INAIL obbligato a versare un adeguato indennizzo alla lavoratrice in smartworking che si è infortunata mentre, come da regolare permesso, percorreva la strada che da casa la conduceva alla scuola dove, alla fine delle lezioni, doveva recuperare la propria bambina.
Disavventura vissuta, nel settembre del 2020, da una dipendente dell’Agenzia delle Dogane, la quale è caduta rovinosamente a terra durante il tragitto casa, dove lavorava in in smartworking, scuola della figlia. La lavoratrice riportava un trauma distorsivo alla caviglia destra che, secondo il medico legale, poteva essere ricondotto alla «deambulazione su superfici irregolari o in presenza di ostacoli». Il professionista, riteneva quindi, doveroso qualificarlo come infortunio sul lavoro così da consentire la richiesta all'INAIL di un indennizzo. L'ente però rispondeva in modo negativo, sostenendo si dovesse parlare non di infortunio in itinere, bensì di infortunio avvenuto mentre la lavoratrice godeva di un ‘permesso’ per motivi personali, ossia per andare a prendere la figlia a scuola. Il legale della lavoratrice citava quindi, in giudizio l'INAIL sostenendo che, la sua cliente «è dipendente dell’Agenzia delle Dogane, con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, sin dal 2012 l’orario di servizio in ufficio è articolato su cinque giorni lavorativi di 7,12 ore giornaliere dal lunedì al venerdì, nell’ambito degli orari di apertura degli uffici doganali dalle ore 8 alle ore 18 a partire da marzo del 20200, quale misura di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, è stato attivato lo smartworking, con svolgimento della prestazione lavorativa presso il domicilio, previa indicazione dell’indirizzo personale di posta elettronica e del numero di telefono cellulare ai fini della reperibilità durante l’orario di lavoro e per eventuali comunicazioni urgenti la lavoratrice è stata anch’essa collocata in smartworking da tale data, con assegnazione del computer portatile dell’ufficio e con abilitazione all’accesso dalla propria abitazione ai sistemi informatici dell’Agenzia, e ha svolto», anche nella giornata della disavventura, «la propria attività in smartworking, presso la propria abitazione ella ha avvertito l’Ufficio con e-mail delle ore 11.38, come da procedura, dell’assenza dalle ore 12.15 al fine di poter ritirare la figlia da scuola, con promessa di provvedere ad inviare una e-mail al rientro a casa e di recuperare il ‘permesso’ entro la giornata ella è, quindi, uscita di casa, alle ore 12.15, per andare a ritirare la figlia alla scuola elementare, da lei frequentata, distante da casa poco più di un chilometro e mezzo», percorso a piedi in quella sfortunata giornata. Per completezza poi, il difensore aggiungeva che in quel giorno di settembre la ragazzina usciva da scuola alle ore 12.35, e la sua cliente «è rovinata improvvisamente al suolo, durante il percorso a piedi, alle ore 12.20-12.25 circa, provocandosi una distorsione al piede destro e diverse escoriazioni al ginocchio sinistro» e per questo «si è recata immediatamente al Pronto Soccorso» più vicino e lì «ha denunciato l’infortunio sul lavoro» da lei subito. A fronte di tale quadro, e «nonostante il grave trauma subito dalla donna e l’evidente collegamento con lo svolgimento della prestazione lavorativa», sottolinea il legale, l'INAIL ha, nel marzo del 2021, ritenuto impossibile parlare di infortunio in itinere e ha perciò negato alla donna ogni possibile indennizzo. Ciò perché «l’infortunio non risulta avvenuto per rischio lavorativo, bensì per il verificarsi di rischio generico incombente su tutti i cittadini e comune ad altre situazioni del vivere quotidiano». Per il giudice del lavoro del Tribunale di Milano, però, la posizione assunta dall’istituto è assolutamente illegittima. Accertato l’episodio verificatosi nel settembre del 2020 e ricostruita la sua dinamica, l'INAIL «contesta la sussistenza dei presupposti per l’indennizzabilità dell’infortunio, quantomeno per mancanza della occasione di lavoro» e sostiene non ci si troverebbe di fronte ad un infortunio in itinere, bensì ad «un infortunio avvenuto mentre la lavoratrice godeva di un ‘permesso’ per