Pensione di reversibilità: i criteri di ripartizione nel caso di concorso tra coniuge divorziato e superstite

La Corte di Cassazione riafferma i criteri, non solo temporali, volti a individuare correttamente le quote di spettanza del trattamento di reversibilità in caso di concorso tra ex coniuge e coniuge superstite, a seguito del decesso del de cuius.

Con ricorso ex articolo 9, comma 3 l. numero 898/1970, la ricorrente chiedeva al Tribunale di Velletri di determinare nella misura del 65% del totale la propria quota di reversibilità della pensione erogata dall'INPS all'ex coniuge, in concorso con la coniuge superstite, con decorrenza dal gennaio 2018, mese successivo al decesso del de cuius, da cui aveva divorziato con sentenza che le riconosceva l'assegno divorzile. Il Tribunale adito attribuiva, invece, alla ricorrente, la quota del 30% e alla resistente, il 70% della pensione INPS percepita in vita dal defunto. Quest'ultima impugnava la sentenza dinanzi alla Corte di appello di Roma, chiedendo il riconoscimento della quota del 95%. L'ex coniuge, in via di appello incidentale, voleva che le venisse riconosciuta, in proprio favore, la quota del 65%. La Corte, disattendendo l'appello incidentale, accoglieva parzialmente il ricorso principale e riconosceva, in favore del coniuge superstite, la quota dell'85% della pensione di reversibilità in ragione della maggior durata della convivenza matrimoniale e della mancanza di redditi da questa percepiti. Tale pronuncia è stata, quindi, oggetto di ricorso per cassazione dalla soccombente, la quale lamentava l'errata ricostruzione della consistenza temporale dei due matrimoni contratti dal defunto nonché l'utilizzo improprio dell'assegno di divorzio quale parametro di comparazione rispetto alla percentuale di ripartizione della pensione di reversibilità. La Suprema Corte, nel trattare la controversia, riprende un orientamento ormai consolidato sul tema secondo il quale «la ripartizione del trattamento di reversibilità in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, deve essere effettuata ponderando, con prudente apprezzamento, in armonia con la finalità solidaristica dell'istituto, il criterio principale della durata dei rispettivi matrimoni, con quelli correttivi, eventualmente presenti, della durata della convivenza prematrimoniale, delle condizioni economiche, dell'entità dell'assegno divorzile». Ciò premesso, il Collegio precisa che «deve essere valutato anche il periodo di convivenza prematrimoniale coevo al periodo di separazione che precede il divorzio, ancorché in detto lasso temporale permanga il vincolo matrimoniale». Infatti, prosegue, «la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza more uxorio non una semplice valenza correttiva dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale, tenendo tuttavia distinta la durata della convivenza prematrimoniale da quella del matrimonio - cui soltanto si riferisce il criterio legale -, e senza individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso» Cass. civ., numero 5268/2020 . Secondo i giudici, dunque, la Corte di merito ha agito nel pieno rispetto dei sopraesposti principi nel calcolo delle quote di spettanza, tenendo conto non solo della durata dei matrimoni, ma anche delle rispettive convivenze e dei redditi dimostrati in giudizio. Il parametro dell'entità dell'assegno divorzile è stato, invece, «chiaramente menzionato e valutato solo in funzione rafforzativa dello scopo solidaristico, non come limite legale.»

