Reintegrato in azienda il dipendente in malattia sorpreso a lavorare nel proprio bar

A salvare il lavoratore sono, paradossalmente, proprio le immagini registrate dalla videocamera puntata sull’ingresso del suo locale dall’azienda. Per i giudici, difatti, le azioni compiute dal lavoratore vanno considerate insignificanti, cioè non tali da pregiudicarne o ritardarne la guarigione ed il rientro in servizio, in quanto svolte a distanza di circa sette mesi dall’infortunio e a pochi giorni dalla fine del periodo di diagnosticata inabilità.

Riflettori puntati, quasi letteralmente, su un dipendente di una società di proprietà di una Regione. Nello specifico, una videocamera, puntata, su precisa indicazione dell’azienda, sull’ingresso del bar di proprietà del lavoratore, certifica che quest’ultimo, pur essendo ufficialmente in malattia a seguito di un infortunio ad una mano, ha svolto molteplici attività nel suo locale. E questo comportamento è così grave, secondo l’azienda, da legittimare l’allontanamento definitivo del lavoratore. In sostanza, il dipendente, inquadrato come impiegato, viene sanzionato col licenziamento perché, per un arco temporale di nove giorni, «ha svolto, benché assente dal lavoro per infortunio, attività nel bar di sua proprietà, utilizzando a tale fine anche la mano infortunata, sia per attività leggere, come fumare, impiegare il telefono cellulare per attività di risposta alle chiamate e scrittura, salutare con la mano destra stringendo la mano dell’interlocutore, mantenere documenti et cetera, sia per attività più pesanti, come aprire e chiudere la porta del locale, sollevare sedie, anche con pezzi sovrapposti impilabili, sollevare tavoli, portare zaini e pacchi, aprire e chiudere la tenda parasole, aprire e chiudere la serranda del locale, caricare e scaricare masserizie dall’autovettura». Per i giudici di merito, però, a sorpresa, il lavoratore non merita assolutamente il licenziamento ma, anzi, ha il diritto di riavere il proprio impiego. Su questo fronte sono i giudici d’Appello a fare chiarezza, ricordando, in premessa, che «è onere del datore di lavoro dimostrare che l’attività svolta dal dipendente è stata tale da mettere a rischio la sua piena guarigione e, quindi, compromettere l’interesse di esso datore» e osservando, poi, che nella vicenda oggetto del processo «la contestazione non ha riguardato la gestione di una attività commerciale bensì l’avere svolto attività materiali idonee a compromettere la guarigione e, comunque, incompatibili, con lo stato di malattia del lavoratore». Ma su questo punto la tesi sostenuta dall’azienda viene smentita dagli accertamenti consistiti nell’apposizione di una telecamera puntata sull’ingresso dell’esercizio commerciale «nella maggior parte dei fotogrammi, difatti, si vede il lavoratore svolgere attività del tutto prive di rilevanza», spiegano i giudici d’Appello, mentre «solo in quattro episodi lo si vede svolgere attività» indicate nella lettera di contestazione inviatagli dall’azienda, attività che, però, «in quanto svolte a distanza di circa sette mesi dall’infortunio consistito nella distorsione di due dita di una mano e a pochi giorni dalla fine del periodo di diagnosticata inabilità, non sono reputabili tali da incidere o pregiudicare la guarigione».Tirando le somme, secondo i giudici d’Appello «resta non provata la illiceità del comportamento» tenuto dal lavoratore». Inutili le obiezioni sollevate in Cassazione dalla società. Anche per i giudici di terzo grado, difatti, il lavoratore ha diritto ad essere reintegrato in azienda. Infatti, «in materia di licenziamento disciplinare intimato per lo svolgimento di altra attività, lavorativa o extralavorativa, durante l’assenza per malattia del dipendente, grava sul datore di lavoro la prova che la malattia in questione sia simulata ovvero che la predetta attività sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio del dipendente medesimo» e «lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonché dei doveri generali di correttezza e buonafede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio» del lavoratore. Ragionando in questa ottica, i giudici di Cassazione annotano che l’esame delle prove prodotte dal datore di lavoro fa emergere che «nella maggior parte dei fotogrammi si nota il lavoratore svolgere attività del tutto prive di rilevanza e solo in quattro episodi è stato visto spostare dall’esterno all’interno del bar prima un tavolino a tre gambe e poi alcune sedie di plastica, in un’occasione, e prelevare da un’auto parcheggiata proprio di fronte all’ingresso del bar due scatole di cartone portandole all’interno del bar, in una seconda occasione, e portare fuori dal bar tre scatole di cartone, in una terza occasione, e, infine, sollevare, una sedia sempre di plastica, nell’ultima occasione». Ebbene, «tali azioni vanno considerate insignificanti», cioè non tali da «pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio» del lavoratore, in quanto «si è trattato di cosiddette attività lavorative, svolte a distanza di circa sette mesi dall’infortunio e a pochi giorni dalla fine del periodo di diagnosticata inabilità», chiosano i magistrati di Cassazione.

