Il XIX Legislatore non meno di qualche mese fa, con l’articolo 1 del c.d. d.d.l Nordio era intervenuto iconoclasticamente e di nuovo sul delitto di abuso d’ufficio, previsto dall’articolo 323 c.p., abrogandolo. Ma nell’aria c’era già, sotto diversi profili giuridici, qualcosa che non convinceva parte degli studiosi del diritto penale, del mondo accademico, della magistratura e dell’avvocatura che, con litri di inchiostro, evidenziavano i potenziali profili di incostituzionalità.
La Procura della Repubblica di Reggio Emilia, rappresentata dal Procuratore Gaetano Calogero Paci e dal sostituto Valentina Salvi, ha chiesto, con una memoria condivisa da tutto l'Ufficio, datata 9 settembre 2024, al Tribunale di sollevare, per la prima volta, questione di legittimità costituzionale della legge 9 agosto 2024, numero 114 c.d. legge Nordio , nella parte in cui ha abrogato la norma incriminatrice dell'abuso d'ufficio articolo 323 c.p. . L'iniziativa trae origine dal processo di Bibbiano “Angeli e Demoni” sui presunti affidi illeciti di minori a Bibbiano dove, dopo l'assoluzione di uno psicologo, sono quattro le contestazioni di abuso d'ufficio, tra cui quella dell'ex Sindaco di Bibbiano per aver affidato alla Onlus dello psicologo il servizio di psicoterapia per minori sotto tutela «in assenza di qualsiasi voglia procedura di evidenza pubblica». In tale contesto, qualora venisse pronunciata una sentenza di non luogo a procedere, verrebbero meno alcuni capi di imputazione. Da qui, secondo la Procura di Reggio Emilia la dirimenza della questione. La memoria che richiama i principi della sentenza della Corte Costituzionale numero 8/2022 con cui, nella parte finale, è stata dichiarata l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in ordine all'articolo 3 e 97 Cost. rispetto alla novella del 2020 che, in tema di abuso d'ufficio, ne aveva limitato la portata applicativa, è dunque di particolare interesse perché pone alcuni dubbi di legittimità costituzionale della recente legge, entrata in vigore il 25 agosto scorso. I dubbi attengono innanzitutto a un possibile contrasto dell'abrogazione dell'articolo 323 c.p. con l'articolo 3 della Costituzione, nella sua declinazione avente ad oggetto la disparità di trattamento sanzionatorio rispetto a fattispecie analoghe a quella abrogata se non addirittura connotate, rispetto a quest'ultima, anche da un minor disvalore. E ciò in assenza di qualsivoglia criterio sotteso alla ragionevolezza della suddetta discriminazione . Sono quindi, evidenti possibili vuoti di tutela penale conseguenti all'abolitio criminis e relativi, nel caso di specie all'affidamento di servizi di psicoterapia a favore di minori in tutela del servizio sociale in assenza di procedure di evidenza pubblica e al pagamento degli stessi attraverso l'utilizzo di soggetti fittiziamente interposti al versamento ad affidatari di minori, da parte di un dirigente pubblico, di una quota di affido doppia rispetto a quelle previste dalla legge, omettendo di astenersi in virtù di pregressi rapporti di amicizie e di natura professionale al versamento, in un altro caso, di quote di affido proseguito anche dopo la maggiore età del minore maggiorate rispetto a quelle previste dalla legge, omettendo il dirigente pubblico di astenersi in virtù del rapporto sentimentale e di convivenza con l'affidatorio, della comproprietà dell'abitazione su cui entrambi pagavano il mutuo e della cointestazione di un conto corrente Gatta, Abolizione dell'abuso d'ufficio e Caso di Bibbiano La Procura di Reggio Emilia chiede al Tribunale di sollevare questione di legittimità Costituzionale, in Sistema Penaleonline, 11.09.2024 . La memoria svolge interessanti considerazioni, in punto di fondatezza, relative al ritenuto contrasto con i parametri costituzionali sopra richiamati mostrando, tra l'altro, profili di irragionevolezza in rapporto alla perdurante incriminazione dei fatti di omissione di atti d'ufficio ex articolo 328 c.p. e di quelli riconducibili alla turbativa d'asta ex articolo 353 e 353 bis c.p. . E dunque, secondo la Procura affidare un servizio pubblico, in assenza di alcuna procedura ad evidenza pubblica e magari ad un soggetto favorito , anche eventualmente legato da rapporti affaristici con il pubblico ufficiale, risulterebbe per il soggetto agente una scelta senza dubbio meno rischiosa del rispetto delle specifiche regole di condotta previste dal Codice Appalti seppur solo alterandole al fine di favorire il medesimo soggetto. Si tratta di macroscopici paradossi sottesi all'avvenuta abrogazione del delitto di cui all'articolo 323 c.p. in palese violazione dell'articolo 3 della Costituzione e di certo in altrettanta manifesta violazione del canone di ragionevolezza. Ancora, ulteriori dubbi di costituzionalità riguardano la violazione dell'articolo 97 della Costituzione. Il legislatore non ha certo rimosso il presidia penale alla tutela del bene giuridico di cui all'articolo 97 Cost. sostituendolo con «altri precetti e sanzioni» ma, attraverso l'abrogazione dell'abuso d'ufficio si è limitato a lasciarlo sostanzialmente indifeso. L'abrogazione del reato di abuso d'ufficio secondo la Procura di Reggio Emilia contrasta anche con il diritto di difesa costituzionalmente garantito a tutti i cittadini rispetto ai propri diritti e interessi legittimi. In particolare, la completa abrogazione del reato di cui all'articolo 323 c.p. postula, altresì, l'abrogazione anche del cosiddetto abuso di danno ossia la condotta prevaricatrice del pubblico ufficiale, contra legem ovvero in omessa astensione di conflitto di interessi, intenzionalmente diretta a provocare un danno al privato. Innanzitutto, occorre rilevare che si tratta di un vuoto di tutela che, sul piano penale, non può essere colmata sic et simpliciter da altre fattispecie. Non si rinviene infatti, nell'ordinamento penale, una norma in grado di abbracciare condotte di prevaricazione del pubblico ufficiale che non sfocino in una promessa o dazione di denaro, o di altre utilità, da parte del privato in grado dunque di integrare ad esempio la piu grave fattispecie di concussione ovvero che non difettino di quei caratteri tipici ad esempio della corruzione o del peculato per l'impossibilita di sussumere le predette condotte nell'alveo del 353 c.p. o 353 bis c.p. . La Procura di Reggio Emilia dopo aver premesso come la violazione degli obblighi comunitari, sia sulla scorta della sentenza 8/2022 che soprattutto di quella 37/2019 Corte Cost., non pone ostacoli all'intervento della Corte Costituzionale con effetti in malam partem ed in particolare rispetto alla dichiarazione di incostituzionalità di una lex abrogans con contestuale riviviscenza della norma incriminatrice abrogata, ha rilevata che l'abrogazione tout court dell'abuso d'ufficio si pone altresì in contrasto con l'articolo 117 Cost. L'abrogazione del reato di abuso d'ufficio si è evidenziato va in direzione del tutto opposta «all'adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti di interessi», eliminando invece la tutela penale fino ad oggi esistente proprio rispetto all'illecito vantaggio procurato a se o ad altri ovvero il danno intenzionalmente provocato al terzo dal pubblico amministratore a seguito di omessa astensione in caso di conflitto di interessi. Ma secondo il Guardasigilli Nordio, l'istanza della Procura della Repubblica di Reggio Emilia, è inammissibile. La Procura di Reggio Emilia ha sostenuto, è contro l'abuso d'ufficio «penso - ha dichiarato Nordio da modesto costituzionalista , a margine di una conferenza stampa a via Arenula che l'istanza sarà dichiarata inammissibile. Come si fa a pensare che una norma che abolisce un reato sia incostituzionale? Se paradossalmente fosse eliminata questa norma, che cosa fai? Fai rivivere un reato che è stato abolito da una norma di legge? L'incostituzionalità di una norma che abolisce un reato è una contraddizione “in adiecto”, perché anche se paradossalmente fosse accolta dalla Corte, una volta eliminato il reato non può rivivere a seguito di una sentenza della Corte costituzionale. Sarebbe una retroattività della legge penale che è inammissibile dalla stessa Costituzione». Argomenti già tracciati in udienza dai difensori degli imputati che sostengono come un eventuale accoglimento da parte della Consulta, introdurrebbe una retroattività sfavorevole. Cosa che, sottolineano ancora i difensori degli imputati, non è possibile la Corte costituzionale, infatti, non avrebbe questo potere, essendo la materia coperta da riserva assoluta di legge inoltre, qualora anche accadesse, la sentenza non potrebbe avere gli effetti tipici retroattivi, perché entrerebbe in contrasto con l'articolo 25, comma 2 Cost. E mentre l’estate improvvisamente svanisce sotto le nuvole grigie cariche di pioggia si attendono segnali incoraggianti, stavolta da parte del Tribunale di Reggio Emilia.
