Lo stato di apolidia viene attestato dal Ministero dell’Interno, quale organo dello Stato che ospita ciò non comporta discrezionalità in capo allo stesso Ministero, il quale deve solo riconoscere e certificare non conferire fondando il tutto sulla base delle evidenze documentali. Tale attività di certificazione viene riportata a chiare lettere dall’articolo 17 d.P.R. numero 572 del 1993.
Condizione di apolidia Premessa doverosa «il riconoscimento dello stato di apolide non comporta automaticamente la concessione della cittadinanza italiana», avendo il riconoscimento dello stato di apolide natura dichiarativa soltanto nel caso in cui i relativi presupposti siano emersi inequivocabilmente dalle verifiche effettuate dall'Amministrazione competente. La ricorrente convenne in giudizio il Ministero dell'Intero per sentirsi accertare il proprio stato di apolide con conseguente riconoscimento della cittadinanza italiana e per condannare il Ministero convenuto al risarcimento dei danni cagionati dalla lesione dell'affidamento e dal ritardo nella definizione del procedimento amministrativo, avendo presentato domanda per il riconoscimento dello stato già nel 2006, senza mai ottenere risposta, articolando il proprio ricorso in quattro motivi. La Consulta, ritenendo fondato il ricorso, ha tuttavia cassato la sentenza impugnata nei limiti dell'accoglimento del primo motivo e del secondo dichiarandolo assorbito al primo e dichiarando inammissibili gli altri motivi. Natura dichiarativa dello stato di apolide La prima questione sottoposta all'attenzione della Suprema Corte riflette la natura dichiarativa del riconoscimento dello status di apolide in violazione della Convenzione di New York del 1954, la quale definisce apolide “una persona che nessuno Stato considera come suo cittadino nell'applicazione della sua legislazione”, e degli articolo 702- quater c.p.c. e 2909 c.c. La Corte territoriale ha ritenuto come ai fini del riconoscimento della cittadinanza il quinquennio di residenza legale nel territorio dello Stato deve essere computato a decorrere dalla data di riconoscimento giudiziale del predetto status al quale deve attribuirsi natura costitutiva. Tuttavia, come emerge anche dalle stesse pronunce di legittimità richiamate a sostegno di tale assunto, l'attività di certificazione della condizione di apolide demandata al Ministero dell'Interno non ha carattere discrezionale ma è frutto di una valutazione in sede amministrativa dei documenti, ove si desuma con certezza la condizione di stateless person dell'istante. Tale verifica di carattere prettamente tecnico autorizza il Ministero al rilascio della certificazione pertanto, lo stesso provvedimento attestante la dichiarazione di apolide non ha natura costitutiva, ma dichiarativa, una volta ritenuta sussistente la prova documentale di tale condizione, il Ministero deve solo attestare lo stato di apolidia, non conferire ma soltanto riconoscere e dichiarare. Riconoscimento della cittadinanza La seconda questione riguardava la violazione degli articolo 112 c.p.c. e articolo 9 legge 5 maggio 1992, numero 91, che consente l'acquisto della cittadinanza all'apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica ovvero allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. La sentenza oggetto di impugnazione ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento della cittadinanza, proposta in virtù della residenza legale nel territorio dello Stato documentata da almeno dieci anni. La Corte, avendo ritenuto fondato il primo motivo ed accogliendolo, ha ritenuto assorbito il secondo proposto in via subordinata. Legittimo affidamento Quanto alla terza questione, ritenuta inammissibile, la ricorrente chiedeva riconoscersi la responsabilità della PA per lesione legittimo affidamento in ordine all'avvenuto riconoscimento dello status di apolide. La Corte, facendo rimando alla più recente giurisprudenza amministrativa ha chiarito infatti come il riconoscimento della responsabilità della PA per lesione del legittimo affidamento postula che tale affidamento sia incolpevole, basato cioè su di una situazione di apparenza costituita dalla stessa PA con provvedimenti o comportamenti concludenti cfr Cons. Stato Ad. Plenumero 20 del 29.11.2021 . La mera omissione della comunicazione, cui nella materia in esame non può attribuirsi alcun particolare significato, non rileva se dalla corrispondenza successivamente incorsa tra le parti sia emerso il rigetto della relativa istanza e quindi la parte vi era venuta a conoscenza. Responsabilità della PA da ritardo Infine, la quarta questione, ritenuta inammissibile, verteva sulla responsabilità della PA per il ritardo nella definizione del procedimento amministrativo. Anche su tale questione la consulta, richiamando il più recente orientamento giurisprudenziale ha affermato che ai fini del riconoscimento della responsabilità della PA, non è sufficiente che il superamento del termine previsto dalla legge abbia impedito al richiedente di ottenere il provvedimento favorevole sollecitato, ma è necessario dimostrare la negligenza della PA e che la stessa sia incorsa in un comportamento in contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa cfr Cons. Stato 4594 del 14 giugno 2021 .
