L’accettazione del rischio e la temporanea interruzione di assistenza nel reato di abbandono di minori o incapaci

«Nel delitto di cui all’articolo 591 c.p. il dolo esige non soltanto la volontà di privare dell’assistenza l’incapace, con la consapevolezza dello stato di incapacità, ma anche la rappresentazione di un pericolo, pure solo potenziale, per la vita e l’incolumità fisica dell’incapace in tal caso l’autore, persistendo nella sua condotta omissiva, agisce accettando il rischio del verificarsi dell’evento».

La Cassazione fornisce utili criteri interpretativi dell' elemento soggettivo del reato di abbandono di minore o incapaci. Vengono accuratamente ricamati gli orli delle varie forme del dolo, fino alla eventuale volizione diretta del reo dell'evento lesivo integrante i differenti reati di omicidio o lesioni. Con attento scrupolo sono state analizzate le posizioni dottrinali sul concetto di “stato di abbandono”, elemento oggettivo indefettibile dell'articolo 591 c.p. la cui definizione, secondo la Suprema Corte, sembra già esaurirsi nella sua stessa collocazione sistematica. I fatti La Corte di Assise di Appello di Torino, in riforma al giudizio assolutorio di prime cure, dichiarava gli imputati responsabili del delitto di cui all'articolo 591 c.p. Gli stessi, infatti, a fronte di un corrispettivo mensile, accoglievano la persona offesa presso il loro domicilio accettando di prendersene cura, di garantirgli vitto, alloggio e assistenza materiale e medica. Nel settembre 2019, sotto la sorveglianza di uno degli imputati, la persona offesa si muoveva liberamente nel cortile dell'immobile facendo uso di un girello. Mentre l'imputato si trovava seduto unitamente ad altro ospite a breve distanza dalla persona offesa, questa cadeva improvvisamente a terra, batteva la testa e decedeva il giorno successivo. Il ricorso per cassazione A mezzo del proprio difensore, gli imputati ricorrevano per cassazione eccependo la contraddittorietà delle motivazioni della Corte territoriale nella parte in cui, contrariamente alle risultanze probatorie, aveva ritenuto le condizioni di salute della persona offesa incompatibili a qualsivoglia forma di deambulazione priva di assistenza. Veniva altresì censurata l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'elemento soggettivo in termini di momento rappresentativo del dolo anche solo eventuale e di come gli imputati non fossero a conoscenza della documentazione medica relativa alle condizioni di salute della vittima, sicché non potevano neppure rappresentarsi la sussistenza del pericolo per la sua incolumità. La nozione di “abbandono” nell'articolo 591 c.p. Nella sentenza in commento, la Cassazione dapprima sviluppa una precisa disamina del delitto di abbandono di minore o incapace la sua collocazione codicistica, i beni giuridici oggetto di tutela, la natura di “reato proprio” per quanto il soggetto attivo venga indicato dal pronome “chiunque” nonché la atipicità delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e assistenza del soggetto incapace. Spicca fra le riflessioni ermeneutiche la nozione dottrinale di “stato di abbandono” magistralmente ripresa dalla Cassazione. Al riguardo, vengono individuati due indefettibili requisiti  il primo materiale, consistente nel mero fatto di lasciare l'incapace in balia di sé stesso, il secondo psicologico, ossia nell'intenzione del reo di lasciare definitivamente e non solo momentaneamente la persona offesa. L'abbandono definitivo e non transitorio La Suprema Corte chiarisce come la stessa collocazione sistematica del delitto di cui all'articolo 591 c.p., e la sua comparazione con fattispecie di reato simili, deponga verso il significato di definitività, e non anche temporanea o transitoria, dell'abbandono da parte dell'autore del reato. Il successivo articolo 592 c.p., rubricato “Abbandono di un neonato per causa di onore” oggi abrogato, sembra suffragare l'intenzione legislativa di punire delle condotte che sottendevano una certa immutabilità di abbandono. E allo stesso modo, altro argomento che comprova la necessaria definitività dell'abbandono, «è offerto dalla lettura dell'articolo 1097 e 1098 cod. nav. che punisce il comandante o membro dell'equipaggio che, prima di una certa sequenza temporale, abbandonino la nave in situazione di pericolo. È chiaro che, anche qui, la disposizione faccia riferimento a un definitivo non ritorno sulla nave in situazione di pericolo da parte dei soggetti attivi del reato» . La più ampia nozione di abbandono nella giurisprudenza Di diverso indirizzo è la giurisprudenza della Suprema Corte, su cui si allinea la sentenza in commento nonostante il pregevole e differente inquadramento dogmatico contenuto nella motivazione. In particolare, vengono ricomprese nell'alveo dell'articolo 591 c.p. tutte quelle ipotesi in cui il soggetto attivo venga meno, anche soltanto transitoriamente, ai