Giudice Salvi 1. Rilevanza della questione Come testé indicato, nell'ambito del presente procedimento penale nr. omissis RGNR, vi sono anche le imputazioni di cui ai capi sopra indicati relativi al reato di cui all'articolo 323 c.p., reato abrogato in epoca successiva alla commissione del fatto contestato, a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 1, comma 1, lett. b , l. 9 agosto 2024, numero 114. Per effetto di tale abrogazione, il Tribunale avrebbe pertanto l'onere di dichiarare, con riferimento agli stessi, il «non doversi procedere ex articolo 129 c.p.p.» trattandosi di fatti non più previsti dalla legge come reato. Laddove invece, attraverso l'instaurando giudizio di legittimità costituzionale, la predetta abrogazione tout court fosse considerata contraria al testo costituzionale, si realizzerebbe invece la “riespansione” della rilevanza penale del comportamento oggetto del reato di abuso d'ufficio con la contestuale prosecuzione, dunque, del processo già in corso, al fine di accertare in dibattimento la sussistenza del reato contestato agli imputati. In tema di rilevanza della questione, un'ulteriore osservazione pare doverosa e ciò anche con riguardo alla stretta connessione con il tema di «non manifesta infondatezza» della medesima. Risulta di tutta evidenza, infatti, che la rilevanza della questione non appare in alcun modo pregiudicata dalla circostanza che attraverso l'instaurando giudizio di legittimità costituzionale si miri ad ottenere una “riviviscenza” di una norma penale abrogata e che dunque l'oggetto del giudizio sia rappresentato da norme penali di favore nonché di norme abrogative di ipotesi delittuose. Contraria alle fondamenta stessa dello Stato di Diritto, fondato su principi costituzionali, sarebbe infatti la possibilità che le suddette norme penali possano sfuggire al controllo di costituzionalità, precludendosi, di tal guisa, di poter garantire la preminenza del testo costituzionale sulla legislazione statale ordinaria. E' innanzitutto noto a questa Procura il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale nr. 8/2022 con cui, tra le altre cose e nella parte finale, è stata dichiarata l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in ordine all'articolo 3 e 97 Cost. rispetto alla novella del 2020 che, in tema di abuso d'ufficio, ne aveva limitato la portata applicativa. La Corte Costituzionale, infatti, fondando la preclusione di uno intervento in malam partem, sul principio di riserva di legge di cui all'articolo 25 Cost., si era così espressa «Il discorso è diverso per le questioni sollevate in riferimento agli articolo 3 e 97 Cost., intese a censurare i contenuti della norma. Riguardo ad esse, resta, infatti, pienamente operante la ricordata preclusione delle sentenze in malam partem in materia penale, cui consegue, come eccepito dall'Avvocatura dello Stato, l'inammissibilità delle questioni stesse. Onde superare l'ostacolo, il rimettente invoca decisioni di questa Corte in specie, le sentenze numero 394 del 2006 e numero 148 del 1983 che hanno ammesso la sindacabilità in malam partem delle cosiddette norme penali di favore qualifica che tuttavia non compete alla norma oggi in esame. Come questa Corte ha chiarito sentenza numero 394 del 2006 in senso conforme, tra le altre, sentenza numero 155 del 2019, numero 57 del 2009 e numero 324 del 2008 ordinanza numero 413 del 2008 , per norme penali di favore debbono intendersi quelle che stabiliscano, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico più favorevole di quello che risulterebbe dall'applicazione di norme generali o comuni compresenti nell'ordinamento. L'effetto in malam partem conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di tali norme non vulnera la riserva al legislatore sulle scelte di criminalizzazione, rappresentando una conseguenza dell'automatica riespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso già oggetto di ingiustificata disciplina derogatoria. La qualificazione come norma penale di favore non può essere fatta, di contro, discendere, come nel caso di specie, dal raffronto tra una norma vigente e una norma anteriore, sostituita dalla prima con effetti di restringimento dell'area di rilevanza penale. In tal caso, la richiesta di sindacato in malam partem non mira a far riespandere una norma tuttora presente nell'ordinamento, ma a ripristinare la norma abrogata, espressiva di una scelta di criminalizzazione non più attuale operazione preclusa alla Corte sulla inammissibilità delle questioni volte a conseguire il ripristino di norme incriminatrici abrogate o di discipline penali sfavorevoli, ex plurimis, sentenze numero 37 del 2019, numero 57 del 2009 e numero 324 del 2008 ordinanze numero 282 del 2019, numero 413 del 2008 e numero 175 del 2001 ». E' tuttavia nella nota sentenza nr. 37 del 2019, fatta salva e richiamata anche dalla citata sentenza 8/2022, che la stessa Corte Costituzionale, in tema di ammissibilità di questioni di legittimità costituzionali di leggi abrogatrici, nel caso di specie del reato di ingiuria ex articolo 594 c.p., ha delineato, in maniera esaustiva e nel dettaglio l'intera materia, partendo dal principio generale di esclusione di intervento e indicando, di contro ed in deroga, i precisi ambiti in cui il sindacato costituzionale risulta invece pienamente ammissibile a fronte della necessità di evitare la sussistenza di «zone franche» rispetto alla vigenza dei principi costituzionali. Così, la Corte Costituzionale nella citata sentenza nr. 37 del 2019 «In linea di principio, sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale che concernano disposizioni abrogative di una previgente incriminazione, e che mirino al ripristino nell'ordinamento della norma incriminatrice abrogata così, ex plurimis, sentenze numero 330 del 1996 e numero 71 del 1983 ordinanze numero 413 del 2008, numero 175 del 2001 e numero 355 del 1997 , dal momento che a tale ripristino osta, di regola, il principio consacrato nell'articolo 25, secondo comma, Cost., che riserva al solo legislatore la definizione dell'area di ciò che è penalmente rilevante. Principio, quest'ultimo, che determina in via generale l'inammissibilità di questioni volte a creare nuove norme penali, a estenderne l'ambito applicativo a casi non previsti o non più previsti dal legislatore ex multis, sentenze numero 161 del 2004 e numero 49 del 2002 ordinanze numero 65 del 2008 e numero 164 del 2007 , ovvero ad aggravare le conseguenze sanzionatone o la complessiva disciplina del reato ex multis, ordinanze numero 285 del 2012, numero 204 del 2009, numero 66 del 2009 e numero 5 del 2009 . Come ribadito anche di recente da questa Corte sentenze numero 236 del 2018 e numero 143 del 2018 , peraltro, tali principi non sono senza eccezioni. Anzitutto, può venire in considerazione la necessità di evitare la creazione di “zone franche” immuni dal controllo di legittimità costituzionale, laddove il legislatore introduca, in violazione del principio di eguaglianza, norme penali di favore, che sottraggano irragionevolmente un determinato sottoinsieme di condotte alla regola della generale rilevanza penale di una più ampia classe di condotte, stabilita da una disposizione incriminatrice vigente, ovvero prevedano per detto sottoinsieme - altrettanto irragionevolmente - un trattamento sanzionatorio