Presidente Acierno – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. K.A., già cittadina della Russia, convenne in giudizio il Ministero dell'interno, per sentir accertare il proprio stato di apolide, con il conseguente riconoscimento della cittadinanza italiana, e per sentir condannare il convenuto al risarcimento dei danni cagionati dalla lesione dell'affidamento in ordine all'avvenuto riconoscimento dello stato di apolide e dal ritardo nella definizione del relativo procedimento amministrativo. Premesso di essere nata in una regione attualmente compresa nell'Uzbekistan, riferì di essere giunta in Italia nell'anno 1990 e di aver ottenuto il permesso di soggiorno dapprima per motivi di lavoro, ed in seguito per ricongiungimento con familiare convivente appartenente all'Unione Europea aggiunse di aver presentato nell'anno 2006 domanda per il riconoscimento dello stato di apolide, senza aver mai ricevuto comunicazione del relativo provvedimento, e di averla reiterata nell'anno 2016 e nel 2018, senza aver mai ricevuto alcuna risposta, tanto da averla revocata nell'anno 2021. 1.1. Con ordinanza del 5 febbraio 2022, il Tribunale di L'Aquila accolse la domanda di riconoscimento dello stato di apolide, rigettando le altre domande. 2. L'impugnazione proposta dalla K.A. è stata rigettata dalla Corte d'appello di L'Aquila con sentenza del 31 ottobre 2022. Premesso che il riconoscimento dello stato di apolide non comporta automaticamente la concessione della cittadinanza italiana, a tal fine occorrendo che l'apolide risieda legalmente in Italia da almeno cinque anni, e precisato che il predetto riconoscimento ha natura dichiarativa soltanto nel caso in cui i relativi presupposti siano emersi inequivocabilmente dalle verifiche effettuate dall'Amministrazione competente, la Corte ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della cittadinanza, osservando che nella specie l'accertamento dello stato di apolide era stato effettuato per la prima volta in sede giudiziale, poiché la prima domanda proposta dall'attrice in sede amministrativa era stata rigettata, mentre la seconda era stata revocata. Ha confermato inoltre l'infondatezza della domanda di risarcimento per lesione del legittimo affidamento, rilevando che la prima richiesta di riconoscimento dello stato di apolide, anteriore all'entrata in vigore dell'articolo 2-bis della legge 7 agosto 1990, numero 241, era stata rigettata per carenza di documentazione, e ritenendo irrilevante sia la menzione dello status di rifugiato nel permesso di soggiorno, in assenza di un formale provvedimento in tal senso, sia l'indicazione dello stato di apolide sulla carta d'identità, verosimilmente determinata da una dichiarazione resa dalla stessa attrice in sede di redazione del documento. Ha escluso infine la fondatezza della domanda di risarcimento per il ritardo nella definizione del procedimento amministrativo, ritenendo indimostrata la negligenza dell'Amministrazione, essendo emerso che la stessa aveva interloquito con l'attrice almeno due volte, evidenziando la complessità degli accertamenti da compiere e richiedendo documentazione relativa alla cittadinanza della madre, e non essendo stato provato il tipo degli atti trasmessi e la rilevanza degli stessi ai fini della definizione della pratica. 3. Avverso la predetta sentenza la K.A. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. Il Ministero ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale. Ragioni della decisione 1. Preliminarmente, va dichiarata l'inammissibilità della costituzione in giudizio del Ministero dell'interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, anziché mediante controricorso nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione, il concorso delle parti alla fase decisoria deve infatti realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l'intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente depositato cfr. Cass., Sez. I, 25/10/2018, numero 27124 Cass., Sez. V, 5/10/2018, numero 24422 Cass., Sez. III, 20/10/2017, numero 24835 . 2. Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 1 della Convenzione di New York del 28 settembre 1954, dello articolo 702-quater cod. proc. civ. e dell'articolo 2909 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che gli effetti del riconoscimento dello stato di apolide decorressero dalla data della relativa dichiarazione, senza conferire rilievo alla condizione di apolidia di fatto in cui versava essa ricorrente, in virtù della sussistenza dei relativi presupposti. Premesso di aver prodotto la documentazione attestante il mancato acquisto della cittadinanza russa o uzbeka, la legittimità del suo ingresso e della sua permanenza in Italia, dove risiedeva stabilmente dal 22 maggio 1992, sostiene che l'esclusione della natura dichiarativa dell'accertamento ha posto a suo carico le conseguenze della mancata adozione di un provvedimento da parte dell'Amministrazione. 3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, in via subordinata, la violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ. e dell'articolo 9, comma primo, della legge 5 febbraio 1992, numero 91, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana proposta da essa specificamente proposta in virtù della residenza legale nel territorio dello Stato da almeno dieci anni. 4. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 97 Cost., degli articolo 1175, 1218 e 1375 cod. civ., degli articolo 115 e 116cod. proc. civ. e dell'articolo 1 della legge numero 241 del 1990, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la responsabilità dell'Amministrazione per lesione del legittimo affidamento, in virtù dell'immotivato riferimento ad una richiesta risalente all'anno 2008, da lei mai presentata, e all'articolo 2-bis della legge numero 241 del 1990, non pertinente alla questione proposta. Premesso che il rigetto della prima richiesta non le era stato mai comunicato, rileva che immotivatamente la Corte territoriale ha ritenuto che l'attribuzione dello stato di apolide, risultante dal permesso di soggiorno, fosse riconducibile a una sua dichiarazione, ribadendo che, in assenza di qualsiasi riscontro alla sua richiesta, la stessa ha legittimamente ingenerato in essa ricorrente la convinzione di aver effettivamente acquisito il predetto stato. Precisato inoltre che la domanda in questione trova fondamento nella lesione di un diritto soggettivo, determinata dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede cui deve essere improntato il comportamento dell'Amministrazione, afferma che la responsabilità di quest'ultima si configura come responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, ricollegabile alle conseguenze negative del predetto comportamento, che l'ha costretta ad avviare il procedimento amministrativo con quattro anni di ritardo, arrecandole gravi disagi nella vita quotidiana ed impedendole di contrarre matrimonio e di esercitare il proprio diritto di libera circolazione. 5. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell'articolo 2-bis della legge numero 241 del 1990 e del d.m. 18 aprile 2000, numero 142, sostenendo che, nel rigettare la domanda di risarcimento del danno cagionato dal ritardo nella definizione del procedimento amministrativo, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della lesione del suo diritto ad ottenere un provvedimento che le consentisse, in caso di rigetto della richiesta, di accedere ai mezzi di tutela previsti dall'ordinamento. Premesso che l'Amministrazione non ha mai provveduto in ordine alla richiesta da lei presentata, osserva che, nel far decorrere il termine per la definizione del procedimento dalla trasmissione dell'ulteriore documentazione da lei inviata, anziché dalla data di presentazione della richiesta, la Corte territoriale non ha considerato che il procedimento avviato a seguito di quest'ultima non era stato mai sospeso. 6. Il primo motivo, riflettente la natura dichiarativa del riconoscimento dello status di apolide, è fondato. Non può infatti condividersi il principio posto a fondamento della decisione impugnata, secondo cui, ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana in favore dell'apolide, ai sensi dell'articolo 9, comma primo, lett. e , della legge 5 febbraio 1992, numero 91, il quinquennio di residenza legale nel territorio della Repubblica dev'essere computato a decorrere dalla data del riconoscimento giudiziale del predetto status, al quale deve attribuirsi natura costitutiva, a meno che i relativi presupposti non siano emersi inequivocabilmente dalle verifiche amministrative e documentali