motivi personali». E, sempre secondo l'INAIL, «allorquando il lavoratore chieda e goda di un ‘permesso’, ogni legame con l’attività lavorativa cessa, non essendo configurabile alcun percorso necessitato, tantomeno predeterminato o predeterminabile. E la fruizione di un ‘permesso’ di lavoro per motivi personali interrompe ex se il nesso rispetto all’attività lavorativa, con conseguente non indennizzabilità dell’evento infortunistico verificatosi nel percorso normale per rientrare al lavoro». Ma, come evidenziato dal legale della dipendente dell’Agenzia delle Dogane, la Cassazione ha chiarito, proprio nel 2020, che «l’infortunio in itinere è ricompreso nella tutela INAIL anche nell’ipotesi in cui il lavoratore percorra il tragitto in fruizione di un ‘permesso’ per motivi personali» e una precedente circolare dell'INAIL, risalente al 2014, ha chiarito «a quali condizioni risultano indennizzabili gli infortuni in itinere occorsi nel tragitto casa-lavoro interrotto o deviato per accompagnare il proprio figlio a scuola». Già questi due elementi sono, secondo il giudice del lavoro, sufficienti per ritenere non condivisibile la posizione assunta dall'INAIL. Inoltre, il Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, prevede che «salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro» e precisa che «l’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti» e, comunque, che «l’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato». Tirando le somme, come sancito nel 2020 dalla Cassazione, «in tema di infortunio in itinere, la tutela assicurativa copre i sinistri verificatisi nel normale percorso abitazione-luogo di lavoro anche in caso di fruizione da parte del lavoratore di un ‘permesso’ per motivi personali». Di conseguenza, non può essere condivisa la tesi secondo cui «la fruizione di un ‘permesso’ di lavoro per motivi personali interromperebbe ex se il nesso rispetto all’attività lavorativa, con conseguente non indermizzabilità dell’evento infortunistico verificatosi nel percorso normale per rientrare al lavoro, atteso che il ‘permesso’ costituisce una fattispecie di sospensione dell’attività lavorativa nell’interesse del lavoratore che ontologicamente non è differente dalle pause o dai riposi, differenziandosi da questi ultimi soltanto per il suo carattere occasionale ed eventuale a fronte del connotato di periodicità e prevedibilità che è tipico degli altri, e non potendo logicamente sostenersi che il lavoratore che si allontani dall’azienda e vi faccia ritorno in relazione alla necessità di fruire del riposo giornaliero non sia tutelato durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro». Il giudice sostiene che «il lavoratore è tutelato tutte le volte in cui si allontani dall’azienda e vi faccia ritorno in occasione della sospensione dell’attività lavorativa dovuta a pause, riposi e ‘permessi’. Ciò sul presupposto dell’identità ontologica delle tipologie di sospensione lavorativa indicate e della non configurabilità di un vuoto di tutela ogni volta in cui, per fruire di diritti connessi alla esecuzione della prestazione lavorativa, il lavoratore si allontani dalla sede aziendale». Per maggiore chiarezza, poi, sottolinea che «i ‘permessi’ retribuiti sono riconosciuti dall’ordinamento in ipotesi tassative, previste dalla legge o dai contratti collettivi, per le quali l’ordinamento ha operato un bilanciamento di interessi, sancendo la preminenza di specifici interessi costituzionalmente garantiti del lavoratore nei confronti dell’interesse del datore di lavoro alla continuità produttiva. Basti pensare ai ‘permessi’ per l’assistenza ai disabili, ai ‘permessi’ e congedi per ragioni familiari, ai ‘permessi’ per motivi di studio, per visite mediche et cetera. Quindi, i periodi di ‘permesso’ retribuito consentono il godimento di diritti costituzionalmente garantiti, costituendo una delle forme mediante le quali è data attuazione ai principi costituzionali di solidarietà sociale ed uguaglianza. La sospensione dell’attività lavorativa non dipende, quindi, da scelte voluttuarie del dipendente, ma è di volta in volta giustificata da ragioni connesse all’esercizio di diritti personali del