La pronuncia in commento ha precisato che in tema di stupefacenti, ai fini della sostituzione della misura custodiale con il programma di recupero in ambito comunitario, non sussiste alcuna coincidenza tra l'uso abituale o continuativo di stupefacenti e lo stato di tossicodipendenza, trattandosi di categorie distinte, aventi autonomo riconoscimento normativo e, comunque, non omologabili, sicché l'accertamento dell'uso abituale costituisce condizione essenziale ma non sufficiente per la diagnosi della tossicodipendenza.
Il tribunale in sede di appello cautelare confermava l'ordinanza del gip con la quale era stata rigetta l'istanza di sostituzione della misura inframuraria ai sensi dell'articolo 89 d.P.R. numero 309/1990, sul rilievo che la certificazione prodotta non era idonea a certificare lo stato di tossicodipendenza. Proposto ricorso in Cassazione, i Giudici di legittimità lo rigettavano sul rilievo che l'accertamento dell'uso abituale costituisce condizione essenziale ma non sufficiente per la diagnosi della tossicodipendenza. Per l'articolo 89 d.P.R. numero 309/1990 Provvedimenti restrittivi nei confronti dei tossicodipendenti o alcooldipendenti che abbiano in corso programmi terapeutici nel testo oggi vigente come modificato dall'articolo 4-sexies, d.l. numero 272/2005, convertito dalla l. numero 49/2006 Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputata è una persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero presso i servizi pubblici per l'assistenza ai tossicodipendenti, ovvero nell'ambito di una struttura autorizzata, e l'interruzione del programma può pregiudicare la disintossicazione dell'imputato. Con lo stesso provvedimento, o con altro successivo, il giudice stabilisce i controlli necessari per accertare che il tossicodipendente o l'alcooldipendente prosegua il programma di recupero”. Il d.P.R. numero 309/1990, articolo 89, come si diceva, richiede l'attualità della partecipazione al programma di recupero e lo attesta chiaramente anche il disposto del comma 3, ove si fa riferimento a chi ha interrotto l'esecuzione del programma, ovvero mantiene un comportamento incompatibile con la corretta esecuzione dello stesso. Si tratta, infatti, di una norma che non ha voluto introdurre uno stato di favore in relazione alle misure cautelari per tutti i tossicodipendenti. In relazione alla sussistenza della condizione di tossicodipendenza, rilevante ai fini della concessione del beneficio in questione, si rinvengono in giurisprudenza diversi orientamenti ermeneutici. Secondo un orientamento, in tema di stupefacenti, ai fini della sostituzione della misura custodiale con il programma di recupero in ambito comunitario, non sussiste alcuna coincidenza tra l'uso abituale o continuativo di stupefacenti e lo stato di tossicodipendenza, trattandosi di categorie distinte, aventi autonomo riconoscimento normativo e, comunque, non omologabili, sicché l'accertamento della tossicodipendenza non si risolve in quello dell'uso abituale che costituisce condizione essenziale ma non sufficiente per la diagnosi della tossicodipendenza Cass. 54068/2018 Cass. numero 39530/2016, che, in applicazione di tale principio ha ritenuto immune da vizi l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva applicato la misura custodiale all'imputato ritenendo che il presupposto della sua tossicodipendenza non potesse desumersi dalla relazione di un consulente privato, relativa alla ripetuta assunzione di cocaina, né dalla certificazione del SERT recante la diagnosi di abuso di tale sostanza Cass. numero 38040/2012 . Secondo altro orientamento vi sarebbe sostanziale coincidenza fra lo stato di tossicodipendenza e quello in cui versa chi sia assuntore abituale di sostanze stupefacenti, trattandosi di espressioni sinonimiche ciò è dedotto sia in base ad un'analisi testuale della norma in discorso, cioè il citato d.P.R., articolo 89, il quale prevede che, onde provare la condizione di tossicodipendenza, il soggetto interessato debba presentare adeguata certificazione medica attestante tale stato, corredata dalla indicazione della procedura seguita per l'accertamento dell'uso abituale di sostanze stupefacenti, volendosi in tal senso significare che, essendo l'accertamento di tale uso abituale lo strumento per l'affermazione dello stato di tossicodipendenza, i due concetti sono, secondo la valutazione normativa che di essi ne è stata fatta dal legislatore, coincidenti Cass. 24990/2018 Cass. numero 16037/2009 , sia a seguito della valutazione nosologica dei due status, trattandosi, secondo la più accreditata classificazione diagnostica, di due forme di manifestazione di un più generale disturbo da dipendenza correlato all'uso di sostanze , non soggetto ad una distinzione categoriale ma classificabile assiologicamente solo in relazione alla gravità in cui lo stesso si manifesta Cass. numero 14008/2016 .