svolte dalle autorità competenti. A sostegno di tale assunto, la Corte territoriale ha richiamato un precedente di legittimità, asseritamente invocato dalla stessa difesa dell'appellante, il quale, nell'affermare che l'operatività del divieto di espulsione in favore dello straniero che sostenga di poter beneficiare dello status di rifugiato è subordinata alla presentazione di una motivata istanza in tal senso e della correlata richiesta di rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo cfr. Cass., Sez. I, 4/05/2004, numero 8423 4/06/2002, numero 8067 nel medesimo senso, successivamente, Cass., Sez. VI, 26/10/2018, numero 27181 13/09/2011, numero 18747 , ha ribadito il principio enunciato da altre pronunce, secondo cui la qualifica di rifugiato politico, così come quella di avente diritto all'asilo, costituisce uno status, un diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dagli organi competenti in materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, e le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento dei predetti status rientrano nella giurisdizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria cfr. Cass., Sez. Unumero , 17/12/1999, numero 907 nel medesimo senso, successivamente, Cass., Sez. Unumero , 11/12/2018, numero 32046 . Tale principio è stato ritenuto applicabile anche alla posizione di apolide, in riferimento alla quale è stato affermato che il giudizio avente ad oggetto l'accertamento del relativo status, ai sensi della Convenzione di New York del 28 settembre 1954 e dell'articolo 17 del d.P.R. 12 ottobre 1993, numero 572, spetta alla giurisdizione del Giudice ordinario, trattandosi di un procedimento riguardante lo stato e la capacità delle persone, e quindi attribuito in via esclusiva alla competenza del tribunale, ai sensi dell'articolo 9 cod. proc. civ., nonché relativo a un diritto civile e politico, la cui tutela è sempre ammessa davanti al Giudice ordinario, ai sensi dell'articolo 113 Cost. cfr. Cass., Sez. Unumero , 9/12/2008, numero 28873 . Nessuna delle predette pronunce prevede tuttavia la distinzione, introdotta dalla sentenza impugnata, tra l'efficacia della sentenza di riconoscimento dello stato di apolide emessa sulla base di evidenze documentali già emerse in sede amministrativa e quella della sentenza adottata in virtù di elementi addotti soltanto in giudizio anzi, quella da ultimo citata afferma a chiare lettere che l'attività di certificazione della condizione di apolide demandata al Ministero dell'interno dall'articolo 17 del d.P.R. numero 572 del 1993 non ha carattere discrezionale, e non può quindi comportare l'affievolimento della posizione soggettiva del richiedente da diritto soggettivo a interesse legittimo la cui tutela, com'è noto, si realizza mediante l'annullamento di un atto amministrativo, ad opera di una sentenza costitutiva . Premesso infatti che solo la certezza desumibile da prove documentali ovvero da atti scritti ad esempio, una dichiarazione di perdita della cittadinanza dello Stato di provenienza che l'istante è una stateless person, e non uno straniero con cittadinanza di altro paese, autorizza il Ministero al rilascio della certificazione, è stato affermato che quest'ultima può essere negata solo quando non sia documentalmente provata la situazione che si chiede di attestare o allorché il Ministero eserciti la sua facoltà di chiedere altri documenti. Precisato inoltre che l'unico profilo di discrezionalità, peraltro di tipo tecnico, spettante al Ministero riguarda la valutazione della documentazione prodotta dall'interessato a sostegno della propria condizione di apolidia, e la facoltà di richiederne altra, si è concluso che, una volta ritenuta esistente la prova documentale di tale condizione, il Ministero, quale organo dello Stato che ospita l'istante, deve attestare lo stato di apolidia, che non è conferito da esso, ma solo riconosciuto e certificato. Se, dunque, lo stesso provvedimento amministrativo attestante la condizione di apolide non ha natura costitutiva, ma dichiarativa significativa, peraltro, è la circostanza che l'articolo 17 del d.P.R. numero 572 del 1993 lo denomini espressamente «certificazione» , indipendentemente dall'evidenza della prova offerta dall'istante e dall'eventuale richiesta di ulteriore documentazione, non vi è ragione di ritenere che una siffatta distinzione possa essere introdotta con riferimento all'efficacia del riconoscimento disposto in sede giudiziale, dovendo d'altronde escludersi che la natura dell'azione esercitata in giudizio possa mutare a seconda del tipo e della consistenza della prova fornita a