Respinte definitivamente le obiezioni sollevate da un oramai ex dipendente di un’azienda tessile. Evidente, secondo i Giudici, la gravità della condotta da lui tenuta, provata grazie all’intervento di un investigatore privato.
Legittimo il licenziamento del dipendente che ha usufruito di permessi retribuiti per attività sindacale ma, in realtà, ha impiegato quei giorni di assenza per questioni esclusivamente personali. E, aggiungono i Giudici, legittimo l'operato dell'azienda, che ha provveduto a far pedinare il dipendente al fine di provare l'irregolarità della condotta. Scenario della vicenda è un'azienda tessile. A finire nel mirino è un dipendente che, in qualità di sindacalista, ha potuto usufruire di alcuni permessi retribuiti, necessari, a suo dire, per svolgere attività sindacale. Tutto in regola, almeno sulla carta, perché, invece, un investigatore privato pedina, su incarico dell'azienda tessile, il lavoratore e accerta che quest'ultimo ha utilizzato per questioni personali le giornate di assenza – regolarmente retribuite – concessegli dal datore di lavoro per impegni legati all'opera del sindacato. Questa scoperta è sufficiente, secondo l'azienda, per mettere alla porta il dipendente. E questa posizione è condivisa anche dai giudici di merito, i quali ritengono, sia in primo che in secondo grado, grave la condotta tenuta dal lavoratore. Su questo fronte viene fatta chiarezza in appello «Il fatto non è semplicisticamente riconducibile ad alcuni giorni di assenza ingiustificata, di per sé sanzionabili teoricamente con sanzione conservativa ed eventualmente con quella espulsiva, né è decisivo il dato economico, ossia la retribuzione» indebitamente percepita «per vari giorni» dal lavoratore. Sono rilevanti «ben altri aspetti della vicenda», secondo i giudici. Nello specifico «la condizione soggettiva dell'autore, sindacalista, ossia persona preposta alla tutela di interessi collettivi e per questo beneficiario del permesso retribuito, il quale utilizza tale beneficio, riconosciuto dall'ordinamento, per una attività diversa, è valorizzabile ben al di là della assenza ingiustificata di un qualsiasi lavoratore». In questa ottica, «la insindacabilità della concessione del permesso, obbligatoria sulla futura ottemperanza o affidabilità del dipendente circa le regole del gioco e il loro rispetto nel prosieguo del rapporto», e «questi elementi, valutativi di interessi generali e delle parti contrattuali, rendono ancor più grave la condotta realizzata dal lavoratore, condotta qualificabile sostanzialmente come abuso del diritto», alla stregua di quanto avviene in materia di permessi, l. 104 del 1992. In conclusione, «alla pluralità dei giorni» di assenza «si assomma la reiterazione della condotta, elemento che è fortemente indicativo della palese indifferenza del lavoratore verso i propri doveri nei confronti del datore di lavoro», con l'aggravante della «strumentalizzazione del ruolo sindacale rivestito», chiosano i giudici d'appello. Per i magistrati di Cassazione, però, le obiezioni sollevate dalla difesa sono assolutamente prive di fondamento. Decisivo il peso riconosciuto ad un quadro probatorio consolidatosi nel senso dell'attribuibilità al lavoratore dei fatti contestatigli. Di conseguenza, viene ritenuta proporzionata la sanzione, a fronte della condotta tenuta dal dipendente dell'azienda tessile. Per fare chiarezza, comunque, i magistrati partono dalla constatazione che «la concessione dei permessi sindacali non è soggetta ad alcun potere discrezionale ed autorizzatorio da parte del datore di lavoro», purtuttavia essi non possono essere utilizzati al di fuori della previsione normativa e per finalità personali o, comunque, divergenti rispetto a quelle per le quali possono essere richiesti. In particolare, la sussistenza di un diritto potestativo del rappresentante sindacale a fruire dei permessi non esclude la possibilità per il datore di lavoro di verificare, in concreto, eventualmente anche mediante attività investigativa» – che «non involge direttamente l'adempimento della prestazione lavorativa», e, quindi, «tale possibilità non è preclusa dalla normativa, poiché riguarda un comportamento illegittimo posto in essere al di fuori dell'orario di lavoro, disciplinarmente rilevante – che effettivamente i permessi siano stati utilizzati nel rispetto di quanto previsto dallo Statuto dei lavoratori». Per i Giudici, la conseguenza è logica «la qualificazione della condotta del lavoratore in termini di abuso del diritto è coerente con l'accertamento della concreta vicenda, venendo in rilievo non la mera assenza dal lavoro, ma il comportamento del dipendente connotato da un quid pluris rappresentato dalla utilizzazione del permesso sindacale per finalità diverse da quelle istituzionali. Ciò esclude la riconducibilità della condotta alle norme collettive che puniscono con sanzione conservativa la assenza dal lavoro, la mancata presentazione o l'abbandono ingiustificato del posto di lavoro», chiosano i Giudici di Cassazione.