doveri di assistenza nei confronti della vittima. Sicché «l'elemento oggettivo del reato è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo Sez. 1, numero 5 del 11/05/2021, dep. 2022, S., rv. 282481 Sez. 5, numero 50944 del 13/09/2019, R., rv. 277842 Sez. 5, numero 27705 del 29/05/2018, P., rv. 273479 ». Sull'elemento psicologico Per ciò che attiene l'elemento soggettivo, i Giudici di legittimità hanno affermato che in tutte le ipotesi di abbandono previste dall'articolo 591 c.p. la condotta non deve essere diretta a ledere l'incolumità o la vita della persona offesa, si ricadrebbe infatti, nei delitti di lesioni personali o di omicidio. Al contrario, nel reato di abbandono di incapace è sufficiente e necessario che la condizione di pericolo in cui versa il soggetto passivo sia frutto dell'azione od omissione consapevole del reo «il dolo esige non soltanto la volontà di privare dell'assistenza l'incapace, con la consapevolezza dello stato di incapacità, ma anche la rappresentazione di un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumità fisica dell'incapace, sicché l'autore, persistendo nella sua condotta omissiva, accetta il rischio che l'evento si verifichi». Riecheggiano tuttavia gli insegnamenti delle Sez. Unite c.d. Thyssenkrupp, numero 28243/2014, dove il criterio della mera accettazione del rischio ha trovato i suoi limiti allorquando ciò che l'agente andrebbe ad accettare è il pericolo della realizzazione di quell'evento e non l'evento in sé. Per tali ragioni la Cassazione annulla la sentenza con rinvio così da verificare l'effettiva consapevolezza degli imputati sulla sussistenza di un pericolo anche solo potenziale per la vita della vittima con accettazione del rischio del verificarsi dell'evento e non piuttosto con imprudenza o negligenza.

Presidente Pezzullo - Relatore Agnino Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Assise di Appello di Torino, parzialmente riformando la sentenza assolutoria resa il 12 settembre 2022 dalla Corte di Assise di Asti, dichiarava Ci.El. e No.Gi. responsabili del capo A dell'imputazione, condannandoli alla pena di anni tre di reclusione, alla pena accessoria dell'interdizione per anni cinque dai pubblici uffici, confermando nel resto. In particolare, con il capo A risulta attribuito agli imputati il reato di cui all'articolo 591, primo e terzo comma, cod. penumero  per aver mantenuto Tr.Ca. persona affetta dal morbo di Alzheimer invalida al 100% e incapace per malattia di mente di corpo, nonché per vecchiaia a provvedere a sé stessa in condizioni tali da creare pericolo per la sua incolumità e incompatibili col suo status di salute, benché lo stesso fosse affidato alla cura degli stessi, e cosi lo abbandonavano, fatto da cui derivava la morte della persona offesa. Invero - a fronte di un corrispettivo di Euro 1200 mensili - accoglievano il Tr.Ca. presso il loro domicilio una cascina accettando di prendersene cura, di garantirgli vitto, alloggio e assistenza materiale e medica e, benché sforniti dei mezzi di personale medico infermieristico e delle autorizzazioni amministrative in data 13 settembre 2019, sotto la sorveglianza del No.Gi. collocavano il Tr.Ca. nel cortile dell'immobile affinché potesse muoversi con il girello liberamente e mentre l'imputato si trovava seduto su una sedia unitamente ad altro ospite il Tr.Ca. cadeva improvvisamente a terra, batteva la testa su una zona cementificata patendo un trauma cranico da cui conseguiva la morte il omissis . La Corte territoriale ha rilevato, tra l'altro, ai fini della colpevolezza degli imputati, che lo stato di abbandono e susseguente pericolo nel quale il Tr.Ca. si è trovato era connesso alle sue effettive e concrete condizioni di salute quali erano venute a determinarsi dal 16 agosto 2019, condizioni assolutamente incompatibili con la condotta tenuta dagli imputati consistita nell'appoggiare la p.o. ad un girello per farla circolare liberamente nel cortile della cascina tenuto in qualche modo d'occhio a qualche metro di distanza dal No.Gi., intento a chiacchierare, perché il Tr.Ca. non era in grado di deambulare senza un'assistenza costante ed anzi non era nemmeno in grado di mantenere la stazione eretta. 