Appalto di servizi fittizio: l’operazione non si giustifica ai fini fiscali

In caso di appalto di servizi meramente fittizio, il pagamento del corrispettivo ad opera dell'apparente appaltante non si giustifica né per detrarre l'IVA né, a fini reddituali, per computarlo in diminuzione sul reddito quale costo sostenuto per la sua produzione [ ].

[ ] Inoltre, l'appaltante, in quanto utilizzatore della prestazione lavorativa dei dipendenti dell'appaltatore, assume l'effettiva qualità di datore di lavoro ed è pertanto gravato dai relativi obblighi, tra cui l'effettuazione delle ritenute d'acconto ex articolo 23 del d.P.R. numero 600 del 1973, indipendentemente dall'avere o meno il singolo lavoratore esercitato, con esito positivo, l'azione ex articolo 29, comma 3-bis, d.lgs. numero 276 del 2003, “ratione temporis” vigente, volta al riconoscimento del rapporto di lavoro direttamente con l'appaltante. I fatti di causa La DP di Udine dell'Agenzia delle entrate notificava a I.C. S.R.L., divenuta F.C , un avviso di accertamento, relativamente all'anno di imposta 2005, con il quale contestava una serie di violazioni ai fini di IRES, IRAP, IVA e ritenute alla fonte ad opera dei sostituti d'imposta su redditi da lavoro dipendente, nonché un atto di contestazione, relativamente al medesimo anno di imposta, con il quale contestava la violazione dell'articolo 13, comma 1, d.lgs. numero 471 del 1997, relativamente all'omesso versamento di ritenute su redditi da lavoro dipendente. Detti atti recepivano i contenuti di due processi verbali di constatazione della Guardia di Finanza. In estrema sintesi, secondo i verificatori, le prestazioni rese alla contribuente da due società in forza di contratti d'appalto dovevano essere riqualificate in somministrazione di manodopera, avendo detti contratti in realtà ad oggetto prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dal contribuente. Ne conseguiva la contestazione, da parte dell'Agenzia, di omessi effettuazione, versamento e dichiarazione di ritenute indebita deduzione quali costi di produzione delle prestazioni rese dai lavoratori messi a disposizione dalle imprese appaltatrici ed indebita detrazione dell'IVA sugli acquisti afferente alle operazioni riqualificate. La contribuente impugnava entrambi gli atti con distinti ricorsi, che erano accolti dalla CTP di Udine. L'Agenzia proponeva appello, che la CTR del Friuli-Venezia Giulia rigettava. Propone ricorso per cassazione l'Agenzia con un unico motivo. Il motivo del ricorso per cassazione Con l'unico motivo di ricorso l'Agenzia si duole che la sentenza impugnata abbia annullato le riprese dell'Ufficio conseguenti alla riqualificazione come forme di interposizione fittizia di manodopera dei contratti di appalto stipulati dalla contribuente. Secondo la ricorrente, la CTR ha ritenuto che, in base alla disciplina del D.lgs. 276/2003, non esisterebbe più il principio per cui i lavoratori illegalmente somministrati si considerano, anche ai fini fiscali, alle dipendenze dell'utilizzatore e su tali basi ha, quindi, annullato le riprese effettuate dall'Ufficio. Ad avviso dell'Ufficio, il d.lgs. numero 276/2003 contiene, all'articolo 21, comma 4, una disposizione sostanzialmente identica a quella contenuta nella legge 1369/1960 quelli su cui è caduta la contestazione dell'Ufficio non sono formali contratti di somministrazione di manodopera stipulati con soggetti abilitati ai sensi del citato articolo 21 bensì contratti di appalto, simulanti forme di somministrazione illegale di manodopera, per i quali, ove accertato il carattere fittizio dell'appalto, la suddetta norma deve trovare applicazione. La riqualificazione dell'appalto in termini di mera prestazione di manodopera – prosegue l'Agenzia delle Entrate – configura, a tutti gli effetti, un rapporto di lavoro subordinato tra il committente e la manodopera, con conseguente indeducibilità ai fini dell'IRAP. Analoghe considerazioni valgono per quanto riguarda il comparto impositivo dell'IVA. La decisione della Suprema Corte Il precedente di Cass. numero 31729 del 7.12.2018 e la successiva giurisprudenza di legittimità Nella sentenza in commento, il Collegio dichiara espressamente di seguire l'impostazione di Cass. numero 31729 del 7.12.2018, così massimata «In tema di divieto d'intermediazione di manodopera, in caso di somministrazione irregolare, schermata da un contratto di appalto di servizi, va escluso il diritto alla detrazione dei costi dei lavoratori per invalidità del titolo giuridico dal quale scaturiscono, non essendo configurabile prestazione dell'appaltatore imponibile ai fini IVA, senza che possa assumere rilevanza, a riguardo, l'azione giudiziale del lavoratore per la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore effettivo, in quanto la conversione del rapporto, di per sé, implica la nullità dei contratti che ne sono oggetto». Il superiore principio appartiene ormai al patrimonio della giurisprudenza di legittimità e, infatti, si trova confermato in Cass.Sez. 5, numero 32185 del 10.12.2019, in Cass. Sez. 