Diffuse a fini commerciali foto del figlio minorenne di genitori separati: risarcimento possibile per il genitore che non ha dato l’autorizzazione

Magistrati chiamati a prendere in esame il contenzioso tra una coppia di genitori vip separati in merito alle foto di un loro figlio minorenne utilizzate per il catalogo di una casa di moda. Per i giudici non ci sono dubbi il ristoro economico è connesso all’accertamento di effettività e serietà della lesione al diritto alla riservatezza dell’immagine, la cui tutela costituisce un interesse primario del fanciullo.

Possibile risarcimento per il genitore separato che, a differenza dell'altro genitore, non ha dato l'autorizzazione all'utilizzo a fini commerciali dell'immagine, ossia di alcune foto, del figlio minorenne. Il ristoro economico è però connesso all'accertamento di effettività e serietà della lesione al diritto alla riservatezza dell'immagine, la cui tutela costituisce un interesse primario del fanciullo. Scontro frontale tra due ex coniugi vip. In ballo la presunta illegittimità dell'utilizzo, a fini commerciali, di alcune foto ritraenti un figlio minorenne della coppia. A dare il ‘la' alla vicenda giudiziaria è l'uomo, il quale chiede ai giudici di dichiarare l'illegittimità della divulgazione dell'utilizzazione, per fini pubblicitari – come da contratto di sponsorizzazione con una casa di moda – delle immagini del figlio minorenne, visto il suo mancato consenso, che, invece, la ex moglie e la società avrebbero dovuto richiedere e ottenere in ragione della sua qualità di padre esercente la responsabilità genitoriale sul bambino. Consequenziali le ulteriori richieste dell'uomo da un lato, la rimozione immediata dal catalogo dell'azienda e dagli altri siti internet delle foto riproducenti il minore, e, dall'altro, un risarcimento in suo favore, da parte dell'ex moglie e della società, per i danni causati con l'illegittima divulgazione delle immagini del figlio. In Tribunale viene dichiarata illecita la pubblicazione dell'immagine del minorenne in una campagna pubblicitaria della società, viene inibita sia alla madre del ragazzino che alla società  l'ulteriore utilizzazione delle immagini del minorenne, ma viene respinta la domanda di risarcimento avanzata dall'uomo. Su quest'ultimo punto i giudici di primo grado spiegano che «nelle pubblicazioni» contestate dall'uomo «non erano indicate le generalità del figlio minore, né si faceva riferimento in alcun modo al padre», e aggiungono che è da considerare «estranea la pronuncia con cui è stata inibita alla donna la diffusione delle immagini dei figli avuti con l'ex marito, prevedendo, in caso di violazione, il pagamento di una somma di denaro». In sostanza, secondo i giudici del Tribunale, «la lesione di un diritto, quale quello alla prestazione del consenso da parte di un genitore alla pubblicazione delle immagini del figlio minore, non è di per sé produttiva di danni,  in assenza di prove e financo di plausibili allegazioni in tal senso». Sulla stessa linea, poi, anche i giudici di appello, i quali ribadiscono «l'illegittimità della pubblicazione delle immagini del minore, senza il consenso del padre» ma osservano anche «la mancanza di provedel pregiudizio lamentato dall'uomo nella qualità di genitore». In particolare, viene sottolineato che «non erano state diffuse», all'epoca, «le generalità del minore all'interno del catalogo pubblicato dalla società» e ciò porta a ritenere «assente la lesione del diritto all'immagine del minore, posto che l'assenza di elementi identificativi e anagrafici del bambino nome, cognome, età, cittadinanza ne aveva impedito la riconducibilità ai genitori, preservandone in tal modo la riservatezza e l'anonimato». In questo quadro è poi ritenuto irrilevante il fatto che alcune foto del bambino siano  state ripubblicate dalla madre sul proprio profilo social, così come la circostanza dell'avvenuta diffusione, su alcune testate online, della notizia della partecipazione del minorenne alla campagna pubblicitaria della casa di moda, posto che «nel primo caso, la condotta era imputabile in via autonoma alla madre del minore mentre, nel secondo caso, la divulgazione della notizia non era  eziologicamente riconducibile alla realizzazione e pubblicazione delle foto  sul catalogo della società, potendo piuttosto ricondursi alla ripubblicazione di tali foto sui profili social della donna e potendo trovare origine nella notorietà di costei o dell'ex marito». Impossibile, quindi, ritenere dimostrato un danno, come lamentato, invece, dall'uomo. Col ricorso in Cassazione, però, l'uomo ribadisce la propria richiesta di risarcimento, a fronte del comportamento illegittimo tenuto dall'ex moglie e dalla società di moda. A sostegno della propria istanza, poi, l'uomo mette sul tavolo il palese carattere illegittimo della pubblicazione e della diffusione delle foto ritraenti il figlio minore, foto collegate ad un contratto di sponsorizzazione siglato dalla madre del minore con la casa di moda. In questa ottica, poi, l'uomo aggiunge che «oltre ad un pregiudizio al decoro e all'immagine del minore, merita il dovuto ristoro anche il danno strettamente patrimoniale subito da lui stesso, da liquidarsi facendo riferimento alla notorietà del personaggio, all'ampia diffusione che le foto avevano avuto on line, in forma cartacea e infine sui social network o facendo riferimento al compenso che egli avrebbe potuto ricevere, tenuto conto che le immagini erano state utilizzate per fini commerciali da parte della società, in quanto inserite nel catalogo di vendita dei prodotti della casa di moda». Per i Giudici di Cassazione è palese la fondatezza delle obiezioni sollevate dall'uomo. Così come è palese l'errore compiuto in appello, laddove, acclarato l'essere stato il ritratto del minore utilizzato per fini pubblicitari senza il consenso del padre e confermata l'illegittima diffusione delle foto, è stata respinta la richiesta di risarcimento del danno, evidenziando che «il pregiudizio non può ritenersi in re ipsa, per la sola violazione accertata», anche perché «la circostanza, pacificamente ammessa anche dall'uomo, per cui non sono state diffuse le generalità del minore all'interno del catalogo pubblicato dalla casa di moda non è affatto irrilevante». Anzi, «questo aspetto consente», secondo i giudici d'appello, «di ritenere infondata la lesione del diritto all'immagine del minore rispetto alla quale l'uomo chiede il ristoro nell'interesse del figlio posto che, invece, l'assenza di elementi identificativi e anagrafici del minore quali nome, cognome, età, cittadinanza ne ha impedito la riconducibilità ai genitori, preservandone in tal modo la riservatezza e l'anonimato». Prima di esaminare in dettaglio la vicenda, comunque, i magistrati di Cassazione richiamano «la tutela dell'immagine della persona» e osservano che, per quanto riguarda le fotografie, «l'immagine di una persona costituisce uno degli attributi principali della sua personalità, poiché rivela le caratteristiche uniche dell'individuo e lo distingue dai suoi pari. Il diritto alla tutela della propria immagine è quindi una delle componenti essenziali