La Suprema Corte di Cassazione, quale giudice di ultima istanza, sottopone alla Corte di giustizia dell'Unione europea domanda di pronuncia pregiudiziale sulla questione di interpretazione del diritto dell’Unione circa la mancata o tardiva o non corretta applicazione dello Stato italiano della Direttiva relativa all’«indennizzo delle vittime del reato», in favore delle vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali.
Il caso A seguito di un noto e cruento fatto di cronaca, si è posto il problema del risarcimento dei danni dei parenti della vittima. La Direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, «relativa all'indennizzo delle vittime del reato», ha previsto, in particolare, l'obbligo di cui all'articolo 12, §. 2, a carico degli Stati membri, di introdurre, entro il 10 luglio 2005 come stabilito dal successivo articolo 18, §. 1 , un sistema generalizzato di tutela indennitaria, idoneo a garantire un adeguato ed equo ristoro, in favore delle vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali, nelle ipotesi in cui le medesime siano impossibilitate a conseguire, dai diretti responsabili, il risarcimento integrale dei danni subiti. Diversamente dal giudice di primo grado, la Corte di Appello, accogliendo il gravame, condannava lo Stato italiano, in persona della Presidenza del Consiglio dei Ministri, al risarcimento dei danni per mancata tempestiva attuazione della direttiva dell'Unione Europea. La questione La prestazione indennitaria di cui alla Direttiva 2004/80/CE «deve intendersi in senso restrittivo, come riferita alla sola persona direttamente offesa, ovvero al titolare dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice», con esclusione, pertanto, di quelle che la ricorrente definisce come «vittime collaterali»? In concreto, nel caso di specie, sono da escludere i genitori, i fratelli, i nonni e gli zii della vittima di reato violento? Le soluzioni In forza dei commi 2 e 2-bis dell'articolo 11 della legge numero 122 del 2016, l'indennizzo di cui alla legge suddetta attuativa, come già rilevato, della Direttiva 2004/80/CE è corrisposto in favore del coniuge – o del convivente – superstite e dei figli, e solo in assenza dell'uno o degli altri ai genitori, mancando pure i quali la prestazione indennitaria è, infine, dovuta ai fratelli e alle sorelle, ma sole se conviventi con l'ucciso e a carico dello stesso al momento della commissione del delitto. Se difettano i presupposti per fruire della prestazione indennitaria, non si può lamentare alcuna pretesa risarcitoria per l'intempestiva adozione di tale provvedimento legislativo. Tuttavia, l'articolo 2 della Direttiva 2012/29/UE accoglie una nozione molto ampia di «vittima di reato» di omicidio , che include pure il «familiare di una persona la cui morte è stata causata da un reato», purché essa abbia «subito un danno in conseguenza della morte di tale persona». Pertanto, occorre chiedersi se contrasti con il diritto unionale la scelta del legislatore italiano di prevedere, incondizionatamente, la fruizione dell'indennizzo – stabilito per le “vittime del reato” intenzionale violento costituito dall'omicidio volontario – solo in favore del coniuge o convivente e dei figli dell'ucciso, riconoscendolo, invece, ai genitori dell'ucciso esclusivamente in mancanza dei primi beneficiari, ovvero, ai fratelli o le sorelle, soltanto in carenza anche di tali secondi beneficiari, oltre che in forza dell'ulteriore presupposto che essi fossero conviventi con l'ucciso e a carico dello stesso. La scelta del diritto unionale pare essere nel senso di dare rilevo, unicamente, alla condizione soggettiva di “familiare” dell'ucciso e a quella oggettiva costituita dall'aver subito un danno a causa della morte dello stesso, senza, però, che vi sia “certezza” su tale interpretazione. Difatti, la Direttiva nulla dice sulla possibilità che il diritto all'indennizzo possa essere “graduato” o “limitato” per alcuni dei familiari dell'ucciso. Siffatto “silenzio” potrebbe