Presidente Petruzzellis – Relatore Nicastro Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 26 marzo 2024, il Tribunale di Brescia rigettava l'appello che era stato proposto, ai sensi dell'articolo 310 cod. proc. penumero , da El.Gh. contro l'ordinanza del 06/03/2024 del G.u.p. del Tribunale di Bergamo con la quale era stata rigettata l'istanza dello stesso El.Gh., proposta ai sensi dell'articolo 89, comma 2, del D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere - alla quale l'istante era sottoposto in relazione ai reati di cui agli articolo 628, secondo e terzo comma, numero 1 , e 648 cod. penumero - con la misura degli arresti domiciliari in una struttura privata autorizzata segnatamente, la comunità di S per sottoporsi a un programma terapeutico di recupero dalla tossicodipendenza. Il Tribunale di Brescia rigettava l'appello del El.Gh. per la ragione che, come era già stato ritenuto dal G.u.p. del Tribunale di Bergamo, la certificazione che era stata rilasciata il 26/06/2023 dal Servizio per le tossicodipendenze SerT della Casa circondariale di B e che era stata allegata all'istanza di sostituzione della misura cautelare non sarebbe stata idonea ad attestare quanto è richiesto dal comma 2 dell'articolo 89 del D.P.R. numero 309 del 1990, cioè lo stato di tossicodipendenza del El.Gh. e la procedura che era stata seguita dal SerT. 2. Avverso tale ordinanza del 26/03/2024 del Tribunale di Brescia, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, El.Gh., affidato a un unico motivo, con il quale lamenta, in relazione all'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , la violazione degli articolo 275 e 299 dello stesso codice e dell'articolo 89 del D.P.R. numero 309 del 1990 per mancato riconoscimento di certificazione di tossicodipendenza in presenza dei presupposi di legge . Il ricorrente afferma che l'attestazione che era stata rilasciata il 26/06/2023 dal SerT della Casa circondariale di B di disturbo da uso di stimolanti moderata cocaina si deve considerare una certificazione idonea ai fini di cui all'articolo 89, comma 2, del D.P.R. numero 309 del 1990. L'El.Gh. invoca la giurisprudenza della Corte di cassazione che ritiene che, ai fini della sostituzione della custodia cautelare in carcere con lo svolgimento di un programma di recupero dalla tossicodipendenza, ai sensi del comma 2 dell'articolo 89 del D.P.R. numero 309 del 1990, le nozioni di tossicodipendenza e di uso abituale di sostanze stupefacenti costituiscono delle sinonimie è citata, in particolare, Sez. 6, numero 16037 del 26/03/2009, Camon, Rv. 243582-01 . La corrispondenza di tali due nozioni sarebbe - suffragata dal fatto che l'accreditato Diagnostic and StatisticaI Manual of Meritai Disorders, quinta edizione, redatto dall'American Psychiatric Association noto anche con la sigla DSM-5 le ricondurrebbe entrambe alla generale categoria dei disturbi da dipendenza e correlati all'uso di sostanze e le distinguerebbe soltanto in relazione alla gravità con cui il disturbo si manifesta così il ricorso . L'attestazione di un disturbo da uso di stupefacenti si dovrebbe ritenere perciò idonea a qualificare la gravità dello stato patologico dedotto e, conseguenzialmente, a concludere per la concessione della misura cautelare terapeutica richiesta . Il ricorrente afferma di essere consapevole dell'esistenza di un orientamento della Corte di cassazione che distingue tra i diversi disturbi da dipendenza e correlati all'uso di sostanze che sono individuati nel suddetto DSM-5. L'El.Gh. reputa tuttavia che, anche aderendo a tale orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'ordinanza impugnata si dovrebbe comunque ritenere contra legem. Dopo avere trascritto la motivazione di Sez. 1, numero 3805 del 29/11/2023, dep. 2024, Kola non massimata , il ricorrente rappresenta in particolare che a il certificato che era stato rilasciato dal SerT della Casa circondariale di B riporta il grado di gravità del disturbo, consentendo dunque di rilevare come trattasi in effetti di un paziente in cui vi è l'effettiva ricorrenza della sintomatologia richiesta per la diagnosi b il grado moderato qualifica la sintomatologia come non lieve , e dunque senza dubbio rientrante nella tipologia di disturbo tale da richiedere un intervento di cura c la gravità del disturbo accusato dal prevenuto è di intensità