L’avvocato che accetta l’incarico di difendere nel giudizio di riconoscimento il padre biologico della persona minorenne versa in una situazione di inscindibile contiguità professionale con la collega associata nel medesimo studio, che riveste il ruolo di curatrice speciale. Questo determina un conflitto di interessi, non potendosi escludere che l’interesse al riconoscimento paterno abbia finito per interferire con quello della persona minore d’età.
I fatti di causa Il Consiglio distrettuale di disciplina di Brescia inflisse il richiamo orale all'avv. Tizio e il Consiglio nazionale forense rigettò il ricorso della professionista. L'avvocato venne incolpato di avere accettato il mandato da Sempronio nel procedimento per il riconoscimento di una minore, nonostante il Curatore di quest'ultima fosse l'avv. Caia, collega di studio, violando con ciò l'articolo 68 comma 5, 24 comma 1 e 4 del Codice deontologico. Al Consiglio nazionale forense l'avv. Tizio sottopose un solo motivo, con il quale prospettò che l'articolo 24 del codice deontologico forense trovava applicazione nel solo caso di conflitto d'interessi tra cliente e parte assistita, non potendo assumere rilievo quello con una parte diversa dal cliente. Nel caso di specie, quindi, secondo la ricorrente, esisteva un solo conflitto tra la madre della minore, che non aveva prestato consenso al riconoscimento tardivo da parte del padre e quest'ultimo, Sempronio. Peraltro, l'interesse della minore, rappresentato dalla curatrice nominata dal competente Tribunale per i minorenni, e di Sempronio coincideva, con la conseguenza che non sussisteva alcun concreto conflitto. Tra la madre e il padre biologico della minore era intercorso un lungo conflitto giudiziario, che aveva visto Sempronio istante per la decisione giudiziale che facesse luogo del consenso mancante della madre. Ad avviso del Giudice disciplinare era ipotizzabile il conflitto d'interessi con parte diversa dal cliente. A prescindere dal fatto che la parcella per la prestazione professionale spettante all'avv. Tizio contribuiva al reddito dell'associazione professionale, della quale faceva parte la collega Caia, non si poteva sostenere che erano assimilabili le posizioni della minore, tutelata e rappresentata dal curatore speciale, e quella del Sempronio. La Sezione disciplinare argomenta, poi, che assume rilievo anche il conflitto solo potenziale e che, in ogni caso, la situazione era ben nota alla professionista sanzionata, la quale, proprio per ciò, aveva avvertito Sempronio, prima di assumere l'incarico, della partecipazione allo studio della collega curatrice speciale della minore. Rileva, altresì che l'articolo 24, comma 5, del codice deontologico ha portata generale e trova, quindi, applicazione nella specifica materia del diritto minorile e di famiglia, regolata dall'articolo 68 del medesimo corpo precettistico. La Sezione disciplinare, nel modulare la sanzione, valorizzava la buona fede della ricorrente. L'avv. Tizio ricorre avverso la sentenza del Consiglio nazionale forense sulla base di due motivi, sollecitando anche la dichiarazione di prescrizione dell'azione disciplinare. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge per difetto del conflitto d'interessi. In particolare, la ricorrente assume che, a prescindere dall'estensibilità dell'articolo 24, comma 5 all'articolo 68 del codice deontologico, con l'accettazione del mandato non si era innestato alcun conflitto d'interessi. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge per avere la sentenza impugnata reputato applicabile l'articolo 24, comma 5 del codice deontologico al successivo articolo 68. Infine, la ricorrente sollecita prendersi atto dell'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare, rilevabile d'ufficio. Il conflitto di interessi le norme richiamate Il comma quarto dell'articolo 68 del codice deontologico forense dispone «L'avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura, e viceversa». Il comma quinto dell'articolo 24 del medesimo corpo deontologico prevede testualmente «Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale». Sussistono dunque i due presupposti previsti dalle due norme richiamate a l'assistenza del minore in controversie familiari impone all'avvocato di astenersi