lavoratore che altrimenti verrebbero sacrificati. Nell’ottica di tale contemperamento di interessi non può, pertanto, sostenersi che il lavoratore, mentre esercita un diritto alla sospensione dell’attività lavorativa riconosciuto dalla legge per le ragioni sopra evidenziate, non sia tutelato durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro». In conclusione, «la tesi dell'INAIL non può essere condivisa», chiosa il magistrato, anche perché, nel caso specifico, «il ‘permesso’ è stato chiesto dalla lavoratrice al fine di andare a prendere la propria figlia minore a scuola» e quindi «la temporanea sospensione dell’attività lavorativa si ricollegava all’adempimento dei doveri genitoriali ed è pienamente indennizzabile».
Giudice Chirieleison Svolgimento del processo La ricorrente ha convenuto in giudizio l'INAIL, deducendo di essere dipendente dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli in forza di contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato sin dal 17 settembre 2012 con la qualifica di Funzionario Doganale Area III/F6 di avere quale sede di lavoro l'Agenzia delle Dogane Ufficio omissis che l'orario di servizio è articolato su 5 giorni lavorativi di 7,12 ore giornaliere dal lunedì al venerdì, nell'ambito degli orari di apertura degli uffici doganali dalle 08 00 alle 18 00 che a partire dall'11/3/2020, quale misura di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, con nota prot. 3514/RI, era stato attivazione lo “smart working”, con svolgimento della prestazione presso il domicilio, previa indicazione dell'indirizzo personale di posta elettronica e del numero di telefono cellulare ai fini della reperibilità durante l'orario di lavoro e per eventuali comunicazioni urgenti di essere stata anch'essa collocata in smart working da tale data, con assegnazione del pc portatile dell'ufficio e abilitazione all'accesso dalla propria abitazione ai sistemi informatici dell'Agenzia tramite collegamento “V-APP” con le stesse credenziali dell'ufficio di avere svolto, anche in data 23 settembre 2020, la propria attività in smart working, presso la propria abitazione di omissis , così come stabilito sulla base della programmazione bisettimanale della Sezione Tributi e URP cui era assegnata di aver avvertito l'Ufficio omissis con e-mail delle ore 11 38, come da procedura, di quanto segue “come da nota prot. numero 280220RU del 13 agosto 2020 Del Direttore Generale linee di indirizzo per l'uniformità dell'azione amministrativa indicazione operativa per il personale delle pubbliche amministrazioni lavoro agile , con la presente comunico che mi assenterò in data odierna dalle 12 15 al fine di poter ritirare mia figlia da scuola. Provvederò ad inviare una mail al mio rientro e recupererò il permesso entro la giornata di oggi” di essere, quindi, uscita di casa, alle ore 12 15 del 23 settembre, per andare a “ritirare” la figlia allora di anni 7 frequentante la scuola primaria omissis , sita in omissis , e distante dall'abitazione della ricorrente circa 1,6 km, percorsi a piedi che la figlia, che all'epoca frequenta la classe “2^D” usciva quel giorno alle ore 12 35 di essere rovinata improvvisamente al suolo, durante il percorso a piedi, alle ore 12.20 – 12.25 circa, provocandosi distorsione piede DX ed escoriazioni al ginocchio SX di essersi recata immediatamente al Pronto Soccorso omissis – CTO, ove sveva denunciato l'infortunio sul lavoro che nonostante il grave trauma subito e l'evidente collegamento con lo svolgimento della prestazione lavorativa, in data 13.3.2021, l'INAIL aveva definito negativamente l'infortunio con la seguente motivazione “l'infortunio viene definito negativamente in quanto l'infortunio non risulta avvenuto per rischio lavorativo, bensì per il verificarsi di rischio generico incombente su tutti i cittadini e comune ad altre situazioni del vivere quotidiano. Contro il provvedimento può essere avanzata opposizione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento” di avere proposto ricorso contro la definizione negativa della domanda di infortunio che il ricorso era stato riscontrato negativamente dall'Istituto in data 18/03/2022 utilizzando identica motivazione del primo rigetto. Tanto premesso, la ricorrente ha concluso come sopra riportato. Si è costituito l'INAIL, chiedendo il rigetto del ricorso. Nel corso del giudizio è stata espletata CTU medico-legale. Alla udienza del 17.7.2024 la causa è stata decisa come da dispositivo. Motivi della decisione Il ricorso è fondato nei limiti che di seguito si espongono. 