Richiesta assegno divorzile: possono non essere sufficienti venticinque mesi di matrimonio

Venticinque mesi di matrimonio non sono, da soli, sufficienti a dare prova della comunione di vita tra i coniugi e, quindi, a legittimare la richiesta di assegno divorzile la breve durata del matrimonio infatti, può far venir meno il prerequisito fattuale per il suo riconoscimento.

Al vaglio dei giudici il complicato rapporto, senza prole, tra una moglie e un marito uniti in matrimonio per otto mesi, a cui ha fatto seguito una prima richiesta di separazione e una riconciliazione di diciassette mesi e mezzo, la quale si è poi, conclusa, con un altro giudizio di separazione con cui il Tribunale di Perugia riconosceva alla donna un assegno divorzile in funzione assistenziale di 450 euro al mese, pur dando atto che «la patologia di cui ella soffre non è invalidante, né ostativa alla prestazione di un'attività lavorativa». La Corte di appello di Perugia, accogliendo parzialmente l'appello incidentale proposto dall'uomo, riduceva a 350 euro al mese l'assegno divorzile riconosciuto alla donna poiché non vi sono i presupposti per il riconoscimento dell'assegno in funzione prettamente compensativa e perequativa in quanto «è mancata l'instaurazione di una comunione di vita effettiva tra i coniugi, in conseguenza della scarsissima durata del matrimonio il matrimonio ha avuto breve durata e non è stato caratterizzato dalla costante convivenza visto che la ex moglie aveva mantenuto una propria abitazione ciò lascia agevolmente intuire che la moglie non può avere contribuito in alcun modo alla creazione del patrimonio comune inesistente, difatti e soprattutto alla formazione del patrimonio personale del marito, che era il frutto in parte dell'eredità dei genitori al momento del matrimonio l'uomo era già nudo proprietario di una casa, seppure gravata dall'usufrutto della madre e in parte di decenni di attività professionale di avvocato, che non risultava favorita e supportata in alcun modo dalla vicinanza materiale e morale della consorte». Tuttavia, i giudici d'appello hanno confermato l'assegno in funzione assistenziale, sia pure nella minor somma di 350 euro «valutando la condizione di salute della donna, condizione documentata mediante certificazione medica da cui risultava che ella è affetta da sclerosi multipla nella forma ‘relapsing remitting', caratterizzata dall'alternanza di episodi acuti in cui si manifestano le recidive e periodi di rimessioni in cui non vi sono sintomi, e che viene curata con somministrazione di interferone con cadenza trisettimanale che induce effetti collaterali, quali la faticabilità, primo sintomo della malattia, e la sindrome d'ansia reattiva, accentuate da condizioni stressanti legate a problematiche famigliari con conseguente compromissione della qualità della vita». Hanno, inoltre, osservato che «non emerge una totale inidoneità lavorativa della donna, e che il titolo di studio e l'esperienza professionale» a sua disposizione «depongono per discrete capacità reddituali, anche se non risulta che ella abbia assunto concrete iniziative per procurarsi un lavoro, all'indomani della separazione, o per conseguire prestazioni assistenziali sostitutive da parte di enti pubblici». Infine, «attesa la rilevante disparità economica» tra l'uomo e la donna, «l'assegno non può essere eliminato, ma ridotto in considerazione della parziale diminuzione della capacità lavorativa della donna, in ragione quantomeno delle periodiche recidive della patologia e degli effetti che produce». Il legale del marito, proponeva dunque, ricorso per cassazione poiché riteneva illogico riconoscere all'ex moglie del suo cliente il diritto a percepire l'assegno di divorzio in funzione assistenziale ma «senza tenere conto, tra i criteri equiordinati attributivi del diritto, che tra i coniugi non vi è mai stata alcuna coabitazione e comunione di vita materiale e spirituale durante il brevissimo periodo di matrimonio, e che l'ex moglie non si è attivata per ricercare un lavoro e rendersi autonoma nonostante la giovane età, la capacità lavorativa, il titolo di studi, l'esperienza lavorativa pregressa sino al deposito della domanda di separazione e, infine, che la malattia dedotta in giudizio non ha reso la donna incapace di lavorare». Senza dimenticare, poi, aggiunge, che «nessun contributo personale ed economico è stato fornito dalla moglie alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio del marito o di quello comune». Secondo la Cassazione, i motivi del ricorso sono fondati «i giudici d'appello hanno rilevato la breve durata del matrimonio, peraltro neanche caratterizzato dalla costante convivenza, avendo la moglie mantenuto una propria abitazione, in cui aveva continuato a vivere. Ciò non può avere consentito l'effettiva realizzazione di una comunione di vita tra i coniugi, che costituisce l'essenza stessa del matrimonio. Tuttavia, hanno, nondimeno, riconosciuto l'assegno divorzile alla moglie». Sottolinea, infatti, il Collegio che «in tema di divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell'assegno, ma non anche – salvo nei casi eccezionali in cui non si sia realizzata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi – sul riconoscimento dell'assegno divorzile».  «La breve durata del matrimonio» dunque, può far «mancare il prerequisito fattuale per il riconoscimento dell'assegno divorzile», chiosano i magistrati di Cassazione.

