Obbligo di motivazione rafforzata nel caso in cui la sentenza di primo grado sia riformata in appello

È viziata la sentenza d’appello nel caso in cui, laddove si sia proceduto all’integrale riforma della decisione di primo grado, il giudice di seconda istanza non abbia delineato le linee portanti del proprio ragionamento probatorio, né abbia confutato specificamente i più rilevanti argomenti della decisione riformata.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza numero 30608 depositata il 25 luglio 2024. Ancora un omicidio in pieno lockdown Lo avevamo già detto in un nostro precedente articolo durante il periodo della pandemia, e in particolare in pieno lockdown, c'è stata una impennata di delitti commessi – per forza di cose – tra le mura domestiche. Questa volta, torna alla ribalta delle cronache giudiziarie un brutto fatto di sangue avvenuto a Collegno, nel torinese, l'ultimo giorno di aprile di quattro anni fa. Un giovane, di fronte all'ennesimo accesso d'ira del padre – il cui bersaglio preferito, leggiamo, era la moglie -, lo colpiva a morte con un coltello. La dinamica dei fatti, per come è stata ricostruita dall'Assise di Torino, è stata abbastanza convulsa. Pare che in quella famiglia non vi fosse pace l'uomo era spesso violento, talvolta si dava all'alcool. Insomma ce n'era quanto basta per instaurare un clima teso e ostile. A farne le spese, era principalmente la moglie, angustiata da continue scenate di gelosia. Anche i figli sembra che non fossero esclusi dalla violenza paterna. Quel giorno, però, uno di loro – poi finito a processo con l'accusa di omicidio volontario – non resse durante una colluttazione col padre, temendo che questi stesse per armarsi e uccidere la madre e gli altri componenti della famiglia, afferrò un coltello e lo uccise. All'esito del primo grado di giudizio fu assolto la Corte di Assise di Torino gli riconobbe l'esimente della legittima difesa e valorizzò, dopo opportuna perizia psichiatrica, il suo stato psichico, influenzato da un disturbo di adattamento di natura ansiosa, tale da aver fatto scemare la capacità di intendere e volere. Giunto in appello, il processo compiva una brusca inversione si escludeva la ricorrenza della legittima difesa, sul rilievo della natura particolarmente violenta dell'aggressione posta in essere ai danni della vittima, del numero delle coltellate – trentaquattro – e del fatto che quasi per metà risultavano inferte alla schiena. Veniva escluso anche l'eccesso colposo di legittima difesa. L'unica parte del giudizio di primo grado che veniva invece conservata era quella attinente alla valutazione delle condizioni psichiche dell'imputato, al quale era concessa l'attenuante per il vizio parziale di mente. Dopo il ricorso per cassazione, l'ulteriore sterzata il processo dovrà ricominciare dal grado d'appello. Gli obblighi motivazionali nel caso di riforma della sentenza impugnata Il primo passaggio della sentenza che oggi vi presentiamo attiene al rapporto tra le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito se sono conformi, come insegna un costante indirizzo interpretativo, esse si saldano. La motivazione diviene un unicum col quale, in sede di legittimità, il ricorrente dovrà confrontarsi. Ciò consente al giudice che pronuncia la conferma della prima sentenza di richiamare legittimamente quella del grado precedente dando origine alla nota motivazione “per relationem” . Invece, nel caso in cui le due sentenze siano di tenore opposto quindi, come nel caso di specie, ci sia una riforma, peraltro in senso sfavorevole all'imputato, rispetto a una prima decisione liberatoria , il discorso cambia radicalmente. La Cassazione, a questo proposito, si riallaccia a un proprio precedente orientamento interpretativo, consacrato nella celebre sentenza a Sezioni Unite Mannino del 2005, secondo cui in questi casi è necessario che il giudice della riforma spieghi quali sono le linee portanti del proprio