dello sviluppo personale. Ciò presuppone principalmente il diritto dell'individuo a controllare l'uso di tale immagine, compreso il diritto di rifiutarne la pubblicazione». E, ovviamente particolare attenzione va, infine, prestata alla tutela della vita privata dei minori. Tracciato un quadro generale, i magistrati di Cassazione si soffermano sul il tema del risarcimento – richiesto dall'uomo – a fronte del danno conseguente all'abuso dell'immagine altrui. Ebbene, il danno è risarcibile a condizione che l'interesse leso abbia rilevanza costituzionale, che la lesione dell'interesse sia grave nel senso che l'offesa superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale , che il danno non sia futile e, cioè, non consista in meri disagi o fastidi e che, infine, vi sia specifica allegazione del pregiudizio, non potendo assumersi la sussistenza del danno in re ipsa. E questi principi valgono anche in relazione al danno conseguente alla violazione del diritto all'immagine ed anche in riferimento al diritto all'immagine di minori. Applicando tale prospettiva alla vicenda oggetto del processo, è evidente, secondo i magistrati di Cassazione, l'errore compiuto in appello, laddove si è dato rilievo alla «mancata diffusione insieme alle foto del minore, inserite nel catalogo dei capi di abbigliamento e degli accessori offerti in vendita, anche del nome o delle generalità del bambino o dei suoi familiari», mentre, invece, tale circostanza «non assume alcuna incidenza ai fini dell'accertamento della produzione di un danno in conseguenza dell'abuso dell'immagine del minore», osservano i magistrati di Cassazione. Necessario, quindi, un nuovo processo d'appello per valutare l'istanza risarcitoria avanzata dall'uomo, e ciò alla luce del principio fissato, in chiusura, dai magistrati di Cassazione, principio secondo cui «in tema di tutela contro l'abuso dell'immagine di un minore, l'accertamento della illiceità della diffusione del ritratto del bambino per fini di pubblicità commerciale, effettuata senza il consenso di uno dei genitori, comporta il diritto al risarcimento del danno a condizione che sia accertata l'effettività e la serietà della lesione al diritto alla riservatezza dell'immagine, la cui tutela costituisce un interesse primario del fanciullo, senza che la mancanza di indicazioni relative al nome o alle generalità del minore o dei suoi genitori valgano ad escluderne il pregiudizio, poiché l'immagine della persona è tutelata in sé, quale elemento altamente caratterizzante l'individuo, che lo rende unico e originale, come tale riconoscibile».

Presidente Genovese - Relatore Reggiani Svolgimento del processo Lo.Ma. ha adito il Tribunale di Milano per sentire accertare e dichiarare la nullità del contratto di sponsorizzazione intercorso tra la ex moglie Na.Wa. e la società Pl.Ph. International AG di seguito, società Pl.Ph. avente ad oggetto l'utilizzazione dell'immagine del minore Lo.Va., figlio dell'attore e della convenuta, nato il Omissis , per scopi pubblicitari legati alla commercializzazione dei prodotti di abbigliamento realizzati dalla società. In ogni caso, il Lo.Ma. ha chiesto al giudice di primo grado di accertare e dichiarare l'illegittimità della divulgazione e/o utilizzazione per fini pubblicitari delle immagini del minore, visto il mancato consenso, che la ex moglie e la società avrebbero dovuto richiedere e ottenere in ragione della sua qualità di padre esercente la responsabilità genitoriale sul bambino. Ciò posto, lo stesso Lo.Ma. ha chiesto che venisse ordinata la rimozione immediata dal catalogo dell'azienda e dagli altri siti internet delle foto riproducenti il minore, nonché che venisse disposta la pubblicazione della sentenza in più testate giornalistiche nazionali e internazionali e in ogni caso che i convenuti fossero condannati in solido al risarcimento dei danni causati dalla illegittima divulgazione delle immagini del minore. Si è costituita la Pl.Ph. International AG, eccependo, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva in capo al Lo.Ma., dal momento che costui aveva agito in proprio ed esclusivamente nel proprio interesse, lamentando la lesione di un diritto altrui, ossia del figlio Lo.Va. La società ha, inoltre, contestato tanto la stipula di un contratto di sponsorizzazione con la Na.Wa. quanto la pattuizione di alcun compenso tra le parti, deducendo di non avere mai affiancato alle immagini del minore elementi che potessero rivelare l'identità dello stesso o il nome del padre. La stessa società ha, poi, eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva e, comunque, l'infondatezza della domanda attorea, ritenuta basata su doglianze generiche e imprecise, rappresentando anche l'inammissibilità nonché improponibilità, per indeterminatezza e mancata indicazione di un criterio per poter effettuare una valutazione dell'an e del quantum del danno lamentato della domanda risarcitoria svolta nei suoi confronti, per l'asserita insussistenza di una condotta concreta idonea a ledere i diritti del Lo.Va. Infine, la società ha affermato di avere realizzato gli scatti afferenti alla campagna pubblicitaria della collezione Primavera/Estate 2016 sulla base del consenso della madre del minore, la quale aveva assicurato di potere esprimere il consenso per l'esercizio dei diritti del figlio, avendone ottenuto l'affidamento esclusivo e trattandosi, comunque, di atto di ordinaria amministrazione, suscettibile di attuazione da parte di un genitore singolarmente, essendo stato il servizio fotografico realizzato a titolo gratuito, senza che vi fosse un contratto di sponsorizzazione e per una pubblicazione destinata a un arco temporale limitato. In via riconvenzionale, la menzionata società ha, comunque, chiesto di essere tenuta indenne e manlevata da Na.Wa., in ipotesi di accoglimento delle domande di costui. Si è costituita in giudizio anche la madre del minore, eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione attiva del Lo.Ma. - e la conseguente inammissibilità delle relative domande - per avere introdotto il giudizio esclusivamente nel proprio interesse, e non in quello del figlio, nonché contestando l'asserito uso illegittimo dell'immagine del figlio. Nel merito, la convenuta ha contestato la fondatezza delle domande e pretese ex adverso proposte, sostenendo di avere immediatamente informato il padre del minore del fatto che il figlio aveva posato per la Pl.Ph. International AG e che, in più di una occasione, l'ex marito aveva prestato il proprio consenso. La convenuta ha dedotto, in particolare, il carattere di ordinaria amministrazione dell'atto di autorizzazione alla realizzazione degli scatti fotografici e della loro utilizzazione a fini pubblicitari, nonché l'assenza di un vero e proprio contratto di sponsorizzazione stipulato con la società Pl.Ph., avente ad oggetto l'utilizzo a fini promozionali dell'immagine del minore, della cui identità - o di quella dei genitori - non vi era traccia nella campagna pubblicitaria dell'azienda. La stessa convenuta ha, comunque, eccepito l'inammissibilità e/o improponibilità della domanda risarcitoria formulata dal Lo.Ma., in quanto