Presidente Doronzo - Relatore Amendola Rilevato che 1. la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza impugnata, nell'ambito di un procedimento ex lege numero 92 del 2012, ha confermato, sebbene con diversa motivazione, la pronuncia di primo grado che aveva respinto l'impugnativa del licenziamento disciplinare proposta da P.D. nei confronti della OMISSIS Srl 2. la Corte, in sintesi, ha accertato come “sussistenti le condotte rilevanti sul piano disciplinare in relazione alle giornate di assenza per permesso sindacale del 19 settembre e del 22 ottobre” del 2018 quanto alla mancata indicazione delle norme violate in sede di procedimento disciplinare, la Corte ha escluso che ciò fosse imposto non solo dall'articolo 7 S.d.L. ma anche dal tenore testuale dell'articolo 73 del CCNL Tessile Abbigliamento SMI circa l'eccepita tardività della contestazione disciplinare, la Corte ha osservato che “il carattere pressocché istantaneo tra comunicazione dell'agenzia investigativa e contestazione disciplinare la prima del 26 novembre e la seconda del successivo 27 ” rendesse “del tutto ingiustificata la doglianza”, valorizzando altresì che “la difesa del lavoratore ha solo in astratto enunciato la violazione del diritto di difesa senza lamentare quale concreta violazione del diritto di difesa si sia verificata” in merito alla gravità della condotta, la Corte, richiamando un proprio precedente, ha così argomentato “Il fatto non è semplicisticamente riconducibile ad alcuni giorni di assenza ingiustificata, di per sé sanzionabili teoricamente con sanzione conservativa ed eventualmente con quella espulsiva. Né e decisivo il dato economico – retribuzione indebita per i vari giorni-. Il fatto contestato riguarda ben altri aspetti implicati dalla vicenda. La condizione soggettiva dell'autore, sindacalista, ossia persona preposta alla tutela di interessi collettivi e per questo beneficiario del permesso retribuito dell'articolo 30, il quale utilizza tale beneficio riconosciuto dall'ordinamento per una attività diversa, è valorizzabile ai fini che qui interessano ben al di là della assenza ingiustificata di un qualsiasi lavoratore. La insindacabilità della concessione del permesso, obbligatoria per parte datoriale, è elemento valutabile al fine di una prognosi sulla futura ottemperanza/affidabilità del dipendente circa le < regole del gioco> , circa il rispetto delle stesse nel prosieguo del rapporto. Questi elementi, valutativi di interessi generali e delle parti contrattuali rendono ancor più grave la condotta realizzata dall'incolpato, qualificabile sostanzialmente come abuso del diritto alla stregua di quanto avviene in materia di permessi della L.104/92 - cfr. Cass. 8784/15, 5574 e 9217/16, App Venezia rg. 693/17- ” ha concluso “nel caso di specie alla pluralità di giorni si assomma la reiterazione della condotta elemento che è fortemente indicativo della palese indifferenza del lavoratore verso i propri doveri nei confronti del datore di lavoro aggravati dalla strumentalizzazione del ruolo sindacale rivestito” 3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con tre motivi, cui ha resistito l'intimata società con controricorso parte ricorrente ha anche comunicato memoria all'esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di sessanta giorni. Considerato che 1. i motivi del ricorso possono essere sintetizzati come segue 1.1. il primo denuncia, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 23 e 24 della l. numero 300 del 1970 e dell'articolo 2697 c.c., in ordine alla fruizione dei permessi sindacali e alla illegittima inversione dell'onere della prova si sostiene che, nei giorni contestati, “di fatto i permessi sono stati utilizzati correttamente, quantomeno non è stata fornita prova contraria nel merito, ma solo un elenco di spostamenti fisici” si eccepisce che la Corte avrebbe invertito gli oneri probatori “imputando al lavoratore di non aver adeguatamente provato l'attività sindacale svolta, così presumendo che questi abbia abusato del diritto” 1.2. il secondo motivo denuncia, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 della l. numero 300 del 1970 degli articolo 2106 e 2119 c.c. e degli articolo 73 e 74 del CCNL Tessile Abbigliamento Smi il motivo è articolato in tre censure che lamentano l'erronea valutazione circa a la mancata indicazione delle norme violate nella lettera di contestazione disciplinare e nella lettera di licenziamento b la tardività della contestazione disciplinare c il principio di proporzionalità ex articolo 2106 c.c. e la nozione di giusta causa nell'esame dell'elemento psicologico ai fini della valutazione