interpretarsi, indifferentemente, tanto come preclusione alla previsione di condizioni o limiti diversi – per il familiare – dall'aver subito un danno in conseguenza della morte del proprio congiunto, quanto, all'opposto, come riconoscimento di un'ampia discrezionalità ai legislatori nazionali nel dare attuazione al principio della necessità di indennizzare tali soggetti. Dunque, secondo la Cassazione mancano le condizioni perché possa ravvisarsi l'ipotesi del c.d. acte clair, che consentirebbe «un'interpretazione del diritto dell'Unione europea così ovvia da non lasciare spazio a nessun ragionevole dubbio” sulla sua applicazione, con prevalenza rispetto al diritto interno contrastante» cfr. Cass. Sez. Lav., ord. 15 dicembre 2022, numero 36776 . Di qui la necessità di sottoporre alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale, perché solo ammettendo che nonni, fratelli e/o sorelle, nonché zii e/o zie dell'ucciso possano fruire dell'indennizzo alla sola condizione di aver subito un danno dall'uccisione del proprio congiunto, appare possibile predicare, nel caso di specie, l'esistenza di una responsabilità per “incompleto” oltre che intempestivo recepimento di diritto unionalenon self executing. In effetti, la nozione di “vittima di reato” appare accolta in termini molto più ampi dal diritto unionale e nazionale. Da questo punto di vista, non pare condivisibile la tesi difensiva dello Stato italiano di limitare l'indennizzo, configurando i congiunti dell'ucciso quali vittime solo “collaterali” dell'illecito. Ormai è acquisito in giurisprudenza il raggio d'azione del risarcimento da perdita del rapporto parentale con riferimento a questo, si parla «spesso impropriamente di danno riflesso, ossia di un danno subito per una lesione inferta non a sé stessi, ma ad altri», mentre, in realtà, «il danno subito dai congiunti è diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime diverse, ma egualmente dirette», sicché «impropriamente allora, se non per mera esigenza descrittiva, si parla di vittime secondarie» così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 8 aprile 2020 numero 7748 . Conclusioni La Corte Suprema di Cassazione, sottopone alla Corte di giustizia dell'Unione europea domanda di pronuncia pregiudiziale, in ordine alla seguente questione di interpretazione del diritto dell'Unione. Dica la CGUE «se – con riguardo alla situazione di intempestivo e/o incompleto recepimento nell'ordinamento interno della Direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, “relativa all'indennizzo delle vittime del reato”, non self executing, quanto alla istituzione, da essa imposta, di un sistema di indennizzo delle vittime di reati violenti residenti in uno Stato membro dell'Unione, che fa sorgere la responsabilità risarcitoria dello Stato stesso, in forza dei principi enunciati dalla giurisprudenza della CGUE cfr., con specifico riferimento alla direttiva suddetta, la sentenza della Grande Sezione del 16 luglio 2020, in comma 129-19, in particolare § 56 – il diritto dell'Unione imponga che tale responsabilità risarcitoria sia affermata nei confronti di ogni familiare di una persona la cui morte sia stata causata da un reato siffatto, purché abbia subito un danno in conseguenza del decesso di tale persona, neppure esclusi gli ascendenti diversi dai genitori, nonché i fratelli e/o sorelle e ogni altro parente in via collaterale, diversamente da quanto previsto dall'articolo 11, comma 2-bis, della legge 7 luglio 2016, numero 122, secondo cui, “in caso di morte della vittima in conseguenza del reato, l'indennizzo è corrisposto in favore del coniuge superstite e dei figli”, nonché, ma solo “in mancanza del coniuge e dei figli”, ai genitori e, in assenza anche di costoro, ai fratelli e alle sorelle, per questi ultimi, però, solo alla duplice condizione che fossero conviventi con il defunto, nonché a carico dello stesso al momento della commissione del delitto».
Presidente Frasca - Relatore Guizzi Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.