1. Pacifico l'evento del 23.9.2020 e la sua dinamica, l'Ente convenuto contesta la sussistenza dei presupposti per l'indennizzabilità dell'infortunio “quantomeno per mancanza della occasione di lavoro”. L'infortunio in questione, secondo l'INAIL, non sarebbe un infortunio in itinere, ma un infortunio avvenuto mentre il lavoratore godeva di un permesso per motivi personali. Afferma, quindi, che “allorquando il lavoratore chieda e goda di un permesso, ogni legame con l'attività lavorativa cessa, non essendo configurabile alcun percorso necessitato, tantomeno predeterminato o predeterminabile. La fruizione di un permesso di lavoro per motivi personali interrompe ex sé il nesso rispetto all'attività lavorativa, con conseguente non indennizzabilità dell'evento infortunistico verificatosi nel percorso normale per rientrare al lavoro…” La ricorrente, dal canto suo, ha richiamato una pronuncia della Suprema Corte che ha affermato che l'infortunio in itinere è ricompreso nella tutela Inail anche nell'ipotesi in cui il lavoratore percorra il tragitto in fruizione di un permesso per motivi personali Cass. ord. numero 18659/2020 , aggiungendo che la circolare Inail numero 62 del 18 dicembre 2014 ha chiarito a quali condizioni risultano indennizzabili gli infortuni in itinere occorsi nel tragitto casa-lavoro interrotto o deviato per accompagnare il proprio figlio a scuola. 2. L'articolo 2, comma, T.U. numero 1124/1965, nel testo applicabile ratione temporis risultante dalla modifica apportata dall'articolo 12, d.lgs. numero 38/2000, prevede che “salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”, precisando che “l'interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti” e che “l'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato”, mentre “restano [ ] esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni”, nonché quelli avvenuti nell'ipotesi che il conducente sia “sprovvisto della prescritta abilitazione di guida”. Con la pronuncia richiamata dalla parte ricorrente Cass. Sez. L , Ordinanza numero 18659 del 08/09/2020, Rv. 658842 01 , la Suprema Corte ha affermato esplicitamente che in tema di infortunio in itinere , la tutela assicurativa copre i sinistri verificatisi nel normale percorso abitazione-luogo di lavoro anche in caso di fruizione da parte del lavoratore di un permesso per motivi personali. Le argomentazioni a fondamento della decisione citata sono del tutto condivisibili e si riportano qui di seguito anche ai sensi dell'articolo 118 disp. att. c.p.c. “questa Corte ha avuto modo di chiarire che essa amplia la tutela assicurativa a qualsiasi infortunio verificatosi lungo il percorso da casa al luogo di lavoro, escludendo qualsiasi rilevanza all'entità del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l'infortunato sia addetto e tutelando piuttosto il rischio generico connesso al compimento del c.d. percorso normale tra abitazione e luogo di lavoro cui soggiace qualsiasi persona che lavori, restando per conseguenza confinato il c.d. rischio elettivo a tutto ciò che sia dovuto piuttosto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella legata al c.d. percorso normale, ponendo così in essere una condotta interruttiva di ogni nesso tra lavoro rischio ed evento così Cass. numero 7313 del 2016, in motivazione … alla stregua dell'anzidetta interpretazione, può concludersi nel senso che la sussistenza di un rapporto finalistico tra il c.d. percorso normale e l'attività lavorativa è sufficiente a garantire la tutela antinfortunistica …ciò posto, non può condividersi l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la fruizione di un permesso di lavoro per motivi personali interromperebbe ex se il nesso rispetto all'attività lavorativa, con conseguente non indennizzabilità dell'evento infortunistico