tale da implicare l'avallo di un percorso che prevede il suo collocamento presso una struttura comunitaria, escludendo pertanto la praticabilità di un mero percorso di tipo ambulatoriale non certo un elemento che consente di propendere per una gravità trascurabile del disturbo d il DSM V prevede la ricorrenza di quattro o cinque criteri, a fronte della necessità di soli sei criteri per qualificare il disturbo come grave , e pertanto, trattasi di una diagnosi essa stessa significativa in tal senso . Il ricorrente conclude affermando che l'articolo 89 del D.P.R. numero 309 del 1990 non consentirebbe al tribunale del riesame detta distinzione , dovendo esso arrestarsi davanti alla declaratoria di idoneità formulata da una struttura pubblica secondo i criteri di legge . Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché è proposto per un motivo manifestamente infondato. 2. Ai sensi del comma 2 dell'articolo 89 del D.P.R. numero 309 del 1990, la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere prevista da tale norma è disposta dal giudice su istanza dell'interessato, alla quale deve essere allegata una certificazione, rilasciata da un servizio pubblico per le tossicodipendenze o da una struttura privata accreditata, che attesti lo stato di tossicodipendenza o di alcool dipendenza nonché la procedura con la quale è stato accertato l'uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche la dichiarazione di disponibilità all'accoglimento rilasciata dalla struttura. 3. A proposito della suddetta certificazione attestante l'attualità dello stato di tossicodipendenza o di alcool dipendenza , si deve anzitutto ribadire che la stessa - come è stato affermato, in modo pienamente condivisibile, da Sez. 5, numero 12504 del 04/02/2020, Storto, Rv. 278801-01 -, può essere sindacata dal giudice il quale, ove rilevi che essa non è supportata dalla necessaria analisi critica delle condizioni del richiedente, può disattenderla, trattandosi di un atto amministrativo suscettibile, come tutti gli atti di tale natura, di disapplicazione nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto legittimo il diniego di sostituzione della misura in presenza di una certificazione del SerT del carcere attestante un trattamento terapeutico risalente ad alcuni anni prima, una precedente richiesta di inserimento in un programma di recupero al quale l'imputato non si era poi sottoposto, l'assenza di interventi medico-farmacologici di supporto dall'inizio della detenzione e, infine, la non argomentata dipendenza psichica da oppiacei . Risulta, pertanto, privo di fondamento quanto è sostenuto dal ricorrente in chiusura del proprio ricorso, là dove egli asserisce che il Tribunale di Brescia avrebbe dovuto arrestarsi davanti alla declaratoria di idoneità formulata da una struttura pubblica secondo i criteri di legge . 4. Ciò posto, si deve dare atto che, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, con riguardo alla nozione di tossicodipendenza la quale è utilizzata anche nella rubrica dell'articolo 89 del D.P.R. numero 309 del 1990 , e alla relazione tra tale nozione e quella di uso abituale di sostanze stupefacenti, si registra una contrapposizione. Secondo un più rigoroso orientamento, ai fini della sostituzione della misura custodiale con il programma di recupero in ambito comunitario, non sussiste alcuna coincidenza tra l'uso abituale o continuativo di stupefacenti e lo stato di tossicodipendenza, trattandosi di categorie distinte, aventi autonomo riconoscimento normativo e, comunque, non omologabili, sicché l'accertamento dell'uso abituale costituisce condizione essenziale ma non sufficiente per la diagnosi della tossicodipendenza Sez. 2, Rv. 24119 del 22/04/2021, B., Rv. 281625-01 Sez. 6, numero 54068 del 24/10/2018, Russo, Rv. 274586-01 Sez. 4, numero 27575 del 10/05/2017, Blasi, Rv. 269974-01 . Secondo un altro, meno rigoroso, indirizzo, invece, ai fini della sostituzione della misura custodiale con il programma di recupero, le nozioni di tossicodipendenza e di uso abituale di sostanze stupefacenti si devono ritenere sinonimie, in quanto espressione di un medesimo status patologico Sez. 3, numero 24990 del 13/02/2018, Boncaldo, Rv. 273023-01 Sez. 6, numero 16037 del 26/03/2009, Camon, cit., la quale ha fondato la suddetta conclusione sugli argomenti che la seconda nozione chiarirebbe concettualmente il significato della prima e che la formulazione testuale del comma 2 dell'articolo 89 del D.P.R. numero 309 precisa che l'istanza dell'interessato deve essere corredata, tra l'altro, da certificazione attestante lo stato di tossicodipendenza