finalizzata unicamente all'appropriazione delle merci. Per le operazioni di furto, in particolare, erano state coinvolte anche due guardie giurate che avevano coperto le condotte illecite, concorrendo alla commissione dei delitti. Quanto alla qualifica soggettiva delle guardie giurate, l'articolo 138 T.U.L.P., introdotto con d.l. 8 aprile 2008, numero 59, conv. dalla l. 6 giugno 2008, numero 101 consente di ritenerle incaricati di pubblico servizio per le funzioni di vigilanza e custodia svolte. Nel caso di specie, le guardie avevano sì permesso a terzi di far uscire la merce dal magazzino alla loro presenza, ma non era stato specificato il rapporto delle stesse con la res. Proprio su questo punto si è concentrata la Suprema Corte con la pronuncia in esame infatti, per poter parlare di peculato, occorre l'ausilio di un pubblico agente ma anche una “relazione” dello stesso con il bene. In altre parole, occorre che si sfrutti la relazione “di possesso per ragioni di ufficio o di servizio” altrimenti si configurerebbe un semplice caso di furto ex articolo 524 c.p. o di appropriazione indebita ex articolo 646 c.p. . Secondo la Cassazione, il giudice di Appello non aveva ben chiarito nella sentenza impugnata quale fosse il rapporto delle guardie giurate con le “cose” di cui gli imputati si appropriarono, se fosse stata quindi sfruttata la relazione con il bene. Di conseguenza, la sentenza è stata annullata limitatamente al reato di peculato e rinviata per un nuovo giudizio su tale capo.

Presidente De Amicis – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Bologna ha sostanzialmente confermato la sentenza con cui F.G., A.O.C.A. e A.G. sono stati condannati per i reati di associazione per delinquere, per più fatti di ricettazione e per peculato. Gli imputati, nella qualità di dipendenti della cooperativa OMISSIS s.p.a. di Torino, appaltatrice dei lavori per conto di OMISSIS s.p.a., società a capitale pubblico, e quindi incaricati di un pubblico servizio, si sarebbero associati, all'interno dello stabilimento di OMISSIS , allo scopo di commettere più delitti di cui agli articolo 314,648,648 bis cod. penumero in danno della società, appropriandosi di merci in transito e destinandole alla successiva immissione sul mercato clandestino. 2. Ha proposto ricorso per cassazione F.G. articolando tre motivi. 2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Si assume che in sede di appello era stata devoluta la questione della nullità della sentenza di primo grado per omessa motivazione in relazione alla posizione del ricorrente, essendosi il Giudice limitato a richiamare quanto scritto nel capo di imputazione, senza alcun vaglio relativo al giudizio di responsabilità. La Corte non avrebbe adeguatamente valutato il motivo. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge quanto al reato associativo, del quale non sussisterebbero i requisiti di struttura. Gli imputati si sarebbero accordati solo per commettere reati nell'ambito del magazzino presso il quale lavoravano, per un lasso di tempo ben determinato e con un'attività finalizzata unicamente all'appropriazione delle merci dunque, non un programma avente ad oggetto una serie di reati indeterminati, quanto, piuttosto, delitti lesivi solo del patrimonio della persona offesa e non anche dell'ordine pubblico. La sentenza sarebbe viziata anche in ordine alla prova della partecipazione di F.G., che, si argomenta, rispondeva alle direttive del solo A., suo superiore gerarchico all'interno dell'organigramma lavorativo. Né sarebbe stata raggiunta la prova del dolo, avendo peraltro l'imputato prestato attività lavorativa nei luoghi in cui sarebbero stati commessi i reati solo dal mese di agosto a quello di ottobre del 2017. 2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge quanto alla ritenuta responsabilità concorsuale per il reato di peculato. La responsabilità sarebbe stata configurata sul presupposto del concorso dei dipendenti della cooperativa con le guardie giurate T.S. e G.A., incaricati di pubblico servizio assume l'imputato di non essere stato mai a conoscenza della partecipazione all'attività criminosa delle guardie giurate. 3. Ha proposto ricorso per cassazione A.O.C.A. articolando un unico motivo con cui si deduce violazione di legge quanto alla prova della partecipazione al reato associativo si aggiunge che il ruolo di partecipe all'associazione non sarebbe di per sé sufficiente a fondare il giudizio di responsabilità per tutti i reati fine materialmente posti in essere dagli altri partecipi. 