più favorevole sentenza numero 394 del 2006 . Un controllo di legittimità con potenziali effetti in malam partem deve altresì ritenersi ammissibile quando a essere censurato è lo scorretto esercizio del potere legislativo da parte dei Consigli regionali, ai quali non spetta neutralizzare le scelte di criminalizzazione compiute dal legislatore nazionale sentenza numero 46 del 2014, e ulteriori precedenti ivi citati da parte del Governo, che abbia abrogato mediante decreto legislativo una disposizione penale, senza a ciò essere autorizzato dalla legge delega sentenza numero 5 del 2014 ovvero anche da parte dello stesso Parlamento, che non abbia rispettato i principi stabiliti dalla Costituzione in materia di conversione dei decreti-legge sentenza numero 32 del 2014 . In tali ipotesi, qualora la disposizione dichiarata incostituzionale sia una disposizione che semplicemente abrogava ma norma incriminatrice preesistente come nel caso deciso dalla sentenza numero 5 del 2014 , la dichiarazione di illegittimità costituzionale della prima non potrà che comportare il ripristino della seconda, in effetti mai validamente abrogata. Un effetto peggiorativo della disciplina sanzionatorio in materia penale conseguente alla pronuncia di illegittimità costituzionale è stato, altresì, ritenuto ammissibile allorché esso si configuri come «mera conseguenza indiretta della reductio ad legitimitatem di una norma processuale», derivante «dall'eliminazione di una previsione a carattere derogatorio di una disciplina generale» sentenza numero 236 del 2018 . Un controllo di legittimità costituzionale con potenziali effetti in malam partem può, infine, risultare ammissibile ove si assuma la contrarietà della disposizione censurata a obblighi sovranazionali rilevanti ai sensi dell'articolo 11 o dell'articolo 117, primo comma, Cost., sentenza numero 28 del 2010 nonché sentenza numero 32 del 2014, ove l'effetto di ripristino della vigenza delle disposizioni penali illegittimamente sostituite in sede di conversione di un decreto-legge, con effetti in parte peggiorativi rispetto alla disciplina dichiarata illegittima, fu motivato anche con riferimento alla necessità di non lasciare impunite «alcune tipologie di condotte per le quali sussiste un obbligo sovranazionale di penalizzazione. Il che determinerebbe una violazione del diritto dell'Unione europea, che l'Italia è tenuta a rispettare in virtù degli articolo 11 e 117, primo comma, Cost.» ». Si tratta di deroghe, tra l'altro, ribadite dalla medesima Corte Costituzionale anche in altra successiva pronuncia sentenza Corte Costituzionale 40/2019 «Per altro verso, occorre evidenziare che non trova riscontro nella giurisprudenza costituzionale l'assunto da cui muove il giudice rimettente per cui la riserva di legge di cui all'articolo 25 Cost., precluderebbe in radice a questa Corte la possibilità di intervenire in materia penale con effetti meno favorevoli. Invero, la giurisprudenza di questa Corte, ribadita anche recentemente sentenze numero 236 del 2018 e numero 143 del 2018 , ammette in particolari situazioni interventi con possibili effetti in malam partem in materia penale sentenze numero 32 e numero 5 del 2014, numero 28 del 2010, numero 394 del 2006 , restando semmai da verificare l'ampiezza e i limiti dell'ammissibilità di tali interventi nei singoli casi. Certamente il principio della riserva di legge di cui all'articolo 25 Cost. rimette al legislatore «la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni da applicare» sentenza numero 5 del 2014 , ma non esclude che questa Corte possa assumere decisioni il cui effetto in malam partem non discende dall'introduzione di nuove norme o dalla manipolazione di norme esistenti, ma dalla semplice rimozione di disposizioni costituzionalmente illegittime. In tal caso, l'effetto in malam partem è ammissibile in quanto esso è una mera conseguenza indiretta della reductio ad legitimitatem di una norma costituzionalmente illegittima, la cui caducazione determina l'automatica riespansione di altra norma dettata dallo stesso legislatore sentenza numero 236 del 2018 ». Ultime, non per importanza, anche le ulteriori due pronunce della Corte Costituzionale sul medesimo tema. Con la sentenza numero 81 del 2014, coerentemente a quanto poi esposto nella citata sentenza 37/2019 in tema di ingiuria, ha infatti sancito di non potere rimodulare liberamente le sanzioni degli illeciti penali perché, se lo facesse, invaderebbe un campo riservato alla discrezionalità del legislatore, il cui esercizio è censurabile, sul piano della legittimità costituzionale, solo ove trasmodi nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio, come avviene quando si sia di fronte a sperequazioni sanzionatone tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione. Mentre la discrezionalità del legislatore potrebbe essere censurata soltanto nel caso di «uso distorto o arbitrario così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza» ordinanza numero 23 del 2009 . Detto ciò in tema di ammissibilità rilevanza della questione, si indicheranno gli argomenti a sostegno della presente istanza partendo dalle argomentazioni in ordine al pregiudizio di cui agli articolo 3,24 e 97 Cost. per terminare poi su uno degli aspetti maggiormente rilevanti, ai fini della questione proposta, ossia la ritenuta violazione dell'articolo 117 Cost. in tema di obblighi comunitari essendo quest'ultima, infatti, una di quelle circostanze in cui la questione di legittimità costituzionale risulta pacificamente ammissibile anche rispetto ad una lex abrogans e nonostante i potenziali effetti in malam partem provocati dalla riviviscenza della norma penale abrogata. 2. Non manifesta infondatezza della questione Violazione del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 Cost., nella sua declinazione avente ad oggetto la disparità di trattamento sanzionatorio rispetto a fattispecie analoghe a quella abrogata se non addirittura connotate, rispetto a quest'ultima, anche di un minor disvalore. E ciò in assenza di qualsivoglia criterio sotteso alla ragionevolezza della suddetta “discriminazione”. Attraverso l'abrogazione del reato di cui all'articolo 323 c.p. il legislatore ha rimosso dall'area del “penalmente rilevante” le condotte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che, «in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto». Ebbene, innanzitutto, tale discriminazione sanzionatoria, confliggente manifestamente con il canone della ragionevolezza, la si può rilevare rispetto alla sussistenza nel codice penale del reato di cui all'articolo 328 c.p. che punisce la condotta del «pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo». E' pacifico che la condotta omissiva del pubblico ufficiale, ogniqualvolta posta in essere «al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio ingiusto patrimoniale, o comunque per arrecare ad altri un danno ingiusto» integri il più grave reato di cui all'articolo 323 c.p. e non quello di cui all'articolo 328 c.p. ed anzi, proprio nel perseguimento della suddetta finalità illecita la giurisprudenza di legittimità ha sempre riconosciuto la differenza tra i due reati cfr., tra le altre, Cass. VI, numero 18360/2003 . La manifesta irragionevolezza nella scelta abrogatrice del legislatore emerge con chiarezza stante, in siffatta situazione, la rimozione dall'area del penalmente rilevante della condotta omissiva connotata da maggior disvalore. Abrogato l'abuso d'ufficio, entrambe le condotte omissive, pur differenti sotto il profilo connesso al relativo disvalore, finiranno per essere “trattate” in maniera identica nel medesimo contenitore sanzionatorio di cui all'articolo 328 c.p Ancora più evidente, sempre con riferimento alla manifesta discriminazione, sul piano sanzionatorio ed in violazione del canone di ragionevolezza, ancora con riguardo alla simultanea presenza del reato di omissione di atti d'ufficio e all'avvenuta abrogazione del reato di abuso di ufficio, si rileva come l'omissione di un atto d'ufficio risulta sanzionato penalmente laddove, invece, la commissione di