Presidente Valitutti Relatore Tricomi Rilevato che 1. Il Tribunale di Perugia, nel giudizio divorzile tra M.S. e R.C.U. che erano rimasti uniti in matrimonio dal 15 maggio 2004 al 17 gennaio 2005 e poi, dopo una richiesta di separazione avanzata dalla moglie, dal 4 dicembre 2007, quando era intervenuta la riconciliazione, al 15 giugno 2009, anno in cui era stato introdotto un altro giudizio di separazione, senza la nascita di prole riconobbe alla M.S. il diritto all'assegno divorzile in funzione assistenziale, nella misura di euro 450,00 al mese a far data dalla pubblicazione della sentenza, pur dando atto in motivazione che la patologia di cui soffriva non era invalidante, né ostativa alla prestazione di un’attività lavorativa. La Corte di appello di Perugia, decidendo sull’appello principale svolto dalla M.S. e sull’appello incidentale del R.C.U., con sentenza pubblicata il 22 dicembre 2022, ha accolto parzialmente il secondo, riducendo l’assegno divorzile per ragioni assistenziali ad euro 350,00= al mese, con effetto dalla data della pubblicazione della sentenza appellata, come già disposto dal Tribunale, oltre ISTAT. La Corte di merito ha ritenuto che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dell’assegno in funzione prettamente compensativa e perequativa ha osservato che era mancata l’instaurazione di una comunione di vita effettiva tra i coniugi, in conseguenza della scarsissima durata del matrimonio, e che il matrimonio aveva avuto breve durata e non era stato caratterizzato dalla costante convivenza visto che la ex moglie aveva mantenuto una propria abitazione , che ciò lasciava agevolmente intuire che la moglie non poteva avere contribuito in alcun modo alla creazione del patrimonio comune infatti inesistente e soprattutto alla formazione del patrimonio personale del marito, che era il frutto in parte dell’eredità dei genitori al momento del matrimonio il marito era già nudo proprietario della casa in OMISSIS , via OMISSIS , seppure gravata dall’usufrutto della madre e in parte di decenni di attività professionale di avvocato, che non risultava favorita e supportata in alcun modo dalla vicinanza materiale e morale della coniuge. Di contro, ha confermato l’assegno in funzione assistenziale, sia pure nella minor somma di euro 350,00=, valutando la condizione di salute della ex moglie, documentata mediante certificazione medica dalla quale risultava che la M.S. era affetta da sclerosi multipla nella forma relapsing remitting, caratterizzata dall’alternanza di episodi acuti in cui si manifestano le recidive e periodi di rimessioni in cui non vi sono sintomi, che veniva curata con somministrazione di interferone con cadenza trisettimanale che induceva effetti collaterali, quali la faticabilità, primo sintomo della malattia, e la sindrome d’ansia reattiva, accentuate da condizioni stressanti legate a problematiche famigliari con conseguente compromissione della qualità della vita. Ha osservato che non emergeva una totale inidoneità lavorativa della ex moglie, che il titolo di studio laurea in lingue e l’esperienza professionale deponevano per discrete capacità reddituali, anche se non risultava che la M.S. avesse assunto concrete iniziative per procurarsi un lavoro, all’indomani della separazione e/o per conseguire prestazioni assistenziali sostitutive da parte di enti pubblici, e nonumero Ha, tuttavia, concluso, attesa la rilevante disparità economica, che l’assegno non poteva essere eliminato, ma ridotto in considerazione della parziale diminuzione della capacità lavorativa della ex moglie, in ragione quantomeno delle periodiche recidive della patologia e degli effetti che produceva. Il R.C.U. ha proposto ricorso per cassazione con sei mezzi, illustrati con memoria. La M.S. ha replicato con controricorso e ricorso incidentale con tre mezzi, seguiti da memoria. Il R.C.U., a sua volta, ha replicato al ricorso incidentale con controricorso. È stata disposta la trattazione camerale. Considerato che 2. Ricorso principale. 