ragionamento probatorio alternativo e confuti esplicitamente tutti i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto del perché essa era da considerarsi incompleta o non coerente, tanto da meritare, per l'appunto, la riforma. Il materiale probatorio dovrà quindi essere riesaminato, anche per soddisfare il criterio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Questo orientamento, che si è stratificato nel tempo e conta molti precedenti, tra i quali numerosi provengono dalle Sezioni Unite, ha di fatto introdotto l'obbligo di motivazione rafforzata nel caso in cui la sentenza d'appello assuma contenuti antitetici rispetto a quella di primo grado. Un giro d'orizzonte sulla decisione cassata con rinvio Sono tanti gli aspetti della sentenza impugnata ad avere fatto storcere il naso agli Ermellini dalla valutazione delle testimonianze oculari di chi assistette a quel tragico episodio, che andrebbero “calate” nella drammatica situazione sotto gli occhi dei presenti e giudicate di conseguenza sul fronte della loro attendibilità, al giudizio sulla sussistenza della legittima difesa, reale o putativa. Anche in punto di esimente, riconosciuta in primo grado e negata nel secondo, la motivazione della sentenza d'appello non è valida perché non si confronta con le emergenze probatorie a suo tempo raccolte. La riconoscibilità dei tratti dell'esimente putativa, ancora, non è stata giustamente delibata in relazione allo stato d'animo dell'imputato di conseguenza la motivazione non regge sul piano dell'esclusione dell'errore scusabile che potrebbe avere indotto l'imputato a ritenere che di lì a poco il padre avrebbe compiuto una strage. E che avrebbe giustificato la sua decisione di anticiparlo e di ucciderlo. Tutto da rifare, insomma. Il confine tra merito e legittimità ci appare davvero sottile Non è la prima volta che una sentenza della cassazione mette in crisi il concetto – algido, puro – che abbiamo del confine esistente tra giudizio di merito e di legittimità. Decisioni che entrano a fondo nei fatti, e ne escono soltanto per censurare la motivazione della sentenza di merito che – viene osservato – su quel punto non funziona. È un'operazione sublime. Peccato che si manifesta troppo di rado il novanta per cento delle volte, appena si prova a sfiorare con la punta della penna il fatto, ci si vede recapitare un avviso d'udienza dalla Settima Sezione.

Presidente De Marzo - Relatore Centonze Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 24 novembre 2021 la Corte di assise di Torino assolveva Co.Al. già Po.Al., dal reato ascrittogli, ai sensi degli articolo 575 e 577, primo comma, numero 1, cod. penumero 2. Con sentenza emessa il 13 dicembre 2023 la Corte di assise di appello di Torino, pronunciandosi sull'impugnazione del Procuratore generale presso la Corte di Appello di Torino, in riforma della sentenza impugnata, giudicava Co.Al. colpevole del reato ascrittogli, e, riconosciute le circostanze attenuanti di cui agli articolo 89,62, primo comma, numero 2, e 62-bis cod. penumero , ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, condannava l'imputato alla pena di sei anni, due mesi e venti giorni di reclusione. L'imputato, inoltre, veniva condannato alle pene accessorie di legge e pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. L'imputato veniva ulteriormente condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute in giudizio dalla parte civile Po.Mi., alla quale veniva liquidata una provvisionale provvisoriamente esecutiva dell'importo di 30.000,00 euro. Veniva, infine, disposta la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino per le valutazioni di competenza in ordine alle deposizioni rese da Co.Ma. e Co.Lo. 3. Dalle sentenze di merito, che divergevano nei termini di cui si è detto, emergeva che, la sera del Omissis . alle ore 22.42, Co.Al. contattava telefonicamente il servizio del 112, riferendo di avere avuto una violenta colluttazione