un atto d'ufficio posto in essere in spregio a specifiche regole di condotta previste, senza alcun margine di discrezionalità da norme di rango primario ed intenzionalmente agite al fine di procurare un ingiusto vantaggio a sé o terzi, non risulta più parimenti sanzionato. E, ciò, nonostante l'evidente maggior disvalore di tale seconda condotta rispetto a quella meramente omissiva. Il secondo più evidente esempio di violazione del principio costituzionale di uguaglianza lo si evince dalla lettura delle ipotesi delittuose di cui agli articolo 353 c.p. e 353 bis c.p. Il primo, l'articolo 353 c.p., punisce «chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni» e presuppone, come noto, che vi sia stato l'inizio della procedura di gara, almeno con l'avvenuta pubblicazione del bando, non integrandosi invece nel caso in cui i contratti siano stipulati al di fuori di qualsiasi ambito concorsuale, ad es. in sede di trattativa privata Cass. VI, numero 32237/2014 o all'esito di una procedura selettiva del tutto interna, in base, ad esempio, a una comparazione di curricula Cass. VI, numero 6603/2021 . Il secondo, l'articolo 353 bis cp, in via cautelare e preventiva, agisce anche rispetto alla fase antecedente al bando di gara e, come noto, nasce dall'esigenza di intervenire nella fase in cui, secondo prassi degenerate, intervengono gli accordi mirati al confezionamento di un “bando su misura” del candidato che si intende favorire. Lo stesso punisce le condotte violente, minacciose o «con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti» qualora atte a turbare «il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione» e ciò sempre, solo ed esclusivamente, nell'ambito di una procedura amministrativa ad evidenza pubblica in cui l'oggetto materiale del “turbamento” sia un «bando» o «altro atto equipollente». Sono dunque pacificamente escluse dalla riconducibilità alla predetta fattispecie tutte le situazioni in cui la scelta/ricerca del contraente prescinda da qualsiasi comparazione, anche del tutto informale, tra più soggetti ovvero quelle in cui si proceda, ancorché illegittimamente, con trattativa privata non anticipata da una fase di valutazione concorsuale. In siffatte situazioni il delitto previsto dall'articolo 353-bis non si potrà configurare, considerato il dato letterale univoco della norma e la circostanza che una lettura più ampia della stessa sarebbe di tipo analogico in malam partem. Sul punto si rammentano, tra le altre, Cass. VI, numero 17876/2022 Cass. VI, numero 5536/2022, che hanno appunto escluso la configurabilità del reato di cui all'articolo 353 bis c.p. nei casi di affidamento diretto di lavori senza “somma urgenza” o simulando altre condizioni di legge. Ebbene, l'avvenuta abrogazione del reato di abuso d'ufficio, stante il quadro della normativa vigente in materia, postula una lapalissiana discriminazione di situazioni del tutto identiche con manifesta violazione del canone della ragionevolezza. Le medesime condotte del pubblico ufficiale, infatti, se atte a pregiudicare il buon andamento e l'imparzialità di una Pubblica Amministrazione nell'ambito di un «bando» propriamente detto ovvero di «altro atto equipollente» sarebbero penalmente rilevanti ex articolo 353 bis c.p. se atte, invece, a pregiudicare il medesimo bene giuridico nell'ambito tuttavia di un “affidamento diretto”, procedura ad evidenza pubblica parimenti disciplinata dal medesimo Codice degli Appalti, non sarebbero invece penalmente rilevanti stante l'abrogazione dell'alveo nel quale fino ad oggi erano riconducibili ossia, appunto, l'abuso d'ufficio. E ciò nonostante la condotta riconducibile all'abuso d'ufficio sia connotata da maggior disvalore alla luce della «violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità» ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti , condotte intenzionalmente dirette a procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrecare ad altri un danno ingiusto a fronte dei doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti previsti dall'articolo 353 e 353 bis c.p Tra l'altro, proprio con riferimento a tali ultimi requisiti si sottolinea, altresì, come gli stessi, diversamente da quanto più gravemente prevedeva la norma abrogata, nemmeno presuppongono necessariamente l'intenzionale e dolosa violazione di specifiche condotte previste dalla legge o da atti avente forza di legge o un conflitto di interessi basti considerare, sul punto, che il divieto di accettare doni o “regalie” è sancito da norma regolamentare ed in particolare dall'articolo 4 del DPR 62/2013 . Non solo tuttavia. Si rileva, inoltre, come, a seguito dell'abrogazione dell'abuso d'ufficio, paradossalmente la medesima condotta del pubblico ufficiale risulta penalmente sanzionata o meno a seconda della presenza o assenza di una procedura ad evidenza pubblica. L'avvenuta abrogazione del reato di cui all'articolo 323 c.p. fa sì, infatti, che la predisposizione di un cosiddetto “bando su misura” volto a garantire l'affidamento di un servizio pubblico ad un soggetto favorito e ab origine predeterminato, sia penalmente rilevante ex articolo 353 bis c.p., mentre, invece, il medesimo affidamento, se effettuato in assenza della medesima procedura ad evidenza pubblica e non dunque in presenza di una procedura ad evidenza pubblica seppur “turbata” , non sarebbe penalmente sanzionabile richiedendo infatti il 353 bis la sussistenza di una procedura competitiva di riferimento e ciò nonostante il medesimo totale spregio delle specifiche regole di condotta di cui al D.Lgs. 36/2023 - Codice dei Contratti Pubblici. Tradotto ai minimi termini, affidare un servizio pubblico, in assenza di alcuna procedura ad evidenza pubblica e magari ad un soggetto “favorito”, anche eventualmente legato da rapporti affaristici con il pubblico ufficiale, risulterebbe per il soggetto agente una scelta senza dubbio meno rischiosa piuttosto che rispettare le specifiche regole di condotta previste dal Codice Appalti seppur solo alterandole al fine di favorire il medesimo soggetto. Si tratta di macroscopici paradossi sottesi all'avvenuta abrogazione del delitto di cui all'articolo 323 c.p. in palese violazione dell'articolo 3 della Costituzione e di certo in altrettanta manifesta violazione del canone di ragionevolezza. - Violazione dell'articolo 97 della Costituzione. Il reato di cui all'articolo 323 c.p. è rectius era inquadrato nell'ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione - dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione - e posto come noto a presidio del bene giuridico, di rango costituzionale, del «buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione». Nel caso in cui il privato cittadino sia “leso” da comportamento prevaricatore del Pubblico Ufficiale lo stesso è altresì pacificamente legittimato attivo all'esercizio di azioni di tutela in ambito giurisdizionale amministrativo rispetto alla suddetta condotta del pubblico amministratore. Costante e pacifica giurisprudenza di legittimità, del resto, affermano la natura plurioffensiva del reato di cui all'articolo 323 c.p., dato che il bene giuridico tutelato non è solamente il buon andamento e imparzialità della P.A., ma anche il patrimonio del terzo danneggiato dall'abuso del funzionario pubblico - il reato di abuso d'ufficio, allorché sia finalizzato ad arrecare ad altri un danno ingiusto, ha natura plurioffensiva, in quanto è idoneo a ledere, oltre all'interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della Pubblica Amministrazione, il concorrente interesse del privato a non essere turbato nei suoi diritti dal comportamento illegittimo e ingiusto del pubblico ufficiale. In questi casi il privato danneggiato riveste la qualità di persona offesa dal reato ed è legittimato a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione del pubblico ministero Cass. penumero , Sez. VI, 29 marzo 2012, numero 13179 . - Il reato di abuso d'ufficio ha natura necessariamente plurioffensiva quando è commesso arrecando ad altri un danno ingiusto, nel senso, cioè, che devono essere lesi sia gli interessi