Ammissibilità dell’istanza di revisione del giudicato penale e tecnica di valutazione delle nuove prove

La terza sezione penale della Cassazione esamina alcuni aspetti di primaria importanza afferenti l’istituto della revisione del giudicato penale. In particolare, la sentenza affronta due specifici aspetti un primo focalizzato sulla procedura relativa al vaglio di ammissibilità dell’istanza e un secondo, invece, incentrato sulla valutazione delle nuove prove che sorreggono la richiesta di revisione.

La vicenda e il motivo di ricorso per cassazione Tutto nasce da un giudizio di merito in cui una imputata era stata condannata per il delitto di omicidio stradale ex articolo 589-bis c.p. La sentenza veniva confermata dalla Corte d'appello di Salerno. Convinta di poter “travolgere” il giudicato grazie alla prospettazione di nuove prove, la ricorrente formulava istanza di revisione del giudicato innanzi alla Corte d'appello di Napoli l'intento era di dimostrare che non fosse lei alla guida del veicolo all'atto della verificazione del sinistro. La Corte d'appello di Napoli rigettava la richiesta di revisione poiché ritenuta inammissibile. Nel ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte d'appello di Napoli, la ricorrente sosteneva il vizio di violazione di legge in relazione agli articolo 631 e 636 c.p.p., manifestatosi nell'omesso espletamento dell'attività istruttoria essendo stata valutata la fonte di prova in termini di inattendibilità proprio senza svolgimento di alcuna istruttoria. Dalla formulazione del motivo di ricorso si ricavavano alcuni punti fermi della vicenda del giudizio di revisione. All'esito del deposito dell'istanza, il Presidente della Corte d'appello di Napoli aveva emesso decreto di citazione per il giudizio di revisione. Secondo la tesi della ricorrente questa decisione aveva determinato il superamento del vaglio preliminare di ammissibilità della richiesta di revisione previsto dall'articolo 634 c.p.p. si sarebbe dovuto instaurare il successivo passaggio alla fase dibattimentale la Corte d'appello avrebbe dovuto procedere all'attività istruttoria tesa all'accertamento delle prove poste a corredo della richiesta di revisione.   Non solo, la violazione processuale commessa dalla Corte d'appello avrebbe determinato un vizio motivazionale sotto il profilo della contraddittorietà sicché, da un lato, si riteneva implicitamente di non dover dar luogo a svolgimento di attività istruttorie e, da un altro, si esprimeva come si dirà nel prosieguo della nota un giudizio tipico dell'attività valutativa delle prove in senso tecnico, ritenute però irrilevanti. La Corte d'appello può dichiarare inammissibile l'istanza di revisione anche dopo la vocatio in iudicium Le coordinate normative da richiamare che assumono rilevanza per la decisione della Cassazione sono essenzialmente tre l'articolo 631 c.p.p. per cui «Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d'inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529,530 o 531 c.p.p.» l'articolo 634 c.p.p. a mente del quale «Quando la richiesta è proposta fuori delle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630 o senza l'osservanza delle disposizioni previste dagli articoli 631, 632, 633, 641 ovvero risulta manifestamente infondata, la corte di appello anche di ufficio dichiara con ordinanza l'inammissibilità e può condannare il privato che ha proposto la richiesta al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da euro 258 a euro 2.065. L'ordinanza è notificata al condannato e a colui che ha proposto la richiesta, i quali possono ricorrere per cassazione. In caso di accoglimento del ricorso, la Corte di cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'articolo 11» articolo 636 c.p.p. per cui «Il presidente della corte di appello emette il decreto di citazione a norma dell'articolo 601 c.p.p. Si osservano le disposizioni del titolo I e del titolo II del libro VII in quanto siano applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta di revisione».   Come noto, il processo di revisione si sviluppa in due fasi la fase rescindente costituita dalla valutazione dell'ammissibilità della relativa istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l'osservanza delle norme di legge, nonché che non sia manifestamente infondata la fase rescissoria che costituisce il vero e proprio giudizio di revisione mirante all'accertamento e alla valutazione delle nuove prove, al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all'affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto da reato ascrittogli.   La fase rescindente – afferma la Cassazione – non può essere pretermessa poiché finalizzata al necessario, preventivo, riscontro dei requisiti formali in tema di modalità di proposizione della legittimazione attiva e della non manifesta infondatezza della richiesta. Nel caso di specie, diversamente, il Presidente della Corte d'appello, sottraendo al giudizio collegiale richiesto dall'articolo 634 c.p.p. la delibazione preventiva tipica della fase rescindente ha provveduto, “saltando questa fase”, a norma dell'articolo 636 c.p.p. e adottando così il provvedimento propulsivo della fase rescissoria la “vocatio in iudicium” . Questa “anomalia” procedurale non ha però alcun riflesso sul vaglio di ammissibilità dell'istanza di revisione. Per la Cassazione, la disposizione contenuta nell'articolo 636 c.p.p. è atta a disciplinare la fase di merito che si instaura successivamente alla richiesta di revisione, non giudicata inammissibile segue logicamente e cronologicamente alla fase “rescindente” che non può essere pretermessa.   