2. Avverso la detta sentenza hanno proposto distinti ricorsi gli imputati, con atti sottoscritti dal comune difensore di fiducia del tutto sovrapponibili, deducendo tre motivi pressoché identici, di seguito riportati entro i limiti di cui all'articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero 2.1. Con il primo motivo si eccepisce l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'elemento oggettivo dell'abbandono di persona incapace e contraddittorietà della motivazione in relazione alla capacità di deambulare della persona offesa. Il giudice di appello ha ritenuto sussistente una incapacità totale di deambulare della vittima Tr.Ca., sicché le modalità di controllo realizzate dagli imputati erano espressive di abbandono. I giudici hanno sottolineato che sulla scorta del referto del 6 settembre 2019 del servizio recupero e riabilitazione funzionale dell'Asl di T emergeva che il Tr.Ca. non fosse assolutamente in grado di deambulare, sicché era certo che la persona offesa non venisse assistita in maniera continuativa e fosse abbandonata a sé stessa. Tale affermazione non si confronta con le diverse acquisizioni probatorie dichiarazioni del fratello della vittima Tr.Ca., dei testi Du.Ro. e Sa.Ge. dalle quali è emerso che la vittima era in grado di deambulare, con l'ausilio di supporti. Non trattandosi di incapacità totale non può farsi questione di abbandono. Peraltro - ha dedotto specificamente la Ci.El. - ella non era in grado di conoscere i referti medici relativi all'asserita condizione del Tr.Ca. e conscia per la sua diretta percezione della capacità dello stesso di deambulare lo affidava alle cure del coimputato No.Gi., sicché con riguardo specifico alla sua posizione l'abbandono non può assolutamente ritenersi configurabile, non essendo comunque presente al momento del fatto. 2.2. Con il secondo motivo si censura l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'elemento soggettivo in termini di momento rappresentativo del dolo anche solo eventuale. Gli imputati non erano a conoscenza della documentazione medica relativa alle condizioni di salute del No.Gi., sicché non potevano neppure rappresentarsi in termini di eventualità la sussistenza del pericolo per la l'incolumità della vittima. 2.3. Con l'ultimo motivo si eccepisce l'erronea applicazione della legge in relazione all'articolo 62-bis c.p. e motivazione illogica sul punto. Il giudice di appello ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche valorizzando la mancata valutazione da parte degli imputati del progressivo deterioramento delle condizioni del soggetto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito precisate. 1.1. Come noto, in tema di giudizio di appello, l'obbligo di motivazione rafforzata, previsto in caso di riforma della sentenza assolutoria, è concorrente, e non alternativo, con quello di rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, sicché la sentenza di appello che ribalti la decisione assolutoria di primo grado, con condanna dell'imputato, postula l'adozione di una motivazione rafforzata e, ricorrendone i presupposti, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ai sensi dell'articolo 603, comma 3-bis, cod. proc. penumero   Sez. 3, numero 16131 del 20/12/2022, dep. 2023, B., Rv. 28449303 . È stato affermato che assolvere l'obbligo di motivazione rafforzata significa - a dimostrare di avere compiuto un'analisi stringente, approfondita, completa del provvedimento impugnato - b spiegare, anche in ragione dei motivi di impugnazione e del perimetro cognitivo devoluto, perché non si è condiviso il decisum - c chiarire quali sono le ragioni fondanti - a livello logico, probatorio, giuridico - la nuova decisione assunta . Nel riformare una sentenza è necessario dimostrare di aver esaminato tutti gli elementi acquisiti, di avere studiato la motivazione della sentenza di primo grado, di avere compiuto, sulla base del devoluto, un confronto argomentativo serrato con essa al fine di evidenziarne le criticità Sez. U., numero 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679 per poi procedere a formare una nuova motivazione che non si limiti ad inserire in quella argomentativa del primo giudice mere notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, ma riesami il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura argomentativa che spieghi le difformi conclusioni Sez. U., numero 6682 del 04/02/1992, P.M. in proc. Musumeci e altri, Rv. 191229 . Peraltro, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, attraverso un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore Sez. U., numero 14426 del 02/04/2019, in motivazione . Orbene, nel caso di specie, a fronte del ribaltamento dell'esito processuale da parte della sentenza oggi impugnata, quest'ultima, evidenzia aporie nella valutazione delle risultanze probatorie che inficiano il percorso logico-giuridico della motivazione rinforzata, per come sarà indicato. Infatti, la esplicazione delle ragioni di confutazione del verdetto di assoluzione rende la sentenza impugnata censurabile sotto il versante giustificativo, non rispondente al prescritto standard di rafforzata persuasività che ogni epilogo decisorio difforme deve assolvere. 