costituzionalmente tutelati del buon andamento e dell'imparzialità della P.A. articolo 97 Cost. , sia quelli di un extraneus o anche di un dipendente dell'amministrazione stessa, purché sia toccato nella sua personale condizione giuridica derivante dal rapporto di impiego Cass. penumero numero 39259/2005 . - Quando il reato di abuso di ufficio sia commesso per arrecare «ad altri un danno» è lesa oltre che la sfera giuridica della pubblica amministrazione anche quella del privato in tal caso il reato è plurioffensivo, con la conseguenza che la persona offesa dal reato ha il diritto di ricevere l'avviso di richiesta di archiviazione Cass. penale, Sez. VI, sentenza numero 1147 del 27 maggio 1999 . Si è ben consapevoli di quanto argomentato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 8/2022 con riguardo all'asserita violazione dell'articolo 97 Cost. rispetto alla novella del 2020 in tema di abuso d'ufficio “Nell'occasione, si è posto in evidenza come una censura di illegittimità costituzionale non possa basarsi sul pregiudizio che la formulazione, in assunto troppo restrittiva, di una norma incriminatrice, recherebbe a valori di rilievo costituzionale, quali, nella specie, l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione. Le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono, infatti, nella tutela penale, ben potendo essere soddisfatte con altri precetti e sanzioni .». Ma, nel caso di cui qui si discorre la questione è esattamente questa. Il legislatore non ha certo rimosso il presidio penale alla tutela del bene giuridico di cui all'articolo 97 Cost. sostituendolo con «altri precetti e sanzioni» ma, attraverso l'abrogazione dell'abuso d'ufficio si è limitato a lasciarlo sostanzialmente indifeso. L'abrogazione tout court dell'articolo 323 c.p. rimuovendo la tutela penale rispetto al comportamento “prevaricatore” del pubblico ufficiale, lascia infatti all'eventuale terzo danneggiato esclusivamente azione di tutela in sede giurisdizionale amministrativa. Tale residuale rimedio, tuttavia, non pone l'avvenuta abrogazione del delitto di cui all'articolo 323 c.p. al riparo dall'evidente confliggenza con il dettato costituzionale ed in particolare proprio rispetto all'articolo 97 della Costituzione e ciò per due motivi. Il primo è che, stante la pacifica natura plurioffensiva del reato di cui all'articolo 323 c.p., il legislatore avrebbe così lasciato alla sola iniziativa privata del terzo danneggiato, tra l'altro solo eventuale la tutela di un bene giuridico pubblico e collettivo sottratto alla disponibilità del privato medesimo. Il secondo è che, nel caso in cui la condotta “contro legem” del pubblico amministratore ovvero quella posta in essere in “conflitto di interessi”, anziché provocare un danno al terzo lo abbia invece ingiustamente favorito, nessuno dei due in assenza o all'insaputa di eventuali competitors , avrebbe alcun interesse ad esercitare un'azione volta a dichiarare illegittima quella condotta, con ciò determinando un implicito sacrificio di un bene giuridico di rango costituzionale nonostante quest'ultimo, ex sé, trascenda i rapporti tra i due soggetti coinvolti dal provvedimento amministrativo ed investa gli interessi dell'intera collettività. Proprio su tale ultima circostanza si osserva, inoltre, che il rimedio giurisdizionale concesso al privato giammai, in termini di tutela del bene giuridico di cui all'articolo 97 Cost., potrebbe supplire all'assenza della tutela penale fino ad oggi garantita dall'articolo 323 c.p. anche in considerazione degli incisivi ed eterogenei poteri investigativi necessari per l'accertamento di fatti reato e del tutto assenti, in capo al privato e nell'ambito di un ricorso amministrativo, anche solo per verificare le dinamiche sottese all'esercizio del potere amministrativo volte a dimostrare la sussistenza di un abuso o meno nella condotta del pubblico ufficiale. Si pensi al capo di imputazione nr. 83 di cui al presente procedimento penale omissis RGNR 83. delitto p. e p. dagli arti. 61 numero 8, 110 e 323 c.p. poiché, in concorso tra loro, la omissis in qualità di pubblico ufficiale dirigente del servizio sociale integrato dell' omissis omettendo di astenersi nel caso prescritto di cui all'articolo 7 D.P.R. 62/2013 ovvero in presenza di - del rapporto familiare di fatto esistente tra le due donne sin da giovanissime la omissis risultava essere stata presa in carico dalla famiglia della omissis già durante la sua adolescenza - del pregresso rapporto sentimentale esistito a lungo tra le due - del profondo legame intercorrente tra le stesse rimasto inalterato anche a seguito della interruzione del rapporto sentimentale - della consapevole inadeguatezza della omissis in virtù sia del pregresso traumatico vissuto sia dell'incidenza psicologica sul presente dei traumi subiti nel passato - della sussistenza di una solidale esposizione debitoria - della comproprietà di un appartamento gravato ancora oggi da mutuo e nel quale abita la omissis - della cointestazione del c/c omissis aperto presso la filiale di Bibbiano, su cui facevano entrambe confluire i propri redditi da lavoro di cui quello della Prudente di gran lunga inferiore rispetto a quello della omissis ivi appoggiandovi gli addebiti delle carte di credito e bancomat, anche singolarmente intestati, con totale commistione e comunione dei rispettivi patrimoni e sul quale gravava altresì il mutuo del punto precedente oltre che finanziamenti accesi dalle due donne omissis intenzionalmente procurava a omissis un ingiusto profitto, con pari danno della Pubblica Amministrazione omissis , consistente nel versamento mensile di € 252 per dall'aprile 2016 all'ottobre 2017 , di € 252 mensili per omissis dall'aprile 2016 al dicembre 2017 nonché € 200 mensili per omissis dall'aprile 2017 al marzo 2019 in ordine alla quale, inoltre, in assenza di una reale necessità come descritto nel capo 75 , omissis protraeva il versamento anche dopo il compimento della maggiore età della minore, a fronte di un impegno effettivo indicato dalla stessa nell'incontrarsi con l'affidataria un paio d'ore per un paio di volte al mese, per prendere un caffè insieme e fare una chiacchierata”. Con il vincolo della continuazione ex articolo 81/2° comma c.p. In Reggio Emilia e Bibbiano, dall'aprile 2016, nel 2017, nel 2018 ed almeno sino al marzo 2019. Delitto aggravato per la omissis per aver tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso mediante l'ideazione di un diverso criterio, ideato a partire dal gennaio 2019 a seguito della consapevolezza delle indagini in atto, di pagamento a favore degli affidatari avulso rispetto a una precisa tabella di riferimento tale da consentire, attraverso il pagamento sotto la voce “retta affidi , anche pagamenti di differente natura pagamento della psicoterapia, pulizie, espletamento della mansione di cuoca . Ebbene, abrogato l'abuso d'ufficio, la suddetta condotta non sarebbe penalmente rilevante. Chi dovrebbe agire in via giurisdizionale amministrativa? Il beneficiario del comportamento adottato in palese conflitto di interessi? Non lo farebbe ovviamente mai. Astrattamente si potrebbe immaginare una legittimazione attiva ad una siffatta azione esclusivamente da parte di un eventuale terzo soggetto pregiudicato dalla “preferenza” accordata alla omissis dalla sua ex compagna dirigente del servizio. Differente azione di tutela, sul profilo erariale per il danno cagionato all'Amministrazione, si potrebbe ritenere esercitabile da parte di qualsiasi soggetto che non si sa come prendesse atto della situazione e segnalasse i fatti alla Corte dei conti. Ma quali concrete possibilità, sul piano della conoscenza dei fatti e poi del relativo accertamento, potrebbero avere i citati soggetti in assenza degli strumenti investigativi ad esempio tabulati telefonici, escussione delle persone informate sui fatti, acquisizione di documenti bancari, effettuazione di copie forensi dei dispositivi elettronici posti in sequestro, e così via per mezzo dei quali invece si è, nel caso di specie, proceduto per l'accertamento del reato di cui all'articolo 