sostegno della domanda. In quest'ottica, appare verosimile che il riferimento della sentenza impugnata all'inequivoca desumibilità dei presupposti per il riconoscimento dello status di apolide dalle verifiche amministrative e documentali svolte dalle Autorità competenti, quale condizione indispensabile per l'attribuzione della natura dichiarativa alla relativa sentenza, costituisca il frutto di un equivoco, riconducibile ad un'altra pronuncia di legittimità, la quale ha ritenuto che a fronte della predetta evidenza l'articolo 31 della Convenzione di New York, il quale consente l'espulsione dell'apolide soltanto nei casi di documentata sussistenza dei motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico, si estenda in via analogica anche alle situazioni di apolidia di fatto e/o nelle more del procedimento volto all'accertamento dello stato di apolidia cfr. Cass., Sez. I, 19/06/2019, numero 16489 . Tale pronuncia, tuttavia, non solo non ha contraddetto gli altri precedenti citati, ma li ha espressamente richiamati, confermando la natura dichiarativa del riconoscimento giudiziale dello status di apolide, ma estendendo al richiedente o comunque a chi sia in possesso dei relativi requisiti l'operatività del divieto di espulsione previsto dall'articolo 31 cit., anche quando il predetto status non abbia ancora costituito oggetto di accertamento giudiziale. 7. Il primo motivo va pertanto accolto, restando assorbito il secondo, proposto in via subordinata e riflettente l'omessa pronuncia in ordine alla domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana ai sensi dell'articolo 9, comma primo, lett. f , della legge numero 91 del 1992. 8. È invece infondato il terzo motivo, concernente la responsabilità della Amministrazione per lesione del legittimo affidamento risposto dalla ricorrente in ordine all'avvenuto riconoscimento dello status di apolide. Ai fini del rigetto della domanda di risarcimento, la sentenza impugnata si è attenuta all'orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui il riconoscimento della responsabilità della Pubblica Amministrazione per lesione del legittimo affidamento riposto nell'adozione di un provvedimento favorevole postula che tale affidamento sia incolpevole, basato cioè su una situazione di apparenza costituita dalla stessa Amministrazione con il provvedimento o con il suo comportamento correlato al pubblico potere, in cui il privato abbia senza colpa confidato cfr. Cons. Stato, Ad. plenumero , 29/11/2021, numero 20 . Premesso che la ricorrente aveva allegato di non aver ricevuto comunicazione del rigetto della prima istanza da lei presentata, la Corte territoriale ha rilevato che dalla corrispondenza successivamente intercorsa tra le parti era emerso che la stessa era stata rigettata per carenza di documentazione, aggiungendo che, in assenza di un formale provvedimento, la mera menzione dello status di rifugiato nel permesso di soggiorno e di quello di apolide sulla carta d'identità non poteva considerarsi idonea ad avvalorare nella ricorrente una ragionevole convinzione di aver ottenuto il provvedimento richiesto. Il riferimento alla necessità di un provvedimento, o comunque di un comportamento, ascrivibile all'Amministrazione destinataria dell'istanza di riconoscimento dello stato di apolide, quale fonte dell'affidamento ingenerato nell'istante, si pone perfettamente in linea anche con l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini del risarcimento dei danni subìti dal privato per effetto della lesione dell'affidamento riposto nell'adozione di un provvedimento ampliativo della propria sfera soggettiva, sia in caso di successivo annullamento del provvedimento giudicato illegittimo, sia in ipotesi di affidamento ingenerato dal comportamento dell'Amministrazione nel procedimento amministrativo, poi conclusosi senza l'emanazione del provvedimento ampliativo, non è sufficiente la violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l'esercizio della potestà amministrativa, ma occorre anche la violazione dei principi di correttezza e buona fede che devono governare il comportamento dell'Amministrazione e si traducono in regole di responsabilità, non di validità dell'atto cfr. Cass., Sez. Unumero , 28/08/2023, numero 15324 24/01/2023, numero 2175 11/05/2021, numero 12428 . Correttamente, nella specie, tale violazione è stata ritenuta non ricollegabile alla mera omissione della comunicazione del provvedimento di rigetto dell'istanza, cui nella materia in esame non può attribuirsi alcun particolare significato, ai sensi dell'articolo 20, comma quarto, della legge numero 241 del 1990 