Accertamenti fiscali e sussistenza di ricavi non dichiarati: come può agire l’Agenzia delle Entrate?

La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza in esame, si è pronunciata in materia di accertamenti fiscali relativi la sussistenza di ricavi non dichiarati per le annualità 2004-2006.

Il caso di specie Il caso in esame origina dall'impugnazione proposta dal una s.r.l., in persona del legale rappresentante, per cassazione della sentenza emessa dal giudice dell'appello. Nel dettaglio, la vicenda afferisce attività ispettiva ed accertamenti bancari da cui emergevano operazioni “extra conto” e ricavi non dichiarati per le annualità 2004-2006. A seguito di tali risultanze l'Agenzia delle Entrate notificava alla s.r.l. tre avvisi di accertamento. Il giudice di prime cure con tre sentenze parallele dal contenuto omogeneo riteneva illegittimo l'operato dell'Agenzia delle Entrate annullando gli accertamenti fiscali. Il giudice di secondo grado riuniva gli appelli proposti dall'Amministrazione Finanziaria contro le tre sentenze di primo grado e li accoglieva. I motivi del ricorso La parte ricorrente proponeva ricorso per Cassazione sulla scorta dei seguenti motivi articolo 360 co. 1, numero 4 c.p.c. nullità della sentenza impugnata per error in procedendo, articolo 156 per violazione degli articolo 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. per non corrispondenza tra parte motiva e dispositivo articolo 360 co. 1, numero 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione del d.lgs. numero 546/92 per non aver assolto l'AE l'onere di specificare i motivi di appello articolo 360 co. 3 c.p.c per violazione e falsa applicazione dell'articolo 2, co. 14-ter l. numero 248/2005 per aver la CTR ritenuto legittimo l'operato dell'Amministrazione Finanziaria articolo 360 co. 1 numero 3 c.p.c. con riferimento all'annualità 2006 la violazione e falsa applicazione dell'articolo 32, co. 1, numero 2 del d.P.R. 605/73 articolo 360 co. 1, numero 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell'articolo 32, co. 1, numero 2 d.P.R. 600/73 articolo 360 co. 1, numero 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli articolo 2697 e 2727 c.c. e ss., in tema di ripartizione dell'onere della prova articolo 360 co. 1, numero 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell'articolo 47 TUIR e articolo 67 d.P.R. 600/73 per erronea applicazione del regime fiscale dei redditi di capitale conseguiti.   L'AE replicava con controricorso. Il provvedimento della Cassazione La Corte di Cassazione, come visto sopra, affronta diverse argomentazioni sollevate dagli appellanti, tra cui errori procedurali, applicazione di soglie antiriciclaggio e presunzione di distribuzione di reddito non dichiarato agli azionisti di società a partecipazione ristretta. Analizzando i motivi di ricorso i Giudici di Piazza Cavour respingono le istanze della parte ricorrente confermando la piena legittimità dell'operato svolto, nella propria opera di accertamento, da parte dell'Agenzia delle Entrate. La Corte, inoltre, delinea i principi di diritto in materia di acquisizione e utilizzo di dati finanziari a fini fiscali e distribuzione di reddito non dichiarato in società a partecipazione ristretta. Conclusivamente, la sentenza statuisce il rigetto del ricorso da parte della Corte di Cassazione e l'addebito delle spese legali a carico degli appellanti. La decisione si fonda sulla determinazione della Suprema Corte secondo cui le valutazioni espresse dall'Agenzia delle Entrate erano giuridicamente valide e che i ricorrenti non avevano fornito prove sufficienti a contrastare le presunzioni formulate dai tribunali di grado inferiore.