323 c.p.? Evidentemente nessuna ed altrettanto evidentemente la diretta conseguenza sarebbe un grave pregiudizio del bene giuridico tutelato dall'articolo 97 della Costituzione. - Violazione dell'articolo 24 della Costituzione. L'abrogazione del reato di abuso d'ufficio contrasta anche con il diritto di difesa costituzionalmente garantito a tutti i cittadini rispetto ai propri diritti e interessi legittimi. In particolare, la completa abrogazione del reato di cui all'articolo 323 c.p. postula, altresì, l'abrogazione anche del cosiddetto “abuso di danno” ossia la condotta prevaricatrice del pubblico ufficiale, contra legem ovvero in omessa astensione di conflitto di interessi, intenzionalmente diretta a provocare un danno al privato. Innanzitutto, occorre rilevare che si tratta di un vuoto di tutela che, sul piano penale, non può essere colmata sic et simpliciter da altre fattispecie. Non si rinviene infatti, nell'ordinamento penale, una norma in grado di abbracciare condotte di prevaricazione del pubblico ufficiale che non sfocino in una promessa o dazione di denaro, o di altre utilità, da parte del privato in grado dunque di integrare ad esempio la più grave fattispecie di concussione ovvero che non difettino di quei caratteri tipici ad esempio della corruzione o del peculato per l'impossibilità di sussumere le predette condotte nell'alveo del 353 o 353 bis si è invece già testé argomentato . Del resto, nonostante le significative modifiche strutturali del delitto di abuso di ufficio, non è mai mutata la sua natura sussidiaria rispetto al contesto dei delitti in cui lo stesso era inserito ossia garantire tutela penale rispetto a fattispecie non altrove sussumibili. Abrogato l'abuso d'ufficio e nonostante si tratti di fatti connotati da forte disvalore, talvolta del tutto intollerabili, gli stessi resterebbero “impuniti” rispetto all'esercizio di qualsivoglia diritto di difesa. Basti considerare, tra le condotte affaristiche o di vantaggio, per esempio, fatti di rilascio di permessi di costruire illegittimi o di reiterata, sistematica sanatoria di abusi edilizi fatti di mancata astensione e assegnazione di posti di lavoro o incarichi di consulenza a membri della propria famiglia o a società di cui l'agente detiene partecipazioni Cass., Sez. VI, 15 marzo 2021, numero 10067 Cass., Sez. V, 28 dicembre 2020, numero 37517 , fatti consistenti nell'intenzionale pregiudizio arbitrariamente imposto a fondamentali diritti altrui, ancor più carichi di disvalore perché commessi da rappresentanti dello Stato come ad esempio il caso del carabiniere che ordini a due ragazze di mostrare i loro documenti obbligandole ad attendere l'arrivo di una pattuglia solo per ritorsione, perché le ragazze avevano rifiutato le sue avances Cass., Sez. VI, 5 luglio 2011, dep. 30 settembre 2011, numero 35597 o quello di un Pubblico Ministero che chiede il rinvio a giudizio contro l'ex fidanzato della sua compagna, nei cui confronti aveva in precedenza deciso di archiviare il procedimento Cass., Sez. VI, 14 aprile 2021, dep. 12 luglio 2021, numero 26429 . Si tratta, di tutta evidenza e in molti casi, non di provvedimenti amministrativi bensì di comportamenti che non potrebbero neanche essere valutati mediante ricorso dinanzi al giudice amministrativo. E' dunque evidente che, abrogato l'articolo 323 c.p., condotte di favoritismi e sfruttamento di un interesse privato nel pubblico ufficio, restano, a scapito del soggetto terzo danneggiato, prive di tutela penale e, tra l'altro, anche di tutte le norme di carattere processual-penalistico che ne garantiscono l'accertamento. La circostanza che, rispetto al provvedimento amministrativo prevaricatore, il terzo danneggiato possa solo in determinate situazioni agire in via giurisdizionale amministrativa non consente di eliminare, e nemmeno di ridurre, l'evidente pregiudizio al diritto alla difesa costituzionalmente tutelato. Si considerino, inoltre, i differenti costi che un privato cittadino dovrebbe sostenere a seconda che si rechi presso un qualsiasi Ufficio di Polizia per sporgere un atto di denuncia o invece per presentare un ricorso al TAR con tutto quanto ne consegue in termini di sacrificio di quel diritto soprattutto da parte di cittadini meno abbienti. E ciò, “a cascata”, con quanto altresì ne consegue anche in termini di parità di cittadini davanti alla legge ex articolo 3 Cost. posto che, a fronte delia medesima condotta prevaricatrice, soltanto ai cittadini più agiati sarà concretamente consentito di presentare un ricorso giurisdizionale amministrativo. - Violazione dell'articolo 117 della Costituzione. Innanzitutto, come noto, si premette e si ribadisce che la violazione degli obblighi comunitari, sia sulla scorta della sentenza 8/2022 che soprattutto di quella 37/2019 Corte Cost., non pone ostacoli all'intervento della Corte Costituzionale con effetti in malam partem ed in particolare rispetto alla dichiarazione di incostituzionalità di una lex abrogans con contestuale riviviscenza della norma incriminatrice abrogata. Ciò premesso, si rileva che l'abrogazione tout court dell'abuso d'ufficio si pone altresì in contrasto con l'articolo 117 Cost e con gli obblighi assunti dallo Stato italiano sia in ambito comunitario europeo sia in ambito internazionale. Il Parlamento, con L. 116/2009, ha, infatti, ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione c.d. Convenzione di Menda ed ha dettato norme di adeguamento interno. In particolare, con la predetta legge, si è proceduto alla ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione numero 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003, nonché norme di adeguamento interno e modifiche al codice penale e al codice di procedura penale. In particolare, nell'ambito del titolo terzo e delle indicate misure penali, la Convenzione ha posto in capo agli Stati firmatari l'obbligo di conferire carattere penale a una grande varietà di infrazioni correlate ad atti di corruzione, qualora esse non siano già nel diritto interno definite come infrazioni penali. Rispetto ad alcune condotte, la Convenzione ha reso l'incriminazione imperativa, mentre, per altre, ha indicato la prospettiva di individuare figure supplementari di infrazione. Una specifica connotazione della Convenzione contro la corruzione è l'ampliamento del relativo campo di applicazione essa non prende in considerazione solamente forme elementari e tradizionali di corruzione, ma anche atti commessi allo scopo di facilitare la corruzione stessa, quali l'ostacolo al buon funzionamento della giustizia, o la ricettazione o il riciclaggio di proventi della corruzione. In particolare, all'articolo 7/4° comma della legge 116/2009 denominato «Settore Pubblico» , di ratifica della predetta Convenzione ONU, l'Italia ha assunto in ambito internazionale il seguente obbligo «Ciascuno stato si adopera, conformemente ai principi fondamentali del proprio diritto interno, al fine di adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti di interesse». Ebbene, già prima facie, appare evidente che l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio va in direzione del tutto opposta all' «adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti di interesse», eliminando invece la tutela penale fino ad oggi esistente proprio rispetto all'illecito vantaggio procurato a sé o ad altri ovvero il danno intenzionalmente provocato al terzo dal pubblico amministratore a seguito di omessa astensione in caso di conflitto di interessi. Con l'articolo 19 della citata Convenzione, denominato «abuso d'ufficio», l'Italia ha assunto il seguente obbligo «Ciascuno Stato Parte esamina l'adozione delle misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quando l'atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell'esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per se o per un'altra persona o entità». Ebbene, se è vero che l'obbligo assunto sul piano internazionale è quello di «esaminale l'adozione» « .shallconsideradopting .» e non quello di «adottare» « .shalladopt .» , invece utilizzato nella stessa convenzione per differenti e specifiche ipotesi corruttive ad esempio quelle previste dagli articolo 15 e 16 della Convenzione , è pur vero che, senza dubbio, è in evidente contrasto con gli obblighi internazionali assunti, la condotta di uno Stato che avendo già nel proprio corpus normativo l'ipotesi delittuosa in disamina ed essendo dunque quell'obbligo per esso tamquam non esset, decida invece di privarsene. Ed infatti, è espressamente l'articolo 65 «attuazione della convenzione» a prevedere, quanto segue «1. Ciascuno Stato Parte adotta le misure necessarie, comprese misure legislative ed amministrative, in conformità con i principi fondamentali del suo diritto interno, per assicurare l'esecuzione dei suoi obblighi ai sensi della presente Convenzione. 