5, numero 34876 del 17.11.2021 con riguardo all'IVA e in Cass. Sez. 5, numero 7440 dell'8.3.2022 con riguardo all'IRAP . Le ritenute d'acconto Il Collegio, pur avendo, come detto, dichiarato di seguire l'impostazione generale di Cass. numero 31729/2018, non ne condivide, tuttavia, né le conclusioni né la motivazione sulle ritenute d'acconto. Invero, il principio al riguardo enunciato dalla massima di Cass. numero 31729/2018 è nel senso che, nell'ipotesi di violazione del divieto d'intermediazione di manodopera, occorre distinguere il regime antecedente all'abrogazione della l. numero 1369 del 1960 da quello successivo all'entrata in vigore del d.lgs. numero 276 del 2003, in costanza del quale, poiché l'obbligo di ritenuta sui redditi di lavoro dipendente postula, da un lato, l'instaurazione del rapporto di lavoro su domanda del lavoratore, e dall'altro, i mancati pagamenti del somministratore, l'omessa costituzione del rapporto di lavoro su iniziativa dei lavoratori, nei casi prescritti dall'articolo 27 del detto decreto, impedisce, comunque, l'insorgenza in capo all'interponente dell'obbligo di operare le ritenute. A fronte delle posizioni di Cass. numero 31729/2018, in termini opposti opina Cass. Sez. 5, numero 19966 del 18.5.2018, la quale, in motivazione, con specifico riguardo alle ritenute, afferma che «il sistema della ritenuta d'acconto non può che conformarsi al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro generatore dell'obbligo tributario e se non può esservi che un solo datore di lavoro, l'interponente, non può che esservi un solo sostituto d'imposta quale datore di lavoro sent. numero 22020 cit. . Diversamente opinando resterebbero fuori dal sistema proprio i casi d'intermediazione e d'interposizione vietate. D'altronde il sostituto d'imposta è debitore verso il Fisco, poiché è un obbligato con specifiche responsabilità e diritti, con riferimento alla ritenuta d'acconto, come peraltro evincibile dagli articolo 64 del d.P.R. numero 600 cit. nonché dall'articolo 35 del d.P.R. numero 602 del 1973 […]». Sulla questione il Collegio interviene affermando il seguente principio di diritto «in caso di appalto di servizi meramente fittizio, l'appaltante, in quanto utilizzatore della prestazione lavorativa dei dipendenti dell'appaltatore, assume l'effettiva qualità di datore di lavoro ed è pertanto gravato dai relativi obblighi, tra cui l'effettuazione delle ritenute d'acconto ex articolo 23 del d.P.R. numero 600 del 1973, indipendentemente dall'avere o meno il singolo lavoratore esercitato, con esito positivo, l'azione ex articolo 29, comma 3-bis, D.lgs. numero 276 del 2003, “ratione temporis” vigente, volta al riconoscimento del rapporto di lavoro direttamente con l'appaltante». L'articolo 29, comma 1 del D.lgs. numero 279/2023 L'articolo 29 d.lgs. numero 276 del 2003, - al comma 1 prevede che, «ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa» al comma 3-bis prevede che, «quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell'articolo 27, comma 2». In ragione del comma 1, il contratto di appalto si distingue da quello di somministrazione allorquando l'appaltatore esercita il potere di “organizzazione dei mezzi necessari” impiegati nell'esecuzione della prestazione, fermo restando che questo potere «può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dal [mero] esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati [termine per vero incongruo in rapporto a persone] nell'appalto», e sopporta il “rischio d'impresa”. In generale, il comma 1 riprende l'articolo 1655 c.c., d'altronde espressamente richiamato, secondo cui, giust'appunto, il contratto d'appalto ha come sinallagma la prestazione di un'opera, con organizzazione dei mezzi ed assunzione del rischio verso il pagamento di un corrispettivo in danaro tuttavia, in concreto, esso, nel consentire che, “in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto”, il potere di “organizzazione dei mezzi necessari” possa consistere anche semplicemente nel “potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori”, attenua il concetto prestazionale dell'articolo 1655 c.c., siccome riferito ad un'opera, identificando il nucleo minimo della prestazione dell'appaltatore nell'asservimento di un nucleo organizzato di energie lavorative alle esigenze dell'appaltante. In considerazione di ciò, l'appalto ha può avere ad oggetto più che la manodopera in sé e per sé il risultato organizzativo della manodopera nel linguaggio commerciale potrebbe dirsi “un pacchetto ‘organizzato' di manodopera” in funzione, segnatamente, del servizio commissionato dall'appaltante. Pertanto, con riguardo all'appalto, la novità del d.lgs. numero 276 del 2003 rispetto alla l. numero 1369 del 1960 consiste nell'ammissibilità dell'esternalizzazione, ossia dell'approvvigionamento in “outsourcing”, di un frammento organizzativo dell'attività d'impresa, riguardante un tassello di organizzazione della manodopera. in funzione di finalità del ciclo produttivo del committente. Le conseguenze della violazione