Di tal guisa, l'adozione da parte del presidente della Corte d'appello del provvedimento di fissazione dell'udienza camerale ex articolo 636 c.p.p., assunto senza dare corso al vaglio di ammissibilità preliminare dell'istanza di revisione previsto obbligatoriamente dall'articolo 634 c.p.p., non pregiudica né preclude il potere-dovere del Collegio, dinanzi al quale l'istante è stato citato a seguito di emissione del decreto ex articolo 636 c.p.p., di procedere ora per allora al preliminare vaglio di ammissibilità dell'istanza proposta. In altri termini, per la Cassazione l'adozione del decreto di fissazione dell'udienza camerale ai sensi dell'articolo 636 c.p.p. non determina, per ciò solo, il passaggio alla fase rescissoria di merito in questa fase la Corte d'appello conserva inalterato il proprio potere-dovere di valutare i requisiti di ammissibilità dell'istanza a norma dell'articolo 634 c.p.p.   Il principio di diritto espresso è il seguente «L'emissione da parte del presidente della Corte d'appello del decreto di citazione per la fase rescissoria ai sensi dell'articolo 636, comma primo, c.p.p., in assenza del preventivo vaglio di ammissibilità dell'istanza di revisione a norma dell'articolo 634 c.p.p. non preclude al collegio, nella fase rescissoria provocata dalla vocatio in iudicium, il potere-dovere di valutare i requisiti di ammissibilità, con conseguente possibilità di adottare il relativo provvedimento conclusivo, ove il predetto vaglio si concluda negativamente, sia nella forma di ordinanza o sentenza di inammissibilità che nella forma di rigetto dell'istanza medesima». Nell'enunciare il principio la Cassazione richiama un precedente delle Sezioni Unite penali sentenza 10 dicembre 1997, numero 18 , in cui era stato affermato che l'inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, oltre che con ordinanza prevista dall'articolo 634 c.p.p., anche con sentenza, successivamente all'instaurazione del giudizio di revisione ai sensi dell'articolo 636 c.p.p., peraltro essendosi precisato nella motivazione che nella seconda fase – che si svolge nelle forme previste per il dibattimento – è consentito alla Corte di appello rivalutare le condizioni di ammissibilità dell'istanza e di respingerla senza assumere le prove in essa indicate e senza dare corso al giudizio sul merito. Dunque, la vocatio in iudicium non preclude alcun successivo vaglio dell'ammissibilità dell'istanza di revisione. La valutazione di affidabilità delle “nuove prove” Prima ancora di soffermarsi sul punto, pare opportuno mettere in risalto le parole della Cassazione con cui si illustra come debba essere compiuto il vaglio delle “nuove prove” offerte dall'istante “non si tratta di ponderare le prove già acquisite con quelle nuove, di opposto segno, pervenendo a un giudizio fondato solo sulla sopravvenienza di elementi contrastanti con le precedenti acquisizioni quel che è necessario fare è, invece, prendere atto delle prove nuove, valutarne la reale affidabilità e solo successivamente operare quel confronto con le precedenti acquisizioni che, allora, potranno essere oggetto di rivisitazione critica sino al punto da giustificare l'accoglimento dell'istanza laddove si sia tradotta anche soltanto nella possibilità di formulare un ragionevole dubbio sulla colpevolezza del condannato”. Nel caso in esame, le “nuove prove” indicate nell'istanza di revisione, a giudizio della Corte d'appello, non sono state in grado di superare la solidità del compendio probatorio ed indiziario sotteso al giudizio di condanna dell'imputata. Come si articola il giudizio di revisione? Qualora le nuove prove offerte dal condannato abbiano natura speculare e contraria rispetto a quelle già acquisite e consacrate nel giudicato penale, il giudice della revisione può e deve saggiare mediante comparazione la resistenza di queste ultime rispetto alle prime giacché, in caso contrario, il giudizio di revisione si trasformerebbe indebitamente in un semplice e automatico azzeramento, per effetto delle nuove prove, di quelle a suo tempo poste a base della pronuncia di condanna. La Corte d'appello ha fatto buon uso dei principi che governano tale tecnica di valutazione poiché ha saggiato la in affidabilità delle nuove prove le ha comparate con quelle già acquisite e poste a fondamento del giudizio di condanna ha escluso la capacità delle prove nuove di determinare un cedimento logico-argomentativo della sentenza di condanna.   Il principio di diritto espresso è così articolato «In tema di revisione, la valutazione congiunta ovvero comparata delle prove già acquisite nel giudizio conclusosi con la condanna definitiva, con quelle nuove, va logicamente distinto dal giudizio concernente la sicura ed effettiva affidabilità di queste ultime. È, infatti, soltanto quando la prova nuova sia stata giudicata immune da profili di inaffidabilità che essa può essere utilizzata per compararne la portata con le risultanze che erano già stata considerate idonee a fondare una condanna definitiva. Diversamente, nel caso in cui il giudizio si concluda con una valutazione di inaffidabilità, nessun obbligo sussiste per il giudice della revisione di attivare il contraddittorio sulla “prova nuova” al fine di dichiarare inammissibile o rigettare l'istanza di revisione, anche nel caso in cui tale declaratoria intervenga nella fase rescissoria». La Cassazione rigettava – pertanto – il ricorso.