Presidente Bruschetta - Relatore Gori Fatti di causa La Commissione tributaria regionale del Lazio con sentenza numero 5279/9/2015 depositata l'8/10/2015 riuniva e accoglieva gli appelli proposti dall'Agenzia delle Entrate avverso le sentenze della Commissione tributaria provinciale di Roma nnumero 11641, 11636, 11629/45/2014, le quali accoglievano i ricorsi introduttivi proposti dalla società E. Srl e da Pa.Anumero in qualità di legale rappresentante e socio di maggioranza della società di capitali. Le riprese traevano origine da attività ispettiva, accessi domiciliari ed accertamenti bancari da cui emergevano operazioni extra conto sulla base delle risultanze dell'archivio unico informatico degli intermediari bancari. Sulla scorta di tali elementi probatori, trasfusi in un PVC, veniva accertata in capo alla società la sussistenza di ricavi non dichiarati per le annualità 2004-2006 e l'Agenzia notificava alla società tre avvisi di accertamento per maggiori IRES-IRAP-IVA ed accessori con riferimento all'annualità 2004 avviso numero Omissis/2009, circa l'annualità 2005 numero Omissis/2009, con riferimento all'annualità 2006 numero Omissis/2009. Dal momento che la società era a ristretta base sociale, l'Amministrazione imputava ai soci pro quota il maggior reddito accertato alla stessa, provvedendo a rettificare anche la posizione di Pa.Anumero quale socio al 90% della E A lui venivano notificati tre avvisi di accertamento per maggiore IRPEF e accessori con riferimento alle predette annualità per il 2004 avviso di accertamento parziale numero RCK01T300631/2009, per il 2005 avviso di accertamento parziale numero Omissis/2009, per il 2006 avviso di accertamento numero Omissis/2009. Con tre sentenze parallele di contenuto omogeneo, il giudice di prime cure, riunita per ciascuna delle annualità oggetto di accertamento la coppia costituita dal ricorso proposti dalla società e da quello del socio di maggioranza, riteneva illegittimo l'operato dell'Agenzia sia quanto all'acquisizione delle operazioni extra conto antecedenti al 10 gennaio 2006, sia circa l'utilizzo dei dati ai fini degli accertamenti presuntivi e annullava le riprese. Il giudice d'appello riuniva gli appelli proposti dall'Amministrazione finanziaria contro le tre sentenze di primo grado e li accoglieva. Nel dettaglio, con riguardo alla legittimità delle modalità di accertamento delle operazioni extra conto operava la seguente distinzione in relazione ai periodi antecedenti al 1 gennaio 2006 l'Ufficio, al fine di svolgere le indicate indagini finanziarie, in forza dell'articolo 2 comma 14-ter D.L. 203/2005 poteva acquisire ed utilizzare solo le informazioni relative ad operazioni che superassero il limite quantitativo di Euro 12.500,00. Viceversa, per le operazioni successive al 10 gennaio 2006 si prescinde da ogni limite quantitativo . Di conseguenza, quanto alle annualità 2004 e 2005 oggetto di ripresa la CTR stabiliva che non può condividersi il convincimento espresso dal primo giudice . va al contrario affermato che i recuperi a tassazione sono validamente fondati anche su informazioni e dati relativi ad operazioni finanziarie di valore superiore ad Euro 12.500,00, che come tali potevano essere legittimamente acquisite dall'Ufficio . La CTR concludeva che ferma la legittimità degli accertamenti in esame, ma avendo l'Ufficio preso in considerazione anche le informazioni per le operazioni finanziarie inferiori al limite sopra ricordato, l'Ufficio stesso dovrà rideterminare la pretesa impositiva stralciando le operazioni finanziarie di importo inferiore ad Euro 12.500,00 e, una volta rideterminata la pretesa impositiva nei confronti della società, quanto alla persona fisica, dovrà essere riconsiderata anche la pretesa impositiva rivolta al socio . che deteneva il 90% della componente azionaria . Con riferimento all'annualità 2006, oggetto della sentenza CTP numero 11629/45/2014, il giudice d'appello stabiliva che l'appello dell'Ufficio merita integrale accoglimento potendo l'Ufficio, dal 10 gennaio 2006 acquisire ogni informazione sulle operazioni finanziarie, a prescindere dal loro singolo valore . I contribuenti ricorrono per cassazione per sette motivi, cui replica l'Agenzia con controricorso. La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo parte ricorrente - ai fini dell'articolo 360 primo comma numero 4 cod. proc. civ. - deduce la nullità della sentenza impugnata per error in procedendo, ai sensi dell'alt 156 cod. proc. civ., per violazione degli articolo 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., per non corrispondenza tra parte motiva e dispositivo. 