Chiuso in Cassazione il contenzioso relativo ad un assegno mensile fissato in 100 euro in Tribunale. Confermata in terzo grado la pronuncia dei giudici d'Appello. Decisiva la comparazione delle precarie condizioni delle due donne.
“Scoppiata” la coppia legata con unione civile, le rispettive precarie condizioni economiche delle due donne fanno cadere l'ipotesi del mantenimento, anche se minimo. Dura cinque anni – senza contare il periodo della precedente convivenza – il legame tra le due donne – Tizia e Caia - legame ufficializzato grazie all'unione civile. Una volta avvenuta la rottura definitiva, però, Tizia chiede e ottiene in Tribunale un piccolo mantenimento – 100 euro al mese – dalla ex partner. E in Appello punta addirittura a vedere aumentata la cifra stabilita in Tribunale, ma, invece, viene accolta l'istanza presentata da Caia , istanza mirata ad ottenere la revoca dell'obbligo posto a suo carico. In particolare, i giudici di secondo grado prendono in esame gli elementi addotti da Tizia a sostegno della richiesta di assegno, e osservano che «la malattia, cioè una patologia depressiva» da lei dedotta non è decisiva, soprattutto perché non è stata provata la sua «inabilità al lavoro», essendo stato accertato, da parte sua, «lo svolgimento di attività lavorativa durante l'unione civile, occupazione che poi aveva lasciato volontariamente per non perdere la pensione di invalidità». Per completare il quadro, poi, i giudici di secondo grado sottolineano che Caia «è rimasta priva di redditi al momento della decisione di primo grado, pur avendo svolto in precedenza attività lavorativa, e che ella è gravata da una serie di debiti, contratti nel corso dell'unione civile». Tirando le somme, «la sostanziale e quasi totale assenza di redditi di entrambe le donne non consente di porre obblighi di sostegno economico a carico di Caia», chiosano i giudici d'Appello. Inutile si rivela il ricorso proposto in Cassazione dal legale che rappresenta Tizia. Privo di valore, secondo i magistrati, il riferimento alle vicende familiari, precedenti all'unione civile, della donna, ossia «il suo pregresso matrimonio eterosessuale, caratterizzato dalla nascita di tre figlie e la sua decisione di trasferirsi a vivere con una figlia presso la» oramai ex «compagna, con cui aveva iniziato la nuova relazione, regolata, poi, con l'unione civile». E irrilevante, sempre secondo i giudici, anche il passaggio relativo alla «condizione di invalida civile» di Tizia. Ciò che conta, però, chiariscono i magistrati, è la mancanza di prove in merito alla posizione di Caia come «soggetto più forte economicamente» all'interno della oramai ex coppia. Su questo fronte il legale di Tizia rimarca che «l'assegno di mantenimento trova il proprio fondamento nel dovere di assistenza che grava sul coniuge a prescindere dal sesso economicamente più forte» e ritiene debba essere valutata «non solo la durata dell'unione civile, ma anche la convivenza che la aveva preceduta». Inoltre, sempre secondo il legale, «non è stata rettamente comparata la condizione economica delle due donne», e, a questo proposito, «Caia ha un lavoro, un'immobile abitativo suo personale, diverso da quello dove vivevano le due donne, mentre Tizia gode di una pensione di invalidità, non ha beni immobili e neppure un autoveicolo». A tali osservazioni, però, i magistrati di Cassazione ribattono ricordando, innanzitutto, che «in caso di unioni civili, il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore dell'ex partner, assegno cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex partner che ha chiesto l'assegno, e dell'impossibilità, per ragioni oggettive, per lei di procurarseli». Di conseguenza, «il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti». Ebbene, nella vicenda in esame è palese, secondo i giudici, «l'assenza dei presupposti richiesti» per l'assegno di mantenimento. Decisivo il riferimento alla documentazione probatoria prodotta da Caia, documentazione da cui si deduce «la sua totale assenza di redditi».