verificatosi nel percorso normale per rientrare al lavoro, atteso che il permesso costituisce una fattispecie di sospensione dell'attività lavorativa nell'interesse del lavoratore che ontologicamente non è differente dalle pause o dai riposi, differenziandosi da questi ultimi soltanto per il suo carattere occasionale ed eventuale a fronte del connotato di periodicità e prevedibilità che è tipico degli altri, e non potendo logicamente sostenersi che il lavoratore che si allontani dall'azienda e/o vi faccia ritorno in relazione alla necessità di fruire del riposo giornaliero non sia tutelato «durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro», giusta la lettera dell'articolo 2, comma 3 0 , T.U. numero 1124/1965, cit.” Il lavoratore, secondo la Suprema Corte, è quindi tutelato tutte le volte in cui si allontani dall'azienda e vi faccia ritorno in occasione della sospensione dell'attività lavorativa dovuta a pause, riposi e permessi ciò sul presupposto dell'identità ontologica delle tipologie di sospensione lavorativa indicate e della non configurabilità di un vuoto di tutela ogni volta in cui, per fruire di diritti connessi alla esecuzione della prestazione lavorativa, il lavoratore si allontani dalla sede aziendale. Va, in proposito, considerato che i permessi retribuiti sono riconosciuti dall'ordinamento in ipotesi tassative, previste dalla legge o dai contratti collettivi, per le quali l'ordinamento ha operato un bilanciamento di interessi, sancendo la preminenza di specifici interessi costituzionalmente garantiti del lavoratore nei confronti dell'interesse del datore di lavoro alla continuità produttiva. Basti pensare ai permessi per l'assistenza ai disabili, ai permessi e congedi per ragioni familiari, ai permessi per motivi di studio, per visite mediche, ecc. I periodi di permesso retribuito consentono, quindi, il godimento di diritti costituzionalmente garantiti, costituendo una delle forme mediante le quali è data attuazione ai principi costituzionali di solidarietà sociale ed uguaglianza. La sospensione dell'attività lavorativa non dipende, quindi, da scelte voluttuarie del dipendente, ma è di volta in volta giustificata da ragioni connesse all'esercizio di diritti personali del lavoratore che altrimenti verrebbero sacrificati. Nell'ottica di tale contemperamento di interessi non può, pertanto, sostenersi che il lavoratore, mentre esercita un diritto alla sospensione dell'attività lavorativa riconosciuto dalla legge per le ragioni sopra evidenziate, non sia tutelato durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro. Non può, in altre parole, dirsi che “la fruizione di un permesso di lavoro per motivi personali interrompe ex sé il nesso rispetto all'attività lavorativa” ciò proprio in considerazione del fatto che la sospensione dell'attività lavorativa in questione trova copertura nelle norme dell'ordinamento lavoristico a mezzo delle quali il Legislatore ha di volta in volta operato il contemperamento citato e che concorrono a regolamentare il rapporto a tutela dei diritti del lavoratore come persona. Per tali ragioni la tesi dell'Inail non può essere condivisa. Nel caso di specie il permesso è stato chiesto dalla ricorrente al fine di andare a prendere la propria figlia minore a scuola docomma 3, fascicolo parte ricorrente la temporanea sospensione dell'attività lavorativa si ricollega, quindi, all'adempimento dei doveri genitoriali ed è pienamente indennizzabile alla luce di quanto chiarito dalla Suprema Corte e sopra ulteriormente osservato. Non è contestata, d'altra parte, alcuna anomala deviazione dal percorso indicato in ricorso tra l'abitazione della ricorrente e la scuola. 