Presidente Valitutti - Relatore Parise Fatti di causa 1. Con ricorso ex articolo 9, comma 3 della legge numero 898/1970, C.C. chiedeva al Tribunale di Velletri di determinare nella misura del 65% del totale la propria quota di reversibilità della pensione erogata dall'INPS all'ex coniuge, G.F., in concorso con il coniuge superstite, A.B.W., con decorrenza dal gennaio 2018, mese successivo a quello in cui era occorso il decesso del F., con il quale aveva contratto matrimonio il OMISSIS e divorziato giusta sentenza numero 854/1999 del Tribunale di Roma, con la quale, su accordo delle parti, le era stato riconosciuto l'assegno divorzile di € 154.94 già £ 300.000 . 2. Con sentenza numero 994/2020 pubblicata il 1° luglio 2020, il Tribunale di Velletri attribuiva a C.C. la quota del 30% ed alla resistente A.B.W. il 70% della pensione INPS percepita in vita da G.F., con decorrenza dal decesso di quest'ultimo. 3. A.B.W. impugnava detta sentenza dinanzi alla Corte di Appello di Roma chiedendo il riconoscimento della quota del 95% della pensione di reversibilità. C.C. si costituiva in giudizio, contestando i motivi di gravame e chiedendone il rigetto in via di appello incidentale, chiedeva di riconoscere in proprio favore la quota pari al 65% della pensione di reversibilità di G.F 4. Con sentenza numero 4015/2022, pubblicata 13 giugno 2022, la Corte di Appello di Roma, disattendendo l'appello incidentale, accoglieva parzialmente l'appello principale e riconosceva in favore della A.B.W. la quota dell'85% della pensione di reversibilità, in ragione della maggior durata della convivenza matrimoniale e della mancanza di redditi dell'appellante principale, oltre che in considerazione del fatto che, seppure complessivamente, il suo rapporto affettivo con il G.F. era durato 24 anni, e pertanto certamente diversa doveva essere l'aspettativa del coniuge superstite, nel momento in cui ella aveva deciso di instaurare una relazione stabile e duratura con il consorte, essendo quest'ultimo nato nel 1954 prematuramente scomparso nel 2017, all'età di appena sessantatre anni. La Corte di merito, inoltre, rimarcava anche il fatto che la C.C. era titolare di un assegno divorzile il cui importo mensile, rivalutato all'attualità, era pari ad € 278,00. 5. Avverso questa sentenza, C.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero della Difesa e della Procura Generale presso la Corte d'appello di Roma, che sono rimasti intimati, nonché nei confronti di A.B.W. e dell'INPS, che resistono con separati controricorsi. 6. Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in camera di consiglio ai sensi degli articolo 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ La ricorrente e la controricorrente A.B.W. hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. La ricorrente denuncia i con il primo motivo di ricorso la violazione e falsa applicazione dell'articolo 9 della L. 1 Dicembre 1970 numero 898 la Corte di Appello avrebbe errato nel ricostruire la consistenza temporale dei due matrimoni contratti da G.F., non tenendo conto che per durata del matrimonio deve intendersi il periodo ricompreso tra la data di celebrazione e quella di termine dello stesso per intervenuta sentenza di divorzio o per scomparsa di uno dei coniugi il giudice d'appello aveva applicato, in modo illogico, due diversi criteri di valutazione nella determinazione della durata dei rapporti matrimoniali rispettivamente intercorsi tra il G.F. e la C.C., prima, e tra il G.F. e la A.B.W., dopo ad avviso della ricorrente è condivisibile la valutazione circa la durata della convivenza matrimoniale tra l'odierna ricorrente e il de cuius, protrattasi per circa 14 anni, mentre è errata la ricostruzione della convivenza matrimoniale protratta per circa 24 anni tra la A.B.W. e il G.F., poiché il loro rapporto matrimoniale era iniziato l'11 dicembre 1999, giorno delle nozze, fino al 02 dicembre 2017, data del decesso dunque, applicando lo stesso criterio, la Corte d'Appello avrebbe dovuto stabilire, nel secondo caso, una convivenza matrimoniale protratta per circa 18 anni, e non in 24 anni, e anzi ancor meno, atteso che già nell'aprile 2017 la A.B.W. aveva proposto ricorso per ottenere la separazione dal marito ii con il secondo motivo di ricorso l'ulteriore violazione dell'articolo 9 co. 3 e 4 della Legge 1 Dicembre 1970 numero 898, per avere la Corte territoriale erroneamente utilizzato l'assegno di divorzio quale parametro di comparazione rispetto alla percentuale di “ripartizione” della pensione di reversibilità, mentre l'importo dell'assegno divorzile per la determinazione delle ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, riveste un rilievo puramente marginale, rispetto