Presidente Sarno - Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15 dicembre 2023, la Corte d'appello di Napoli rigettava la richiesta di revisione della sentenza emessa dalla Corte d'appello di Salerno in data 18 ottobre 2022, irr. 25 maggio 2023, presentata da  M.A., condannata per il reato di omicidio stradale. 2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, la predetta ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo un unico motivo, di seguito sommariamente indicato. 2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli articolo 631 e 636, cod. proc. penumero , per l'omesso espletamento dell'attività istruttoria essendo stata valutata la fonte di prova in termini di inattendibilità della stessa senza svolgimento dell'istruttoria e correlato vizio di contraddittorietà della motivazione. In sintesi, si rileva che, a seguito della presentazione dell'istanza di revisione, il Presidente della Corte d'appello di Napoli aveva emesso decreto di citazione per il giudizio di revisione, con ciò determinandosi il superamento della fase deputata alla conduzione del vaglio preliminare di ammissibilità della richiesta di revisione con il passaggio alla fase dibattimentale, come chiaramente evincibile dall'articolo 636 del codice di procedura penale, ed evidenziato da autorevole dottrina che viene richiamata nel ricorso. Richiamato, altresì, l'articolo 631 del codice di procedura penale da cui sarebbe possibile inferire che, una volta ritenuta ammissibile la richiesta di revisione ed introdotta la fase dibattimentale, deve procedersi all'espletamento di attività istruttoria tesa all'accertamento delle prove poste a corredo della richiesta di revisione , si osserva come la istanza proposta dalla M.A. era corredata da elementi probatori che consentivano di sostenere la tesi difensiva secondo la quale la stessa, in occasione del sinistro, non si trovava alla guida dell'autovettura che aveva cagionato il decesso della vittima. I giudici territoriali avrebbero sollevato dubbi sul carattere di novità degli elementi di prova offerti, che tuttavia mai erano stati esplorati dall'attività investigativa svolta dalla Procura di Salerno trattandosi degli operatori che estrassero i ragazzi dalle lamiere, i quali avrebbero potuto riferire sulla posizione occupata dai ragazzi all'interno dell'abitacolo della autovettura, elemento questo che avrebbe meritato una ben più attenta valutazione, soprattutto alla luce sia della consulenza tecnica del Pubblico ministero che aveva ricostruito la dinamica del sinistro, muovendo da un assioma non suffragato da alcuna indagine tecnica secondo cui alla guida fosse la M.A., nonché dalla consulenza tecnica autoptica, la quale non aveva escluso che alla guida potesse esserci anche la vittima, con questo introducendo un ulteriore elemento di dubbio. La violazione processuale commessa dalla Corte d'appello avrebbe determinato un vizio motivazionale sotto il profilo della contraddittorietà, atteso che, per un verso, si riteneva implicitamente di non dar luogo a svolgimento di attività istruttorie, e, per altro verso, si esprimeva un giudizio tipico dell'attività valutativa delle prove in senso tecnico, di totale irrilevanza delle dichiarazioni del teste De L. il quale aveva visto la M.A. metà dentro e metà fuori riferendosi alla posizione tracciata da T. sulla foto che indicava la M.A. posizionata all'altezza dei sedili posteriori , nonché un giudizio di inattendibilità delle conclusioni a cui era giunto il consulente tecnico della difesa nell'articolata consulenza biomeccanica agli atti. Considerato in diritto 1. Il ricorso, trattato cartolarmente a norma dell'articolo 611, cod. proc. penumero , è complessivamente infondato. 2. Infondato è, anzitutto, il vizio procedurale proposto dalla difesa dell'istante. La difesa della ricorrente, come anticipato, rileva che, a seguito della presentazione dell'istanza di revisione, il Presidente della Corte d'appello di Napoli aveva emesso decreto di citazione per il giudizio di revisione. Ciò avrebbe determinato il superamento della fase deputata alla conduzione del vaglio preliminare di ammissibilità della richiesta di revisione con il passaggio alla fase dibattimentale, come sarebbe evincibile dall'articolo 636 del codice di procedura penale, ed evidenziato da autorevole dottrina che viene richiamata nel ricorso. Viene richiamato, altresì, l'articolo 631 del codice di procedura penale da cui sarebbe possibile inferire che, una volta ritenuta ammissibile la richiesta di revisione ed introdotta la fase dibattimentale, deve procedersi all'espletamento di attività istruttoria tesa all'accertamento delle prove poste a corredo della richiesta di revisione. 2.1. La tesi è priva di fondamento. Il processo di revisione si sviluppa in due fasi, l'una rescindente e l'altra rescissoria la prima è costituita dalla valutazione - che avviene de plano , senza avviso al difensore o all'imputato della data fissata per la camera di consiglio - dell'ammissibilità della relativa istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l'osservanza delle norme di legge, nonché che non sia manifestamente infondata la seconda è, invece, costituita dal vero e proprio giudizio di revisione mirante all'accertamento e alla valutazione delle nuove prove , al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all'affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto dal reato ascrittogli. 