2. Il motivo non è inammissibile come eccepito in controricorso, ma è infondato. Il tenore del dispositivo accoglie i riuniti appelli dell'Ufficio come in motivazione rimanda al contenuto della parte motiva della sentenza che, come evidenzia la stessa parte ricorrente nei suoi scritti difensivi, distingue da un lato l'accertamento delle operazioni extra conto per le annualità 2004 e 2005, in relazione alle quali le eccezioni dei contribuenti sono ritenute dal giudice in parte fondate e sono fornite all'Agenzia le indicazioni per il ricalcolo del dovuto. Dall'altro, l'annualità 2006 con riferimento alla quale le eccezioni sono rigettate dalla CTR. Coerentemente con questo accoglimento parziale degli appelli riuniti, del resto, le spese di lite sono state compensate dal giudice, a conferma che vi è stata una parziale soccombenza reciproca. Perciò, non vi è contrasto alcuno tra motivazione e dispositivo. 3. Con il secondo motivo i ricorrenti - ex articolo 360 primo comma numero 3 cod. proc. civ. - prospettano la violazione e falsa applicazione dell'articolo 53 del D.Lgs. numero 546/92 per aver la CTR ritenuto che gli appelli proposti dall'Ufficio, della cui ammissibilità non è dato dubitare, meritano accoglimento sia pure con diversità di presupposti e di effetti , mentre l'Agenzia non avrebbe assolto l'onere di specificare i motivi di appello, i quali avrebbero dovuto essere considerati inammissibili. 4. Il motivo è inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, la deduzione della questione dell'inammissibilità dell'appello, a norma dell'articolo 342 cod. proc. civ., integrante error in procedendo , che legittima l'esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l'ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all'articolo 366, comma 1, numero 4 e n, 6, cod. proc. civ Questo dev'essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 causa Succi ed altri c/Italia , secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d'interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l'attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte e il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza Cass. Sez. L, numero 3612 del 04/02/2022 Cass. Sez. 1, numero 24048 del 06/09/2021 Cass. Sez. 1, numero 29495 del 23/12/2020 . Come eccepito in controricorso, è la censura in disamina ad essere affetta da difetto di specificità e di localizzazione, non avendo la società e il socio riprodotto o almeno sintetizzato collocando con precisione la propria posizione a riguardo nei tre processi di appello. 5. Il terzo motivo, in rapporto all'articolo 360 primo comma numero 3 cod. proc. civ., denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 32 comma 1, nnumero 2 e 7 del D.P.R. numero 600/73 con riferimento all'applicazione dell'articolo 2, comma 14-ter, legge 248/2005, per aver la CTR erroneamente ritenuto che fosse legittimo l'operato dell'Agenzia, la quale ha richiesto agli intermediari finanziari dati e notizie relative a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata con la società per le operazioni extra conto , seppure limitatamente alle operazioni eccedenti la soglia di Euro 12.500,00 per le annualità 2004 e 2005. Nel corpo della censura i ricorrenti evidenziano che tali informazioni sono state in modo organico inserite nell'ambito dell'Anagrafe dei rapporti di cui all'articolo 7 del D.P.R. 605/1973 solo a decorrere dal 1 gennaio 2006, mediante l'articolo 2, comma 14-ter, L. 248/2005, con il quale è stato previsto che, per i periodi d'imposta anteriori al 2006, le operazioni c.d. extra conto impiegabili ai fini degli accertamenti bancari fossero solo quelle transitate nell'archivio unico informativo