La Corte torna sul principio di parità di trattamento in tema di pubblico impiego privatizzato

La Corte di Cassazione, con ordinanza numero 24574/2024, ha accolto il ricorso di una collaboratrice amministrativa dipendente di una Azienda Sanitaria ed ha espresso un principio importante in materia di pubblico impiego privatizzato.

La lavoratrice chiedeva la condanna dell'ex datrice di lavoro al pagamento di differenze retributive pari a € 15.465,71, asseritamente dovute a titolo di maggiore indennità di posizione organizzativa, chiesta in misura corrispondente a quella percepita da altra dipendente titolare della medesima posizione. Per dirimere la controversia in oggetto, il Collegio sottolinea che «in materia di pubblico impiego privatizzato, il principio espresso dall'articolo 45 del d.lgs. 30 marzo 2001, numero 165, secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell'ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in sede contrattuale collettiva, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive, come tali, della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell'autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato, di regola bastevole, salva l'applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete nel caso di accorpamento di unità amministrative precedentemente assoggettate a distinte contrattazioni collettive integrative, le disparità del trattamento economico accessorio risultanti dai diversi contratti integrativi non sono illegittime e non cessano di avere efficacia, in attesa che la pubblica amministrazione adempia all'obbligo di provvedere ad una nuova graduazione degli incarichi e a una nuova quantificazione delle indennità in caso di colpevole ritardo della pubblica amministrazione, i lavoratori penalizzati possono al più vantare pretese a titolo di risarcimento del danno da inadempimento, non a titolo di retribuzione».