2.2. Nel caso in esame, risulta dagli atti - che questa Corte è legittimata a compulsare in considerazione della natura processuale dell'eccezione - che il presidente della Corte d'appello ha provveduto direttamente alla fissazione dell'udienza camerale, senza seguire la procedura indicata dall'articolo 634, cod. proc. penumero Tale disposizione prevede, in particolare, che la declaratoria d'inammissibilità dell'istanza di revisione deve essere dichiarata dalla corte di appello anche di ufficio con ordinanza, che va notificata al condannato e a colui che ha proposto la richiesta, i quali possono ricorrere per cassazione, aggiungendo che, in caso di accoglimento del ricorso, la Corte di cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'articolo 11. Tale fase, denominata come fase rescindente non può essere pretermessa, in quanto è finalizzata al, necessario, preventivo, riscontro dei requisiti formali in tema di modalità di proposizione della legittimazione attiva e della non manifesta infondatezza della richiesta. Nel caso di specie, diversamente, il presidente della Corte d'appello, sottraendo al giudizio collegiale richiesto, come visto, dall'articolo 634, cod. proc. penumero la delibazione preventiva tipica della fase rescindente ha, saltando detta fase, provveduto a norma dell'articolo 636, cod. proc. penumero , dunque adottando l'atto propulsivo della fase rescissoria, ossia il provvedimento di vacatio in iudicium, stabilendo detta disposizione che Il presidente della corte di appello emette il decreto di citazione a norma dell'articolo 601 . La norma di cui all'articolo 636, cod. proc. penumero , infatti, è atta a disciplinare la fase di merito che si instaura successivamente alla richiesta di revisione, non giudicata inammissibile, e segue logicamente e cronologicamente alla fase rescindente che, come anticipato, non può essere pretermessa. 2.3. Ne discende, pertanto, che l'adozione da parte del presidente della Corte d'appello del provvedimento di fissazione dell'udienza camerale ex articolo 636, cod. proc. penumero , assunto senza dare corso al vaglio di ammissibilità preliminare dell'istanza di revisione previsto obbligatoriamente dall'articolo 634, cod. proc. penumero non pregiudica - né preclude, in quanto la fase rescindente è necessaria ex lege - il potere-dovere del collegio, dinanzi al quale l'istante è stato citato a seguito dell'emissione del decreto ex articolo 636, cod. proc. penumero , di procedere ora per allora al preliminare vaglio di ammissibilità dell'istanza proposta. In altri termini, dunque, l'adozione di tale decreto di fissazione dell'udienza camerale ex articolo 636, cod. proc. penumero , non determina, per ciò solo, il passaggio alla fase rescissoria, di merito, fase nella quale, per la mancanza di quella rescindente, la Corte d'appello conserva inalterato il proprio potere-dovere di valutare i requisiti di ammissibilità dell'istanza a norma dell'articolo 634, cod. proc. penumero 2.4. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto «L'emissione da parte del presidente della Corte di appello del decreto di citazione per la fase rescissoria ai sensi dell'articolo 636, comma primo, cod. proc. penumero , in assenza del preventivo vaglio di ammissibilità dell'istanza di revisione a norma dell'articolo 634, cod. proc. penumero , non preclude al collegio, nella fase rescissoria provocata dalla vacatio in iudicium, il potere-dovere di valutarne i requisiti di ammissibilità, con conseguente possibilità di adottare il relativo provvedimento conclusivo, ove il predetto vaglio si concluda negativamente, sia nella forma di ordinanza o sentenza di inammissibilità che nella forma di rigetto dell'istanza medesima». 3. Nel caso di specie, non essendo stato superato il preventivo vaglio di ammissibilità, in quanto mai esperito per aver il presidente della Corte d'appello adottato direttamente il decreto ex articolo 636, cod. proc. penumero , in tale seconda fase, la Corte d'appello non era vincolata a dar corso al giudizio di merito, non essendovi stato alcun superamento del preliminare vaglio di ammissibilità, donde la stessa non era tenuta necessariamente all'assunzione delle prove nuove indicate. Come anticipato, infatti, era rimasto impregiudicato il potere-dovere del giudice della revisione di ritenerne superflua l'assunzione, dichiarando l'istanza di revisione inammissibile o rigettarla, in assenza della prima fase. 4. Che, peraltro, l'inammissibilità o il rigetto, come nel caso di specie possa essere dichiarata nella fase rescissoria è pacifico nella giurisprudenza di legittimità. 4.1. La questione è infatti già stata oggetto di esame da parte delle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, numero 18 del 10/12/1997, dep. 1998, Pisco, Rv. 210040 - 01 , le quali hanno affermato il principio - condiviso dal Collegio, nonostante una successiva decisione difforme Sez. 3, numero 15402 del 20/01/2016, Rv. 266810 - 01 - secondo cui l'inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, oltre che con l'ordinanza prevista dall'articolo 634 cod. proc. penumero , anche con sentenza, successivamente all'instaurazione del giudizio di revisione ai sensi dell'articolo 636 cod. proc. penumero , peraltro essendosi precisato nella motivazione che nella seconda fase - che si svolge nelle forme previste per il dibattimento - è consentito alla Corte d'appello rivalutare le condizioni di ammissibilità dell'istanza e di respingerla senza assumere le prove in essa indicate e senza dare corso al giudizio sul merito. 