e, quindi, in quanto tali necessariamente di valore superiore ad Euro 12.500,00, costituendo tale importo la soglia minima di rilevanza ai fini della disciplina antiriciclaggio ai sensi della normativa pro tempore vigente. Da ciò parte ricorrente deduce che non avrebbero potuto essere comunicate né essere utilizzate le operazioni extra conto poste in essere in data anteriore al 10 gennaio 2006 se non transitate nell'archivio unico informatico AUI , e neppure le operazioni extra conto poste in essere in data successiva al 10 gennaio 2006 e registrate nell'AUI o, comunque, in database differenti dall'Anagrafe dei rapporti dovendosi fare riferimento a fini ispettivi esclusivamente a tali dati. 6. Il quarto motivo, sempre ai fini dell'articolo 360 primo comma numero 3 cod. proc. civ., censura con riferimento all'annualità 2006 la violazione e falsa applicazione dell'articolo 32, comma 1, numero 2 del D.P.R. 600/73, con riferimento all'articolo 7, comma 6, del D.P.R. 605/73 e prospetta l'illegittimo utilizzo dei dati contenuti nell'AUI ai fini del procedimento di accertamento presuntivo. 7. I due motivi vanno trattati congiuntamente in quanto connessi e sono inammissibili. 7.1. Non pertinente è l'articolo 14-ter cit., invocato dai contribuenti il quale per gli anni 2004 e 2005, dispone 14-ter. Per i periodi di imposta antecedenti il 1 gennaio 2006 e relativamente alle richieste di cui all'articolo 32, primo comma, numero 7 , del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, numero 600, e successive modificazioni, e all'articolo 51, secondo comma, numero 7 , del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, numero 633, e successive modificazioni, i soggetti destinatari ivi indicati utilizzano, ai fini delle risposte relative ai dati, notizie e documenti riguardanti operazioni non transitate in un conto, le rilevazioni effettuate ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 3 maggio 1991, numero 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, numero 197, e dei relativi provvedimenti di attuazione . 7.2. Egualmente, non pertinente è il richiamo all'articolo 7 comma 7 del D.P.R. numero 605/73 invocato dai ricorrenti, rubricato Comunicazioni all'anagrafe tributaria nel testo vigente ratione temporis per il 2006, tenuto conto che, ai sensi dell'articolo 2, comma 14-bis, D.L. 30 settembre 2005 numero 203 le diposizioni del comma 6 hanno effetto dal 1 gennaio 2006, il quale dispone Le banche, la società Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario, fatto salvo quanto disposto dal secondo comma dell'articolo 6 per i soggetti non residenti, sono tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria ad esclusione di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente postale per un importo unitario inferiore a 1.500 euro. . 7.3. Parte ricorrente non tiene conto del fatto che l'esercizio dell'articolo 32 D.P.R. numero 600/73 non prevede soglie di valore ai controlli anche per gli anni di imposta suddetti. Con la legge 30 dicembre 2004 numero 311 vengono estese le garanzie autorizzatorie fino a quel momento previste per il segreto bancario anche all'acquisizione delle notizie di natura finanziaria che, prima, potevano essere assunte sulla base della più snella procedura di cui al numero 5 degli articolo 32 del D.P.R. 600/73 e 51 del D.P.R. 633/72. A ciò si aggiunge che le informazioni finanziarie possono essere chieste non più solo alle banche e alla società Poste italiane, bensì anche agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento, agli organismi di investimento collettivo del risparmio, alle società di gestione del risparmio e alle società fiduciarie. È poi previsto che si possa chiedere non più solo copia dei conti e dei depositi, con la specificazione dei rapporti inerenti o connessi e delle eventuali garanzie prestate da terzi, ma anche dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi. Inoltre, per quanto qui interessa, viene anche riscritto il sesto comma dell'articolo 7 del D.P.R. 605/73 il quale, dunque, dispone che le banche, la società poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario sono tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui qualsiasi operazione di natura finanziaria. 