dal prestare la propria assistenza in successive controversie familiari b gli avvocati partecipi di una società professionale o di uno studio associato tralasciando l'ipotesi dell'esercizio, pur non associato, non occasionale nei medesimi locali, che qui non rileva debbono astenersi dall'assistere parti aventi interessi confliggenti con la persona assistita da uno dei predetti professionisti. L'interesse minorile nelle controversie endo-familiari L'altissimo rilievo dei valori in gioco, sia avuto riguardo ai diritti assoluti personalissimi in contesa, che all'esigenza di rendere piena ed effettiva tutela ai soggetti della famiglia notoriamente più vulnerabili, quali, appunto i minorenni che di essa fanno parte, impone estrema cautela nell'assicurare che l'avvocato che assiste una delle parti non versi in una situazione, anche potenziale, di conflitto d'interesse. In un tale quadro, speciale cautela deve spendersi al fine di assicurare che venga garantita l'acquisizione del punto di vista della persona minorenne, non solo mediante l'ascolto l'audizione , ove abbia compiuto gli anni dodici e, comunque, ove in grado di maturare ed esternare una propria autonoma opinione “capace di discernimento” dice l'articolo 336-bis c.c. , in tutte le procedure che lo riguardino, ma anche attraverso una figura terza di sostegno e rappresentanza, costituita dal curatore speciale nominato dal giudice che procede. Una tale opinione, che trova obiettivo riscontro non solo nel quadro normativo di riferimento anche in prospettiva sovranazionale ma anche nei principi enunciati in plurime decisioni dalla Corte costituzionale, si vedano, ad es., la sentenza numero 83/2011 e l'ordinanza numero 301/2011 , mira ad assicurare alla persona minorenne, attraverso la nomina d'un curatore, pur ove non espressamente prevista dalla legge, l'effettiva e piena tutela della posizione soggettiva nel processo. Le fonti di diritto internazionale e di diritto interno Con l'approvazione da parte dell'Assemblea generale del Preambolo della Dichiarazione dei diritti del fanciullo viene posto in risalto il bisogno di speciale tutela della persona minore d'età. Tralasciando gli altri strumenti, medio tempore adottati, finalmente con la Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata dall'O.N.U. il 20/11/1989 a New York resa esecutiva in Italia con la legge numero 176/1991 si apre uno speciale “focus” a garanzia dei diritti fondamentali della persona minorenne come noto anche la traduzione in fanciullo, piuttosto che in minore, minorenne, persona minore d'età, ecc., ha costituito motivo di dibattito . Con specifico riguardo ai profili processuali occorre richiamarne l'articolo 12 «Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. 2. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale». A questi sono seguiti numerosi altri strumenti, specie in sede europea basti qui ricordare la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata con la legge numero 77/2003. Infine, va richiamata la Raccomandazione 22/6/2022 del Consiglio nazionale forense per gli avvocati curatori speciali di minori, che, pienamente consapevole della delicatezza e peculiarità del compito, individua le linee di condotta dell'avvocato nominato curatore speciale. Il conflitto di interessi nella fattispecie in esame La sussistenza del conflitto d'interessi non è esclusa dalla circostanza che in concreto la curatrice della minore abbia assunto posizione adesiva a quella del padre. I due interessi non possono giammai reputarsi sovrapponibili e, ancor meno, coincidenti. Non può assumere rilievo maggiore l'eventuale casuale coincidenza tra la posizione assunta, nel suo interesse, dal di lui curatore e quella di uno degli adulti della famiglia coinvolti nella contesa giudiziaria. Il compito del curatore non può essere “inquinato” neppure dal potenziale pericolo che scelte, opinioni e decisioni possano, piuttosto che rispondere all'esclusivo interesse minorile, subire l'influenza del perseguimento di interessi di uno degli adulti in controversia. Trattasi di una posizione di assoluta terzietà rispetto alle contrapposte posizioni degli adulti, finalizzata al solo e unico scopo di far emergere nel processo, come si è già detto, il punto di vista della persona minorenne. In