agli altri criteri della durata dei rapporti matrimoniali concorrenti e delle condizioni economiche degli aventi diritto inoltre, la Corte di merito avrebbe erroneamente valutato la reale consistenza patrimoniale ed economica della A.B.W., tanto da giustificare una maggiore esigenza solidaristica nei suoi confronti, e avrebbe dato rilievo ad una presunta aspettativa della coniuge superstite quest'ultima era titolare pro quota con gli altri eredi del marito degli immobili indicati in ricorso pag. 9 e 10 ed era proprietaria in via esclusiva della casa coniugale abitata assieme al marito e venduta dopo il decesso di quest'ultimo, e deduce che la situazione patrimoniale della A.B.W., “nonostante la documentazione offerta in seno al giudizio”, non era stata tenuta in alcuna considerazione. 2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili. 2.1. Secondo l'orientamento di questa Corte che il Collegio condivide Cass. 8263/2020 tra le altre , la ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, deve essere effettuata ponderando, con prudente apprezzamento, in armonia con la finalità solidaristica dell'istituto, il criterio principale della durata dei rispettivi matrimoni, con quelli correttivi, eventualmente presenti, della durata della convivenza prematrimoniale, delle condizioni economiche, dell'entità dell'assegno divorzile. In applicazione del sopraindicato principio, questa Corte ha precisato che va valutato anche il periodo di convivenza prematrimoniale coevo al periodo di separazione che precede il divorzio, ancorché in detto lasso temporale permanga il vincolo matrimoniale. Infatti la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza more uxorio non una semplice valenza correttiva dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale, tenendo tuttavia distinta la durata della convivenza prematrimoniale da quella del matrimonio - cui soltanto si riferisce il criterio legale -, e senza individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso Cass. 5268/2020 . 2.2. La Corte di merito si è attenuta ai suesposti principi, e in particolare ha esposto e scrutinato correttamente pag.4 della sentenza impugnata , in conformità, peraltro, alle indicazioni temporali di cui al ricorso, i periodi di durata legale del matrimonio della C.C. 20 anni e della sua convivenza matrimoniale 14 anni , nonché quelli di durata legale del matrimonio della coniuge superstite 18 anni e della sua convivenza prematrimoniale iniziata nel 1993 - sei anni . L'indicazione successiva pag. 4 penultima frase della durata di 14 anni per la C.C. va riferita, per l'appunto e più propriamente, a quella della convivenza matrimoniale, atteso che, incontrovertibilmente, in base a quanto concordemente risulta dalla sentenza impugnata e dagli atti delle parti, la separazione tra la ricorrente e il de cuius era intervenuta nel 1993. La Corte territoriale, dunque, ha tenuto conto non solo della durata dei matrimoni, ma anche delle rispettive convivenze e dei redditi dimostrati in giudizio, mentre il parametro dell'entità dell'assegno divorzile è stato chiaramente menzionato e valutato solo in funzione rafforzativa dello scopo solidaristico, non come limite legale. La ripartizione per quote a cui successivamente la Corte di merito è pervenuta costituisce una questione meritale non sindacabile in questa sede, che è stata effettuata mediante idonea ponderazione degli elementi fattuali di riferimento. Difettano di autosufficienza le deduzioni sulla situazione patrimoniale del coniuge superstite, atteso che la ricorrente non indica dove, come e quando aveva dedotto nel giudizio di merito che la A.B.W. era possidente, e la controricorrente ha eccepito la novità delle deduzioni in tal senso svolte nel presente giudizio. 3. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza nel rapporto processuale con la controricorrente A.B.W. e sono liquidate come in dispositivo, mentre possono essere compensate nel rapporto processuale con l'Inps, che sostanzialmente non ha svolto attività difensiva, rimettendosi alle decisioni di questa Corte, e nulla va disposto nei confronti delle parti rimaste intimate. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto Cass. S.U. numero 5314/2020 . Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. 30 giugno 2003 numero 196, articolo 52. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente A.B.W. delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali 15% ed accessori, come per legge compensa le spese del presente giudizio tra la ricorrente e l'Inps. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto. Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. 30 giugno 2003 numero 196, articolo 52.