Il tema dell’esclusione di legittimazione del PM ad appellare le sentenze di proscioglimento sconosciuto in un sistema inquisitorio, più volte ricorrente dopo il radicamento concettuale del nuovo codice di procedura penale e abortito con la sentenza della Corte Costituzionale del 2007 torna di attualità nel dibattito scientifico, in seguito alla previsione introdotta dall’articolo 2 comma 1 lett. p della l. numero 114 del 2024, a mente del quale il PM non può appellare contro le sentenze di proscioglimento per i reati di cui all’articolo 550 commi 1 e 2 c.p.p.
Deve ritenersi che la previsione si estenda anche alla sentenza di proscioglimento emessa a seguito del giudizio abbreviato pronunciata nell'udienza predibattimentale. A prescindere da un possibile coordinamento con quanto previsto dall'articolo 25 della legge numero 274 del 2000 ove si esclude l'appello del pubblico ministero nei confronti della sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace ritenuto costituzionalmente legittimo C. Cost. nnumero 42 del 2009 e 258 del 2010 che al tempo poteva trovare giustificazione nella marginalità della materia oggetto di accertamento, oggi trova o potrebbe trovare ragione nella modifica dell'articolo 17 ex legge numero 31 del 2024 ove si prevede che opera all'articolo 428 c.p.p. In prima battuta il tema può essere letto solo come un cauto tentativo atto a saggiare le ricadute – ovvero le resistenze – alla riforma di più ampio respiro. Il dato tuttavia pur con questa precisazione non sembra escludere una possibile lettura di sistema ricollegandola anche ad altri elementi collaterali. Si consideri, da questa prospettiva, anche la riforma della legittimazione ad appellare le sentenze di condanna attraverso la modifica dell'articolo 593 comma 1 c.p.p. la più volte ribadita esclusione dell'appello incidentale arg. ex articolo 595 c.p.p. la riforma della rinnovazione probatoria in caso di condanna emessa a seguito di appello del p.m. articolo 603 comma 3-bis c.p.p. . Deve ritenersi che nel processo penale tutto si tiene e che le modifiche della sua struttura, ma anche i suoi assestamenti non possano tenero conto, da un lato, del modello accusatorio e dall'altro, del contenuto dell'esercizio dell'azione penale. Se, invero, la titolarità dell'azione penale obbligatoria, pubblica, irretrattabile tipica del modello inquisitorio – condizionata da subito dalla manifesta infondatezza della notizia criminis – rendeva consequenziale la piena legittimazione del PM ad appellare le decisioni che escludevano la sua prosecuzione il ragionamento potrebbe attenuarsi nell'evoluzione proprio dell'esercizio dell'azione penale delle sue condizioni pur nel permanere delle sue riferite connotazioni. Invero, la titolarità dell'azione penale può essere letta in due modi, secondo due chiavi l'una, positiva, quella del protrarsi dell'obbligo del suo esercizio l'altra, quella per la quale una sua verifica negativa ne possa circoscrivere la continuazione. In altri termini, quando può arrestarsi questo potere di perpetuare l'iniziativa accusatoria? Ora si può ritenere corretto che la decisione di archiviazione determinata da una iniziativa dello stesso p.m. condivisa dal giudice oppure una non condivisibile del giudice in caso di rigetto dell'udienza preliminare possa precludere al p.m. una verifica da parte della corte d'appello e poi della Corte di Cassazione . Invero, si tratta di una decisione a rilievo sostanzialmente processuale e di natura prognostica ancorché non possa negarsi che consegua ad un contradditorio seppur circoscritto tra le parti. Questo dato potrebbe giustificare come già la riferita modifica relativa alla sentenza del giudice monocratico, una diversa disciplina tra le decisioni dibattimentali e quelle di non luogo. Tuttavia all'opposto senza smentire quanto detto non può non evidenziarsi che ai tempi della legge Pecorella la magistratura non aveva dimostrato interesse alla mancata legittimazione ad appellare la sentenza di non luogo arg. ex articolo 428 c.p.p. la cui appellabilità fu riconosciuta attraverso una modifica legislativa d.lgs. numero 11 del 2018 . Oggi, tuttavia, i tempi sono diversi. Ora l'esclusione della legittimazione ad appellare la sentenza di proscioglimento emessa dal giudice monocratico, cioè il perpetuarsi dell'azione penale anche se si afferma che l'impugnazione non sia esercizio di azione penale il potrebbe invece trovare giustificazione a seguito della decisione del giudice emessa in pieno contradditorio tra le parti. Una volta esercitata l'azione penale ancorché condivisa dal giudice dell'udienza preliminare, la decisione negativa emessa a seguito del dibattimento, l'azione penale del PM potrebbe ritenersi esaurita mentre all'opposto la condanna dell'imputato giustificherebbe il diritto all'esercizio del diritto di difesa. Va altresì considerato che in caso di appello del pubblico ministero nei confronti di una sentenza di proscioglimento per l'imputato si prospetterebbe l'ipotesi di una prima condanna con forti limiti al controllo, essendo previsto solo il ricorso per cassazione ed essendo altresì escluso l'appello incidentale, il tutto non attenuato dai limiti alla rinnovazione in appello. La situazione più precaria, conseguente ad una stagione superata, si prospetta con riferimento all'appello della sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato, nel quale l'imputato ha accettato di essere giudicato sulla base del materiale investigativo dell'accusa e con la sua domanda altresì sanato alcune invalidità processuali. Futuribili sui quali c'è materia per riflessioni e approfondimenti.