3. In ordine al quantum, nel corso del giudizio è stata svolta CTU medico-legale sulla persona della ricorrente. Il CTU, all'esito di accertamenti svolti ritualmente nel contraddittorio delle parti, ha formulato le seguenti valutazioni medico-legali “La ricorrente riportava, in data 23.09.2020, un trauma distorsivo di caviglia destra, produttivo di lesioni legamentose, segnatamente del legamento peroneo-astragalico anteriore e peroneo-calcaneale, edema osseo. Dal punto di vista eziologico, le lesioni dei legamenti che si trovano sulla parte esterna della caviglia sono conseguenza di traumi in “inversione”, vale a dire che derivano dalla rotazione interna dell'asse del piede, con stiramento dei legamenti laterali. Spesso, alla base di questa tipologia di traumi, vi è la deambulazione su superfici irregolari o in presenza di ostacoli. Quanto descritto rappresenta il meccanismo più comune dei traumi distorsivi di caviglia, ed il legamento peroneo-astragalico anteriore è proprio quello che più di frequente si lesiona. Se la distorsione di caviglia è grave, è anche possibile che si associ l'interessamento contusivo/fratturativo dei capi osteo-cartilaginei coinvolti. Dal punto di vista clinico è dunque possibile ricondurre le lesioni riportate dalla ricorrente ad una distorsione di caviglia, e la documentazione in atti è coerente nel ricondurre questo tipo di evento alla data del 23 settembre 2020. Pertanto, sulla base di quanto documentato, le lesioni del legamento peroneo astragalico anteriore e peroneo-calcaneale di destra, edema osseo, possono ritenersi conseguenza diretta del trauma distorsivo verificatosi in data 23.09.2020. In occasione della visita consulenziale effettuata dalla scrivente in data 27 marzo 2024 la ricorrente negava la sussistenza di precedenti morbosi rilevanti, così come di aver subito precedenti traumi alla caviglia di destra. Nemmeno, dalla documentazione sanitaria in atti analizzata, emergono condizioni preesistenti o sopravvenute che possano aver aggravato o modificato l'esito delle lesioni verificatesi. Perciò non è possibile ritenere che sussistano precedenti morbosi a carico della perizianda o sopravvenienze intercorse rilevanti nel determinismo del quadro attuale. Ciò posto, nel caso di specie oggi sussiste una limitazione funzionale dell'articolarità di caviglia destra, con persistenza del materiale di sintesi chirurgica. Con riferimento ai parametri di cui al d.L.vo numero 38/2000, possono essere prese a riferimento la voce tabellare 293 Anchilosi della caviglia in posizione favorevole, per cui sono previsti valori di danno biologico pari al 12% e 306 Persistenza di mezzi di sintesi d.b. fino a 3% . Sono infatti tuttora in sede viti metalliche, una sita nel seno del tarso e una nel corpo del calcagno, posizionate durante l'intervento di ricostruzione legamentosa del luglio 2022. Si ritiene dunque, con riferimento ai parametri valutativi menzionati, di riconoscere un danno biologico complessivo pari al 8% otto percento .” Non risulta che le parti, anche tramite i propri consulenti tecnici, abbiano formulato contestazioni avverso tali conclusioni, che devono ritenersi, quindi, accettate. Va viceversa preso atto della rinuncia da parte della ricorrente alla domanda relativa alla inabilità temporanea, in adesione alla eccezione formulata sul punto dall'INAIL. La domanda va, quindi, accolta con riferimento all'indennizzo per il danno biologico, in relazione a quanto accertato dal CTU, per un importo calcolato, in applicazione delle tabelle di cui all'articolo 13, d.lgs. 38/2000, in euro € 9.811,86. 4. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in considerazione della complessità della causa e dell'attività svolta. Deve darsi atto della correzione dell'errore materiale intervenuta nelle more, integrando il dispositivo con la menzione della distrazione delle spese liquidate in favore dell'avv. Paolo Maria Angelone, legale anticipatario. PQM Il Tribunale di Milano, in persona del giudice dott.ssa Rossella Chirieleison, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed istanza disattesa, così provvede accerta e dichiara che la ricorrente in data 23 settembre 2020 ha subito un infortunio in occasione di lavoro nonché la sussistenza di postumi invalidanti a carico della stessa tali da determinarne un grado di menomazione permanente dell'integrità psico-fisica pari all'8% e, per l'effetto condanna INAIL a corrispondere alla ricorrente il conseguente indennizzo in capitale dovuto ai sensi dell'articolo 13 D.Lgs. numero 38/2000 e di importo pari a euro € 9.811,86, nonché la somma di € 345,51 per cure mediche, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo.