Il rapporto di lavoro subordinato tra gli avvocati regionali e la Regione permette di assoggettarli al meccanismo di rilevazione automatica delle presenze, senza che venga intaccata l’indipendenza che connota la professione.
La sentenza in esame trae origine dall'accoglimento del ricorso proposto dagli avvocati presso l'ufficio legale della regione Campania avverso la circolare numero 6/2012 del coordinatore dell'A.G.C. affari generale e del personale della Giunta della Regione Campania, il quale aveva esteso il meccanismo della rilevazione automatica delle presenze, indistintamente, a tutto il personale dipendente. L'accoglimento del ricorso dunque, si poggia sul combinato disposto dell'articolo 30 del regolamento regionale per l'ufficio speciale dell'avvocatura del 15 dicembre 2011 numero 12 e gli articolo 17, comma 5, lettera a d.lgs. 66/2003 e 47 d.P.R. 445/2000, secondo cui gli avvocati regionali sono tenuti ad attestare in proprio, attraverso l'autocertificazione e sotto personale responsabilità, lo svolgimento della propria attività lavorativa così da garantire l'autonomia professionale e avendo riguardo della possibilità che, spesso, la loro attività viene svolta anche fuori dal consueto luogo fisico dell'ufficio. La Regione Campania, di converso, ha impugnato la sentenza di accoglimento ritenendo che siano stati erroneamente interpretati gli articolo 17 d.lgs. 66/2003 e 47 d.P.R. 445/2000. Il Consiglio di Stato, affrontate le eccezioni preliminari sollevate dagli appellanti, ha ritenuto l'appello, nel merito, fondato. I giudici di Palazzo Spada, nel riconoscere l'avvocatura degli enti pubblici come «entità organica autonoma» nel pieno rispetto delle prerogative di libertà nel patrocinio dell'amministrazione che si declina nell'assenza di ingerenza sulle modalità di esercizio della professione, sottolinea un dato normativo ineludibile l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel caso di specie con la Regione. Ciò premesso, invariato il dovere di fornire una semplice autodichiarazione all'amministrazione per tutte le attività esterne presso uffici giudiziari, il Consiglio di Stato nulla questio circa l'assoggettamento degli avvocati regionali al consueto metodo di rilevazione automatica delle presenze poiché dipendenti pubblici alla stregua di tutti gli altri e, dunque, soggetti al controllo del datore di lavoro. Tale meccanismo, secondo i giudici, non lede in alcun modo la libertà di patrocinio, così come già affermato in precedenza dal Consiglio di Stato «con tali provvedimenti non si realizza un'ingerenza gerarchica nell'esercizio intrinseco della prestazione d'opera intellettuale propria della professione forense, e cioè «nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente», ai sensi dell'articolo 23 l. numero 247 del 2012, ma si sottopone l'attività a forme di controllo estrinseco, doverose e coerenti con la partecipazione dell'ufficio dell'avvocato dell'ente pubblico all'organizzazione amministrativa dell'ente stesso. L'articolo 23 riferisce «la piena indipendenza ed autonomia» soltanto a questa «trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente» e non trasforma affatto, ex lege, l'inerente ufficio in un organo distinto e comunque autonomo dal resto dell'ente locale. Non si ravvisa qui dunque alcuna incompatibilità con le caratteristiche di autonomia nella conduzione professionale dell'ufficio di avvocatura» Cons. Stato, numero 2434/2016 . In conclusione, si evidenzia come, non vi è mai stato alcun valido supporto normativo alla tesi per cui richiedere l'uso del badge in entrata ed uscita dall'ufficio sarebbe una lesione dell'autonomia degli avvocati di enti pubblici. Le considerazioni così svolte dai giudici nella sentenza in esame permettono di accogliere l'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respingere il ricorso di primo grado.
Presidente Franconiero - Estensore De Carlo Fatto e diritto 1. La Regione Campania ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, di accoglimento del ricorso degli appellati tutti avvocati in servizio presso l'ufficio legale della Regione avverso la circolare numero 6/2012 del coordinatore dell'A.G.C. affari generali e del personale della Giunta della Regione Campania, che aveva esteso il meccanismo della rilevazione automatica delle presenze indistintamente a tutto il personale dipendente. 2. Il provvedimento era stato impugnato perché l'obbligo di utilizzo del badge era ritenuto incompatibile con l'indipendenza e l'autonomia professionale proprie della qualifica di avvocato della Regione. 3. La sentenza impugnata ha accolto il ricorso poiché aveva ritenuto che il combinato disposto dell'articolo 30 del regolamento regionale per l'ufficio speciale dell'avvocatura del 15 dicembre 2011 numero 12 e degli articolo 17, comma 5, lettera a , d.lgs. 66/2003 e 47 d.P.R. 445/2000, non potessero altrimenti essere interpretati che nel senso di aver posto la regola per cui gli avvocati regionali sono tenuti ad attestare in proprio, attraverso l'autocertificazione e sotto la personale responsabilità, lo svolgimento della propria attività lavorativa, non solo per garantire l'autonomia professionale ma per tener conto del fatto che spesso la loro attività si svolge fuori dell'ufficio. 4. L'appello è affidato ad un unico articolato motivo. La Regione ritiene che sia stato erroneamente interpretato il richiamo all'articolo 17 d.lgs. 66/2003, che a sua volta richiama una serie di altri articoli del d.lgs. 66/2003 che disciplinano alcuni aspetti del rapporto di lavoro senza far riferimento alla rilevazione della presenza in servizio. Anche il richiamo all'articolo 47 d.P.R. 445/2000 di per sé non è sufficiente a fondare la richiesta degli appellati poiché l'istituto dell'autocertificazione può essere usato per le attività svolte al di fuori delle sedi regionali, ma all'interno di esse i dipendenti avvocati sono tenuti, al pari del restante personale, ad utilizzare il badge per la rilevazione automatica dei propri transiti. La rilevazione automatica della presenza, del resto, è riconducibile alle finalità perseguite dai soggetti pubblici quali datori di lavoro, all'interno di un preciso quadro normativo che prevede specifici obblighi di controllo e conseguenti responsabilità per le pubbliche amministrazioni, nell'ambito degli obiettivi e dei compiti istituzionali ad essi normativamente assegnati. L'autonomia professionale degli avvocati non è intaccata dalla rilevazione delle presenze che non incide sulle modalità con cui svolgono il proprio lavoro professionale. 5. Gli appellati si sono costituiti in giudizio eccependo preliminarmente l'inammissibilità dell'appello per violazione del giudicato cautelare richiamando ordinanze emesse in passato dal T.a.r. per la Campania e dal Consiglio di Stato sulla stessa questione ed anche per carenza di interesse poiché il provvedimento originariamente impugnato è stato sostituito dalla nota del 10 maggio 2012 dell'avvocato capo che ha stabilito la facoltà di autocertificare la presenza in servizio. Ulteriore ragioni di inammissibilità sarebbe l'impossibilità di chiedere al giudice amministrativo la disapplicazione di una norma regolamentare che è stata legificata dall'articolo 7, comma 2, l.r. 15/2023. Nel merito concludevano per il rigetto dell'appello. 6. Con la memoria depositata in data 23 maggio 2024 la Regione Campania chiede di acquisire agli atti la legge regionale numero 6 del 15 maggio 2024 recante Ordinamento e organizzazione degli uffici della Giunta regionale , che considera determinante sul contenzioso avendo abrogato i commi 1 e 2 dell'articolo 1 della legge regionale 21 ottobre 2022, numero 14 e quindi anche il regolamento regionale 15 dicembre 2011, numero 12. 7. Preliminarmente è necessario affrontare le eccezioni preliminari sollevate dagli appellati. 7.1. L'esistenza di un giudicato cautelare non può mai impedire che un contenzioso giunga alla sua naturale conclusione con la sentenza di merito. La definitività di una pronuncia cautelare definisce la condizione del provvedimento impugnato fino al momento della emanazione della decisione di merito, ma non può estendere i suoi effetti oltre tale soglia. 7.2. La nota del 10 maggio 2012 dell'avvocato capo costituisce una motivata espressione del parere sulla questione che era sorta per effetto dell'applicazione del provvedimento impugnato, ma non può essere considerato un provvedimento che ha sostituito quello contestato dagli appellati. 7.3. La terza eccezione potrebbe essere accolta laddove l'articolo 30 del regolamento avesse un contenuto conforme alla lettura che ne offrono gli appellati, ma oltretutto esso è ormai stato abrogato per effetto della l.r. 6/2024. 8. Venendo al merito l'appello è fondato. Non vi è dubbio che l'avvocatura degli enti pubblici costituisce un'entità organica autonoma nell'ambito della struttura disegnata dalla sua pianta organica a salvaguardia delle prerogative di libertà nel patrocinio dell'amministrazione che si caratterizza per l'assenza di ingerenza nelle modalità di esercizio della professione, ma resta pur sempre un dato normativo ineludibile cioè l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel caso di specie con la Regione. Ed allora, fermo restando che tutte le attività esterne presso uffici giudiziari saranno riscontrate dall'Amministrazione attraverso le autodichiarazioni che gli avvocati presenteranno a tempo debito, in occasione della loro presenza presso gli uffici comunali non vi è alcuna ragione per cui non timbrino all'ingresso ed all'uscita. Tale modalità di controllo non lede in alcun modo la libertà di patrocinio ma è la conseguenza che, seppur con la particolarità prima ricordata, sono comunque dipendenti pubblici, e come tali soggetti al controllo del datore