2.1. Il ricorso principale è articolato nei seguenti mezzi I violazione o falsa applicazione dell'articolo 5, comma 6, L. 898/1970 in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. in quanto il Collegio ha riconosciuto al coniuge richiedente il diritto a percepire l’assegno di divorzio in funzione assistenziale, senza tenere conto, tra i criteri equiordinati attributivi del diritto, che tra i coniugi non vi era mai stata alcuna coabitazione e comunione di vita materiale e spirituale durante il brevissimo periodo di matrimonio, che l’ex moglie non si era attivata per ricercare un lavoro e rendersi autonoma nonostante la giovane età, la capacità lavorativa, il titolo di studi, l’esperienza lavorativa pregressa sino al deposito della domanda di separazione e, infine, che la malattia dedotta in giudizio non aveva reso la richiedente incapace di lavorare II violazione o falsa applicazione dell’articolo 5, comma 6, L. 898/1970 in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. in quanto il Collegio ha riconosciuto al coniuge richiedente il diritto a percepire l’assegno di divorzio in funzione assistenziale, senza tenere conto, tra i criteri equiordinati attributivi del diritto, che tra i coniugi non vi era mai stata alcuna coabitazione e comunione di vita materiale e spirituale durante il brevissimo periodo di matrimonio e che nessun contributo personale ed economico era stato fornito dalla moglie alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio del marito o di quello comune III violazione o falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.c. in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. in quanto il Collegio ha riconosciuto al coniuge richiedente il diritto a percepire l'assegno di divorzio in funzione assistenziale, malgrado l’ex moglie non avesse fornito la prova dell’impossibilità di lavorare a causa della malattia, né la prova di essersi attivata per ricercare un lavoro e rendersi autonoma nonostante la giovane età, la capacità lavorativa, il titolo di studi, l'esperienza lavorativa pregressa IV omesso esame circa dei fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 5, c.p.c. in quanto il Collegio ha riconosciuto alla richiedente il diritto alla percezione dell'assegno di divorzio in chiave assistenziale, omettendo di valutare il fatto che tra gli ex coniugi non vi era mai stata effettiva coabitazione e comunione di vita durante il brevissimo periodo di matrimonio e il fatto che l'ex moglie avesse cessato di svolgere qualsiasi attività lavorativa prima del deposito della domanda di separazione e, infine, il fatto che la malattia dedotta in giudizio non l'avesse resa incapace di lavorare V violazione o falsa applicazione dell'articolo 5, comma 6, L. 898/1970 in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. in quanto il Collegio ha riconosciuto al coniuge richiedente il diritto a percepire l'assegno di divorzio in funzione assistenziale senza prendere in considerazione che l’ordinamento giuridico prevede degli strumenti di assistenza in favore delle persone con problematiche di salute tali da ridurre la capacità lavorativa, oltre al reddito di cittadinanza/reddito di inclusione VI violazione o falsa applicazione dell’articolo 5, comma 6, L. 898/1970 in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. in quanto il Collegio ha riconosciuto al coniuge richiedente il diritto a percepire l'assegno di divorzio in chiave assistenziale nella misura di € 350,00 al mese, prendendo come criterio di quantificazione dell'assegno il 10% del reddito netto mensile dell'ex marito e non la durata del matrimonio, la valutazione della capacità lavorativa della richiedente e l’inesistente apporto fornito dalla moglie per la sviluppo della carriera e del patrimonio del marito. 