anche nel testo vigente all'epoca della proposizione dell'istanza , né alle indicazioni contenute nei documenti rilasciati alla ricorrente, uno dei quali il permesso di soggiorno si riferiva ad un provvedimento diverso il riconoscimento dello status di rifugiato, come accertato dalla sentenza impugnata, rimasta incensurata sul punto, e non già lo stato di apolide, come sostiene in questa sede la ricorrente , mentre l'altro la carta d'identità , pur riferendosi allo stato di apolide, proveniva da un'Amministrazione il Comune diversa da quella dell'interno, cui spettava la competenza a pronunciarsi in ordine al riconoscimento dello stato di apolide. Nessun rilievo può assumere, in contrario, il richiamo della difesa della ricorrente al più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, che inquadra la responsabilità della Pubblica Amministrazione per lesione del legittimo affidamento in quella contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da contatto sociale qualificato, anziché in quella extra-contrattuale cfr. Cass., Sez. Unumero , 19/01/2023, numero 1567 15/01/2021, numero 615 28/04/2020, numero 8236 , non incidendo tale diversa qualificazione sull'individuazione dei presupposti necessari per la configurabilità della colpa dell'Amministrazione, ma solo sull'applicazione delle regole in tema di riparto della giurisdizione nelle relative controversie, nonché in tema di ripartizione dell'onere della prova, nella specie non oggetto di contestazione. 9. È altresì infondato il quarto motivo, avente ad oggetto la responsabilità dell'Amministrazione per il ritardo nella definizione del procedimento amministrativo. Anche a questo riguardo, la sentenza impugnata ha richiamato l'orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui, ai fini del riconoscimento della responsabilità della Pubblica Amministrazione, non è sufficiente che il superamento del termine previsto dalla legge abbia impedito al richiedente di ottenere il provvedimento favorevole sollecitato, ma è necessario dimostrare che l'Amministrazione sia incorsa in un comportamento negligente, in contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa cfr. Cons. Stato, Sez II, 14/06/2021, numero 4594 . La sussistenza di tale presupposto è stata esclusa, nella specie, sulla base delle modalità di svolgimento del nuovo procedimento per il riconoscimento dello status di apolide avviato dalla ricorrente nell'anno 2016, a seguito della mancata comunicazione dell'esito di quello precedente, promosso nell'anno 2006 pur rilevando che al momento della revoca dell'istanza era ormai decorso il termine per l'adozione del provvedimento, la Corte territoriale ha ritenuto impossibile stabilire se tale ritardo fosse imputabile all'Amministrazione, osservando che la stessa aveva interloquito per ben due volte con la ricorrente, per segnalare la complessità degli accertamenti da svolgere e per richiedere ulteriore documentazione, ed aggiungendo che la ricorrente aveva provveduto ad inviarla, ma dando atto della mancata produzione degli atti trasmessi, e della conseguente impossibilità di verificarne la rilevanza ai fini della definizione della pratica. Il riferimento alla richiesta di ulteriore documentazione, strumentale non già al riscontro dell'intervenuta scadenza del termine per provvedere, espressamente riconosciuta dalla sentenza impugnata, ma alla verifica della rilevanza della stessa per l'adozione del provvedimento, e quindi della diligenza dell'Amministrazione nella conduzione del procedimento, risulta anch'esso conforme all'orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità della Pubblica Amministrazione per l'esercizio illegittimo della funzione pubblica, secondo cui il criterio d'imputazione di tale responsabilità non è correlato esclusivamente alla contrarietà della condotta tenuta dall'Amministrazione alle norme che ne disciplinano l'attività, ma risponde ad una valutazione più complessa, estesa, oltre che alla connotazione dell'azione amministrativa come fonte di danno ingiusto, all'accertamento dell'elemento soggettivo dell'illecito, quanto meno nella forma della colpa cfr. Cass., Sez. lav., 22/11/2017, numero 27800 Cass., Sez. III, 22/03/2016, numero 5621 31/10/ 2014, numero 23170 . 10. La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dall'accoglimento del primo motivo d'impugnazione, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'appello di L'Aquila, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo ed inammissibili gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di appello di L'Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.