infondata e comunque indeterminata, nonché l'inammissibilità, improponibilità e infondatezza della domanda riconvenzionale di manleva formulata dalla società. Nella prima memoria ex articolo 183, comma 6, c.p.c. il Lo.Ma. ha chiarito di avere agito nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore a tutela dell'interesse del figlio , e le convenute hanno contestato l'inammissibilità della prospettata mutatio libelli. Ritenuta l'inutilità delle prove per testi, vertenti su circostanze documentate, il Tribunale ha ammesso gli interrogatori del Lo.Ma. e della Na.Wa., per il cui espletamento è comparsa solo quest'ultima, e ha rimesso la causa in decisione. Con sentenza numero 4379/2020 il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ha dichiarato illecita ex articolo 96 L. numero 633 del 1941 la pubblicazione dell'immagine di Lo.Va. nella campagna pubblicitaria P/E 2016 della società convenuta, inibendo ad entrambe le parti convenute l'ulteriore utilizzazione delle immagini di cui si discute, ma ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni e, di conseguenza, la domanda riconvenzionale di manleva della società, con integrale compensazione delle spese di lite. Il giudice di primo grado ha ritenuto sussistente la legittimazione attiva in capo al Lo.Ma., poiché dal contesto dell'atto di citazione si evinceva con chiarezza che aveva agito nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore, certamente legittimato a chiedere l'accertamento della illegittimità della pubblicazione dell'immagine di quest'ultimo. Tenuto conto degli articolo 96 e 97 L. numero 633 del 1941, nonché delle fonti di diritto internazionale Carta di Treviso, adottata nell'ottobre del 1990 e della relativa interpretazione giurisprudenziale consolidata secondo cui deve tenersi presente in via prioritaria la necessità di tutelare il primario interesse del minore , il medesimo Tribunale ha affermato che la rappresentanza del minore per l'esercizio e la tutela dei diritti di natura personale e personalissima del minore spetta ai genitori che esercitano la responsabilità genitoriale ex articolo 320 c.p.c. senza necessità di autorizzazione del giudice tutelare che, nel caso di specie, il Lo.Ma., pur non negando di essere stato informato in ordine all'uso dei ritratti del minore, aveva scritto, in data 08/02/2016, in pendenza della campagna pubblicitaria, una raccomandata alla Pl.Ph., chiarendo il proprio dissenso e diffidando la società dal proseguire l'uso dell'immagine del minore che il consenso non era stato regolarmente fornito da entrambi i genitori, ma ciò avrebbe reso il contratto non già nullo, bensì annullabile, rendendosi necessaria un'apposita domanda in tal senso, la quale, nel caso di specie, non era stata formulata. Ritenuto, comunque, illecito ex articolo 96-97 L. numero 633 del 1941 l'uso dell'immagine del minore senza il necessario consenso di entrambi i genitori esercenti la potestà genitoriale, il Tribunale ha inibito conseguentemente a entrambi i convenuti ogni ulteriore utilizzazione delle immagini di cui è causa. Lo stesso Tribunale ha, però, rigettato la domanda di risarcimento del danno formulata dal Lo.Ma., in quanto a nelle pubblicazioni in questione non erano indicate le generalità del figlio minore, né si faceva riferimento in alcun modo al padre b erano estranee al giudizio, che aveva per oggetto solo la campagna pubblicitaria della società convenuta per la stagione P/E 2016, le immagini, prodotte dall'attore, pubblicate su alcuni siti di cronaca argentini, così come estranea era la pronuncia del Tribunale argentino con il quale è stata inibita alla madre la diffusione delle immagini dei figli avuti con il Lo.Ma. prevedendo, in caso di violazione, il pagamento della somma di dollari 50.000,00 , vertente su altra vicenda c la lesione di un diritto, quale quello alla prestazione del consenso da parte di un genitore alla pubblicazione delle immagini del minore, non è di per sé produttiva di danni, in assenza di prove e financo di plausibili allegazioni in tal senso. Lo.Ma. ha impugnato la sentenza del Tribunale, censurandone l'erroneità per i motivi di seguito evidenziati. I. In riferimento alle richieste istruttorie il giudice di primo grado non aveva ammesso le prove per testi richieste dall'attore, ma tale provvedimento e la successiva sentenza erano illegittimi, in quanto le prove erano ammissibili e rilevanti e avrebbero consentito di provare il danno cagionato dall'illecito utilizzo dell'immagine del figlio minore II. In ordine alla dedotta carenza di legittimazione attiva del Lo.Ma. il Tribunale aveva illegittimamente negato il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, patito dall'appellante, ritenendo erroneamente che tale domanda fosse stata formulata nell'interesse proprio dell'attore medesimo piuttosto che nell'interesse del figlio III. Sul diritto al risarcimento il Tribunale non aveva considerato che il mancato consenso del padre del minore all'utilizzo dell'immagine del minore era causa di danno patrimoniale e non patrimoniale, la cui liquidazione poteva essere effettuata in via equitativa. IV. In ordine alla rilevanza del provvedimento argentino depositato con la memoria ex 183 comma 6, numero 2 c.p.c. con il quale è stata inibita alla madre la diffusione delle immagini dei figli avuti con il Lo.Ma. prevedendo, in caso di violazione, il pagamento della somma di dollari 50.000,00 il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che la citata pronuncia non avesse nessuna attinenza con il giudizio in questione. V. Sulla compensazione delle competenze legali il Tribunale non aveva applicato i criteri di cui agli articolo 91 e 92 c.p.c., nonostante il parziale accoglimento delle domande attoree. La madre del minore è rimasta contumace nel giudizio di appello, mentre la società Pl.Ph., nel costituirsi, ha eccepito l'inammissibilità dell'impugnazione e, oltre a chiederne il rigetto e a riproporre, all'occorrenza, domanda di manleva nei confronti di Na.Wa., ha formulato appello incidentale in ordine alla disattesa eccezione di inammissibile mutatio libelli operata dal Lo.Ma. con la prima memoria ex articolo 183 c.p.c. Con sentenza numero 3647/2022, la Corte d'Appello di Milano ha rigettato sia l'appello principale sia l'appello incidentale, compensando tra le parti costituite le spese di lite. Per quanto ancora di interesse, il giudice del gravame ha ritenuto che il primo motivo di appello principale, riguardante la mancata ammissione delle prove orali richieste dal Lo.Ma., fosse infondato perché la parte non aveva illustrato le ragioni della decisività delle circostanze oggetto di prova, avendo l'appellante dedotto in modo del tutto apodittico, assertivo e generico che tali prove avrebbero consentito di ritenere provato il danno, patrimoniale e non patrimoniale, di cui chiedeva il risarcimento. La Corte territoriale ha ricordato che il Tribunale aveva ritenuto che prove testimoniali dedotte dall'attore in primo grado fossero irrilevanti ai fini della decisione della causa o comunque afferenti a circostanze già documentate e, invero, nulla avrebbero aggiunto rispetto all'accertamento - poi espresso in sentenza - dell'illegittimità della pubblicazione delle immagini del minore Valentino senza il consenso del padre. La Corte territoriale ha, poi, ritenuto inammissibile il secondo motivo di appello principale, poiché il Tribunale aveva respinto la domanda risarcitoria, non perché aveva ritenuto il Lo.Ma. privo della legittimazione ad agire in qualità di padre esercente la responsabilità genitoriale sul minore, come ritenuto dall'appellante, ma solo per mancanza di prova del pregiudizio lamentato nella menzionata qualità. La stessa Corte di merito ha ritenuto infondato il terzo motivo di appello principale, perché, come sopra evidenziato, il rigetto della domanda risarcitoria era fondato sul difetto di prova del danno lamentato, mentre invece la parte pretendeva che dalla ritenuta legittimazione a far valere il pregiudizio subito dal figlio in conseguenza della illegittima pubblicazione delle menzionate immagini derivasse automaticamente l'esistenza del danno lamentato in conseguenza di tale pubblicazione, che invece doveva essere dimostrata, potendo la liquidazione equitativa intervenire solo quando l'an sia stato compiutamente dimostrato. In particolare, secondo la Corte, la circostanza pacificamente ammessa anche dall'appellante per cui non erano state diffuse le generalità del minore all'interno del catalogo pubblicato dalla società, portava a ritenere assente la lesione del diritto all'immagine del minore, posto che l'assenza di elementi identificativi e anagrafici del bambino nome, cognome, età, cittadinanza ne aveva impedito la riconducibilità ai genitori, preservandone in tal modo la riservatezza e l'anonimato. Per la menzionata Corte, inoltre, non aveva rilievo, ai fini della decisione, il fatto che alcune foto del bambino fossero state ripubblicate dalla madre sul proprio profilo social, così come la circostanza dell'avvenuta diffusione su alcune testate argentine online della notizia della partecipazione di Lo.Va. alla campagna pubblicitaria bambini P/E 2016 della nota casa di moda, posto che, nel primo caso, la condotta era imputabile in via autonoma alla madre del minore con comportamenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli oggetto di giudizio , mentre nel secondo caso la divulgazione della notizia non era eziologicamente riconducibile alla realizzazione e pubblicazione delle foto sul catalogo di Pl.Ph., potendo piuttosto ricondursi alla ripubblicazione di tali foto sui profili social della Na.Wa. e potendo trovare origine nella notorietà di costei o del Lo.Ma. e non costituendo, comunque, un contributo probatorio sufficiente per ritenere dimostrato un danno. La Corte di merito ha ritenuto infondato anche il quarto motivo di appello principale, rilevando che, a norma degli articolo 21 e 25 L. numero 532 del 1988, era necessaria la delibazione del provvedimento straniero da parte della Corte d'Appello competente e, comunque, era evidente l'estraneità di tale atto rispetto alla presente causa, potendo comunque il provvedimento straniero, in quanto titolo esecutivo, essere azionato nelle forme di legge nei confronti della Na.Wa., quale destinataria della detta pronuncia giurisdizionale. Infine, la medesima Corte ha respinto anche il quinto motivo di appello principale, rilevando che la compensazione delle spese di lite, disposta dal giudice di primo grado, fosse condivisibile, dal momento che sussisteva soccombenza reciproca tra le parti, perché a fronte di un accoglimento di alcune delle domande del Lo.Ma. in punto di illegittimità della pubblicazione delle immagini del figlio minore e di inibitoria del relativo utilizzo è stato deciso il rigetto di altre domande quelle risarcitorie , di cui l'accertata violazione degli articolo 96 e 97 L. numero 633 del 1941 costituiva presupposto necessario ma non sufficiente, rimanendo integro l'indefettibile onere probatorio in ordine alla sussistenza del pregiudizio lamentato, che, come si è ampiamente esposto, non è stato adempiuto. Avverso tale pronuncia Lo.Ma. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. Le intimate non si sono difese con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria difensiva e nota spese. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione di legge ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c., in relazione agli articolo 183, comma 7, e 184 c.p.c., per avere la Corte d'Appello respinto la censura riguardante la mancata ammissione delle prove testimoniali richieste dal Lo.Ma. nell'atto introduttivo, ribadite nelle memorie ex articolo 183, comma 6, c.p.c. e nei verbali di causa poiché, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, l'appellante aveva rappresentato gli elementi fattuali centrali per la risoluzione dell'odierna controversia, ovverosia l'esistenza di un vero e proprio contratto di sponsorizzazione tra la società Pl.Ph. e la Na.Wa., oltre alle precise circostanze di tempo e di luogo ove venivano esposti i capi Pl.Ph., al ruolo svolto dalla in questo rapporto e, da ultimo, ma non per importanza, al risvolto economico derivante dalla pubblicazione delle foto del minore Lo.Va. sul sito internet e sul catalogo della casa di moda, come si evinceva dalle circostanze oggetto di prova, riportate nel ricorso. Il ricorrente ha dedotto che, durante il giudizio, le foto del minore con i capi della Pl.Ph. erano state presentate quali foto scattate in forma occasionale e sporadica, quasi come se la madre si fosse trovata a passare dallo studio fotografico insieme al figlio per caso, mentre, con la dimostrazione dell'esistenza di un rapporto di sponsorizzazione, la vicenda avrebbe assunto tutto un altro aspetto, tanto più che si trattava di un contratto di sponsorizzazione che coinvolgeva l'intera famiglia della signora Na.Wa. e del suo compagno Ic.Ma., in cui era stato inglobato anche il minore Lo.Va., solo perché figlio di personaggi famosi. La prova era finalizzata a dimostrare l'ampiezza dell'operazione e la sua natura prettamente economica e, come si diceva, anche l'esistenza di un danno di natura patrimoniale, mai riconosciuto dall'autorità giudicante, tenuto conto che da un contratto simile, con diffusione delle foto del minore con indosso i capi di abbigliamento, sia in forma cartacea che on line e persino in televisione, era evidente che la casa di moda avesse tratto un vantaggio economico. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione di legge ex articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c., in relazione agli articolo 1226 e 2056 c.c., oltre che degli articolo 10 c.c., 96 e 97 L. numero 633 del 1941, poiché il giudice di appello, pur in presenza di un danno certo o altamente verosimile, e soltanto difficile da quantificare, ha completamente disatteso la richiesta di risarcimento avanzata dal Lo.Ma., anziché fare ricorso ad una valutazione equitativa del danno come previsto dall'art 1226 c.c. Il ricorrente ha, in particolare, evidenziato che in entrambi i gradi di giudizio era stata accertata una violazione degli articolo 10 c.c., 96 e 97 della legge numero 633 del 1941 da parte dei convenuti ed era, dunque, emerso il carattere illegittimo della pubblicazione e della diffusione delle foto. Alla luce di questi rilievi, nonché dei rilievi esposti nel precedente motivo di appello circa l'esistenza di un contratto di sponsorizzazione tra i convenuti, la richiesta di risarcimento avrebbe dovuto essere accolta, sebbene per la sua quantificazione il giudice si sarebbe dovuto rifare al criterio equitativo di cui all'art 1226 c.c., poiché il Lo.Ma. aveva adempiuto al proprio onere probatorio, dimostrando gli scatti fotografici che avevano coinvolto il minore e illustrando i contesti in cui gli stessi erano stati diffusi, sicché al Lo.Ma. non poteva richiedersi la dimostrazione di alcun ulteriore elemento, né per quanto atteneva al danno non patrimoniale derivante dalla illegittima diffusione delle foto che di per sé sfuggiva ad una quantificazione monetaria , né per quanto atteneva al danno patrimoniale poiché l'esatto guadagno tratto dall'operazione da parte della casa di moda poteva conoscerlo solo quest'ultima . Secondo il ricorrente, la Corte di Appello, pur affermando l'illegittimità dell'impiego per fini commerciali delle foto, ha troppo frettolosamente escluso l'esistenza di voci di danno senza in alcun modo considerare che, oltre ad un pregiudizio al decoro e all'immagine del minore, meritava il dovuto ristoro anche il danno strettamente patrimoniale subito dallo stesso, da liquidarsi facendo riferimento alla notorietà del personaggio, all'ampia diffusione che le foto avevano avuto on line, in forma cartacea e infine sui social network o facendo riferimento al compenso che il raffigurato avrebbe potuto ricevere, tenuto conto che le immagini erano state utilizzate per fini commerciali da parte di Pl.Ph., in quanto inserite nel catalogo di vendita dei prodotti della stessa griffe di alta moda. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione di legge ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c., in relazione agli articolo 1-3 L. numero 532 del 1988 e all'articolo 23 della Convenzione Italo-Argentina del 9 dicembre 1987, oltre che dell'articolo 67 L. numero 218 del 1995, con riguardo alla sola posizione della signora Na.Wa. e in riferimento al motivo di appello non accolto, con il quale era stata invocata la rilevanza, ai fini della liquidazione del danno, del provvedimento dell'Autorità Argentina presso il Tribunale Superiore della Famiglia numero 5 Distretto Giudiziario di San Isidoro, Provincia di Buenos Aires, Repubblica Argentina, che aveva inibito alla Na.Wa. la diffusione delle immagini dei figli avuti con il Lo.Ma. prevedendo, in caso di violazione, il pagamento della somma di dollari 50.000,00. Secondo il ricorrente si trattava di provvedimento che consentiva la quantificazione del danno lamentato, sicché la Corte territoriale ha errato ad escludere il risarcimento, affermando che non era stata fornita la prova del danno e nello stesso tempo ritenendo che il citato provvedimento poteva comunque essere legalizzato e messo in esecuzione in Italia. Il ricorrente ha, in particolare, evidenziato che il citato provvedimento era stato legalizzato dall'Autorità giudiziaria argentina e che produceva direttamente i suoi effetti in Italia, in forza della L. numero 532 del 1988, con la quale è stata ratificata la Convenzione del 9 dicembre 1987, relativa all'assistenza giudiziaria e all'esecuzione delle sentenze in materia civile tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Argentina, ove era previsto, all'articolo 23, che l'esecuzione di una decisione poteva essere presentata direttamente dalla persona interessata all'Autorità giudiziaria competente dello Stato in cui il provvedimento deve essere eseguito. Nel caso di specie ricorrevano tutti i presupposti di legge, in quanto il provvedimento sopra menzionato era postillato e corredato di traduzione italiana certificata con perizia giurata, ed era stato ritualmente prodotto nel giudizio di primo grado con la memoria ex articolo 183, comma 6, numero 2 c.p.c. Trattandosi, poi, di provvedimento emesso nell'ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione dal Giudice della famiglia argentino, ricorrevano anche i presupposti previsti dagli articolo 65 e ss. L. 218 del 1995, che prevedono l'efficacia diretta in Italia dei provvedimenti adottati dall'Autorità straniera. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione di legge ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c., in relazione agli articolo 91 e 92 c.p.c., poiché il giudice di appello ha respinto la censura alla sentenza di primo grado, con cui l'appellante Lo.Ma. aveva denunciato la compensazione delle spese di lite, senza valutare che vi era stato l'accoglimento di ben due capi della domanda ovvero quello relativo all'illiceità della pubblicazione delle immagini e quello dell'inibizione all'utilizzo delle stesse , con la conseguenza che il Lo.Ma. non avrebbe dovuto sopportare le spese di lite. 2. Per ragioni di ordine logico, occorre prima di tutto esaminare il secondo motivo di ricorso, che risulta fondato, sia pure nei termini di seguito evidenziati. 2.1. Già in primo grado il giudice di merito ha ritenuto che, nella specie, fosse integrata la violazione dell'articolo 10 c.c. e degli articolo  96 e 97L. numero 633 del 1941, per essere stato il ritratto del minore utilizzato per fini pubblicitari senza il consenso del padre, ma, poi, ha negato il risarcimento del danno. La Corte d'Appello ha confermato l'illegittima diffusione delle foto, ma ha respinto la richiesta di risarcimento del danno, evidenziando che il pregiudizio non può ritenersi in re ipsa, per la sola violazione accertata. La menzionata Corte ha, in particolare ritenuto quanto segue   La circostanza, pacificamente ammessa anche dall'appellante, per cui non sono state diffuse le generalità del minore all'interno del catalogo pubblicato dalla Pl.Ph. cfr. p. 11 appello non è affatto irrilevante, come pretende il Lo.Ma. per contro, questo aspetto consente di ritenere infondata la lesione del diritto all'immagine del minore rispetto alla quale l'appellante chiede il ristoro nell'interesse del figlio posto che, invece, l'assenza di elementi identificativi e anagrafici del minore quali nome, cognome, età, cittadinanza ne ha impedito la riconducibilità ai genitori, preservandone in tal modo la riservatezza e l'anonimato. Il fatto che alcune foto del minore siano state ripubblicate da Na.Wa. sul proprio profilo social, così come la circostanza dell'avvenuta pubblicazione, su alcune testate argentine online, della notizia della partecipazione di Lo.Va. alla campagna pubblicitaria bambini P/E 2016, non altera il discorso fin qui compiuto, posto che nel primo caso la condotta è imputabile in via autonoma alla madre del minore con comportamenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli sin qui esaminati , mentre nel secondo caso la divulgazione della notizia de qua non appare eziologicamente riconducibile alla realizzazione e pubblicazione delle foto sul catalogo di Pl.Ph., potendo piuttosto ricondursi alla ripubblicazione di tali foto sui profili social della Na.Wa. e potendo trovare origine nella notorietà di costei o del Lo.Ma. e non costituendo, comunque, un contributo probatorio sufficiente per ritenere dimostrato un danno né in capo al minore né tantomeno rispetto al genitore. . Il Lo.Ma. ha, invece, affermato di avere rappresentato che le foto del minore erano state impiegate per la campagna pubblicitaria, illustrando i contesti in cui le stesse erano state diffuse, sicché non poteva richiedersi la dimostrazione di alcun ulteriore elemento, ai fini del risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale richiesto. 