7.4. Il limite quantitativo costituito dalla soglia di 12.500,00 Euro non è perciò relativo all'esercizio dei controlli bancari, ma costituisce una limitazione della circolazione del contante e dei titoli al portatore, disciplinata dall'articolo 7 D.Lgs. numero 56/2004 relativa alla disciplina antiriciclaggio, e concerne la rilevazione di infrazioni all'articolo 1 della L. numero 197/91 e la conseguente informativa all'autorità. La norma, in altri, termini disciplina il divieto di trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in Euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire è complessivamente superiore ad Euro 12.500,00 e non pertiene all'esercizio dei controlli bancari. 7.5. Infatti, da un lato tale soglia è stata prevista fin dall'articolo 1 del D.L. numero 143 del 1991 originariamente 20 milioni di lire che introduce ai fini di contrasto del riciclaggio il divieto contenuto nel primo comma, di trasferire tra soggetti diversi denaro contante, libretti di deposito bancari o postali al portatore, titoli al portatore, quando il valore da trasferire è complessivamente superiore a 12.500 euro, e il divieto contenuto nel secondo comma, di emettere vaglia postali, vaglia cambiari, assegni postali, assegni bancari e assegni circolari, al portatore e per importi superiori a 12.500 euro, senza la clausola non trasferibile . Dall'altro, per effetto della manovra 2006 di cui si è dato conto, per i periodi d'imposta antecedenti al 1 gennaio 2006, i dati e le notizie riguardanti operazioni non transitate nel conto corrente bancario dei contribuenti sono limitate alle rilevazioni effettuate in esecuzione della normativa antiriciclaggio e perciò gli intermediari finanziari sono tenuti a comunicare le operazioni superiori ad Euro 12.500,00 registrate nei loro archivi in esecuzione proprio degli obblighi derivanti dalla suddetta normativa. 7.6. Dev'essere così formulato il seguente principio di diritto In tema di controlli e acquisizione documentale di cui all'articolo 32 del D.P.R. 29 settembre 1973 numero 600, non opera la soglia di Euro 12.500 disciplinata dall'articolo 7 D.Lgs. 20 febbraio 2004 numero 56 nel testo ratione temporis applicabile il quale, in attuazione della Direttiva 2001/97/CE e anteriormente all'abrogazione ad opera del D.Lgs. 21 novembre 2007 numero 231, ha disciplinato una limitazione della circolazione del contante e dei titoli al portatore che pertiene al diverso piano della disciplina antiriciclaggio e alla rilevazione di infrazioni all'articolo 1 della L. 5 luglio 1991 numero 197 come successivamente modificata. . In applicazione del principio di diritto suddetto i motivi in disamina sono inammissibili in quanto contenenti un'interpretazione non congruente con la ratio legis e va corretta nel senso indicato ex articolo 384 u.c. cod. proc. civ. la motivazione del giudice espressa sul punto perché il dispositivo è conforme a diritto. 8. Con il quinto motivo, ex articolo 360 primo comma numero 3 cod. proc. civ., si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 32, comma 1, numero 2 , del D.P.R. 600/73 da parte della sentenza impugnata, avendo questa considerato validamente fondati i recuperi a tassazione dell'Amministrazione finanziaria basati su dati asseritamente illegittimamente acquisiti per le operazioni extra conto anteriori al 1 gennaio 2006, differenti da quelli transitati nell'AUI, nonché su informazioni per le operazioni extra conto successive al 1 gennaio 2006 duplicative delle medesime operazioni in quanto derivanti non solo dall'Anagrafe dei rapporti, ma anche da dati inseriti nell'AUI. 9. Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza. La censura è infatti chiaramente diretta ad ottenere un inammissibile nuovo apprezzamento della prova circa le operazioni extra conto , assunta dal giudice in conformità all'interpretazione nomofilattica, in conseguenza del rigetto dei due motivi che precedono. 