1.2. È utile procedere a una sintetica ricognizione degli approdi interpretativi della giurisprudenza di legittimità a proposito della fattispecie di cui all'articolo 591 cod. penumero La fattispecie trova collocazione nel Titolo XII del Codice, dedicato ai delitti contro la persona e, nel quadro di questo titolo, è compresa tra i delitti contro la vita e l'incolumità individuale. Tale classificazione si riscontra anche nelle legislazioni precedenti, eccezion fatta per il Codice sardo-italiano del 1859 che collocava l'esposizione e l'abbandono d'infante articolo 509 tra i reati contro l'ordine delle famiglie e, più precisamente, tra quelli contro lo stato di famiglia sia il Codice toscano del 1853, che il Codice Zanardelli del 1889 comprendevano le disposizioni corrispondenti alla disposizione vigente rispettivamente l'articolo 532 e l'articolo 386 tra i delitti contro la persona . La soluzione sistematica adottata dal legislatore del 1930, oltre a porsi in linea di continuità con le precedenti legislazioni appare appropriata, trovando la sua ragion d'essere nello stato di incapacità dei soggetti passivi di provvedere a sé stessi, dal quale deriva un intenso pericolo per la loro incolumità individuale qualora siano lasciati privi di adeguata assistenza. Come emerge dalla Relazione Ministeriale II, 394 trattasi di fatti che, prevalentemente espongono a pericolo la vita o l'incolumità delle persone, seppure presuppongono altresì la violazione di doveri di assistenza o di custodia, i quali sorgano da vincoli di parentele o da altri rapporti legali o convenzionali. La collocazione tra i reati contro l'ordine della famiglia, da taluni caldeggiata, mentre non avrebbe consentito di porre in piena luce l'obiettività caratteristica, rappresentata dalla esposizione a pericolo dell'incolumità personale, sarebbe risultata impropria anche perché i doveri e gli obblighi, di cui qui si considera la violazione, non tutti derivano da rapporti speciali di tutela o di assistenza, ma talora si ricongiungono, perfino, con il vincolo più generale che collega tutti i componenti della civile società . Scopo dell'incriminazione è quello di proteggere particolari categorie di soggetti che, per età o per altre cause legislativamente determinate sono particolarmente esposte ai pericoli, contro l'abbandono da parte di chi è tenuto ad averne cura. La collocazione sistematica della figura criminosa in argomento denota come lo scopo di protezione della norma consista nell'osservanza degli obblighi umani ed assistenziali connessi alla cura dei minori o degli incapaci. In questo modo l'articolo 591 cod. penumero  ha finito per anticipare la costituzionalizzazione del dovere di solidarietà sociale, poi sancito all'articolo 2 della Costituzione repubblicana. D'altra parte, l'oggettività giuridica del delitto in questione non consiste tanto nella tutela della vita e dell'incolumità personale, quanto piuttosto nella violazione di un obbligo assistenziale o di custodia. Ciò è confermato dal fatto che in tutte le ipotesi di abbandono previste dall'articolo 591 cod. penumero  la condotta non debba essere diretta a ledere l'incolumità personale o la vita del soggetto passivo. Se infatti una tale volontà sussistesse, sia pure nella forma del dolo eventuale, e l'abbandono costituisse niente altro che un mezzo per realizzarla, si ricadrebbe nelle fattispecie delle lesioni personali o dell'omicidio. 1.3. Benché la disposizione in esame indichi il soggetto attivo del reato utilizzando il pronome chiunque , si deve ritenere che ci si trovi in presenza di un reato proprio, suscettibile di essere commesso non da un qualsiasi soggetto, bensì solo da soggetti determinati forniti di una particolare qualità personale o che si trovino in una determinata posizione giuridica. È necessario, infatti, che il soggetto attivo del reato si trovi in un rapporto col soggetto passivo dal quale derivi un obbligo di custodia o dì cura. A proposito della fonte del dovere di custodia e di cura, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene e che si desumono dalle norme giuridiche di qualsivoglia natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte. Si è precisato, quindi, in una prospettiva volta ad assicurare integrale ed effettiva attuazione alla tutela giuridica del soggetto incapace di provvedere a sé stesso garantita dall'articolo 591 cod. penumero , come il dovere di custodia implichi una relazione tra l'agente e la persona offesa, che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una spontanea assunzione da parte del soggetto attivo, nonché dall'esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità e di controllo dell'agente, in ciò differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali Sez. 5, numero 19448 del 12/01/2016, Corbascio, Rv. 267126 . La relazione di custodia che può consistere anche in una relazione di mero fatto ha ad oggetto la sorveglianza diretta di soggetti non in grado di provvedervi autonomamente la cura consiste nell'insieme delle prestazioni e cautele protettive compiute a favore di persone incapaci di provvedere a se stesse perché versanti, nel caso concreto, in particolari situazioni di difficoltà tale relazione giuridica può trovare fondamento nella legge o nel contratto. La