Presidente Esposito - Relatore Cinque Rilevato che 1. In data 12.2.2019 OMISSIS spa contestava al dipendente D.M.S. impiegato di 4° livello e in servizio presso la sede di OMISSIS , che dal 24.12.2018 all'1.1.2019, benché assente dal lavoro per infortunio, era risultato avere svolto attività lavorativa nel bar “ OMISSIS srl” sito in OMISSIS e di sua proprietà, utilizzando a tal fine, anche la mano infortunata sia per attività leggere come fumare, impiegare il telefono cellulare per attività di risposta alle chiamate e scrittura sullo stesso, salutare con la mano destra stringendo la mano dell'interlocutore, mantenere documenti etc, sia per attività lavorative più pesanti, come aprire e chiudere la porta del locale, sollevare sedie, anche con pezzi sovrapposti impilabili, sollevare tavoli, portare zaini e pacchi, aprire e chiudere la tenda parasole, aprire e chiudere la serranda del locale, caricare e scaricare masserizie dall'autovettura. 2. Con successiva missiva del 7.3.2019, ricevuta il 13.3.2019, veniva intimato al D.M.S. licenziamento per giusta causa. 3. Impugnato il provvedimento di recesso, il Tribunale di Cosenza, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege numero 92 del 2012, dichiarava la illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto, con ogni conseguenza reintegratoria e risarcitoria. 4. La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza numero 918/2021, sui reclami proposti da entrambe le parti, confermava la pronuncia del primo giudice rilevando, per quello che interessa in questa sede, che a era onere del datore di lavoro dimostrare che l'attività svolta da dipendente era stata tale da mettere a rischio la sua piena guarigione e, quindi, compromettere l'interesse di esso datore b la contestazione non riguardava la gestione di una attività commerciale ma l'avere svolto attività materiali idonee a compromettere la guarigione e, comunque, incompatibili, con lo stato di malattia del lavoratore c gli accertamenti erano consistiti nell'apposizione di una telecamera puntata sull'ingresso dell'esercizio commerciale d nella maggior parte dei fotogrammi, si vedeva il lavoratore svolgere attività del tutto prive di rilevanza solo in quattro episodi si notava che lo  stesso svolgeva attività di cui alla lettera di contestazione che, però, in quanto svolte a distanza di circa sette mesi dall'infortunio consistito nella distorsione di due dita della mano e a pochi giorni dalla fine del periodo di diagnosticata inabilità, non erano tali da incidere o pregiudicare la guarigione e restava dunque non provata la illiceità del comportamento. 5. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione OMISSIS spa affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso D.M.S 6. Le parti hanno depositato memorie. 7. Il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nei termini di legge ex articolo 380 bis 1 cpc. Considerato che 1. I motivi possono essere così sintetizzati. 2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 cc, con riferimento all'articolo 360 co. 1 numero 3 cpc, per non avere la Corte distrettuale considerato la circostanza secondo cui l'attività svolta aveva caratteristiche tali da mettere a rischio la piena guarigione, come risultava dalla documentazione medica dell'INAIL che pochi giorni prima dei fatti aveva confermato la totale e assoluta inabilità del D.M.S. e dalle dichiarazioni rese dallo stesso lavoratore che aveva affermato nella maniera più assoluta di potere attendere a qualsiasi attività che non fosse quella di minimo utilizzo dell'arto infortunato, per cui non era corretto, da parte dei giudici di secondo grado, precisare che il datore non aveva ottemperato all'onere della prova su di esso incombente. 3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2119 cc e dell'articolo 18 co. 4 legge numero 300 del 1970, anche in relazione all'articolo 2697 cc, con riferimento all'articolo 360 co. 1 numero 3 cpc, per avere la Corte territoriale affermato una carenza assoluta di illiceità disciplinare, da cui aveva fatto discendere una valutazione di insussistenza della giusta causa di recesso, rilevando la compatibilità dell'infortunio con l'attività lavorativa realizzata senza che il lavoratore nulla avesse dedotto in relazione alle prove rappresentate dalle indagini investigative in atti e facendo, quindi, un uso palesemente distorto dei parametri di valutazione della gravità della condotta. 4. Con il terzo motivo la ricorrente obietta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 18 co. 4 legge numero 300 del 1970, con riferimento all'articolo 360 co. 1 numero 3 cpc, per avere la Corte distrettuale erroneamente disposto la tutela reintegratoria pur in presenza di un fatto storico contestato materialmente sussistente. 5. Il primo motivo non è fondato. 