10. Con il sesto motivo, in relazione all'articolo 360 primo comma numero 3 cod. proc. civ., si prospetta la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2727 cod. civ. e ss., in tema di ripartizione dell'onere probatorio in sede accertativa in ragione della ristretta base partecipativa della stessa, assunto ritenuto da parte contribuente di per sé generico e non idoneo a fondare presunzioni, non essendo corroborato da alcun genere di approfondimento accertativo da parte dell'Ufficio. 11. Il settimo motivo, articolato ai fini dell'articolo 360 primo comma numero 3 cod. proc. civ., lamenta anche la violazione e falsa applicazione dell'articolo 47 del TU.I.R. e dell'articolo 67 del D.P.R. 600/73, per erronea applicazione del regime fiscale dei redditi di capitale asseritamente conseguiti dall'odierno resistente. Nel corpo della censura si deduce che il reddito complessivo del Pa.Anumero sarebbe stato assoggettato per l'intero all'applicazione delle ordinarie aliquote di cui all'articolo 11 del T.U.I.R. e, dunque, secondo i ricorrenti, il reddito da partecipazione societaria avrebbe dovuto, se del caso, concorrere a tassazione per il solo 40% così come previsto dall'articolo 47, comma 1, del T.U.I.R. 12. I motivi, connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili. Con la sentenza numero 2752 del 30 gennaio 2024 sulla presunzione ai distribuzione ai soci di utili extracontabili, la Corte di cassazione ha da ultimo ribadito che, affinché la presunzione possa operare, è sufficiente che la titolarità delle azioni e l'organizzazione aziendale siano concentrate in una stretta cerchia personale o familiare, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale Cass., Sez. 5, 29 dicembre 2017, numero 28542 Cass., Sez. 5, 19 gennaio 2021, numero 752 . La presunzione non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado tra molte, si veda Cass. Sez. 6 - 5, numero 1947 del 24/01/2019 Sez. 5, numero 26171 del 2023 , in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell'assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria. In presenza di ristretta base sociale quale è il pacifico caso di specie in cui Pa.Anumero è socio al 90%, spetta al socio fornire la prova contraria del fatto che i maggior redditi accertati in capo alla piccola società di capitali non sono stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, oppure che non siano mai stati conseguiti Cass. 19 dicembre 2019, numero 33976 Sez. 5, Ordinanza numero 20694 del 2023 . Inoltre, non può essere revocato in dubbio in sede di legittimità l'accertamento operato dal giudice del merito nel caso di specie, secondo cui le presunzioni sono gravi, precise e concordanti, perché è stata verificata la presenza di utili extracontabili. Trovano applicazione, dunque, i principi di diritto sopra richiamati, ed opera inoltre anche il principio di vicinanza della prova, la quale è rimessa in capo a parte contribuente al fine di dimostrare che i maggiori redditi non sono stati distribuiti tra i soci, bensì accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti. Orbene, secondo l'argomentare logico della CTR nella sentenza impugnata, il socio nel caso in esame non ha fornito prova contraria alla presunzione nei termini indicati dai principi di diritto sopra richiamati. Né dalla lettura del ricorso risulta dimostrata la specifica introduzione nei tre ricorsi di primo grado di Pa.Anumero e la tempestiva riproposizione in ciascun processo d'appello dell'ulteriore difesa della misura percentuale della determinabilità circoscritta al 40% per il regime di tassazione diretta prescelto dalla persona fisica. La prospettazione di parte è generica ed ellittica, contenuta nell'ultima pagina del ricorso per Cassazione e prima in poche righe alle pagine 3 e 6. In assenza di specificità, non è neppure indicato quale sia il regime fiscale concretamente scelto per ciascuno dei periodi di imposta oggetto di riprese, quali siano gli importi oggetto delle dichiarazioni dei redditi ecc., derivando l'inammissibilità anche di questo profilo. 13. Per tutte le ragioni svolte il ricorso va conclusivamente rigettato. Le spese di lite sono regolate come da dispositivo e seguono la soccombenza.   P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 11.500,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.