5. Tanto premesso, può quindi procedersi all'esame delle ulteriori censure difensive svolte contro la sentenza impugnata tendenti ad ottenere, attraverso l'indicazione di elementi di prova asseritamente dotati del carattere della novità, una rinnovata verifica della tesi difensiva, già sostenuta nel corso del giudizio di merito, secondo la quale l'istante, in occasione del sinistro, non si trovasse alla guida dell'autovettura che aveva cagionato il decesso della vittima. 6. Sul punto, il ricorso è infondato in quanto non si confronta adeguatamente con gli elementi, oggetto di scrupolosa analisi da parte della Corte territoriale, che hanno condotto i giudici dell'appello a rigettare l'istanza di revisione. 6.1. Osserva, in particolare, la Corte d'appello che, nel caso in esame, le prove nuove, addotte con l'istanza di revisione, non attingono elementi di contorno o di riscontro ma si pongono in diretta contrapposizione con le prove sulle quali si è fondata la condanna, rappresentando circostanze contrarie rispetto a quelle oggetto delle prove assunte nel giudizio di qui, osserva la Corte d'appello, la necessità di valutare in primis la sicura affidabilità delle prove nuove per verificarne l'attitudine e l'idoneità a scardinare la rappresentazione dei fatti fondata su quelle già valutate con sentenza passata in giudicato. 6.2. Sul punto, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, i giudici territoriali ricordano che, nel giudizio di revisione, non si tratta di ponderare le prove già acquisite con quelle nuove, di opposto segno, pervenendo ad un giudizio dubitativo fondato solo ed esclusivamente sulla sopravvenienza di elementi contrastanti con le precedenti acquisizioni quel che è necessario fare è, invece, prendere atto delle prove nuove, valutarne la reale affidabilità e solo successivamente operare quel confronto con le precedenti acquisizioni che, allora, potranno essere oggetto di rivisitazione critica sino al punto da giustificare l'accoglimento dell'istanza laddove essa si sia tradotta anche soltanto nella possibilità di formulare un ragionevole dubbio sulla colpevolezza del condannato v., ad es., Sez. 2, numero 35399 del 23/05/2019, Cannatà, Rv. 277072 - 01 . 6.3. Proprio calando detto principio nel caso di specie, la Corte d'appello ritiene che le prove addotte a sostegno dell'istanza di revisione molte delle quali già acquisite prima del passaggio in giudicato della sentenza, ma non dedotte dalla difesa in grado di appello e di cassazione non appaiono idonee a scardinare l'impianto accusatorio in base al quale la M.A. è stata giudicata colpevole e che, in primo luogo, nessuno dei soggetti ascoltati dalla difesa è stato in grado di apportare elementi conoscitivi rilevanti e specifici al fine di dimostrare che alla guida non sedesse la M.A. Segue poi un'analitica disamina delle nuove prove e della loro irrilevanza. 7. Proprio analizzando la motivazione della sentenza impugnata pagg. 5/8 , è possibile cogliere la correttezza dell'impianto logico - argomentativo seguito dai giudici territoriali per pervenire al giudizio di infondatezza dell'istanza di revisione, giudizio svolto attraverso una puntuale valutazione della rilevanza delle asserite prove nuove che sarebbero sopraggiunte al giudizio di merito conclusosi negativamente per l'istante, ciascuna delle quali viene comparata con gli elementi probatori che hanno condotto alla condanna della M.A., ritenendo la valenza probatoria di questi ultimi insuperata ed insuperabile da parte delle prove addotte. 7.1. Il tema del rinvenimento delle calzature da donna - si legge in sentenza – è stato esplorato più che ampiamente sia in fase di merito che di legittimità e, quindi, non assumono alcun carattere di novità i contenuti della memoria prodotta dalla difesa ove, in sostanza, si allegano le fotografie da cui emergerebbe che le scarpe trovate sul pianale forse appartenevano alla AM. e che risultano già esaminate quanto meno in grado di appello con esiti assolutamente ragionevoli e condivisibili, non superati da nessuna allegazione ulteriore. 7.2. Le s.i.t. del De M. - prosegue la sentenza - sono parimenti già state valutate e sono prive, quindi, del carattere di novità, a tacere del fatto che il medico abbia comunque sostenuto l'impossibilità di generalizzare in termini assoluti e dirimenti il dato della tipologia delle lesioni al fine di individuare l'esatta collocazione di un soggetto vittima di incidente d'auto. 7.3. P.A. - chiarisce la sentenza - aveva soltanto il compito, per sua stessa ammissione, di parcheggiare il veicolo dopo aver fatto scendere la squadra di pronto intervento e preparare l'attrezzatura e si è avvicinato all'auto incidentata solo in un secondo momento nulla egli ha riferito né invero avrebbe potuto in merito alla collocazione dei feriti all'interno del veicolo al momento dell'impatto. 