linea generale deve ribadirsi che, nei rapporti tra avvocato e cliente, la nozione di conflitto di interessi, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 24 del vigente codice deontologico forense già articolo 37 del codice deontologico forense approvato dal CNF in data 17 aprile 1996 non va riferita, restrittivamente, alla sola ipotesi in cui l'avvocato si ponga in contrapposizione processuale con il suo assistito in assenza di un consenso da parte di quest'ultimo, ma comprende tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, il professionista si ponga processualmente in antitesi con il proprio assistito, come quando, nell'ambito di una procedura esecutiva, chieda l'attribuzione di somme del proprio assistito senza sostanzialmente cessarne la difesa, potendo essere il conflitto anche solo potenziale S.U. numero 7030 del 12/03/2021, Rv. 660835 – 01 . Da quanto esposto discende che l'avvocato, accettando l'incarico di difendere il padre biologico della persona minorenne, ha versato in una situazione di inscindibile contiguità professionale con la collega associata nel medesimo studio, che rivestiva il ruolo di curatrice speciale, ed ha finito per dare vita a un conflitto di interessi, non potendosi escludere che l'interesse dell'aspirante al riconoscimento paterno abbia finito per interferire con quello della persona minore d'età. Non assume rilievo, in senso contrario, la circostanza che la ricorrente, ben a conoscenza del ruolo ricoperto dalla collega di studio, abbia chiesto il consenso del proprio assistito, o, comunque, a costui abbia esposto la situazione, atteso che quel che le si contesta è di avere agito, nonostante il sussistere del conflitto d'interessi, in relazione alla posizione della persona minorenne, della quale era curatrice la collega di studio e associata. Infine, non elide di certo il conflitto la circostanza che, secondo quel che riferisce la ricorrente, nel secondo giudizio di legittimità si sarebbe disputato solo dell'eventuale nullità dell'audizione della persona minorenne. Anzi, la precisazione piuttosto conferma il potenziale conflitto. Il conflitto di interessi tra colleghi di studio L'articolo 68 recita L'avvocato che abbia assistito congiuntamente coniugi o conviventi in controversie di natura familiare deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno di essi in controversie successive tra i medesimi. Vulnererebbe l'esposto principio, così agevolmente aggirato, affermare che, nel caso in cui si versi in ipotesi di associazione fra professionisti o di società professionale o anche solo di abituale condivisione dello studio, il conflitto non si propaghi anche ai colleghi per forza di cosa cointeressati e, comunque, coinvolti. La soluzione qui avversata procurerebbe un'irragionevole disparità di trattamento tra il caso in cui si imponga tutela della parte attualmente assistita e quello in cui, l'incompatibilità, per così dire, sopravvenuta, consegua a un successivo incarico, nella particolarmente sensibile materia di famiglia. L'esigenza d'impedire il sopravvenire di conflitto di interessi nella delicata materia di famiglia, resa manifesta dal riportato articolo 68, resterebbe radicalmente vanificata, ove ne fosse permessa agevole elusione nel caso di strette e continuative collaborazioni professionali tra avvocati. Inoltre, è indubbia l'irragionevole disparità di trattamento che ne deriverebbe e proprio a nocumento di quell'interesse prioritario alla cui salvaguardia è posto l'articolo 68. Di contro, non vengono in evidenza apprezzabili ragioni sistematiche che non possono identificarsi con la mera collocazione topografica delle disposizioni e ancor meno logiche per mutilare quella salvaguardia. In definitiva, l'unica interpretazione costituzionalmente orientata, rispettosa degli interessi in gioco è quella anticipata. La prescrizione Ai sensi dell'articolo 56 della l. numero 247/2012 il termine prescrizionale massimo, pur dopo interruzione, non può superare sette anni e sei mesi. Il patrocinio di cui si discute, afferma la ricorrente, era stato assunto il 15/10/2015, quindi il termine si era consumato nell'aprile del 2023 o, al massimo, il 13/5/2023 a volere fare decorrere il termine dalla notifica, del controricorso avvenuta il 13/11/2015 . In via di subordine, la permanenza era venuta meno il 13/1/2017 data di pubblicazione della sentenza di legittimità che aveva dichiarato cessata la materia del contendere e, pertanto, il termine sarebbe venuto a scadere il 13/7/2024. La prescrizione non è maturata. Il conflitto d'interessi viene meno solo col cessare della situazione che lo configura. La lesione del bene perdura, infatti, per tutta la durata del rapporto professionale fonte del conflitto. In assenza di allegazione di rinuncia o revoca del mandato, quindi, salvo che venga dimostrato il contrario, solo con la statuizione divenuta definitiva. Poiché una tale statuizione, a detta della stessa ricorrente, è intervenuta il 13/1/2017, solo da quest'ultima data ha iniziato a decorrere il termine di sette anni e sei mesi, utile alla maturazione della prescrizione termine che, alla data della presente decisione non risulta essere maturato. Costituisce principio già affermato quello secondo il quale la prescrizione dell'azione disciplinare per illecito permanente dell'avvocato decorre solo dalla cessazione della permanenza S. U., numero 8946, 29/03/2023, Rv. 667441 - 01 .
Presidente Cassano - Relatore Grasso Fatti di causa 1. Il Consiglio distrettuale di disciplina di omissis inflisse, con decisione depositata l'8/2/2018, il richiamo orale all'avv. L.C. e il Consiglio nazionale forense, con la sentenza di cui epigrafe, rigettò il ricorso della professionista L'avv. L.C. venne incolpata di < < avere accettato il mandato del signor M.M. nel procedimento RG nr 24737/2015 contro la signora F.G. per il riconoscimento della minore L.G., nonostante il Curatore di quest'ultima fosse l'avv. S.A., essendo entrambe le parti dello studio A. e L.C., associazione professionale, violando con ciò l'artt. [testuale] 68 comma 5, 24 comma 1 e 4 CDF. In omissis ottobre 2015> > . 1.1. Al Consiglio nazionale forense l'avv. L.C. sottopose un solo motivo, con il quale prospettò che l'articolo 24 del codice deontologico forense trovava applicazione nel solo caso di conflitto d'interessi tra cliente e parte assistita, non potendo assumere rilievo quello con una parte diversa dal cliente. Nel caso di specie, quindi, secondo la ricorrente, esisteva un solo conflitto tra F.G., madre della minore, che non aveva prestato consenso al riconoscimento tardivo da parte del padre e quest'ultimo, il M. Peraltro, aveva precisato la L.C., l'interesse della minore, siccome rappresentato dalla curatrice, nominata dal competente Tribunale per i minorenni, e di M.M. coincideva, con la conseguenza che non sussisteva alcun concreto conflitto. 1.2. Il Consiglio nazionale forense riportò, in sintesi, la vicenda nei termini di cui appresso. Tra la madre e il padre biologico della minore era intercorso un lungo conflitto giudiziario, che aveva visto il M. istante per la decisione giudiziale che facesse luogo del consenso mancante della madre, così che egli potesse procedere al riconoscimento e dopo che la G. era rimasta soccombente in primo e secondo grado e, indi, avere costei ottenuto la cassazione con rinvio della decisione d'appello e avere adito nuovamente la Cassazione avverso quella emessa in sede di rinvio rappresentata la minore per tutto il lungo iter processuale dalla curatrice avv. S.A. , il M. aveva resistito con controricorso, rappresentato e difeso dall'avv. L.C., unitamente ad altro professionista. Ad avviso del Giudice disciplinare era ipotizzabile il conflitto d'interessi con parte diversa dal cliente. A prescindere dal fatto che la parcella per la prestazione professionale spettante all'avv. L.C. contribuiva al reddito dell'associazione professionale, della quale faceva parte la collega A., non si poteva sostenere che erano assimilabili le posizioni della minore, tutelata e rappresentata dal curatore speciale, e quella del M La Sezione disciplinare argomenta, poi, che assume rilievo anche il conflitto solo potenziale e che, in ogni caso, la situazione era ben nota alla professionista sanzionata, la quale, proprio per ciò, aveva avvertito il M., prima di assumere l'incarico, della partecipazione allo studio della collega curatrice speciale della minore. Rileva, altresì che l'articolo 24, co.5, del codice deontologico ha portata generale e trova, quindi, applicazione nella specifica materia del diritto minorile e di famiglia, regolata dall'articolo 68 del medesimo corpo precettistico. La Sezione disciplinare, nel modulare la sanzione, valorizzava la buona fede della ricorrente, pur evidenziando che < < tutte le vicende che afferiscono il diritto di famiglia ed i minori devono tassativamente comportare un altissimo grado di attenzione alla possibilità, anche del tutto potenziale ed astratta, di far venire meno agli occhi dei consociati la correttezza dei legali, di tutti i legali coinvolti, sia quali difensori delle parti che quali curatori del minore> > . 