6. I principi di diritto cui avere riguardo sono rappresentati dai precedenti di questa Corte Cass. numero 13063/2022 secondo cui, in materia di licenziamento disciplinare intimato per lo svolgimento di altra attività, lavorativa o extralavorativa, durante l'assenza per malattia del dipendente, grava sul datore di lavoro la prova che la malattia in questione sia simulata ovvero che la predetta attività sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio del dipendente medesimo, atteso che l'articolo 5 della l. numero 604 del 1966 pone a carico del datore di lavoro l'onere della prova di tutti gli elementi di fatto che integrano la fattispecie che giustifica il licenziamento e, dunque, di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, idonee a connotare l'illecito disciplinare contestato e Cass. numero 26496/2018 secondo cui lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio. 7. Le statuizioni della gravata pronuncia sono in linea, in punto di diritto, con i suddetti principi in tema di onere della prova, così escludendo ogni asserita violazione di cui all'articolo 2697 cod. civ. e, con un accertamento di fatto, argomentato con motivazione esente dai vizi di cui all'articolo 360 co. 1 numero 5 cpc, nuova formulazione applicabile, la Corte territoriale ha rilevato, attraverso l'esame delle prove prodotte dal datore di lavoro attività investigativa consistita nell'avere piazzato una videocamera puntata sull'ingresso dell'esercizio commerciale - Bar OMISSIS - ininterrottamente dalle ore 23 00 del 23.12.2018 alle ore 22 00 dell'1.1.2019 che, nella maggior parte dei fotogrammi si notava il lavoratore svolgere attività del tutto prive di rilevanza e solo in quattro episodi era stato visto spostare dall'esterno all'interno del bar prima un tavolino a tre gambe e poi alcune sedie di plastica 24 dicembre , prelevare da un'auto parcheggiata proprio di fronte all'ingresso del bar due scatole di cartone portandole all'interno del bar 27 dicembre , portare fuori dal bar tre scatole di cartone 28 dicembre e sollevare, infine, una sedia sempre di plastica 1° gennaio . La Corte distrettuale ha considerato tali azioni insignificanti, ai fini di pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio, in quanto si trattava di cd. attività “lavorative” svolte a distanza di circa sette mesi dall'infortunio consistito nella distorsione di due dita della mano e a pochi giorni dalla fine del periodo di diagnosticata inabilità. 8. Si verte, pertanto, in una valutazione sulle risultanze delle prove come nella scelta, tra le varie emergenze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, che involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti Cass. numero 16467 del 2017 . 9. Anche il secondo motivo è infondato. 10. Va sottolineato il fondamentale principio affermato in sede di legittimità per tutte, Cass. numero 5095/2011 Cass. numero 6498/2012 secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto , è una nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards , conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale. 11. Nel caso in esame, pertanto, ritenute inammissibili tutte le doglianze riguardanti la ricostruzione e le modalità della vicenda in fatto, con specifico riferimento alla censura concernente la asserita violazione del parametro normativo di cui all'articolo 2119 cod. civ. va condiviso l'assunto della Corte territoriale che, proprio sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, ha ritenuto irrilevante, per la sua inconsistenza, la condotta posta in essere dal lavoratore in relazione all'addebito di avere pregiudicato e/o ritardato la guarigione ed il rientro in servizio eventi che non erano stati peraltro dimostrati. 12. Infine, anche il terzo motivo non è meritevole di accoglimento. 13. E' un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità Cass. numero 13383/2017 Cass. numero 29062/2017 Cass. numero 3655/2019 quello secondo cui la insussistenza del fatto contestato , di cui all'articolo 18, comma 4, St. lav., come modificato dall'articolo 1, comma 42, lett. b , della l. numero 92 del 2012, fattispecie cui si applica la tutela reintegratoria cd. attenuata, comprende sia l'ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente, sia quella del fatto che, pur esistente, non presenti profili di illiceità. 14. La pronuncia della Corte di appello è conforme a tale principio avendo appunto rilevato la insussistenza della giuridica illiceità del comportamento materialmente posto in essere dal lavoratore. 15. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato. 16. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. 17. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del DPR numero 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 numero 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo. PQM La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del DPR numero 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.