2.2. Com'è noto, la tutela dell'immagine della persona si rinviene nell'articolo 10 c.c. e anche negli articolo 96 e 97 L. numero 633 del 1941  legge sul diritto di autore . Con l'articolo 10 c.c. il legislatore offre una specifica disciplina per l'ipotesi di abuso dell'immagine, prevedendo che  qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni. . L'articolo 96, comma 1, L. numero 633 del 1941 stabilisce, poi, che  Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente. . Tale regola subisce un'eccezione nel momento in cui la pubblicazione è giustificata dalla notorietà della persona ritratta o quando è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. In particolare, ai sensi dell'articolo 97 L. cit.,  Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata. . Come evidenziato da questa Corte, l'articolo 10 c.c. utilizza il termine  immagine , mentre gli articolo 96 e 97 L. cit. si riferiscono al  ritratto . Le espressioni, benché diverse, sono, però, considerate dal legislatore come sinonimi, come confermato dall'articolo 97 L. cit., che, nel completare la disciplina in parte delineata dall'articolo 96 che impiega il termine  ritratto , utilizza il termine  immagine . Per ritratto si intende, comunque, un'opera dell'arte figurativa o una fotografia ivi compresi i fotogrammi di un film , ove appaiono riconoscibili le sembianze di una persona determinata, anche se l'immagine è soltanto parte di una raffigurazione più vasta e complessa. Da ciò deriva che il diritto ad inibire la diffusione del ritratto richiede, quale presupposto indefettibile, la riconoscibilità delle fattezze della persona effigiata Cass., Sez. 1, Ordinanza numero 4477 del 19/02/2021 . Inoltre, l'articolo 97 L. cit. individua fattispecie nelle quali la riproduzione e la diffusione del ritratto sono ritenute lecite, anche in assenza del consenso dell'effigiato, se ed in quanto miranti a soddisfare soprattutto esigenze pubbliche e sociali, tali da giustificare il sacrificio del diritto del singolo in funzione del preminente interesse della collettività, ma tale sacrificio non deve estendersi oltre i limiti idonei a soddisfare queste esigenze Cass., Sez. 1, Ordinanza numero 4477 del 19/02/2021 . È per questo che l'uso non autorizzato dell'immagine di una persona è sempre illecito, se è impiegato solo per fini di pubblicità commerciale Cass., Sez. 1, Sentenza numero 1748 del 29/01/2016 . 2.3. Il diritto alla protezione dell'immagine personale è considerato dalla maggioranza degli interpreti come manifestazione del più ampio diritto alla riservatezza. Com'è noto, tale diritto non è espressamente menzionato nella Costituzione, ma è stato desunto dall'interpretazione sistematica di altre norme della Carta fondamentale, come ad esempio l'articolo 13 Cost. sulla libertà personale, l'articolo 14 Cost. sulla inviolabilità del domicilio, l'art 15 Cost. sulla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. In via generale, comunque, il diritto alla riservatezza ha seguito una sorte simile ad altri diritti  nuovi  ed ha trovato tutela costituzionale tramite un ancoraggio alla fattispecie aperta rappresentata dall'articolo 2 Cost.  cfr. Corte cost., Sentenza numero 38 del 05/04/1973 . Il diritto de quo, anche diffuso con l'ampio appellativo anglosassone privacy, viene descritto come il diritto a tenere segreti aspetti, comportamenti, atti, relativi alla sfera intima della persona, impedendo che tali informazioni vengano divulgate senza l'autorizzazione del soggetto interessato. Oltre all'aspetto  negativo  del diritto, inteso come diritto a non subire intromissioni nella propria sfera privata, la privacy ha un aspetto  dinamico , poiché il soggetto ha il potere di controllare la diffusione dei propri dati, scegliendo cosa rendere accessibile a terzi e intervenendo a fronte di comportamenti di turbativa o aggressione. A livello sovranazionale, tale diritto è protetto dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali  CEDU , ove all'articolo 8, paragrafo 1, è stabilito che  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria via privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza , con la precisazione, al successivo paragrafo 2, che  Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. . La Corte EDU è, poi, chiamata a controllare che le Autorità statuali effettuino un corretto bilanciamento tra gli interessi concorrenti sopra indicati. La nozione di vita privata elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo è ampia, non soggetta ad una definizione esaustiva, che comprende l'integrità fisica e morale della persona e può includere numerosi aspetti dell'identità di un individuo, tra cui spicca proprio il diritto all'immagine. In particolare, la Corte EDU ha evidenziato che il concetto di vita privata si estende ad aspetti relativi all'identità personale, come il nome, la foto o l'integrità fisica e morale di una persona, spiegando che la garanzia offerta dall'articolo 8 CEDU è intesa innanzitutto ad assicurare lo sviluppo, senza ingerenze esterne, della personalità di ciascun individuo nelle sue relazioni con gli altri esseri umani Corte EDU, Grande Camera, Sentenza del 07/02/2012, Von Hannover c/Germania, par. 95-96 . Per quanto riguarda le fotografie, la menzionata Corte ha affermato che l'immagine di una persona costituisce uno degli attributi principali della sua personalità, poiché rivela le caratteristiche uniche dell'individuo e lo distingue dai suoi pari. Il diritto alla tutela della propria immagine è quindi una delle componenti essenziali dello sviluppo personale. Ciò presuppone principalmente il diritto dell'individuo a controllare l'uso di tale immagine, compreso il diritto di rifiutarne la pubblicazione Corte EDU, Grande Camera, Sentenza del 07/02/2012, Von Hannover c/Germania, par. 95-96 . Anche l'articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  CDFUE, o anche Carta di Nizza sancisce che  Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni . Il successivo articolo 8, ai commi 1 e 2, della stessa Carta stabilisce, poi, che  Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. In una recente pronuncia, la Corte di giustizia dell'Unione europea CGUE , affrontando il tema del bilanciamento tra il diritto all'oblio e quello all'informazione in una fattispecie in cui si trattava di valutare la domanda volta ad ottenere dal gestore di un motore di ricerca la deindicizzazione di alcune immagini riferite ad una determinata persona , ha ricordato che l'articolo 7 CDFUE, relativo al diritto al rispetto della vita privata e familiare, contiene il riferimento a diritti corrispondenti