giurisprudenza di legittimità ha valorizzato il valore etico sociale della sicurezza personale come bene/interesse tutelato dalla norma incriminante, senza porre limiti nell'individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di assistenza e cura. In tal senso è stato evidenziato Sez. 5, numero 290 del 30/11/1993, dep. 1994, Balducci, Rv. 196779 che la norma dell'articolo 591 cod. penumero , tutela il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo. In questa prospettiva, nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene e che si desumono dalle norme giuridiche di qualsivoglia natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte. La fattispecie di cui all'articolo 591 cod. penumero  è tale per cui chiunque sia la persona che, anche semplicemente di fatto, si trova a garantire l'incolumità fisica e/o psichica di un incapace, non può abbandonarlo, vale a dire non può cessare di esercitare la doverosa sorveglianza, volta ad impedire che il predetto causi danni a se stesso o agli altri. Nella giurisprudenza di legittimità si è da tempo affermata la teoria del garante , fondata sul significato assegnato agli obblighi di garanzia , ossia ai doveri giuridici di impedire l'evento, discendenti dallo speciale vincolo di tutela che lega il soggetto deputato a proteggere un determinato bene giuridico nei casi in cui il titolare dello stesso bene sia incapace di preservarlo da sé in via autonoma Sez. 4, numero 4793 del 06/12/1990, Bonetti, Rv. 191792 . Si è dunque chiarito che, nell'individuazione dei destinatari degli obblighi protettivi, vengono in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto agente Sez. U., numero 9874 del 01/07/1992, Giuliani, Rv. 191185 . Si deve quindi concludere che il delitto di abbandono ha come presupposto l'esistenza in capo all'agente di un uno specifico dovere di custodia o di cura, il quale può essere imposto dalla legge, da un contratto od anche da uno stato di fatto creato dal soggetto attivo, purché si tratti di un dovere giuridico. 1.4. Il disvalore della condotta del reato di cui all'articolo 591 cod. penumero  si concentra, nell'economia della fattispecie incriminatrice, sulla nozione di abbandono di persona minore o incapace di cui si abbia la custodia o debba aversi cura la tipicità oggettiva del reato ricorre, dunque, in presenza di qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o custodia gravante sull'agente. Tuttavia, deve sottolinearsi che la definizione del concetto di abbandono non è immune da risvolti problematici. Nell'interpretazione del termine abbandono , di cui all'art, articolo 591 cod. penumero , si è sostenuto da una parte della dottrina che deve aversi riguardo a un duplice requisito il primo, materiale, consistente nel mero fatto di lasciare la persona in balia di se stessa e il secondo, psicologico, identificabile nell'animus derelinquendi, ossia nell'intenzione, da parte del titolare dell'obbligo di cura e custodia, di lasciare definitivamente e non solo momentaneamente il minore infraquattordicenne o l'incapace. A favore di una simile lettura sembrerebbe peraltro deporre un argomento di carattere sistematico. Il successivo articolo 592 cod. penumero  rubricato Abbandono di un neonato per causa di onore , oggi abrogato, sembra offrire un forte argomento a supporto della conferma che il legislatore, con il termine abbandono intendesse punire quelle condotte che sottendessero una certa quale definitività dell'abbandono stesso. Appare chiaro e pacifico, infatti, come la vecchia disposizione facesse riferimento a un significato di abbandono caratterizzato da una precisa volontà di lasciare il neonato alla mercé del destino, presupponendosi una certa quale definitività. Un altro argomento che avvalora la lettura del vocabolo abbandono quale termine giuridico implicante una certa definitività è offerto dalla lettura dell'articolo 1097 e 1098 cod. nav. che punisce il comandante o membro dell'equipaggio che, prima di una certa sequenza temporale, abbandonino la nave in situazione di pericolo. È chiaro che, anche qui, la disposizione faccia riferimento a un definitivo non ritorno sulla nave in situazione di pericolo da parte dei soggetti attivi del reato. In altri termini il verbo abbandonare dovrebbe essere inteso nel senso di lasciare definitivamente o per lungo tempo, oppure lasciare senza aiuto, sostegno o simili in casi di oggettivo bisogno, implicandosi una certa quale definitività della situazione di abbandono. Per tale posizione, una interpretazione della fattispecie in termini di reato di pericolo astratto che non richieda, per la sussistenza dell'elemento oggettivo, anche la connotazione di una volontà di abbandonare - l'animus derelinquendi - conduce, inevitabilmente, ad un indeterminato obbligo di custodia, per così dire a vista , che porterebbe a conseguenze dai confini non adeguatamente chiari. La costante