2. L.C. ricorre avverso la sentenza del Consiglio nazionale forense sulla base di due motivi. Sollecita anche la dichiarazione di prescrizione dell'azione disciplinare. La controparte è rimasta intimata. Il P.G. ha fatto pervenire le sue conclusioni scritte, con le quali ha chiesto cassarsi la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare. La ricorrente, con successiva conclusione scritta, ha chiesto in via principale dichiararsi la prescrizione e, in subordine accogliersi comunque il ricorso. Ragioni della Decisione 1. Con il primo motivo l'avv. L.C. denuncia violazione di legge per difetto del conflitto d'interessi. La ricorrente assume che, a prescindere dall'estensibilità dell'articolo 24, co. 5 all'articolo 68 del codice deontologico, con l'accettazione del mandato dell'ottobre 2015 non si era innestato alcun conflitto d'interessi. L'esponente aveva assunto l'incarico difensivo in relazione al secondo giudizio di legittimità, nel quale si dibatteva esclusivamente della nullità dell'audizione della minore. Pur essendo indubbio che il conflitto può essere anche solo potenziale, rileva che nel caso di specie il conflitto era insussistente e non poteva affermarsene la sussistenza per mera presunzione. Osserva che il M. aveva agito per ottenere in sede giudiziale il consenso al riconoscimento della minore cui la madre si era sempre opposta, nonostante che la curatrice avesse giudizialmente sostenuto corrispondere all'interesse della minore il riconoscimento paterno. Non era configurabile alcun conflitto d'interessi tra cliente e parte assistita, in quanto la G. era assistita da un difensore del tutto estraneo allo studio legale della ricorrente. 1.1. La doglianza è infondata. 1.1.1. Il comma quarto dell'articolo 68 del codice deontologico forense dispone < < L'avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura, e viceversa> > . Il comma quinto dell'articolo 24 del medesimo corpo deontologico prevede testualmente < < Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale> > . Sussistono i due presupposti preveduti dalle due norme richiamate a l'assistenza del minore in controversie familiari impone all'avvocato di astenersi dal prestare la propria assistenza in successive controversie familiari b gli avvocati partecipi di una società professionale o di uno studio associato tralasciando l'ipotesi dell'esercizio, pur non associato, non occasionale nei medesimi locali, che qui non rileva debbono astenersi dall'assistere parti aventi interessi confliggenti con la persona assistita da uno dei predetti professionisti. 1.1.2. Rinviando all'esame del secondo motivo lo scrutinio riguardante la portata del precetto di cui al comma quinto dell'articolo 24, che, in ragione del tenore della censura in esame, deve qui reputarsi per esigenza espositiva estesa anche alle ipotesi di cui all'articolo 68, valgono le osservazioni di cui appresso. Merita richiamare, sia pure in sintesi, le regole e i principi essenziali rivolti alla tutela dell'interesse minorile coinvolto in controversie endo-familiari. L'altissimo rilievo dei valori in gioco, sia avuto riguardo ai diritti assoluti personalissimi in contesa, che all'esigenza di rendere piena ed effettiva tutela ai soggetti della famiglia notoriamente più vulnerabili, quali, appunto i minorenni che di essa fanno parte, impone estrema cautela nell'assicurare che l'avvocato che assiste una delle parti non versi in una situazione, anche potenziale, di conflitto d'interesse. Risulta evidente che, in un tale quadro, speciale cautela deve spendersi al fine di assicurare che venga garantita l'acquisizione del punto di vista della persona minorenne, non solo mediante l'ascolto l'audizione , ove abbia compiuto gli anni dodici e, comunque, ove in grado di maturare ed esternare una propria autonoma opinione “capace di discernimento” dice l'articolo 336 bis cod. civ. , in tutte le procedure che lo riguardino, ma anche attraverso una figura terza di sostegno e rappresentanza, costituita dal curatore speciale nominato dal giudice che procede. Una tale opinione, che trova obiettivo riscontro non solo nel quadro normativo di riferimento anche in prospettiva sovranazionale ma anche nei principi enunciati in plurime decisioni dalla Corte costituzionale, si vedano, ad es., la sentenza numero 83/2011 e l'ordinanza numero 301/2011 , mira ad assicurare alla persona minorenne, attraverso la nomina d'un curatore, pur ove non espressamente prevista dalla legge, l'effettiva e piena tutela della posizione soggettiva nel processo. Solo a titolo esemplificativo, e senza pretesa d'esaustività, meritano di essere ricordati i più rilevanti strumenti internazionali, con l'avvertenza che per svariati decenni non è stata riservata al minorenne una specifica attenzione, restando ad esso, peraltro, ovviamente applicabili i precetti che investono le garanzie dettate per la persona. Così per la Dichiarazione di Ginevra, approvata il 24/9/2024 dall'Assemblea generale della società delle Nazioni, e poi per la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, costituente la prima parte della Carta internazionale, approvata dall'Assemblea generale dell'O.N.U. il 10/12/1948 la, quale, peraltro, evidenzia la centralità della famiglia, la necessità di speciale assistenza alla madre e al figlio minore, il diritto dei genitori a decidere sull'istruzione della prole . Solo il 20/11/1959, con l'approvazione da parte dell'Assemblea generale del Preambolo della Dichiarazione dei diritti del fanciullo viene posto in risalto il bisogno di speciale tutela della persona minore d'età. Tralasciando gli altri strumenti, medio tempore adottati, finalmente con la Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata dall'O.N.U. il 20/11/1989 a New York resa esecutiva in Italia con la legge numero 176/1991 si apre uno speciale “focus” a garanzia dei diritti fondamentali della persona minorenne come noto anche la traduzione in fanciullo, piuttosto che in minore, minorenne, persona minore d'età, ecc., ha costituito motivo di dibattito . Con specifico riguardo ai profili processuali occorre richiamarne l'articolo 12 < < 1. Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. 2. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale> > . A questi sono seguiti numerosi altri strumenti, specie in sede europea basta qui ricordare la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata con la legge numero 77/2003. Infine, è ben pertinente il richiamo alla Raccomandazione 22/6/2022 del Consiglio nazionale forense per gli avvocati curatori speciali di minori, che, pienamente consapevole della delicatezza e peculiarità del compito, individua le linee di condotta dell'avvocato nominato curatore speciale. 1.1.3. Poste queste premesse, e chiarito che l'avvocata incolpata non ha curato l'interesse della persona minorenne in qualità di curatrice speciale, bensì è associata nel medesimo studio della curatrice, occorre rilevare che la sussistenza del conflitto d'interessi non è esclusa dalla circostanza che in concreto la curatrice abbia assunto posizione adesiva a quella del M I due interessi, per vero, non possono giammai reputarsi sovrapponibili e, ancor meno, coincidenti. Non può assumere rilievo maggiore l'eventuale casuale coincidenza tra la posizione assunta, nel suo interesse, dal di lui curatore e quella di uno degli adulti della famiglia coinvolti nella contesa giudiziaria. Il compito del curatore non può essere “inquinato” neppure dal potenziale pericolo che scelte, opinioni e decisioni possano, piuttosto che rispondere all'esclusivo interesse minorile, subire l'influenza del perseguimento di interessi di uno degli adulti in controversia. Trattasi di una posizione di assoluta terzietà rispetto alle contrapposte posizioni degli adulti, finalizzata al solo e unico scopo di far emergere nel processo, come si è già detto, il punto di vista della persona minorenne. In linea generale deve ribadirsi che nei rapporti tra avvocato e cliente, la