a quelli garantiti dall'articolo 8, paragrafo 1, CEDU, aggiungendo che la protezione dei dati personali svolge un ruolo fondamentale per l'esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare, sancito, appunto, dall'articolo 8 CEDU CGUE, Grande Camera, Sentenza dell'08/12/2022, C-460/20, par. 59 . In particolare, secondo la CGUE, occorre attribuire a detto articolo 7 lo stesso significato e la stessa portata di quelli conferiti dall'articolo 8, paragrafo 1, della CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. In tale ottica, la CGUE ha evidenziato anch'essa che l'immagine di un individuo è  uno dei principali attributi della sua personalità in quanto esprime la sua originalità e gli permette di distinguersi dalle altre persone. Il diritto della persona alla protezione della sua immagine costituisce una delle condizioni per la sua realizzazione personale e presuppone principalmente il controllo sulla propria immagine da parte di tale persona, che comprende, in particolare, la possibilità per quest'ultima di rifiutarne la diffusione. Ne consegue che, pur se, indubbiamente, la libertà di espressione e d'informazione comprende la pubblicazione di fotografie, la tutela del diritto alla vita privata assume in tale contesto un'importanza particolare, data la capacità delle fotografie di veicolare informazioni particolarmente personali, se non intime, su un individuo o la sua famiglia   CGUE, Grande Camera, Sentenza dell'08/12/2022, C-460/20, par. 95 . Particolare attenzione è, infine, prestata dall'ordinamento sovranazionale alla tutela della  vita privata  del minore. Fondamentale rilievo assume la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con L. numero 176 del 1991  Convezione di New York del 1989 , la quale, all'articolo 3, sancisce, in via generale, che in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente. Inoltre, l'articolo 16 della stessa Convenzione prevede espressamente quanto segue   Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. 2. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti. . In tale ottica, questa Corte ha ritenuto che il diritto alla riservatezza del minore, nel bilanciamento degli opposti valori costituzionali diritto di cronaca e diritto alla privacy , deve essere considerato assolutamente preminente, laddove si riscontri che non ricorra l'utilità sociale della notizia e, quindi, con l'unico limite del pubblico interesse della notizia stessa Cass., Sez. 3, Sentenza numero 19069 del 05/09/2006 . Questa stessa Corte, sempre in fattispecie in cui si è trattato di tutelare l'immagine del minore, ha affermato che l'interesse pubblico alla diffusione di una notizia, in presenza delle condizioni legittimanti l'esercizio del diritto di cronaca, va distinto dall'interesse alla pubblicazione o diffusione anche dell'immagine delle persone coinvolte, la cui liceità postula, giusta la disciplina complessivamente desumibile dagli articolo 10 c.c., 96 e 97 della L. numero 633 del 1941, 137 del D.Lgs. numero 196 del 2003 ed 8 del codice deontologico dei giornalisti, il concreto accertamento di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata ai fini della completezza e correttezza della divulgazione della notizia, oppure il consenso delle persone ritratte, o l'esistenza delle altre condizioni eccezionali giustificative previste dall'ordinamento Cass., Sez. 1, Ordinanza numero 4477 del 19/02/2021 . Perfino nel caso in cui la pubblicazione dell'immagine di un minore sia avvenuta in scene di manifestazioni pubbliche o anche private, ma di rilevanza sociale o di altre iniziative collettive non pregiudizievoli, in assenza di consenso al trattamento validamente prestato, si è ritenuto che la pubblicazione sia legittima, in quanto aderente alle fattispecie normative di cui all'articolo 97 della legge numero 633 del 1941, ma solo qualora l'immagine che ritrae il minore possa considerarsi del tutto casuale ed in nessun caso mirata a polarizzare l'attenzione sull'identità del medesimo e sulla sua riconoscibilità Cass., Sez. 3, Ordinanza numero 8880 del 13/05/2020 . Nella stessa ottica, questa Corte ha precisato che, i limiti dell'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico, che circoscrivono la possibilità di diffusione dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica, comporta il dovere di evitare riferimenti a congiunti del personaggio pubblico, non potendo la notorietà di quest'ultimo affievolire i diritti dei primi e, in particolare, dei minori cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza numero 27381 del 06/12/2013 . 2.4. Passando ad esaminare il tema del risarcimento del danno conseguente all'abuso dell'immagine altrui, occorre subito evidenziare che, in generale, con riferimento al danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti inviolabili della persona, questa Corte ha più volte ritenuto che il danno è risarcibile a condizione che l'interesse leso abbia rilevanza costituzionale, che la lesione dell'interesse sia grave nel senso che l'offesa superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale , che il danno non sia futile e, cioè, non consista in meri disagi o fastidi e che, infine, vi sia specifica allegazione del pregiudizio, non potendo assumersi la sussistenza del danno in re ipsa  Cass., Sez. 3, Ordinanza numero 33276 del 29/11/2023 v. anche Cass., Sez. 6-L, Ordinanza numero 29206 del 12/11/2019 . Lo stesso principio è stato enunciato in relazione al danno conseguente alla violazione del diritto all'immagine Cass., Sez. 3, Ordinanza numero 11768 del 12/04/2022 ed anche in riferimento al diritto all'immagine di minori Cass., Sez. 3, Ordinanza numero 25222 del 24/08/2023 . Lo stesso orientamento si rinviene con riferimento al danno non patrimoniale, risarcibile ai sensi dell'articolo 15 D.Lgs. numero 196 del 2003, determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, tutelato dagli articolo 2 e 21 Cost. e dall'articolo  8CEDU, in relazione al quale questo giudice di legittimità ha evidenziato che il risarcimento non si sottrae alla verifica della  gravità della lesione  e della  serietà del pregiudizio , dovendo essere effettuato il bilanciamento con il principio di solidarietà ex articolo 2 Cost., di cui il principio di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, con la conseguenza che determina una lesione ingiustificabile del diritto, non la mera violazione delle prescrizioni poste dall'articolo 11 D.Lgs. cit., ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva Cass., Sez. 6-1, Ordinanza numero 17383 del 20/08/2020 . In una recente pronuncia, questa Corte, nel ribadire, sempre in tema di illecito trattamento dei dati personali, l'esclusione del principio del danno in re ipsa, ha anche spiegato che la mera violazione delle prescrizioni formali in tema di trattamento del dato può non determinare il danno, ma il risarcimento deve ritenersi dovuto per quella violazione che, concretamente, offenda la portata effettiva del diritto alla riservatezza così Cass., Sez. 1, Ordinanza numero 13073 del 12/05/2023, ove la S.C. ha ritenuto correttamente accertata l'esistenza del danno in una fattispecie in cui era intervenuta l'ostensione all'albo pretorio del Comune dei dati personali di una dipendente, per distrazione o errore umano dell'operatore, che aveva provveduto a porre rimedio all'inconveniente in poco più di 24 ore . 