4. Ha proposto ricorso per cassazione A.G. Il ricorso è strutturalmente sovrapponibile a quello appena indicato. Considerato in diritto 1. I ricorsi proposti nell'interesse di A.O.C.A. e A.G. sono inammissibili. Rispetto ad una puntuale motivazione con cui la Corte di appello ha ricostruito i fatti, valutato le prove e spiegato con grande precisione e anche richiamando la sentenza di primo gradone ragioni poste a fondamento del giudizio di responsabilità, elencando gli elementi di prova dimostrativi della esistenza del sodalizio e della partecipazione ad esso degli odierni ricorrenti cfr., pagg. 1 e ss. e 19 e ss. sentenza impugnata , nulla di specifico è stato dedotto, essendosi limitati gli imputati ad affermazioni generiche senza tuttavia confrontarsi con la motivazione e con il ragionamento probatorio della sentenza impugnata. La Corte di cassazione ha costantemente affermato che la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si esplica attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità articolo 581 e 591 cod. proc. penumero , devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è infatti il confronto puntuale cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Ne consegue che se il motivo di ricorso si limita ad affermazioni generiche, esso non è conforme alla funzione per la quale è previsto e ammesso, cioè la critica argomentata al provvedimento, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento formalmente attaccato , lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. 2. È invece fondato, limitatamente al terzo motivo, il ricorso proposto nell'interesse di F.G 3. Il primo motivo, relativo alla nullità della sentenza di primo grado, per essersi limitato il Giudice dell'udienza preliminare a riportare il capo di imputazione senza nessuna valutazione, è inammissibile. 3.1. Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito sul tema come anche il caso, certamente più radicale rispetto a quello in esame, di mancanza assoluta della motivazione non rientri tra quelli, tassativamente previsti dall'articolo 604 cod. proc. penumero , nei quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e disporre la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, potendosi invece configurare una nullità, ai sensi dell'articolo 125, comma 3, cod. proc. penumero , alla quale, allorquando la sentenza è appellabile, il giudice di appello può rimediare in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto assegnatigli dalla legge. Secondo le Sezioni unite della Corte, in caso di omessa motivazione non potrebbe ipotizzarsi nemmeno una radicale inesistenza della sentenza in quanto priva di motivazione, in quanto la categoria della inesistenza, distinta da quella della nullità assoluta, evoca quei casi talmente gravi da far perdere all'atto i requisiti geneticamente propri dello stesso nei quali ad esempio la sentenza promani da organo o persona privi di potere giurisdizionale o nei confronti di imputato inesistente , sì da porlo quale strutturalmente inidoneo a produrre alcun effetto giuridico nel processo e fuori di esso . Nell'occasione la Corte di cassazione ha precisato che, anche a fronte del deposito del mero dispositivo, il giudice d'appello può decidere nel merito e, nel rispetto dei limiti del devoluto e del divieto di reformatio in peius, procedere addirittura alla redazione integrale di una motivazione mancante, utilizzando le prove già legittimamente acquisite nel precedente grado di giudizio nel contraddittorio delle parti Sez. U., numero 3287 del 27/11/2008, dep. 2009 , R. 244118 in senso conforme, più recentemente, Sez. 6, numero 58094 del 30/11/2017, Amorico, Rv. 271735 . Del tutto simmetrico rispetto al principio indicato è lo sviluppo della giurisprudenza di legittimità in caso di divergenza tra dispositivo e motivazione in maniera condivisibile si è ritenuto illegittimo il provvedimento con cui il Tribunale, investito dell'appello del solo imputato, rilevata la sussistenza di un contrasto tra motivazione e dispositivo, annulli, ex articolo 604 cod. proc. penumero , la sentenza di primo grado, rimettendo gli atti relativi al primo giudice, in quanto, in tal caso, non ricorre alcuna delle cause espressamente e tassativamente previste dall'articolo 604 del codice di rito - essenzialmente attinenti alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e alla rilevazione di nullità assolute o di ordine generale non sanate - che legittimano l'esercizio del potere di annullamento della sentenza di primo grado. Ne consegue che, ricorrendo detta ipotesi, il giudice deve prendere atto, nei limiti dell'effetto devolutivo, del predetto contrasto tra dispositivo e motivazione, quindi, procedere alla valutazione dei motivi di appello Sez. 5, numero 19051 del 19/02/2010, Di Candia, Rv. 247252 . 3.2. Dunque, pur volendo ragionare con l'imputato, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi indicati, avendo redatto una motivazione completa e puntuale in ordine alla posizione specifica dell'imputato, sicché non è obiettivamente chiaro perché dovrebbe dichiararsi la nullità della sentenza emessa all'esito del giudizio di primo grado. 