2.2. I primi due motivi, da trattare congiuntamente per connessione, sono fondati e vanno accolti con riferimento e limitatamente alla deduzione della non spettanza dell’assegno divorzile per la mancata instaurazione di una comunione di vita effettiva tra i coniugi, in conseguenza della scarsissima durata del matrimonio, e dell’assenza di una convivenza effettiva. Al riguardo, la Corte d’appello ha rilevato la breve durata del matrimonio, «peraltro neanche caratterizzato dalla costante convivenza», avendo la moglie mantenuto una propria abitazione, nella quale aveva continuato a vivere. Il che ‒ secondo la stessa Corte d’appello ‒ «non può avere consentito l’effettiva realizzazione di una comunione di vita tra i coniugi», che costituisce, secondo quanto previsto dall’articolo 1 l. 898/1970, l’essenza stessa del matrimonio. E tuttavia, la Corte territoriale ha ‒ nondimeno ‒ riconosciuto l’assegno divorzile alla moglie. Orbene, questa Corte ha, da tempo, affermato che, in tema di divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell'assegno previsto dall'articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, numero 898 come successivamente hanno affermato le S.U. nel 2018 ma non anche ‒ salvo nei casi eccezionali in cui non si sia realizzata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi ‒ sul riconoscimento dell'assegno divorzile Cass. numero 6164/2015 Cass. numero 7295/2013 Cass. numero 8233/2000 . Più di recente ‒ in relazione ad un matrimonio durato sette anni ‒ si è affermato che, attesa la breve durata del matrimonio, «mancava il prerequisito fattuale» per il riconoscimento dell’assegno in questione Cass. numero 28481/2022 . 2.3. I restanti motivi del ricorso principale restano assorbiti, in ragione dell’esistenza di un rapporto di interdipendenza rispetto ai motivi accolti. 3. Ricorso incidentale 3.1. Il ricorso incidentale propone i seguenti tre motivi I violazione e/o errata interpretazione e/o applicazione del comma 6, articolo 5 della l. numero 898 del 1970 in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. con riferimento al parametro legale dell’autosufficienza economica come definito dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza numero 18278/18, oltre che per omessa valutazione delle ragioni della decisione in un'ottica perequativa compensativa dell'assegno di divorzio e per aver omesso l’esame e l’accertamento della condizione economico patrimoniale dell’ex marito, ovvero l’esistenza e l’entità dello squilibrio economico tra gli ex coniugi. II nullità della sentenza e del procedimento ai sensi dell'articolo 360 comma 1 numero 5 c.p.c. per mancata ammissione della ctu medico/legale e delle altre prove testimoniali richieste dalla ex moglie nella fase di merito in violazione degli articolo 2697 c.c. e 115-116 c.p.c. III nullità della sentenza e del procedimento ai sensi dell'articolo 360 comma 1 numero 4 c.p.c. per omessa pronuncia sul quinto motivo di appello con il quale si deduceva la ricorrenza di un giudicato formatosi con la sentenza di separazione in merito al valore dell’eredità paterna ricevuta dall’ex marito nel 2013, nonché’ in ordine alla valutazione della durata del matrimonio. 3.2. Anche i motivi del ricorso incidentale restano assorbiti, in ragione dell’esistenza di un rapporto di interdipendenza rispetto all’accoglimento dei due motivi del ricorso principale. 4. In conclusione, i primi due motivi del ricorso principale vanno accolti, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale ed assorbito il ricorso incidentale la decisione impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi esposti e per la statuizione sulle spese di giudizio anche del presente grado. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. numero 196 del 2003, articolo 52. P.Q.M. Accoglie i primi due motivi del ricorso principale, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale ed assorbito il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.