2. Ciascuno Stato Parte può adottare misure più strette o severe di quelle previste dalla presente Convenzione al fine di prevenire e combattere la corruzione». Dunque, misure «più strette o severe» non certo abrogative di quelle « .shall consider adopting .» e ciò, a maggior ragione, in tutti quei casi in cui gli standard minimi previsti dalla Convenzione come nel caso della tutela penale assicurata all'abuso d'ufficio siano già propri dei singoli Stati al momento della Convenzione. Ma vi è di più. L'articolo 323 c.p. è stato inserito tra i reati di cui all'articolo 322 bis c.p. «Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione, abuso d'ufficio di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri», norma con cui il legislatore ha inteso estendere le fattispecie di cui agli articolo 314, 316, 317-320, 322, commi 3 e 4, e 323 a soggetti operanti, a vario titolo, in ambito comunitario e internazionale nonché estendere l'incriminazione contenuta negli articolo 321,322, commi 1 e 2, e 319-quater, comma 2, in presenza di determinati presupposti, ai fatti commessi dai privati nei confronti delle persone indicate al primo comma e nei confronti dei funzionari di Stati esteri e di organizzazioni pubbliche internazionali. La citata norma di cui all'articolo 322 bis c.p. è stata inserita nel codice penale dalla l. numero 300/2000, di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro la corruzione internazionale, adottata dalla Assemblea generale dell'O.N.U. il 31 ottobre 2003, e successivamente modificata a dalla l. numero 116/2009, di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro la corruzione internazionale, adottata dalla Assemblea generale dell'O.N.U. il 31 ottobre 2003, col fine di assicurare una tutela penale anche a beni giuridici di rilevanza extranazionale b dalla l. numero 190/2012, con lo scopo di adattarne il testo e la rubrica al nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità articolo 319-quater introdotto dalla medesima novella c dalla l. numero 237/2012, che ha ampliato il catalogo dei “soggetti equiparati” adeguando il nostro ordinamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale d dalla l. numero 3/2019, che ha ampliato il catalogo dei “soggetti equiparati” allo scopo di adeguare la nostra legislazione agli impegni assunti dall'Italia con la ratifica eseguita con la l. 28 giugno 2012, numero 110 della Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d'Europa del 1999 e dal d.lgs. 14 luglio 2020, numero 75, che ha ulteriormente ampliato il catalogo dei “soggetti equiparati” allo scopo di armonizzare la disciplina penale italiana alla Dir. UE numero 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, in tema di lotta contro la frode che leda gli interessi finanziari dell'Unione c.d. “direttiva PIF” - direttiva per la protezione interessi finanziari f dal d.lgs. 14 luglio 2020, numero 75, che ha ulteriormente ampliato il catalogo dei “soggetti equiparati” allo scopo di armonizzare la disciplina penale italiana alla Dir. UE 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, in tema di lotta contro la frode che leda gli interessi finanziari dell'Unione c.d. “direttiva PIF” - direttiva per la protezione interessi finanziari . Infine, si evidenzia che la predetta norma è stata novellata dal d.lgs. numero 156/2022, che ha ampliato il catalogo dei reati per i quali opera, inserendovi l'abuso di ufficio al fine di dare attuazione alla direttiva UE 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione europea mediante il diritto penale. Infatti, il predetto decreto legislativo numero 156/2022 risulta così denominato «Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 14 luglio 2020, numero 75, di attuazione della direttiva UE 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede sii interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale» e nel preambolo del predetto decreto, il legislatore ha dato testualmente atto della citata circostanza Vista la direttiva UE 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'unione mediante il diritto penale Visto l'articolo 3 della legge 4 ottobre 2019, numero 117, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2018 Vista la legge 24 dicembre 2012, numero 234, e, in particolare, l'articolo 31, sulle procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea Visto il decreto legislativo 14 luglio 2020, numero 75, con il quale è stata data attuazione alla direttiva UE 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017relativa alia tolta contro la frode che lede sii interessi finanziari dell'unione mediante il diritto penale In sostanza è lo stesso legislatore nazionale ad aver preso atto che la tutela penale dell'abuso d'ufficio rientrava tra gli obblighi assunti sia in sede europea che internazionale al punto da averne esteso l'applicazione, proprio in ottemperanza agli impegni assunti, anche in ambiti diversi da quelli nazionali attraverso il suo inserimento nel novero di quelle elencati all'articolo 322 bis c.p. Risulta pertanto evidente che l'articolo articolo 1, comma 1, lett. b , l. 9 agosto 2024, numero 114 cosiddetto DDL Nordio con il quale si è proceduto all'abrogazione dell'abuso d'ufficio e contestualmente anche alla sua eliminazione dalla fattispecie di cui all'articolo 322 bis c.p., violi direttamente l'articolo 117 della Costituzione essendo stato il potere legislativo esercitato nel mancato rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, ossia i medesimi vincoli per i quali, soltanto due anni fa, il medesimo legislatore aveva dovuto procedere all'adeguamento dell'ordinamento interno, proprio attraverso l'estensione della tutela penale di cui all'articolo 323 c.p E ciò considerando espressamente la previsione penale della suddetta fattispecie necessaria nella «lotta contro la frode che lede sii interessi finanziari dell'unione mediante il diritto penale». Ma vi è di più. Il legislatore, abrogando l'articolo 323 c.p. ha ovviamente eliminato anche il suo riferimento nell' articolo 322 bis c.p. sostituendolo con quello del nuovo rectius reintrodotto reato di cui all'articolo 314 bis c.p. “peculato per distrazione” e che per comodità si riporta di seguito «Fuori dei casi previsti dall'articolo 314, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e l'ingiusto vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto sono superiori ad euro 100.000». Risulta innanzitutto pacifico che il cosiddetto “peculato per distrazione”, dopo la sua formale abrogazione con la nota riforma del 1990, abbia continuato ad “esistere” nel cosiddetto ius vivendi, proprio in quanto ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità nell'alveo dell'articolo 323 c.p., in una sorta di piccolo contenuto in un più ampio contenitore. Abrogato il contenitore resta ora solo quel piccolo contenuto. Ebbene, l'avvenuta abrogazione dell'abuso d'ufficio e la sua sostituzione con l'articolo 314 bis c.p. nell'ambito dell'articolo 322 bis c.p., si ritiene abbia specificatamente posto lo Stato Italiano inottemperante agli obblighi comunitari di cui all'articolo 4/3° comma della Direttiva UE 2017/1371 a presidio degli interessi finanziari dell'Unione Europea, secondo i quali l'Italia aveva assunto l'onere di sanzionare penalmente la distrazione di beni senza alcuna limitazione ai soli beni mobili. Attraverso