nozione di conflitto di interessi, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 24 del vigente codice deontologico forense già articolo 37 del codice deontologico forense approvato dal CNF in data 17 aprile 1996 non va riferita, restrittivamente, alla sola ipotesi in cui l'avvocato si ponga in contrapposizione processuale con il suo assistito in assenza di un consenso da parte di quest'ultimo, ma comprende tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, il professionista si ponga processualmente in antitesi con il proprio assistito, come quando, nell'ambito di una procedura esecutiva, chieda l'attribuzione di somme del proprio assistito senza sostanzialmente cessarne la difesa, potendo essere il conflitto anche solo potenziale S.U. numero 7030 del 12/03/2021, Rv. 660835 – 01 . Da quanto esposto discende che l'avvocato L.C., accettando l'incarico di difendere il padre biologico della persona minorenne, versando in una situazione di inscindibile contiguità professionale con la collega associata nel medesimo studio, che rivestiva il ruolo di curatrice speciale, ha finito per dare vita a un conflitto di interessi, non potendosi escludere che l'interesse dell'aspirante al riconoscimento paterno abbia finito per interferire con quello della persona minore d'età. Né, è appena il caso di soggiungere, assume rilievo la circostanza che la ricorrente, ben a conoscenza del ruolo ricoperto dalla collega di studio, abbia chiesto il consenso del M., o, comunque, a costui abbia esposto la situazione, atteso che quel che le si contesta è di avere agito, nonostante il sussistere del conflitto d'interessi, in relazione alla posizione della persona minorenne, della quale era curatrice la collega di studio e associata. Infine, non elide di certo il conflitto la circostanza che, secondo quel che riferisce la ricorrente, nel secondo giudizio di legittimità si sarebbe disputato solo dell'eventuale nullità dell'audizione della persona minorenne. Anzi, la precisazione piuttosto conferma il potenziale conflitto. 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge per avere la sentenza impugnata reputato applicabile l'articolo 24, co. 5 del codice deontologico al successivo articolo 68. Si deduce che la sentenza impugnata non aveva spiegato la ragione che l'aveva portata a reputare l'estensione della prima norma, affermata dal Giudice disciplinare generale, alla seconda. Dopo avere ripreso il contenuto dell'anzidetto comma quinto < < Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale> > , la ricorrente contesta la giustificazione del Consiglio nazionale forense, fondata sull'asserita < < eccezionale delicatezza, fortemente invasiva della sfera privata delle persone coinvolte> > , che giudica “motivazione de relato”, appiattita su quanto affermato dalla decisione del Consiglio distrettuale di disciplina. Per contro, prosegue la ricorrente, nell'articolo 68 non vi è alcun richiamo all'articolo 24. L'articolo 68, nel regolare l'assunzione di incarichi contro una parte già assistita, si riferisce al singolo avvocato e non ai soci di uno stesso studio. Le due regole hanno una diversa collocazione topografica, che rispecchia la diversa funzione di esse la prima impone la tutela della parte attualmente assistita dall'avvocato, la seconda tutela l'ex cliente. 2.1. La doglianza è infondata. Come si è visto, l'articolo 68 recita < < L'avvocato che abbia assistito congiuntamente coniugi o conviventi in controversie di natura familiare deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno di essi in controversie successive tra i medesimi> > . Vulnererebbe l'esposto principio, così agevolmente aggirato, affermare che nel caso in cui si versi in ipotesi di associazione fra professionisti o di società professionale, o anche solo di abituale condivisione dello studio, il conflitto non si propaghi anche ai colleghi per forza di cosa cointeressati e, comunque, coinvolti. La soluzione qui avversata procurerebbe un'irragionevole disparità di trattamento tra il caso in cui si imponga tutela della parte attualmente assistita e quello in cui, l'incompatibilità, per così dire, sopravvenuta, consegua a un successivo incarico, nella particolarmente sensibile materia di famiglia. L'esigenza d'impedire il sopravvenire di