2.5. Come sopra evidenziato, il diritto alla protezione della propria immagine costituisce un diritto della personalità, che trova fondamento nell'articolo 2 della Cost. e riconoscimento nell'articolo 8 CEDU, oltre che nell'articolo 7 CDFUE. La questione controversa attiene all'accertamento della effettività della lesione, richiesta ai fini della risarcibilità del danno. Occorre a questo proposito tenere presente che diffondere il ritratto fotografico di una persona senza il suo consenso costituisce un illecito, il cui evento lesivo si verifica proprio con il fatto che viene resa pubblica l'immagine della persona interessata, la quale, invece, voleva conservarne la riservatezza. A differenza dal pregiudizio all'onore o alla reputazione, che si configura come conseguenza della pubblicità dell'immagine v. per tali ultime ipotesi Cass., Sez. L. Ordinanza numero 2968 dell'08/02/2021, Cass., Sez. 3, Ordinanza numero 4005 del 18/02/2020  Cass., Sez. 1, Ordinanza numero 20885 del 05/08/2019 , in questo caso il pregiudizio è dato proprio dalla pubblicità dell'immagine, che l'interessato voleva mantenere riservata. Tale danno è cagionato dalla condotta lesiva dell'immagine altrui e, come in precedenza evidenziato, deve essere accertato nella sua effettiva esistenza e nella sua serietà. Non può, dunque, ritenersi che l'abuso dell'immagine altrui non abbia provocato alcun danno, in ragione del fatto che, insieme all'immagine, non sia stato pubblicato il nome o le altre generalità della persona interessata o dei suoi familiari, poiché, il bene protetto è la riservatezza dell'immagine stessa e non del nome o di altra informazione personale dell'interessato. L'immagine della persona, come evidenziato dalla Corte EDU ed anche dalla Corte di giustizia UE nelle pronunce sopra menzionate, costituisce in sé un elemento altamente caratterizzante l'identità dell'individuo, che lo rende unico e originale, come tale riconoscibile, in relazione alla quale deve essere rispettata la volontà del titolare che non sia esposta al pubblico, ma riservata alla sfera della vita privata. Tale volontà assume tanto più rilievo, laddove riguardi il minore, il cui interesse alla protezione della sfera privata rileva non solo nel momento della verifica della liceità della condotta, ma anche in quello dell'accertamento della sussistenza e gravità della lesione, che il giudice di merito è chiamato a valutare, tenuto conto che la protezione della sua vita privata costituisce un fondamentale interesse del minore, espresso nella Convenzione sui diritti del fanciullo, che gli Stati contraenti, compresa l'Italia, si sono impegnati di realizzare. Una volta accertata la illecita pubblicazione delle foto, ai fini della verifica dell'esistenza del pregiudizio arrecato, il giudice di merito è chiamato a valutare l'effettività e la serietà della lesione, consistente, si ribadisce, nella esposizione al pubblico delle foto del minore, accertando come in concreto è stata realizzata la diffusione dell'immagine per tempi, mezzi impiegati, ecc e tenendo conto del primario interesse del minore a vedere tutelata la sua vita privata. In ipotesi, le fotografie, pur illegittimamente realizzate potrebbero non essere state distribuite o, una volta distribuite, potrebbero essere state subito ritirate, ovvero potrebbero essere state consegnate a pochissime persone. Al contrario, le stesse fotografie potrebbero avere avuto in una grande diffusione tra il pubblico, coinvolgente diversificati mezzi di comunicazione e una lunga campagna promozionale. Nell'accertamento dell'effettività e serietà della lesione, il giudice di merito è, dunque, chiamato ad esaminare gli elementi in fatto della condotta, per valutare la sufficienza, ai fini del ripristino della situazione di diritto, del divieto di utilizzazione dei ritratti fotografici, ovvero la necessità di riparare ad un pregiudizio effettivamente cagionato mediante il risarcimento del danno che sia stato richiesto e provato. 2.6. Nel caso di specie, la Corte di appello non si è uniformata ai principi sopra enunciati, poiché ha dato rilievo alla mancata diffusione insieme alle foto del minore, inserite nel catalogo dei capi di abbigliamento e degli accessori offerti in vendita, anche del nome o delle generalità del bambino o dei suoi familiari, mentre, invece, come sopra illustrato, tale circostanza non assume alcuna incidenza ai fini dell'accertamento della produzione di un danno in conseguenza dell'abuso dell'immagine del minore. Ciò che la Corte territoriale era chiamata a verificare, piuttosto, era l'effettività e la serietà della lesione mediante diffusione dell'immagine, come in concreto verificatasi per tempi, mezzi impiegati, ecc . Il giudice di merito avrebbe dovuto esaminare gli elementi in fatto della condotta, per valutare la effettività e la serietà della lesione alla riservatezza dell'immagine del minore, tenendo conto del primario interesse alla tutela della sua vita privata, verificando, ai fini del ripristino della situazione di diritto, la sufficienza del divieto di utilizzazione dei ritratti fotografici, già ottenuta dal ricorrente, ovvero della necessità di riparare ad un pregiudizio effettivamente cagionato, come allegato e provato, durante il tempo della pubblicazione delle foto. 2.7. In conclusione, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto in applicazione del seguente principio In tema di tutela contro l'abuso dell'immagine di un minore, l'accertamento della illiceità della diffusione del ritratto del bambino per fini di pubblicità commerciale, effettuata senza il consenso di uno dei genitori, comporta il diritto al risarcimento del danno a condizione che sia accertata l'effettività e la serietà della lesione al diritto alla riservatezza dell'immagine, la cui tutela costituisce un interesse primario del fanciullo, senza che la mancanza di indicazioni relative al nome o alle generalità del minore o dei suoi genitori valgano ad escluderne il pregiudizio, poiché l'immagine della persona è tutelata in sé, quale elemento altamente caratterizzante l'individuo, che lo rende unico e originale, come tale riconoscibile. . 3. L'accoglimento del secondo motivo di ricorso rende superfluo l'esame degli altri, che devono ritenersi assorbiti, essendo il giudice di merito chiamato a rivalutare i fatti di causa alla luce del principio enunciato. 4. In conclusione, deve essere accolto il secondo motivo di ricorso e, dichiarati assorbiti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti del motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. 5. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell'articolo 52 D.Lgs. numero 196 del 2003. P.Q.M. la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e, dichiarati assorbiti gli altri, cassa la decisione impugnata, nei limiti del motivo accolto, rinviando la causa alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.