Le Sezioni Unite su prescrizione, statuizioni civili e regola di giudizio in appello

Nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civile fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 182 del 2021, ma è comunque tenuto a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito. 

L'intervento nomofilattico è stato sollecitato dalla ordinanza numero 30386/2023 che, richiamando la sentenza della Corte costituzionale numero 182 del 2021 ha chiesto «se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione , possa pronunciare l'assoluzione nel merito, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell'oltre ogni ragionevole dubbio, ovvero debba far prevalere la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pronunciandosi sulle statuizioni civili secondo la regola processual-civilistica del più probabile che non». Secondo l'ordinanza di rimessione, il giudice dovrebbe limitarsi a dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, e proseguire unicamente il giudizio sulle statuizioni civili applicando la diversa regola processual-civilistica del “più probabile che non”. L'intervento di legittimità ha avuto ad oggetto il caso di un capitano di una imbarcazione per il trasporto passeggeri che aveva travolto, all'interno di un porto, una imbarcazione da diporto provocando la morte per annegamento del conducente. In primo grado, il Tribunale lo aveva condannato ad un anno di reclusione ed al risarcimento dei danni alle parti civile da liquidarsi in separata sede. Proposto appello, la Corte territoriale, premesso che il reato si era nel frattempo prescritto, «in considerazione della presenza delle parti civili, valutava i fatti nel merito, e perveniva alla conclusione che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, l'istruttoria dibattimentale non avesse consegnato la prova della penale responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio». E pertanto, assolveva l'imputato perché il fatto non sussiste, con revoca delle statuizioni. Contro questa decisione hanno proposto ricorso le parti civili. Sui poteri di cognizione del giudice dell'impugnazione chiamato a decidere sull'azione civile, in presenza di estinzione del reato, era intervenuta la Corte Costituzionale con una pronuncia di non fondatezza di questioni di legittimità costituzionale dell‘articolo 578 cod. proc. penumero Corte Cost., 30 luglio 2021, numero 182 , nella quale si è anche affermato che, ai fini della decisione sulla domanda risarcitoria ai sensi della suddetta norma del codice di rito, il giudice dell'impugnazione penale «non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano articolo 2043 c.c. ». La Corte Costituzionale, muovendo dall'articolo 578 cod. proc. penumero , ha osservato che «il giudice dell'impugnazione penale giudice di appello o Corte di cassazione , spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale dell'imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione o per sopravvenuta amnistia , deve provvedere - in applicazione della disposizione censurata - sull'impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o annullando la condanna già emessa nel grado precedente, sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, senza poter riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilità dell'imputato per il reato estinto». Nella ordinanza di rimessione si è precisato che il tema che è «rimasto in ombra concerne la compressione dello spazio per l'assoluzione dell'imputato, pur in assenza dell'evidenza della prova dell'innocenza […], a fronte di un compendio probatorio che non consenta di superare il limite del ragionevole dubbio». In altri termini, l'interpretazione costituzionalmente orientata «pare interdire la possibilità dell'assoluzione nel merito in luogo della declaratoria di prescrizione». Inoltre, una simile soluzione sarebbe in contrasto con il precedente arresto delle Sezioni Unite numero 35490/2009, Tettamenti , dovendone disapplicare il principio secondo cui «all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, quando, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili». Le Sezioni Unite hanno affrontato, ancora una volta, la complessa questione del potere del giudice di appello, investito dell'impugnazione anche agli effetti civili, di pronunciare l'assoluzione nel merito, dopo l'estinzione del reato per prescrizione, anche in presenza di prove insufficienti o contraddittorie, confermando l'approccio già delineato dalla sentenza “Tettamanti” del 2009. Con la pronuncia in commento si è statuito che, a seguito della prescrizione del reato, il giudice di appello adito anche contro la condanna al risarcimento dei danni, può pronunciare l'assoluzione nel merito a fronte di “prove insufficienti o contraddittorie”, applicando la regola processual-penalistica dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Pertanto, il quesito è stato risolto nel segno della continuità dalle S.U. secondo le quali «in coerenza con i principi sanciti dall'articolo 27 Cost., dall'articolo 6 della Cedu e dagli articolo 48 e 53 della Carta di Nizza, il giudice può pronunciare l'assoluzione nel merito alla stregua dei principi enunciati dalle Sezioni Unite, Tettamanti». Secondo tale ultima decisione, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129 comma 2, cod. proc. penumero solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. La decisione appare assai innovativa, giacché non circoscrive il potere di cognizione del giudice penale dell'impugnazione, chiamato a decidere sull‘azione civile, al solo accertamento, in via diretta o incidentale, dell'illecito penale dal quale deriva la responsabilità civile da danno ciò comporta anche notevoli ricadute sul piano probatorio, in quanto l'accertamento in sede penale non soffre delle preclusioni e dei limiti previsti in sede civile in considerazione soprattutto del differente criterio dì valutazione della prova, collegato a parametri predeterminati e fondato invece, nel processo penale, sul principio di atipicità. In conclusione, Il giudice di appello, investito dell'impugnazione da parte dell'imputato della sentenza di condanna in primo grado, e in presenza della parte civile, deve in primo luogo vagliare la fondatezza dell'appello concernente la statuizione sui capi penali secondo il criterio dell'oltre ogni ragionevole dubbio e pervenire all'esito assolutorio anche nei casi nei quali la prova sia insufficiente o contraddittoria.

Presidente Cassano - Relatore Serrao Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.