4. È inammissibile, per le ragioni già indicate sub 1, anche il secondo motivo di ricorso, relativo al delitto associativo. 5. È invece fondato il terzo motivo, relativo al delitto di peculato. 5.1. La Corte di appello ha escluso la sussistenza della qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio sia in capo agli odierni imputati, dipendenti della cooperativa che svolgevano all'interno del magazzino compiti meramente esecutivi e materiali, sia, per le stesse ragioni, in capo al correo G., unico dipendente della OMISSIS . La Corte ha ritenuto invece sussistente la qualifica soggettiva richiesta dalla fattispecie incriminatrice in capo alle due guardie giurate - T.S. e G.A. -, per le quali si è proceduto separatamente, chiamate a rispondere a titolo di concorso nel medesimo reato ai sensi dell'articolo 110 cod. penumero e per le quali si è proceduto separatamente. Sulla base della qualifica soggettiva delle guardie giurate è stata costruita la responsabilità concorsuale degli imputati. In particolare, alle due guardie giurate, che operavano all'interno dello stesso polo logistico, si contesta, in particolare, di avere omesso i dovuti controlli e di avere in tal modo concorso moralmente nella condotta appropriativa materialmente commessa dagli altri. La prova del concorso delle due guardie giurate è stata fatta discendere, da una parte, dal fatto che queste sarebbero state presenti sul posto in prossimità della buca da cui veniva fatta passare la merce sottratta ed erano state sorprese nel medesimo frangente a conversare con alcuni degli autori della condotta appropriativa, sicché era impossibile che costoro non si fossero avveduti - per negligenza o disattenzione - della sottrazione della merce che si stava in quel momento compiendo così testualmente la Corte a pag. 39 della sentenza , e, dall'altra, dai contatti che la T.S. ebbe con A.D. nella fase successiva alla denuncia per concordare una strategia difensiva. 5.2. Si tratta di un ragionamento probatorio incompleto. Al delitto di peculato possono certamente concorrere con l'agente pubblico, ai sensi dell'articolo 110 cod. penumero , anche soggetti non qualificati e non è necessario che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio sia l'esecutore materiale della condotta appropriativa, ben potendo questa essere compiuta da un extraneus. Ciò che, tuttavia, è indispensabile è che il correo privo di qualifica soggettiva, per appropriarsi della cosa, sfrutti la relazione di possesso per ragioni di ufficio o di servizio del pubblico agente con la res. Se non vi è lo sfruttamento strumentale di detta relazione propria del pubblico agente non si configura il peculato, ma, al più, altri reati quali il furto o l'appropriazione indebita. Quanto alla qualifica soggettiva delle guardie giurate, l'articolo 138 T.U.L.P., introdotto con d.l. 8 aprile 2008, numero 59, conv. dalla l. 6 giugno 2008, numero 101, prevede che salvo quanto diversamente previsto, le guardie particolari giurate nell'esercizio delle funzioni di custodia e vigilanza dei beni mobili ed immobili cui sono destinate rivestono la qualità di incaricati di un pubblico servizio . Dunque, secondo la disposizione indicata, la qualifica di incaricato di pubblico servizio è conseguente all'oggetto delle funzioni di vigilanza e di custodia. 5.3. Nel caso di specie, ciò che non è stato chiarito dalla Corte di appello è quale fosse l'ambito delle funzioni delle guardie giurate, quale il loro rapporto con le cose di cui gli imputati si appropriarono, se su quei beni esse avessero una relazione di possesso per ragioni di ufficio o di servizio, se, dunque, i ricorrenti abbiano sfruttato la relazione del pubblico agente con il bene. Sul tema la sentenza è silente. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato di cui al capo 47 nei confronti di F.G., e, attesa la natura oggettiva della causa di annullamento, anche nei riguardi di A.O.C.A. e A.G La Corte di appello applicherà i principi indicati, e, da una parte, verificherà se e in che limiti sia formulabile un giudizio di colpevolezza nei confronti degli imputati per il capo di imputazione in esame, e, dall'altra, eventualmente, procederà alla rideterminazione della pena. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 47 nei confronti di F.G., A.O.C.A. e A.G. e rinvia per nuovo giudizio su tale capo ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi e irrevocabile l'accertamento della penale responsabilità relativamente ai residui reati, rinviando altresì alla predetta Corte di appello per la conseguente rideterminazione della pena.