della condotta ex articolo 2119 c.c. 1.3. col terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2119 c.c., dell'articolo 73, numero 2, lett. a e dell'articolo 75, comma 2, lett. b , del CCNL Tessile Abbigliamento Smi con esso si illustra “l'inadeguatezza e non proporzionalità della sanzione irrogata e la conseguente erronea valutazione circa la riconducibilità alle ipotesi di rilievo disciplinare e alle relative sanzioni individuate dalla contrattazione collettiva” si eccepisce che, sulla base di detta disciplina collettiva, “due giorni di assenza ingiustificata non prevedono l'irrogazione del licenziamento per giusta causa, ma la sanzione conservativa” 2. il ricorso non può trovare accoglimento 2.1. il primo motivo è inammissibile l'accertamento in concreto sul se il lavoratore abbia fruito dei permessi sindacali richiesti per finalità diverse da quelle per le quali sono concessi rappresenta una quaestio facti, che non può essere sindacata innanzi a questa Corte con la prospettazione solo formale del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto invero, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma, quindi al vizio di cui all'articolo 360 numero 3 c.p.c., e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità v. Cass. numero 35922 del 2023 Cass. numero 3340 del 2019 Cass. numero 640 del 2019 Cass. numero 10320 del 2018 Cass. numero 24155 del 2017 Cass. numero 195 del 2016 quanto alla dedotta violazione dell'articolo 2697 c.c., detta disposizione è censurabile per cassazione ai sensi dell'articolo 360, co. 1, numero 3, c.p.c. soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti tra molte Cass. numero 15107 del 2013, Cass. numero 13395 del 2018 nella sentenza impugnata non è ravvisabile un sovvertimento dell'onere probatorio in tema di giusta causa di licenziamento, atteso che la Corte territoriale, all'esito del vaglio critico delle risultanze istruttorie, ha ritenuto, a fronte di un quadro probatorio consolidatosi nel senso dell'attribuibilità al lavoratore del fatto contestato, che costituisse onere di quest'ultimo offrire elementi idonei ad incrinare tale quadro, onere ritenuto in concreto non assolto cfr. Cass. numero 17287 del 2022 che, in un caso analogo nel quale era stato dimostrato, attraverso le indagini investigative, che il lavoratore, per la maggior parte del periodo in cui aveva usufruito dei permessi connessi all'incarico di rappresentante per la sicurezza, aveva svolto attività in gran parte incompatibili con detto incarico, ha ritenuto che fosse il lavoratore medesimo a dover offrire elementi idonei ad inficiare tale ricostruzione 2.2. il secondo motivo non merita condivisione 2.2.1. la prima censura contenuta nel motivo è infondata, in quanto la statuizione sul punto della Corte territoriale è dichiaratamente conforme al risalente insegnamento di questa Corte secondo cui, ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, della l. numero 300 del 1970, la preventiva contestazione dell'addebito, nel procedimento disciplinare, deve avere per oggetto i fatti ascritti al lavoratore con specificità tale da consentire, secondo la finalità che le è propria, un'adeguata difesa dell'incolpato, ma non anche indicare le norme legali o contrattuali che si assumono violate Cass. numero 2940 del 1990 Cass. numero 4073 del 1987 Cass. numero 344 del 1984 né la disposizione della contrattazione collettiva invocata depone inequivocabilmente, nel suo tenore letterale, per una interpretazione incoerente con tale assunto, atteso che si limita a ribadire che nella contestazione scritta devono essere indicati “i fatti specifici che costituiscono l'infrazione imputata” 2.2.2. la seconda censura, concernente l'eccepita tardività della contestazione disciplinare, è inammissibile ancora di recente Cass. numero 269 del 2024 si è ribadito che “la valutazione della tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato” Cass. numero 1247 del 2015 Cass. numero 5546 del 2010 Cass. numero 29480 del 2008 Cass. numero 14113 del 2006 , in coerenza con il principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte secondo cui è “riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo” Cass. SS.UU. numero 30985 del 2017 nella specie la Corte ha esaurientemente argomentato in ordine alla tempestività della contestazione, né parte ricorrente censura adeguatamente la parte di motivazione in cui la sentenza impugnata evidenzia come la difesa del lavoratore non avesse in alcun modo dedotto come il preteso ritardo avesse pregiudicato il suo diritto di difesa 2.3. parimenti non può trovare accoglimento il terzo motivo, che, per intima connessione, può esser esaminato congiuntamente con la terza censura contenuta nel secondo motivo nella sostanza parte ricorrente si duole che la sanzione espulsiva irrogata difetterebbe di