giurisprudenza di legittimità, invece, interpreta la condotta dell' abbandono in maniera più ampia, volta a ricomprendere nell'alveo dell'articolo 591 cod. penumero  tutte quelle ipotesi in cui il soggetto attivo venga meno, anche soltanto transitoriamente, ai doveri di assistenza nei confronti della vittima. L'elemento oggettivo del reato è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo Sez. 1, numero 5 del 11/05/2021, dep. 2022, S., Rv. 282481 Sez. 5, numero 50944 del 13/09/2019, R., Rv. 277842 Sez. 5, numero 27705 del 29/05/2018, P., Rv. 273479 . Pertanto, sul piano del protocollo di tipicità materiale, il delitto di abbandono di persona incapace accorda rilievo a qualunque condotta attiva od omissiva che risulti contrastante con il dovere giuridico di custodia gravante sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo anche solo potenziale per l'incolumità dello stesso incapace. Ne deriva, quale ovvio corollario, che l'interesse giuridico presidiato dalla norma incriminatrice deve ritenersi violato anche allorquando l'abbandono della persona indifesa ed incapace di provvedere a sé stessa risulti meramente relativo e parziale Sez. 5, numero 15245 del 23/02/2005, IMalesso, Rv. 232158 . In una prospettiva siffatta, ai fini dell'integrazione del reato de quo non occorre che si realizzi un abbandono materiale assoluto e non è nemmeno necessaria una separazione fisica fra l'abbandonante e l'abbandonato, ma è sufficiente una derelizione relativa , un'interruzione temporanea o finanche parziale della relazione di cura o custodia che lega l'autore del delitto al soggetto passivo, quando la vittima non risulti in grado di fronteggiare adeguatamente la necessità di assistenza, emergente dalla situazione concreta. In definitiva l'abbandono per essere rilevante ai sensi dell'articolo 591 cod. penumero  richiede che il soggetto agente venga meno ad un preesistente obbligo di cura o custodia, la cui violazione costituisce l'essenza del reato in disamina. 1.5. Con riferimento all'elemento psicologico del reato, risulta del pari costante l'orientamento della giurisprudenza di legittimità che lo definisce in termini di dolo generico, consistente nella coscienza di abbandonare a se stesso il soggetto passivo, che non abbia la capacità di provvedere alle proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica di cui si abbia l'esatta percezione, senza che occorra la sussistenza di un particolare malanimo da parte del reo Sez. 2, numero 10994 del 06/12/2012, dep. 2013, T. e altro, Rv. 255173 , potendo assumere, altresì, la forma del dolo eventuale Sez. 5, numero 44013 del 11/05/2017, Hmaidan e altri, Rv. 271431 . In altri termini, ai fini della configurazione del dolo di fattispecie si richiede non solo la consapevolezza dell'obbligo giuridico di cura o di custodia verso il soggetto minore o incapace, ma altresì la coscienza del pericolo, creato con la propria condotta, per l'incolumità del soggetto passivo. 2. Ciò premesso, deve rilevarsi che la sentenza impugnata presenta una inadeguata esposizione delle ragioni di fatto e di diritto per le quali è intervenuta la condanna dei ricorrenti per il reato loro ascritto. I giudici di merito hanno ravvisato, a carico degli imputati, una responsabilità concorsuale in ordine al delitto, a matrice esclusivamente dolosa, di abbandono di persona incapace. L'affermazione di responsabilità è ancorata alle considerazioni di seguito ripercorse. La Corte di assise di appello ha accertato le seguenti circostanze di fatto - a gli imputati in base al contratto stipulato con l'Asl T erano tenuti ad informare i loro referenti del Progetto I.E.S.A. dell'ingresso presso la propria abitazione di nuovi ospiti ovvero di nuovi familiari - b l'Asl non era stata informata dell'arrivo di Tr.Ca. presso l'abitazione degli imputati - c dalla certificazione sanitaria è emerso che il Tr.Ca. era affetto da Alzheimer di grado grave, deambulazione non consentita, viene mobilizzato in carrozzina, deambula solo con assistenza e doppio appoggio certificato del 16 agosto 2019 - d il 6 settembre 2019, otto giorni prima del decesso, il fisiatra dell'Asl T certificava che il Tr.Ca. non più autonomo nelle ADL e IADL. Non più deambulante non più autonomo nei passaggi posturali e trasferimenti. Stazione eretta non consentita - e i rilievi fotografici relativi al cortile nel quale è avvenuto l'incidente descrivevano un sedime sconnesso, caratterizzato dalla presenza di pietrisco, di macchinari agricoli e di animali da cortile liberi di muoversi, trattandosi di ostacoli insidiosi. Sulla base di tanto, la Corte di assise di appello ha ritenuto che lo stato di abbandono del Tr.Ca. era connesso alle sue effettive e concrete condizioni di salute, incompatibili con la condotta degli imputati che erano soliti farlo circolare liberamente con l'ausilio di un girello, osservandolo a distanza, con l'ulteriore precisazione che la vittima deambulava in un cortile che presentava numerose fonti di pericolo, giacché il Tr.Ca. non era in grado di evitare l'intralcio costituito dal transito di un gallina che s'infilava fra le sue gambe, ovvero dell'incastro di una ruota del girello nella canalina di scolo. Invero, lo stato di abbandono viene dedotto dall'incapacità del Tr.Ca. di deambulare, necessitando di assistenza costante, oltre che dalla presenza di fonti di pericolo nel cortile dove si è verificato l'incidente, tenuto conto della sua assoluta incapacità a controllare una eventuale caduta. 