e la procedura con cui è stato accertato l'uso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope . Si deve altresì registrare un terzo orientamento, che è stato espresso dalla Corte di cassazione nell'ambito del finitimo istituto dell'affidamento in prova in casi particolari, secondo, cui, in tale ambito, non rileva, alla stregua dei più recenti parametri del DSM-5, edito negli Stati Uniti d'America nel 2013, costituenti criteri guida aventi natura scientifica largamente riconosciuti nella comunità scientifica internazionale, la distinzione tra stato di tossicodipendenza e uso abituale o continuativo di stupefacenti, in quanto le due nozioni si inquadrano nella categoria generale disturbi da dipendenza e correlati all'uso di sostanze , all'interno della quale devono essere distinti per grado disturbi lievi, moderati e gravi Sez. 1, numero 14008 del 13/01/2016, Kalary, Rv. 266619-01, con la quale, in applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza con cui il tribunale di sorveglianza aveva rigettato l'istanza ex articolo 94 del D.P.R. numero 309 del 1990 sul presupposto che la certificazione rilasciata dal SerT attestava una condizione di semplice abuso di cocaina e non di tossicodipendenza del condannato . Esaurito tale breve panorama degli orientamenti che sono presenti nella giurisprudenza della Corte di cassazione, il Collegio rileva che il comma 2 dell'articolo 89 del D.P.R. numero 309 del 1990 richiede testualmente e specificamente che la certificazione allegata all'istanza dell'interessato attesti, per quanto qui interessa a lo stato di tossicodipendenza b la procedura con la quale è stato accertato l'uso abituale di sostanze stupefacenti . Ne discende che le due cose tossicodipendenza e uso abituale di sostanze stupefacenti risultano perciò avere un autonomo riconoscimento normativo. Né le stesse appaiono, in effetti, omologabili, atteso che si deve reputare possibile che l'uso anche abituale di sostanze stupefacenti non si traduca in una patologica dipendenza da esse. Per tali ragioni, il Collegio ritiene di ribadire il più rigoroso indirizzo della giurisprudenza della Corte di cassazione che, escludendo che vi sia coincidenza tra l'uso abituale di stupefacenti e lo stato di tossicodipendenza, richiede che la certificazione che deve essere allegata all'istanza dell'interessato contenga una diagnosi di tossicodipendenza, per la quale l'accertamento dell'uso abituale di stupefacenti costituisce una condizione essenziale ma non sufficiente. Così come, pertanto, non si può ritenere condizione sufficiente un qualsiasi disturbo correlato all'uso di sostanze stupefacenti - pur contemplato, nell'ambito della più generale categoria dei disturbi da uso di sostanze , dal menzionato DSM-5 - là dove esso non integri una condizione di tossicodipendenza. Tornando al caso in esame, si deve ritenere che il Tribunale di Brescia abbia correttamente ritenuto che la certificazione che era stata rilasciata il 26/03/2023 dal SerT della Casa circondariale di Bergamo - nella quale si attestava esclusivamente un disturbo da uso di stimolanti moderata cocaina , risultante da esami tossicologici e valutazione anamnestica - non corrispondesse a quanto è richiesto dal comma 2 dell'articolo 89 del D.P.R. numero 309 del 1990. Con tale certificazione, il SerT della Casa circondariale di B, in effetti a attestando un disturbo da uso di stimolanti moderata cocaina , non attestava che tale disturbo avesse integrato una condizione di dipendenza dalla cocaina e neppure, a ben vedere, che l'istante facesse un uso abituale di tale sostanza stupefacente b col fare riferimento all'espletamento di esami tossicologici e valutazione anamnestica , non attestava, considerata la genericità di tale riferimento, in base a quali specifici accertamenti e, quindi, in base a quale specifica procedura, fosse pervenuto alla menzionata diagnosi. Il Tribunale di Brescia ha anche puntualmente riscontrato come il certificato che era stato rilasciato dall'ASI, di C di idoneità del programma di recupero che era stato redatto dalla comunità terapeutica di S fosse, anch'esso, generico, in quanto non conteneva alcuna specifica valutazione né del disturbo che era stato riscontrato dal SerT della Casa circondariale di B né dell'adeguatezza del suddetto programma di recupero, il quale era stato genericamente redatto senza riferimento alle peculiarità del soggetto istante. 5. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616, comma 1, cod. proc. penumero , al pagamento delle spese del procedimento nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. penumero