l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio con cui si garantiva il rispetto in loto degli obblighi comunitari e la sua sostituzione nell'articolo 322 bis c.p. che fa riferimento esclusivamente alla distrazione di «denaro o altra cosa mobile» lo Stato Italiano si è di fatto sottratto all'obbligo di incriminazione in disamina. In coerenza con quanto assunto e sempre sul piano della sostenuta illegittimità costituzionale della lex abrogans dell'articolo 323 c.p. alla luce della confliggenza con gli oneri comunitari e internazionali assunti, appare doveroso menzionare anche la proposta di direttiva europea sulla lotta alla corruzione che, all'articolo 11, impegna gli Stati membri a prevedere espressamente come reato l'abuso d'ufficio abuse of functions , così definito «the performance of or failure to perform an act, in violation of laws, by a public official in the exercise of hisfunctions for the purpose of obtaining an undueadvantage for that official or for a third party”. La proposta di direttiva riproduce in sostanza la previsione della Convenzione ONU contro la corruzione articolo 19 Convenzione di Menda , ratificata dall'Italia e da altre 188 nazioni e riproduce il contenuto della condotta sanzionata dall'articolo 323 c.p La predetta proposta di direttiva è denominata «lotta contro la corruzione, che sostituisce la decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio e la convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea, e che modifica la direttiva UE 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio» indica espressamente la necessità di definire il reato di abuso d'ufficio tra le condizioni necessarie per perseguire gli obiettivi di lotta globale alla corruzione. In sede di definizione della citata direttiva è tra l'altro emerso attraverso la compilazione di appositi questionari inviati dalla Commissione Europea che tutti i 25 Stati membri che hanno proceduto alla compilazione del questionario Bulgaria e Danimarca non hanno provveduto contemplano, nel proprio ordinamento interno, la tutela penale dell'abuso d'ufficio pur con definizioni e fattispecie lievemente differenti tra loro. La proposta di direttiva in disamina, come espressamente indicato, adottata in prosecuzione della Convenzione di Merida, si pone l'obiettivo di rafforzare i meccanismi e gli strumenti di lotta alla corruzione, nelle sue più varie sfaccettature e nell'ambito dei reati connessi e tali da comprendervi anche l'abuso d'ufficio nonché di garantire, alla luce di un complesso normativo frammentato, l'uniformità del quadro giuridico dell'UE in materia di lotta contro la corruzione, vincolando gli Stati membri all'adozione di norme di armonizzazione minima delle fattispecie di reato riconducibili alla corruzione e delle relative sanzioni, nonché di misure per la prevenzione del fenomeno corruttivo e di strumenti per rafforzare la cooperazione nelle relative attività di contrasto. Anche per tutte tali ragioni la lex abrogans dell'articolo 323 c.p. pone lo Stato Italiano inottemperante rispetto agli obblighi internazionali assunti stante la granitica collocazione del reato di abuso d'ufficio tra i reati posti a presidio della lotta alla corruzione, intesa in senso ampio, sia in base agli impegni già assunti sia mediante la proposta di direttiva in fase di definizione, e stante altresì la già avvenuta presa d'atto, in tal senso, anche da parte del medesimo legislatore, attraverso l'inserimento del delitto di cui all'articolo 323 c.p. tra quelli rilevanti per la fattispecie di cui all'articolo 322 bis c.p Un'importante osservazione pare doverosa pur se considerabile in un'ottica solo futura ed eventuale. L'eventuale approvazione della direttiva in disamina, fortemente voluta in sede europea6e con le perplessità già pubblicamente espresse in sede europea rispetto alla paventata abrogazione dell'abuso d'ufficio da parte dello Stato Italiano nel gennaio 2024, porranno altresì una evidente e paradossale frattura costituzionale rispetto all'articolo 3 della Costituzione. L'avvenuta abrogazione, infatti, ha portato con sé l'insieme delle tipiche vicissitudini giuridiche di tutte le vicende giudiziarie in essere, sia quelle già definite che quelle in corso al momento dell'abrogazione. La reintroduzione della medesima fattispecie di cui all'articolo 323 c.p. “medesima” dato il tenore della fattispecie introdotta all'articolo 11 della citata proposta di direttiva , necessaria in caso di approvazione della direttiva come già prospettato anche nell'ambito della relazione illustrativa della lexabrogans, porrà infatti le medesime condotte nell'alveo del “penalmente rilevante” o meno esclusivamente sulla base della coincidenza rectius fortuna temporale di avvenuta commissione pre-lexabrogans oppure post direttiva, con quanto ne consegue in termini di macroscopica frattura con il principio di uguaglianza e di certezza del diritto. Del resto si rileva che, a riscontro diretto della constatata violazione degli obblighi comunitari rispetto all'avvenuta abrogazione del delitto di abuso d'ufficio da parte dello Stato Italiano, oltre che le dichiarazioni pubbliche testé menzionate, nei 30 giorni di intervallo temporale decorsi tra la data di approvazione parlamentare della L. 9 agosto 2024, numero 114 e la firma del Presidente della Repubblica, in data 24.07.2024 la Commissione Europea ha formalmente emanato il seguente documento «DOCUMENTO DI LAVORO DEI SERVIZI DELLA COMMISSIONE Relazione sullo Stato di diritto 2024 Capitolo sulla situazione dello Stato di diritto in Italia che accompagna il documento COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Relazione sullo Stato di diritto 2024». Si tratta, doveroso rilevarlo, di un documento adottato successivamente e nonostante l'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano, dell'articolo 314 bis cp. Nel predetto documento, con riguardo alle riforme in atto nello Stato Italiano, è stata la medesima Commissione a certificare quanto segue «Il Parlamento ha approvato un disegno di legge che abroga la fattispecie dell'abuso d'ufficio e limita l'ambito di applicazione del reato di traffico di influenze illecite. Il 10 luglio 2024 il Parlamento ha approvato un disegno di legge che abroga la fattispecie dell'abuso d'ufficio e limita l'ambito di applicazione del reato di traffico di influenze illecite. Le modifiche dell'ambito di applicazione del reato di traffico di influenze illecite mirano a escludere non solo i casi in cui il mediatore si limita ad asserire di essere in grado di influenzare il pubblico ufficiale, ma anche quelli in cui l'utilità data o promessa non è economica. Il Governo osserva che soltanto una percentuale limitata di tutti i procedimenti penali condotti per il reato di abuso d'ufficio si concluderebbe con una condanna, il che dimostrerebbe che penalizzare tale comportamento è inefficace in rapporto alle risorse amministrative e finanziarie investite nelle relative attività procedurali. Il Governo sostiene inoltre che la fattispecie esercita un effetto paralizzante sulle pubbliche amministrazioni e che altri reati di corruzione forniscono un quadro legislativo abbastanza forte per combattere gli atti che minano l'imparzialità e il corretto funzionamento della pubblica amministrazione. Tuttavia la criminalizzazione dell'abuso d'ufficio e del traffico di influenze illecite è prevista dalle convenzioni internazionali sulla corruzione ed è quindi uno strumento essenziale per le autorità di contrasto e le procure ai fini della lotta contro la corruzione. I portatori di interessi hanno osservato che l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio potrebbe comportare una diminuzione dei livelli di rilevamento e investigazione della frode e della corruzione». Alla luce di tutto quanto esposto, stante la rilevanza e la non manifesta infondatezza, si chiede a Codesto Tribunale di voler sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, lett. a nr. 1 e lett. b e l. 9 agosto 2024, numero 114 per violazione degli articolo 3,24,97 e 117 della Costituzione, davanti alla Corte Costituzionale.