2.2. Va evidenziato, anzitutto, che i giudici di merito hanno trattato in maniera identica le posizioni degli imputati, quando in realtà il principio costituzionale della responsabilità penale personale, avrebbe imposto - data la diversità delle situazioni Ci.El. non era presente quando si è verificata la caduta - una attenta disamina ed una differenziazione in rapporto alla attualità del dovere di cura e custodia gravante su ciascuno degli imputati. 2.3. Fermo ciò, la maggiore carenza motivazionale si manifesta in punto di elemento oggettivo. Al riguardo, l'odierno Collegio osserva che la capacità di deambulare è esclusa dalla Corte di Assise di Appello di Torino sulla scorta di due certificati sanitari quello del 16 agosto 2019 dal quale emerge che il Tr.Ca. era affetto da Alzheimer di grado grave, deambulazione non consentita, viene mobilizzato in carrozzina, deambula solo con assistenza e doppio appoggio e quello del 6 settembre 2019, otto giorni prima del decesso, nel quale il fisiatra dell'Asl T certificava che il Tr.Ca. non più autonomo nelle ADL e IADL. Non più deambulante non più autonomo nei passaggi posturali e trasferimenti. Stazione eretta non consentita . Tuttavia, le dichiarazioni testimoniali acquisite si pongono in direzione opposta, rectius antitetica, rispetto alla asserita incapacità di deambulare della vittima. Invero, Tr.Gi. fratello della vittima ha riferito che - a suo fratello riusciva a camminare dondolando, avendo comunque necessità di sostegno oppure del girello - b quando andava a trovarlo, lo prendeva sotto braccio per recarsi presso un bar e lui camminava normalmente, un po' barcollando - d durante i due mesi di permanenza presso l'abitazione degli imputati, andava a trovarlo due volte alla settimana - e il girello era stato fornito dagli imputati - f il giorno della caduta era stato informato dal No.Gi., riferendogli che mentre il fratello girava con il girello, era caduto in terra. Du.Ro., figlia di una ospite presente nella abitazione degli imputati, ha riferito che - a in occasione delle visite alla propria madre con frequenza di due o tre volte alla settimana, oppure una sola volta ma per l'intera giornata , aveva constatato che la vittima era seguita passo passo, quando scendeva le scale c'era sempre qualcuno con lui, non è mai stato da solo. Sa.Ge. ospite presso gli imputati, ha precisato che - a il Tr.Ca. camminava con il girello non stava un secondo senza muoversi si muove come uno scarafaggio ed era seguito dagli imputati che lo prendevano per mano - b ha assistito personalmente alla caduta, notando che mentre camminava con il girello si è sciolto con qualcosa di cera, come uno svenimento, sbattendo la testa al muro. La capacità del Tr.Ca. di deambulare, seppure con l'ausilio di un girello, emergente da tali dichiarazioni testimoniali è obliterata dalla Corte di assise di appello che non spiega la ragione per la quale ha ritenuto prevalente la certificazione sanitaria, prima ricordata o comunque la ragione di tale evidente contrasto nelle risultanze probatorie. A tal riguardo si osserva che relativamente alle dichiarazioni di Tr.Ca., la Corte di assise di appello, in maniera apodittica, le considera recessive perché relative ad una situazione non più in atto da diverso tempo, ma lo stesso testimone ha riferito di essersi recato presso il proprio fratello due volte alla settimana, durante tutta la permanenza presso l'abitazione degli imputati, sicché ha potuto descrivere le condizioni del familiare sino alla tragica caduta. Al contrario le dichiarazioni di Du.Ro. e Sa.Ge. non sono state prese in considerazione al fine di confutarle. Da tali dichiarazioni, tuttavia, non emerge che il Tr.Ca. fosse in stato di abbandono , atteso che dalle dichiarazioni testimoniali suddette non è emerso che gli imputati, anche soltanto transitoriamente, siano venuti meno ai doveri di assistenza nei confronti della vittima, emergendo al contrario come il Tr.Ca. fosse sotto il loro costante monitoraggio. In altri termini, le prove orali non pare confermino che gli imputati abbiano abbondonato per un arco di tempo significativo il Tr.Ca., non garantendogli la dovuta assistenza, con l'evidente consapevolezza di esporlo ad un pericolo, sia pure potenziale, per la sua incolumità personale. Del resto, non appare