Presidente Di Paolantonio – Relatore Zuliani Fatti di causa L'attuale controricorrente, collaboratrice amministrativa dipendente dell' OMISSIS OMISSIS , dopo il pensionamento si rivolse al Tribunale di Ancona, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere la condanna dell'ex datrice di lavoro al pagamento di differenze retributive pari a € 15.465,71, asseritamente dovute a titolo di maggiore indennità di posizione organizzativa, chiesta in misura corrispondente a quella percepita da altra dipendente titolare della medesima posizione. Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale accolse la domanda e la sentenza di primo grado venne confermata dalla Corte d'Appello di Ancona. Contro la sentenza d'appello OMISSIS ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. La lavoratrice si è difesa con controricorso. La causa è trattata in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 380-bis.1 c.p.c. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso denuncia «violazione e falsa applicazione degli articolo 1362 e 1363 c.c. in relazione agli articolo 4, comma 2, 20, 21 e 39 del CCNL 17.4.1999 del Comparto Sanità. Violazione e falsa applicazione della Legge regionale della Regione Marche numero 13/2003 e delle modificazioni e integrazioni successivamente intervenute con la legge regionale della Regione Marche numero 17/2011 e s.m.i. articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. ». La ricorrente contesta alla Corte territoriale di avere applicato alla fattispecie il principio di parità di trattamento di cui all'articolo 45, comma 2, del d.lgs. numero 165 del 2001, senza tenere conto delle peculiarità derivanti dalle leggi regionali marchigiane con cui venne dapprima istituita l' OMISSIS , accorpando le preesistenti AUSL l.r. numero 13 del 2003 , e poi furono raggruppate in 5 Aree Vaste le 13 originarie Zone territoriali in cui era suddiviso il territorio regionale l.r. numero 17 del 2011 . L'attuale controricorrente, già in servizio presso la Zona territoriale di Fabriano, in seguito all'accorpamento di questa nell'Area Vasta numero 2, chiese il pagamento dell'indennità di posizione organizzativa «Gestione trattamento economico personale dipendente» nella superiore misura percepita da altra dipendente, titolare della medesima posizione organizzativa presso altra Zona territoriale Jesi , anch'essa accorpata nell'Area Vasta 2. La domanda è stata accolta in entrambi i gradi di merito, ma la ricorrente rileva che gli importi delle indennità di posizione organizzativa erano stati determinati - tra il minimo e il massimo indicati dal CCNL - dalle rispettive contrattazioni collettive decentrate integrative, che la l.r. numero 13 del 2003 aveva affidato alle Zone territoriali, le quali utilizzavano fondi distinti e separati per il pagamento di quelle indennità. 1.1. Il motivo è fondato. Il principio di diritto rilevante per la decisione della presente controversia è già stato da tempo, e più volte, affermato da questa Corte «in materia di pubblico impiego privatizzato, il principio espresso dall'articolo 45 del d.lgs. 30 marzo 2001, numero 165, secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell'ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive, come tali, della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell'autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato, di regola bastevole, salva l'applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete» Cass. numero 1037/2014, con i precedenti ivi richiamati, a cominciare da Cass. S.U. numero 10454/2008 conformi, successivamente, Cass. nnumero 6553/2019 19043/2017 . Come rilevato dalla ricorrente, la misura dell'indennità di posizione organizzativa percepita da G.M. era stata stabilita, nell'ambito dei valori minimo e massimo fissati dal CCNL di comparto 7.4.1999, dalla contrattazione collettiva integrativa sottoscritta a livello di Zona territoriale, in ossequio a una specifica previsione della l.r. numero 13 del 2003 articolo 10, comma 2, nel testo originario «Il direttore di zona ha la piena titolarità della gestione del personale, della contrattazione di secondo livello, che sottoscrive in via definitiva, nonché della definizione della dotazione organica della zona medesima» . Ciò basta per escludere che sia discriminatoria la diversità di trattamento rispetto ai colleghi titolari della medesima posizione organizzativa in altre Zone territoriali, le cui indennità, quindi, erano determinate in altri contratti collettivi integrativi. Correttamente OMISSIS osserva che la Zona territoriale di Fabriano non fu incorporata nella Zona territoriale di Jesi ove era stata pattuita una indennità di posizione superiore , il che avrebbe posto in altri termini il tema dell'estensione del trattamento economico vigente per i dipendenti dell'incorporante anche ai dipendenti incorporati. Invece, con la l.r. numero 17 del 2011, sia la Zona territoriale di Fabriano, sia quella di Jesi furono accorpate, insieme ad altre, nella nuova realtà organizzativa dell'Area Vasta, alla quale furono attribuiti analoghi poteri e competenze in ambito sindacale articolo 12, commi 2 e 3 «L'area vasta è unità amministrativa autonoma ai fini della contrattazione collettiva. La contrattazione è effettuata dalla delegazione trattante di area vasta» «I contratti decentrati integrativi sottoscritti a livello di area vasta sono definitivi» . A seguito dell'istituzione delle nuove unità organizzative, competenti alla contrattazione collettiva decentrata e alla gestione del fondo destinato al pagamento delle indennità di posizione costituito dal cumulo delle risorse disponibili nei fondi delle previgenti Zone territoriali , si rendevano necessarie una nuova graduazione degli incarichi e una nuova quantificazione delle indennità. In mancanza di tali incombenti, dev'essere comunque escluso un livellamento verso l'alto delle indennità da corrispondere, perché sarebbe incompatibile con l'invarianza della sommatoria dei fondi disponibili e perché non è imposto dal principio di parità di trattamento, dato che i trattamenti differenziati trovano origine nella contrattazione collettiva. In caso di colpevole ritardo dell'Azienda nel provvedere alla nuova graduazione degli incarichi necessaria per pervenire alla nuova quantificazione dell'indennità, i lavoratori penalizzati possono vantare al più pretese di tipo risarcitorio, ma non di tipo retributivo. È quindi errata la sentenza impugnata che ha riconosciuto alla lavoratrice un credito a titolo di retribuzione. 2. Il secondo motivo censura «omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti articolo 360, comma 1, numero 5, c.p.c. ». La ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice d'appello ha ritenuto non contestata l'allegazione della lavoratrice di avere svolto le medesime attività della collega che, proveniente da altra Zona territoriale, percepiva un'indennità di posizione organizzativa più elevata. 2.1. Il motivo, per come posto, è inammissibile, dal momento che la decisione assunta è stata conforme nei due gradi di merito e che «al ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado» si applica la regola per cui il ricorso «può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1 , 2 , 3 e 4 del primo comma dell'articolo 360» articolo 348-ter, commi 4 e 5, c.p.c., testo vigente ratione temporis norma oggi sostanzialmente ribadita nell'articolo 360, comma 4, c.p.c. . 3. All'accoglimento del primo motivo ricorso, consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'Appello di Ancona, che provvederà, in diversa composizione, anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio, attenendosi al seguente principio di diritto «in materia di pubblico impiego privatizzato, il principio espresso dall'articolo 45 del d.lgs. 30 marzo 2001, numero 165, secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell'ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in sede contrattuale collettiva, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive, come tali, della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell'autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato, di regola bastevole, salva l'applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete nel caso di accorpamento di unità amministrative precedentemente assoggettate a distinte contrattazioni collettive integrative, le disparità del trattamento economico accessorio risultanti dai diversi contratti integrativi non sono illegittime e non cessano di avere efficacia, in attesa che la pubblica amministrazione adempia all'obbligo di provvedere ad una nuova graduazione degli incarichi e a una nuova quantificazione delle indennità in caso di colpevole ritardo della pubblica amministrazione, i lavoratori penalizzati possono al più vantare pretese a titolo di risarcimento del danno da inadempimento, non a titolo di retribuzione». 4. Si dà atto che, in base all'esito del giudizio, non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. numero 115 del 2002. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per decidere sulle spese del giudizio di legittimità.