dell'articolo 29, comma 1 del d.lgs. numero 279/2023 Quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore alle dipendenze dell'appaltatore può ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, sulla base del principio di effettività delle prestazioni rese L'appaltatore non assume l'“organizzazione dei mezzi necessari” perché “a monte” non ha una struttura in grado di farlo con particolare riguardo ai contratti “labour intensive”, non esercita il “potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori” perché, “a monte”, alla luce di un'analisi spettrale del soggetto imprenditoriale, che è compito del giudice di merito effettuare, non ha e spesso non ha mai avuto la strutturata disponibilità di lavoratori, da organizzare e dirigere. L'appaltatore non sopporta il “rischio d'impresa” perché, “a monte”, non ha e spesso non ha mai avuto le potenzialità economiche. In tali condizioni, l'appaltatore non può essere considerato neppure come una sorta di collaboratore o mandatario dell'appaltante, alla stregua delle ipotesi di cui all'articolo 29, comma 3-bis, d.lgs. numero 276 del 2003, in cui la fenomenica alterità tra appaltatore ed appaltante si scioglie nella perdita di autonomia del primo, avviluppato nell'orbita aziendale del secondo l'appaltatore è un non-appaltatore, nel senso che non è un soggetto contrattuale, perché, “a monte”, il contratto di appalto è un non-contratto. Il contratto di appalto non è affatto tale, in quanto non esiste né nella volontà dei contraenti né nella realtà dei fatti i contraenti, “in fraudem legis”, si sono accordati per far figurare un appalto che non appartiene ai loro programmi e che non riceverà mai, da parte loro, alcuna esecuzione, avendone creato l'apparenza solo per mascherare la realtà di un rapporto di lavoro “funditus” corrente tra appaltante e lavoratore. Il contratto di appalto è radicalmente ed insanabilmente nullo ed improduttivo di effetti, siccome fittiziamente preordinato a violare l'articolo 2094 c.c., che, in dimensione sistemica, ri acquisisce una valenza precettiva assorbente al di là del divieto di scissione tra datore di lavoro e beneficiario della prestazione lavorativa ricavato, quest'ultimo, prima della l. numero 1369 del 1960, dalla l. numero 264 del 1949 sul collocamento obbligatorio e dall'articolo 2117 c.c. sul divieto d'interposizione nel lavoro a cottimo, ma, come visto, in linea di principio, infranto dalla cd. liberalizzazione del mercato del lavoro realizzata dal d.lgs. numero 276 del 2003 . La nullità del contratto di appalto si trascina seco quella del contratto di assunzione tra appaltatore e lavoratore, lasciando affiorare la realtà di un rapporto immediato e diretto tra questi e l'appaltante, cui conseguentemente deve imputarsi il corrispondente contratto di lavoro. E, poiché di nullità si verte, la stessa ben può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, Amministrazione fiscale compresa, segnatamente ai fini del recupero delle ritenute dall'effettivo datore di lavoro, ossia l'appaltante, in perfetta coerenza con la disciplina propriamente fiscale, nei termini rilevati da Cass. numero 19966/2018. Conclusioni In conclusione, la Suprema Corte, nella sentenza in rassegna, afferma due importanti principi di diritto. Il primo, in linea di continuità con l'indirizzo inaugurato da Cass. numero 31729/2018, è il seguente «In caso di somministrazione irregolare, schermata da un contratto di appalto di servizi, l'operazione economica rappresentata da quest'ultimo in realtà non ha avuto obiettivamente luogo tra le parti, che in effetti neppure la volevano la qual cosa equivale a dire che è mancata la fornitura in sé dei servizi dedotti in contratto ad opera dell'apparente appaltatore, a fronte, e però anche in ragione, della quale era fittiziamente pattuito nei suoi confronti il pagamento del corrispettivo ad opera dell'apparente appaltante. L'inesistenza in sé della prestazione rende radicalmente privo di giustificazione l'esborso dell'apparente appaltante, che, pertanto, in difetto di certezza oltreché di inerenza, non può giovarsene né per detrarre l'IVA né, a fini reddituali, per computarlo in diminuzione sul reddito quale costo sostenuto ma in realtà non sostenuto come esposto in fattura per la sua produzione». Il secondo – in difformità da Cass. numero 31729/2018 – è il seguente «In caso di appalto di servizi meramente fittizio, l'appaltante, in quanto utilizzatore della prestazione lavorativa dei dipendenti dell'appaltatore, assume l'effettiva qualità di datore di lavoro ed è pertanto gravato dai relativi obblighi, tra cui l'effettuazione delle ritenute d'acconto ex articolo 23 del d.P.R. numero 600 del 1973, indipendentemente dall'avere o meno il singolo lavoratore esercitato, con esito positivo, l'azione ex articolo 29, comma 3-bis, D.lgs. numero 276 del 2003, “ratione temporis” vigente, volta al riconoscimento del rapporto di lavoro direttamente con l'appaltante».

Presidente Luigi - Relatore Salemme Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.