7.4. E.L., pur essendo intervenuto nell'immediatezza, puntualizzano i giudici di appello, ha genericamente parlato di una ragazza che si trovava metà fuori e metà dentro rispetto al veicolo, ma non ha in alcun modo chiarito né, singolarmente, ciò gli è stato chiesto dal difensore se si trattasse della M.A. o della AM. né tanto meno se la giovane fosse seduta davanti o dietro, per cui è del tutto evidente l'irrilevanza di tale verbale ai presenti fini. 7.5. T.A., autista dell'ambulanza, prosegue la sentenza, parimenti nulla ha chiarito sul punto avendo riferito di non aver proceduto a estrarre i feriti dall'auto ma che gli era stata solo affidata una ragazza che poi avrebbe appreso essere la M.A. , la quale era già stata estratta e giaceva a terra in posizione perpendicolare rispetto al lato posteriore del veicolo tale dato è parimenti inutile ai fini della tesi difensiva, non potendosi da ciò dedurre con ragionevole certezza che la giovane si trovasse al momento dell'incidente non alla guida ma sul sedile posteriore e ciò sia perché il dichiarante è intervenuto quando i feriti erano già stati, almeno in parte, estratti e spostati e sia perché nulla consente di arguire - dal solo fatto che la M.A. fosse stata adagiata presso il lato posteriore del mezzo - che sedesse dietro durante l'incidente. 7.6. F.V. - si legge ancora in sentenza - ha per un verso confermato le irrilevanti dichiarazioni del T. e, per altro verso, riferito che al suo arrivo vi erano ancora due ragazzi da estrarre dal lato posteriore dell'abitacolo il che, invero, potrebbe essere letto addirittura come conferma della ricostruzione che oggi la difesa mira a censurare atteso che il P. era certamente seduto davanti, lato passeggero, e che dei quattro seduti dietro due erano maschi, mentre il teste non ha certo affermato che la M.A. al momento del suo intervento si trovasse ancora all'interno dell'abitacolo, sul sedile posteriore insieme ai due ragazzi. 7.7. De L. - sottolinea la sentenza - parimenti è intervenuto quando la M.A. giaceva a terra, con la testa al suolo e i piedi metà dentro e metà fuori , ma nulla ha chiarito e nemmeno gli è stato domandato sulla collocazione del suo corpo, ovvero se giacesse all'altezza dei sedili anteriori o posteriori del veicolo, per cui è evidente la totale irrilevanza di tali propalazioni ai presenti fini, anche perché il mero riferimento alla riga nera tracciata a penna su di una fotografia francamente ben poco leggibile nulla aggiunge in termini di certezza alla ricostruzione difensiva. 7.8. Quanto alla consulenza psicologica redatta dal dott. R., ritengono i giudici territoriali come la stessa nulla aggiunge in termini di ricostruzione del fatto, essendosi lo psicologo limitato a prendere atto del disagio della M.A., dei suoi ricordi e del senso di frustrazione legato alla sua personale convinzione di essere stata ingiustamente condannata. 8. La Corte d'appello non ritiene poi abbiano valenza conclusiva nemmeno gli elaborati tecnici che - puntualizza la sentenza -, è bene evidenziarlo, si sono incentrati sulla rimeditazione e rielaborazione del medesimo materiale probatorio già analizzato nei giudizi di merito e rispetto al quale altri tecnici segnatamente, quelli del P.M. avevano raggiunto conclusioni differenti. Nel caso di specie la difesa, chiarisce la sentenza impugnata, ha introdotto due nuovi elaborati che, partendo dal medesimo materiale già esplorato e senza indicare alcuna metodologia innovativa o diversa da quelle già seguite, raggiungono conclusioni analoghe a quelle dell'elaborato difensivo già valutato smentito dalle affermazioni dei c.t. del P.M., ritenuti attendibili nei giudizi di merito infatti, precisa la Corte territoriale, giova osservare che conclusioni analoghe in punto di non compatibilità tra le lesioni patite dalla M.A. e la sua posizione di guida erano già state espresse dal c.t. De M. e superate sia in primo che in secondo grado, per cui è lecito esprimere qualche dubbio sul profilo della novità agganciato a consulenze di parte che raggiungono i medesimi risultati, ma semplicemente si affidano a tecnici diversi. Comunque, quanto alla c.t. del dott. D'O., si legge in sentenza, egli ha sostenuto che le lesioni patite dalla M.A. pur essendo multipolari ovvero coinvolgenti più distretti anatomici, sia sul lato destro che sinistro predominavano sul lato destro, dal che si dovrebbe arguire che ella sedeva sul sedile posteriore lato destro al contrario, la AM. avrebbe riportato lesioni compatibili con la posizione di guida, come le fratture della gamba destra e la lesione epatica, che il medico ascrive all'impatto con il volante. 9. Orbene, gli elementi di natura tecnica dei due nuovi elaborati introdotti sono stati ritenuti dalla Corte d'appello, con argomentazione del tutto immune da vizi e pertanto insindacabile da parte di questa Corte , non dirimenti a superare la solidità del compendio probatorio ed indiziario che ha determinato il giudizio di condanna della M.A. per una serie di considerazioni, tratte dalla sentenza impugnata e di seguito riprodotte per completezza argomentativa. 9.1. Il c.t. da una parte afferma che il guidatore va spesso soggetto a lesioni particolari ecchimosi derivanti all'impronta a stampo sulla faccia toracica anteriore a causa dell'impatto con il volante, lesioni al volto derivanti dall'impatto con il parabrezza, fratture della gabbia toracica e degli arti inferiori , mentre le persone sedute dietro non patiscono lesioni specifiche, anche se in genere prevalgono quelle a carico dei visceri addominali», ma dall'altra sembra ignorare che nessuna delle due ragazze ha riportato impronte a stampo del volante, che la M.A. ha subito proprio lesioni toracico­ addominali piuttosto serie fratture delle costole e delle vertebre cervicali a destra e sinistra ben più compatibili rispetto a quelle della AM. che ha patito solo un trauma epatico senza lesioni a carico di vertebre e costole, oltre a fratture degli arti con l'urto violento con lo sterzo e che solo sulla testa della M.A. il medico ascoltato della difesa ha riferito di aver raccolto personalmente frammenti di vetro, a tutta evidenza derivanti dalla rottura del parabrezza. 