di lavoro. Tale conclusione è già stata affermata dal Consiglio di Stato con alcune sentenze come la 2434/2016 che sul punto recita “con tali provvedimenti non si realizza un'ingerenza gerarchica nell'esercizio intrinseco della prestazione d'opera intellettuale propria della professione forense, e cioè «nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente», ai sensi dell'articolo 23 l. numero 247 del 2012, ma si sottopone l'attività a forme di controllo estrinseco, doverose e coerenti con la partecipazione dell'ufficio dell'avvocato dell'ente pubblico all'organizzazione amministrativa dell'ente stesso. L'articolo 23 riferisce «la piena indipendenza ed autonomia» soltanto a questa «trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente» e non trasforma affatto, ex lege, l'inerente ufficio in un organo distinto e comunque autonomo dal resto dell'ente locale. Non si ravvisa qui dunque alcuna incompatibilità con le caratteristiche di autonomia nella conduzione professionale dell'ufficio di avvocatura”. Oppure la sentenza 5538/2018 ” non è condivisibile la tesi di parte appellante, secondo cui la forma di controllo in questione non si concilierebbe con le caratteristiche di imprevedibilità e di dinamicità che connotano la professione di avvocato, incidendo sull'autonomia gestionale e sulla libertà di azione qualificanti anche la professione dell'avvocato pubblico. Deve infatti osservarsi che se, da un lato, non è dimostrato che l'”imprevedibilità” dell'attività professionale dell'avvocato sia tale da impedire l'efficiente e tempestivo esercizio della suindicata potestà autorizzatoria, dall'altro lato, proprio l'affidamento della medesima potestà al Dirigente del medesimo Settore cui appartiene l'avvocato richiedente l'autorizzazione, ai fini dello svolgimento del mandato difensivo, garantisce il suo esercizio secondo criteri di snellezza, tempestività, flessibilità e coerenza con le effettive esigenze organizzative del dipendente. Del resto, se si analizza il contenuto delle disposizioni attuative dettate con la citata nota commissariale, è previsto che la potestà autorizzatoria in discorso possa essere esercitata secondo modalità atte a sovvenire adeguatamente alle diverse esigenze di servizio “esterno” dell'avvocato basti rilevare, ad esempio, che l'autorizzazione può essere rilasciata “per frazione oraria, per l'intera giornata o per diversi giorni”, che nel caso in cui “il servizio esterno coincide con l'inizio del servizio presso struttura diversa da quella di assegnazione, l'autorizzazione deve essere acquisita il giorno precedente, ed il codice dovrà essere utilizzato direttamente in entrata nella struttura di destinazione”, che “in caso di servizio esterno svolto presso sedi esterne all'Azienda Tribunali ecc. , il dipendente, nel caso di accertata impossibilità ad effettuare la marcatura in entrata e/o in uscita, è tenuto a consegnare presso l'ufficio rilevazione presenze di competenza l'attestazione dell'effettivo orario svolto, autorizzato dal Dirigente Responsabile della struttura di assegnazione, al fine di consentire l'inserimento manuale dell'orario dichiarato e autorizzato”. Ma a conclusioni non dissimili si perviene esaminando l'articolo 30 del regolamento 12/2011, su cui è fondata la sentenza impugnata. Esso fa riferimento, per la parte che in questa sede interessa, all'applicazione del disposto dell'articolo 17, comma 5, lettera a , del decreto legislativo 8 aprile 2003, numero 66, e dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, numero 445. L'articolo 17 in questione è inserito nel decreto legislativo che ha recepito una direttiva comunitaria relativa all'orario di lavoro ed in particolare prescrive che una serie di norma del d.lgs. 66/2003 non si applicano ai lavoratori la cui durata dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi. Ma se si analizzano le singole norme derogate, nessuna di esse riguarda il controllo della presenza con il badge. L'articolo 47 d.P.R. 445/2000 non è rilevante in questa sede poiché è la norma che autorizza l'autocertificazione cui gli avvocati della Regione ricorreranno tutte le volte che saranno impiegati in servizi esterni. In conclusione, al di là della formale recentissima abrogazione del regolamento 12/2011, non vi è mai stato alcun valido supporto normativo alla tesi che richiedere l'uso del badge in entrata ed uscita dall'ufficio sarebbe una lesione dell'autonomia degli avvocati di enti pubblici. 9. Le considerazioni finora svolte consentono infine di respingere la richiesta di rinvio della trattazione, formulata dalla difesa degli appellati all'udienza del 5 giugno 2024, finalizzata a valutare l'opportunità di proporre ricorso in opposizione di terzo nei confronti della sentenza della V sezione di questo Consiglio di Stato del 4 giugno 2024, numero 4998, di annullamento del regolamento regionale numero 12 del 2011. Le ragioni su cui si fonda la presente pronuncia di rigetto del ricorso degli avvocati si incentrano infatti sull'interpretazione nei termini poc'anzi precisati delle norme contenute nell'atto regolamentare finché questo è stato in vigore, nel senso cioè dell'infondatezza della pretesa degli avvocati regionali a non essere sottoposti a forme di controllo sul rispetto dell'orario di lavoro. Pertanto, a prescindere dall'eccezionalità ex articolo 73, comma 1-bis, cod. proc. amm.del rinvio, è in ogni caso determinante il fatto che pur nel suo tipico effetto retroattivo il sopravvenuto annullamento in sede giurisdizionale dell'atto regolamentare, per effetto della pronuncia da ultimo richiamata, non riveste sul presente contenzioso alcuna incidenza che ne possa giustificare la dilazione. 10. Infine, in punto spese di giudizio, la particolarità del contenzioso ne giustifica la compensazione per il doppio grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l'appello e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.