conflitto di interessi nella delicata materia di famiglia, resa manifesta dal riportato articolo 68, resterebbe radicalmente vanificata, ove ne fosse permessa agevole elusione nel caso di strette e continuative collaborazioni professionali tra avvocati. Inoltre, è indubbia la irragionevole disparità di trattamento che ne deriverebbe e proprio a nocumento di quell'interesse prioritario alla cui salvaguardia è posto l'articolo 68. Di contro, non vengono in evidenza apprezzabili ragioni sistematiche che non possono identificarsi con la mera collocazione topografica delle disposizioni e ancor meno logiche per mutilare quella salvaguardia. In definitiva, l'unica interpretazione costituzionalmente orientata, rispettosa degli interessi in gioco è quella anticipata. 3. Infine, la ricorrente sollecita prendersi atto dell'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare, rilevabile d'ufficio. < < L'assunto non integra un motivo di censura ma una sollecitazione alla verifica d'ufficio della decorrenza del termine> > , come già chiarito da queste Sezioni unite cfr., in motivazione, sent. numero 14933/2023 . Ai sensi dell'articolo 56 della l. numero 247/2012 il termine prescrizionale massimo, pur dopo interruzione, non può superare sette anni e sei mesi. Il patrocinio di cui si discute, afferma la ricorrente, era stato assunto il 15/10/2015, quindi il termine si era consumato nell'aprile del 2023 o, al massimo, il 13/5/2023 a volere fare decorrere il termine dalla notifica, del controricorso avvenuta il 13/11/2015. In via di subordine, la permanenza era venuta meno il 13/1/2017 data di pubblicazione della sentenza di legittimità che aveva dichiarato cessata la materia del contendere e, pertanto, il termine, conclude la L.C., sarebbe venuto a scadere il 13/7/2024. 4. La prescrizione non è maturata. Il conflitto d'interessi, come, peraltro, coglie, sia pure implicitamente e in subordine, la stessa ricorrente, viene meno solo col cessare della situazione che lo configura. Restando al tema della responsabilità disciplinare qui al vaglio, la lesione del bene perdura per tutta la durata del rapporto professionale fonte del conflitto. In assenza di allegazione di rinuncia o revoca del mandato, quindi, salvo che venga dimostrato il contrario, solo con la statuizione divenuta definitiva. Poiché una tale statuizione, a detta della stessa ricorrente, è intervenuta il 13/1/2017, solo da quest'ultima data ha iniziato a decorrere il termine di sette anni e sei mesi, utile alla maturazione della prescrizione termine che, alla data della presente decisione non risulta essere maturato. Costituisce principio già affermato quello secondo il quale la prescrizione dell'azione disciplinare per illecito permanente dell'avvocato decorre solo dalla cessazione della permanenza S. U., numero 8946, 29/03/2023, Rv. 667441 - 01 . Il rinvio operato dalla ricorrente alla sentenza numero 14933/2023 sopra richiamata per altra ragione è inconferente in quel caso, infatti, si trattava di computare il biennio di cui al primo comma del più volte citato articolo 68, che per comodità si riporta < < L'avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale> > . 5. Sussistono le condizioni perché venga d'ufficio disposto, ai sensi dell'articolo 52, d.lgs. numero 196/2003, in caso di diffusione della presente sentenza, omettersi le generalità e gli altri dati identificativi di tutte le persone nominate diverse dalla parte ricorrente. 6. Non deve farsi luogo a regolamento delle spese non avendo il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di omissis svolto difese in questa sede. 7. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater D.P.R. numero 115/02 inserito dall'articolo 1, comma 17 legge numero 228/12 applicabile ratione temporis essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013 , si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso. Dispone omettersi, in caso di diffusione della presente sentenza, le generalità e gli altri dati identificativi di tutte le persone nominate nella presente sentenza diverse dalla parte ricorrente Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater D.P.R. numero 115/02 inserito dall'articolo 1, comma 17 legge numero 228/12 , si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.