Presidente Acierno – Relatore Tricomi Rilevato che 1.- Il Tribunale di Pisa, con sentenza numero 1360/2022, pubblicata il 9 novembre 2022, pronunciò lo scioglimento dell'unione civile costituita tra C.N. e L.R. in data 3 settembre 2017 e pose a carico di L.R. l'obbligo di corrispondere un contributo mensile al mantenimento di C.N. di euro 100,00=, oltre adeguamento ISTAT. La Corte di appello di Firenze, in sede di gravame, ha respinto l'appello principale con cui C.N. aveva chiesto l'incremento dell'assegno di mantenimento ed ha, viceversa, accolto l'appello incidentale con cui L.R. aveva chiesto la revoca dell'obbligo posto a suo carico. Segnatamente, la Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado, quanto alla valutazione degli elementi addotti a sostegno della richiesta di assegno, rimarcando che alcune delle circostanze allegate da C.N. era generiche e non decisive ai fini della doglianza proposta, segnatamente la circostanza che la stessa avesse in precedenza contratto un matrimonio eterosessuale nell'ambito del quale erano nate tre figlie e la circostanza che ella avesse investito affettivamente nella relazione di coppia ha, inoltre, rilevato che il Tribunale aveva tenuto conto della malattia dedotta da C.N. patologia depressiva perché non contestata da L.R., anche se non documentata, rimarcando tuttavia che ciò che non era stato provato era l'inabilità al lavoro, posto che era stato accertato lo svolgimento di attività lavorativa da parte di C.N. durante la unione civile, occupazione che aveva lasciato volontariamente per non perdere la pensione di invalidità. La Corte di merito ha, tuttavia, accolto l'appello incidentale e revocato, come richiesto da L.R., l'assegno di mantenimento ravvisando la mancanza dei presupposti richiesti in particolare, ha accertato che l'obbligata era rimasta priva di redditi al momento della decisione di primo grado, pur avendo svolto in precedenza attività lavorativa, e che era gravata da una serie di debiti, contratti nel corso dell'unione civile, di guisa che la sostanziale e quasi totale assenza di redditi di entrambe le parti non consentiva di porre obblighi di sostegno economico a carico di L.R C.N. ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi, seguito da memoria L.R. ha replicato con controricorso e memoria. È stata disposta la trattazione camerale. Considerato che 2.- Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli articolo 115 c.p.c. e dell'articolo 132 numero 4 c.p.c. in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c. ed in particolare per avere la Corte d'Appello omesso l'esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ossia non ha preso in considerazione dei fatti avvenuti prima dell'unione civile. La ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ritenuto non decisive le vicende familiari, riguardanti il suo pregresso matrimonio eterosessuale da cui erano nate tre figlie e la sua decisione di trasferirsi a vivere con una figlia presso la compagna con cui aveva iniziato la nuova relazione regolata, poi con l'unione civile. Lamenta anche che non si sia tenuto in debito conto della sua condizione di invalida civile e di quanto dedotto in merito all'inabilità al lavoro dalla stessa prospettata. Il motivo è inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli articolo 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione Cass. numero 27000 del 27/12/2016 Cass. numero 1229 del 17/01/2019 . Nella specie, invece, il mezzo involge esclusivamente un apprezzamento di merito di cui sollecita una revisione, inammissibile in sede di ricorso per cassazione, senza, peraltro, indicare fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti tempestivamente dedotti e provati in fase di merito, veicolati con censura per vizio motivazionale. 3.- Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione dell'articolo 156 co. 2 c.c., dell'articolo 132 numero 4 in relazione all'articolo 360 numero 3 e 4 nella parte in essa si sostiene che non vi sarebbe alcuna prova per ritenere la convenuta il soggetto più economicamente forte. La ricorrente rimarca che l'assegno di mantenimento trova il proprio fondamento nel dovere di assistenza che grava sul coniuge a prescindere dal sesso economicamente più forte e deduce che avrebbe dovuto essere valutata non solo la durata dell'unione civile, ma anche la convivenza che la aveva preceduta. Quindi si duole che non sia stata rettamente comparata la condizione economica delle due parti e deduce a tal fine che la resistente ha un lavoro, un'immobile abitativo suo personale diverso da quello dove vivevano, che era stato concesso gratuitamente da una cugina della L.R. , mentre essa ricorrente gode di una pensione di invalidità, non ha beni immobili, neppure un autoveicolo. Il motivo è inammissibile. In caso di unioni civili, cui si applica l'articolo 5, comma 6, della legge numero 898/1970, richiamato dall'articolo 25 della legge numero 76/2016 Cass. Sez. U. numero 35969/2023 , il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore dell'ex partner, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'articolo 5, comma 6, della l. numero 898 del 1970, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex partner istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno, come chiarito da Cass. Sez. U. numero 18287 del 11/07/2018. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto. Nel caso in esame, la decisione impugnata si è attenuta ai criteri sopra ricordati ed ha accertato l'assenza dei presupposti richiesti, prendendo in esame la documentazione probatoria versata in atti da L.R., dalla quale ha dedotto la sua totale assenza di redditi, con accertamento che non è efficacemente contrastato dalla ricorrente che propone personali prospettazioni e critiche non accompagnate dall'indicazione – in osservanza dell'onere di specificità - di specifici elementi probatori tempestivamente allegati a sostegno in fase di merito, atti a contrastare tale conclusione e non esaminati. 4.- Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. numero 196 del 2003, articolo 52. Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto. P.Q.M. - Dichiara inammissibile il ricorso - Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in euro 2.000,00=, oltre euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge - Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 - Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.