proporzionalità e che l'illecito disciplinare accertato avrebbe dovuto essere punito con sanzione conservativa alla stregua di un'assenza ingiustificata 2.3.1. per il primo aspetto è sufficiente rammentare come, ancora di recente Cass. numero 8642 del 2024 , è stato ribadito che il giudizio di proporzionalità della sanzione è devoluto al giudice di merito ex pluribus Cass. numero 8293 del 2012 Cass. numero 7948 del 2011 Cass. numero 24349 del 2006 Cass. numero 3944 del 2005 Cass. numero 444 del 2003 la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili in termini v. Cass. numero 14811 del 2020 tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata – che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del numero 5 dell'articolo 360, deve denunciare – beninteso, entro i limiti della cd. “doppia conforme” – l'omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l'elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità cfr. Cass. numero 18715 del 2016 Cass. numero 20817 del 2016 2.3.2. in merito al secondo aspetto, la Corte territoriale si mostra pienamente consapevole che la concessione dei permessi sindacali non è soggetta ad alcun potere discrezionale ed autorizzatorio da parte del datore di lavoro v. Cass. numero 454 del 2003 e, purtuttavia, essi non possono essere utilizzati al di fuori della previsione normativa e per finalità personali o, comunque, divergenti rispetto a quelle per le quali possono essere richiesti in particolare, la sussistenza di un diritto potestativo del rappresentante sindacale a fruire dei permessi non esclude la possibilità per il datore di lavoro di verificare, in concreto, eventualmente anche mediante attività investigativa - che non involge direttamente l'adempimento della prestazione lavorativa e non è quindi preclusa dagli articolo 2 e 3 L. numero 300/70 poiché riguarda un comportamento illegittimo posto in essere al di fuori dell'orario di lavoro, disciplinarmente rilevante - che effettivamente i permessi siano stati utilizzati nel rispetto degli articolo 23 e 24 S.d.L. in termini Cass. numero 34739 del 2019 ciò posto, la qualificazione della condotta del dipendente in termini di abuso del diritto appare coerente con l'accertamento della concreta vicenda come operato dalla Corte veneziana, “venendo in rilievo non la mera assenza dal lavoro, ma un comportamento del dipendente connotato da un quid pluris rappresentato dalla utilizzazione del permesso sindacale per finalità diverse da quelle istituzionali questo esclude la riconducibilità della condotta alle richiamate norme collettive che puniscono con sanzione conservativa la assenza dal lavoro, la mancata presentazione o l'abbandono ingiustificato del posto di lavoro” così Cass. numero 26198 del 2022, in un caso in cui i giudici del merito avevano dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato al dipendente per indebita fruizione di un permesso sindacale utilizzato per finalità estranee a quella propria del permesso in oggetto in particolare, la Corte di merito aveva ritenuto che lo stesso non potesse essere sussunto fra le condotte non punibili con il licenziamento alla stregua del contratto collettivo applicabile che sanzionava con il licenziamento solo l'assenza ingiustificata protratta per oltre cinque giorni consecutivi o ripetuta per cinque volte in un anno nei giorni seguenti alle festività e alle ferie ciò in quanto nello specifico non veniva in rilievo la sola assenza ingiustificata ma una condotta di vero e proprio abuso del diritto e quindi connotata da maggiore gravità oggettiva e soggettiva, rispetto a quella considerata dalla norma collettiva non risulta, invece, pertinente il richiamo di parte ricorrente a Cass. numero 6495 del 2021, relativa ad una ipotesi in cui i giudici del merito avevano accertato che le attività addebitate, pur non riconducibili allo schema della riunione sindacale per la quale era stato richiesto il permesso ex articolo 30 S.d.L., “rientravano comunque nell'ambito di quelle proprie dell'incarico sindacale ricoperto” in ragione di ciò questa Corte si è limitata a ritenere corretta l'operazione valutativa dei giudici d'appello che, fermo il rilievo disciplinare dell'addebito, avevano considerato assimilabile tale condotta alle ipotesi previste dal contratto collettivo per punire l'assenza arbitraria dal lavoro, ribadendo proprio che il “giudizio di proporzionalità […] è demandato al giudice del merito” 3. conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. numero 115 del 2002, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge numero 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13 cfr. Cass. SS.UU. numero 4315 del 2020 P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%. Ai sensi dell'articolo 13, co. 1 quater, d.P.R. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.