9.2. Di contro, la AM. ha riportato esattamente il trauma dei visceri addominali che lo stesso c.t. ascrive alla posizione del passeggero posteriore mentre non ha subito alcun trauma sul lato sinistro del corpo, come sarebbe invero più ragionevole se fosse stata alla guida anche perché l'impatto, prima del cappottamento, è avvenuto con la parte anteriore sinistra del veicolo cfr. pag. 4 della sentenza di primo grado . 9.3. La premessa secondo la quale il conducente patisce prevalentemente lesioni a sinistra pag. 7 è in contrasto con le conclusioni raggiunte, avendo il c.t. sostenuto che la AM. fosse alla guida pur avendo costei subito solo lesioni sul lato destro e all'addome frattura arti superiore e inferiore destro mentre la sola M.A. ha riportato, tra l'altro, serie fratture del torace e delle vertebre sul lato sinistro. 9.4. Peraltro, va anche osservato - si legge in sentenza - che nel presente elaborato l'analisi della collocazione delle lesioni prescinde completamente dalla dinamica dell'incidente che ha visto l'auto impattare con il lato sinistro contro alcuni ostacoli e poi cappottarsi completamente, il che ben potrebbe aver determinato la collisione dei corpi delle vittime - nel movimento di rotazione - con parti diverse del veicolo rispetto a un incidente verificatosi con una dinamica differente ad esempio, un impatto frontale, che pare la tipologia di sinistro che il tecnico utilizza come parametro di riferimento . 9.5. Insomma, affermano i giudici territoriali, il non aver valutato la specifica dinamica dell'incidente e l'essersi soffermato su valutazioni generali e astratte, tratte dai manuali sul tema, priva vieppiù l'elaborato del richiesto carattere di decisività, a fronte di altre c.t. disposte dal P.M. che al contrario, partendo dalla dinamica di questo specifico incidente, hanno affermato la compatibilità delle lesioni della M.A. con la sua posizione di guida. 9.6. Infine, che la M.A. sedesse dietro sul lato destro è smentito dalle dichiarazioni dell'Esposito, soggetto ritenuto attendibile e che non aveva alcun motivo per mentire sul punto, il quale a sua volta ha sostenuto di trovarsi al momento dell'incidente nella parte del sedile posteriore solo incidentalmente si osserva che le lesioni patite da E. e G. che di sicuro si trovavano dietro sono molto più simili a quelle della AM., interessando in prevalenza gli arti, che non a quelle della M.A. che invece, come detto, ha subito prevalentemente lesioni toraciche, vertebrali e costali. 9.7. Del tutto inattendibili, infine, vengono ritenute dalla sentenza impugnata le conclusioni cui addiviene il c.t. ing. LI. il quale, a distanza di circa 4 anni dai fatti, ha recuperato un'autovettura similare a quella del sinistro ovviamente non se ne specificano nemmeno tipologia e modello e ha sistemato il sedile lato guida in posizione compatibile con quella del veicolo coinvolto nel sinistro anche qui, non si chiarisce in base a quali misurazioni né in virtù di quali dati di partenza, non avendo a quanto consta il tecnico esaminato l'autovettura incidentata ma avendo, verosimilmente, solo visionato le fotografie allegate per poi farvi accomodare la M.A. e concludere che, data la sua altezza, tale posizione del sedile sarebbe stata innaturale e incompatibile con una normale postura di guida. 10. Conclusivamente, la Corte d'appello ha ritenuto non condivisibile questo modus operandi che si appalesa del tutto inattendibile perché prescinde da dati oggettivi ad esempio, la precisa misurazione dello spazio tra sedile e sterzo del veicolo coinvolto nell'incidente ed estrapolati con modalità certe e scientificamente affidabili e giunge a conclusioni basate su dati incerti e valutazioni altamente opinabili. Quanto alla tipologia delle lesioni patite, vengono per brevità richiamate alcune considerazioni già esposte quanto alla c.t. Dell'O. evidenziandosi che, peraltro, il dott. LI. è un ingegnere che non ha, a quanto consta, alcuna competenza di tipo medico per giungere a delle affermazioni categoriche come quelle effettuate che, peraltro, sono in contrasto con gli esiti delle c.t. disposte nel corso del giudizio di merito dal P.M. Da qui il giudizio finale della Corte d'appello secondo cui le prove nuove addotte in larga parte comunque già note alla difesa perché formate prima del passaggio in giudicato non fossero in grado di scardinare il giudizio di colpevolezza formatosi all'esito di due gradi di merito e di un grado di legittimità di contro, non può che prendersi atto della capacità delle prove preesistenti - processualmente ormai attestata dal giudicato - di sorreggere l'affermazione di responsabilità della M.A. 11. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze difensive non hanno all'evidenza alcun pregio. I giudici territoriali, infatti, nello svolgere la valutazione loro demandata, hanno ritenuto non necessario procedere all'assunzione delle nuove prove offerte in valutazione dalla difesa dell'imputata attraverso una ponderata e scrupolosa - e, soprattutto, non solo giuridicamente corretta, ma anche del tutto immune da vizi logico/argomentativi - valutazione con quelle poste a fondamento del giudizio di condanna dell'istante, escludendo che quelle offerte dalla difesa consentissero di rivalutare il giudizio di responsabilità penale della M.A. La Corte d'appello non ha mancato nemmeno di prendersi carico della valutazione delle prove testimoniali e tecniche offerte in valutazione dalla difesa dell'imputata, giungendo del tutto logicamente ad un giudizio di irrilevanza dopo aver operato un giudizio di resistenza delle prove omologhe assunte nel giudizio di merito, così assolvendo puntualmente ad un obbligo normativamente imposto si v., per tutte Sez. 6, numero 14591 del 21/02/2007, Rv. 236153 - 01, secondo cui, in tema di revisione, con riguardo alla specifica previsione di cui all'articolo 630, lett. c , cod. proc. penumero , quando le nuove prove offerte dal condannato costituite, nella specie, da testimonianze abbiano natura speculare e contraria rispetto a quelle già acquisite e consacrate nel giudicato penale, il giudice della revisione può e deve saggiare mediante comparazione la resistenza di queste ultime rispetto alle prime giacché, in caso contrario, il giudizio di revisione si trasformerebbe indebitamente in un semplice e automatico azzeramento, per effetto delle nuove prove, di quelle a suo tempo poste a base della pronuncia di condanna . A ciò si aggiunga, peraltro, con particolare riferimento ai due elaborati tecnici offerti in valutazione, come è pacifico, in tema di revisione, che le valutazioni contenute in una consulenza eseguita dopo la condanna definitiva in tanto possono proporsi come nuova prova critica in quanto si fondino su elementi diversi da quelli esaminati in precedenza dal giudice e dallo stesso perito, risolvendosi, altrimenti, nella reiterazione di una apprezzamento già manifestato, in violazione del principio della improponibilità nel giudizio di revisione di ulteriori prospettazioni di situazioni già note Sez. 3, numero 1875 del 14/09/1993, Rv. 196273 - 01 . 12. I giudici di appello, dunque, non si sono limitati ad apodittiche affermazioni di irrilevanza delle prove offerte in valutazione da parte della difesa, ma, dopo averne saggiata la in affidabilità, le hanno comparate con quelle già acquisite e poste a fondamento del giudizio di condanna, escludendo la capacità delle asserite prove nuove di determinare cedimenti logico - argomentativi del giudizio di condanna, ciò che conferma la irrilevanza delle prove offerte dalla difesa a disarticolare il ragionamento del giudizio di condanna e, nel contempo, la inconsistenza delle censure svolte avverso la sentenza oggetto di impugnazione, ciò che ha giustificato il rigetto dell'istanza di revisione senza alcuna necessità di attivare il contraddittorio sulla prova nuova . Il modus operandi della Corte territoriale risulta, peraltro, del tutto coerente con gli insegnamenti di questa Corte di legittimità, essendosi infatti a più riprese ribadito che in tema di revisione, il giudice, nel valutare le nuove prove testimoniali aventi natura speculare e contraria rispetto a quelle già acquisite e consacrate nel giudicato penale, dopo averne vagliato la sicura ed effettiva affidabilità, deve saggiare, mediante comparazione, la resistenza rispetto ad esse di quelle a suo tempo poste a base della pronuncia di condanna, giacché, in caso contrario, il giudizio si trasformerebbe indebitamente in un semplice e automatico azzeramento di queste ultime per effetto delle nuove prove da ultimo Sez. 2, numero 35399 del 23/05/2019, Rv. 277072 - 01 . 12.1. Deve, dunque, essere affermato il seguente principio di diritto «In tema di revisione, la valutazione congiunta ovvero comparata delle prove già acquisite nel giudizio conclusosi con la condanna definitiva, con quelle nuove, va logicamente distinto del giudizio concernente la sicura ed effettiva affidabilità di queste ultime. E infatti, soltanto quando la prova nuova sia stata giudicata immune da profili di inaffidabilità che essa può essere utilizzata per compararne la portata con le risultanze che erano già state considerate idonee a fondare una condanna definitiva. Diversamente, nel caso in cui il giudizio si concluda con una valutazione di inaffidabilità, nessun obbligo sussiste per il giudice della revisione di attivare il contraddittorio sulla prova nuova al fine di dichiarare inammissibile o rigettare l'istanza di revisione, anche nel caso in cui tale declaratoria intervenga nella fase rescissoria». 13. Il ricorso deve essere dunque rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. 14. Seguono, infine, le statuizioni relative alla condanna della ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, liquidate come da dispositivo alla luce dei parametri di cui al DM 55/2014 recante Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell'articolo 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 numero 247 , aggiornati al D.M. numero 147 del 13/08/2022. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, la ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile F.P. che liquida in complessivi euro tremila, oltre accessori di legge, nonché dalla parte civile R.E. che liquida in complessivi euro tremilasettecento, oltre accessori di legge.