controverso che la caduta sia avvenuta sotto la diretta sorveglianza di No.Gi., sicché la Corte non spiega esattamente in che cosa si sia tradotto l'abbandono del Tr.Ca., disinteressandosi della sua sorte, non potendosi ravvisare in sé nella condotta imprudente tenuta dagli imputati, consentendo al Tr.Ca. di circolare con il girello su un terreno sconnesso - in assenza di ulteriori elementi - una situazione di abbandono della persona indifesa ed incapace dì provvedere a sé stessa seppure relativa e parziale. Le fonti probatorie orali prima richiamate non descrivono una condotta materiale di abbandono , tale da produrre una situazione di pericolo per l'incolumità del soggetto passivo, anzi evidenziano come gli imputati fossero costantemente presenti negli spostamenti del Tr.Ca., non lasciandolo mai solo la persona offesa non è uscita dal perimetro della sfera di vigilanza del custode. La Corte di assise di appello non ha offerto alcuna indicazione della specifica connotazione dell'elemento oggettivo del reato, limitandosi ad affermare che l'incapacità a deambulare del Tr.Ca. non pacifica delle complessive emergenze acquisite aveva determinato un abbandono, con ciò senz'altro presumendo una situazione di pericolo, non verificata. Quanto ai profili relativi alla mancata segnalazione ai competenti uffici regionali da parte degli imputati della presenza del Tr.Ca. ovvero della esistenza di fonti di pericolo per la deambulazione nel cortile ove si è verificata la caduta, gli stessi neppure danno conto in sé di situazioni idonee ad integrare la nozione di abbandono di cui all'articolo 591 cod. penumero , dovendosi accertare in concreto se ne sia conseguito uno stato di pericolo. 3. Perplessità sorgono anche andando a considerare l'accertamento dell'elemento soggettivo. Il dolo viene dedotto essenzialmente dal progressivo peggioramento delle condizioni di salute, valutabili e percepibili in considerazione della convivenza presso l'abitazione degli imputati e, per altro verso, dal far circolare sul girello il Tr.Ca. per la necessità di riposare ovvero non ricevere sputi dalla vittima, circostanze che ponevano gli imputati in condizione di percepire il pericolo, nella sua concretezza e attualità. Tuttavia, è però sempre necessario che la condizione di pericolo sia frutto di una azione od omissione consapevole dell'imputato. Orbene, nel delitto ex articolo 591 cod. penumero  il dolo esige non soltanto la volontà di privare dell'assistenza l'incapace, con la consapevolezza dello stato di incapacità, ma anche la rappresentazione di un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumità fisica dell'incapace, sicché l'autore, persistendo nella sua condotta omissiva, accetta il rischio che l'evento si verifichi Sez. 5, numero 44013 del 11/05/2017, Rv. 271431 - 01 . Il soggetto attivo deve, in altri termini, prevedere che la sua condotta determinerà una effettiva possibilità di danno per il minore o l'incapace. La concreta situazione in cui si abbandona deve essere tale da far prevedere l'effettiva possibilità del verificarsi di un danno per la persona. L'essenza del delitto in esame consiste nell'abbandono del minore o dell'altrimenti incapace, caratterizzato dalla volontà di sottrarsi esclusivamente ad un obbligo di cura o di custodia derivante dalla legge o da un particolare rapporto giuridico. Tuttavia, gli elementi probatori, prima richiamati, descrivono in modo contraddittorio lo stato di abbandono, nei termini di cessazione della relazione di cura o di assistenza tra l'agente ed il soggetto passivo, con la conseguente consapevolezza dell'abbandono. Anzi, le inadempienze contestate agli imputati potrebbero piuttosto riferirsi ad un'ipotesi colposa assenza di mezzi, di personale medico ed infermieristico, nonché l'assenza di autorizzazioni amministrative per la presa in carico di soggetti non autosufficienti, la inidoneità dei locali, per la presenza di scale e di violazioni urbanistiche . In altri termini, viene in rilievo un deficit organizzativo, sostanziantesi in assenza di controlli, di prescrizioni di sicurezza, di interventi alle strutture, che da valutare unitamente al tema - dell'omessa ponderata valutazione tra l'accettazione dell'anziano o il rifiuto di accoglierlo. 4. Alla luce di tutto quanto esposto la sentenza impugnata va annullata con rinvio dovendo il giudice di merito verificare - alla luce dei principi di legittimità esposti e di tutti gli elementi probatori acquisiti da leggere complessivamente - se il Tr.Ca. versasse al momento dei fatti in stato di abbandono sotto il profilo oggettivo e se gli imputati abbiano agito nella consapevolezza dell'esistenza di un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumità fisica della vittima accettando il rischio del verificarsi dell'evento e non piuttosto con imprudenza o negligenza. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Torino.