con il padre, Po.Gi., all'interno della sua abitazione, ubicata a C. in Via Omissis . precisando che il genitore voleva uccidere la madre, Co.Ma., il fratello, Co.Lo., all'epoca dei fatti Po.Lo., e lui stesso, e di averlo probabilmente ucciso, sferrandogli alcune coltellate. Giunti sul posto, i Carabinieri della Stazione di C trovavano il cadavere di Po.Gi., intriso di sangue, riverso a terra, di schiena, tra l'ingresso dell'abitazione e il salone, attinto da numerose ferite da arma da taglio, inferte da uno dei coltelli che venivano trovati sul luogo del delitto, che, nel prosieguo delle indagini, veniva individuato. All'arrivo dei Carabinieri, l'imputato si presentava visibilmente alterato, cosparso di sangue e con una ferita alla mano destra, e, interrogato nel corso della notte, confessava di essere l'autore dell'accoltellamento del padre, specificando di averlo commesso per legittima difesa, in quanto il genitore, che abitualmente maltrattava la madre e gli altri componenti della sua famiglia, quella sera, era andato in escandescenza, e temendo, a un certo punto, che volesse armarsi, avendolo visto dirigersi verso la cucina, lo aveva anticipato, spingendolo contro il muro e prendendo un coltello con il quale lo aveva colpito per primo. In questo contesto, la Corte di assise di Torino riteneva che l'azione omicida era avvenuta per legittima difesa, rilevante ex articolo 52 cod. penumero , essendosi Co.Al. determinato a uccidere il padre, Po.Gi., nella convinzione, maturata nelle circostanze concrete verificatesi la sera del Omissis , di non avere altra scelta per impedire al padre di uccidere la madre - che costituiva l'obiettivo prioritario della furia aggressiva del genitore - e gli altri componenti della famiglia, essendo preda di una crisi isterica provocata dalla gelosia ossessiva del genitore e accentuata dalle condizioni di ubriachezza nelle quali, in quel momento, versava. Si evidenziava, in proposito, che, nelle ore che precedevano l'accoltellamento, Po.Gi., che, nel corso degli anni, aveva imposto ai familiari un clima vessatorio insostenibile, soprattutto indirizzato nei confronti della moglie, Co.Ma., era andato in escandescenza, essendo geloso di un collega della consorte, che, nel pomeriggio dell'omicidio, aveva visto scherzare con la coniuge nel supermercato dove la stessa lavorava. Pertanto, non appena la moglie era tornata a casa, Po.Gi. aveva iniziato a insultarla e a minacciarla di morte, continuando ad aggredirla verbalmente nel corso della cena, consumata insieme ai suoi due figli, Co.Al. e Co.Lo., anch'essi destinatari degli insulti e delle minacce rivolte alla consorte. Dopo la cena, Co.Ma. si ritirava in bagno per effettuare le pulizie serali mentre, la vittima entrava nella camera da letto per parlare al telefono con il fratello, Po.Mi., al quale raccontava l'episodio che aveva provocato il litigio con i suoi familiari una volta uscito, la vittima si dirigeva con fare aggressivo verso la stanza dove la moglie era rinchiusa, venendo bloccato dai figli, che, com'era avvenuto in altre occasioni, intervenivano per proteggere la genitrice. Con essi ingaggiava una violenta colluttazione, In questi concitati frangenti, la vittima cercava di dirigersi verso la cucina per prendere un coltello, venendo preceduto da Co.Al., che lo spingeva conto il muro, impedendole di armarsi il ricorrente, quindi, prendeva un coltello da cucina e iniziava a colpire violentemente il genitore, attingendolo con trentaquattro coltellate. Deve, tuttavia, precisarsi che l'imputato, nell'interrogatorio reso nelle ore immediatamente successive all'omicidio, non riusciva a descrivere l'atteggiamento assunto dalla madre e dal fratello durante l'accoltellamento, avendo ricordi vaghi di quei drammatici momenti, pur essendo certo di avere agito solo per difendere la genitrice, il congiunto e se stesso. Le dichiarazioni dell'imputato venivano ritenute attendibili dalla Corte di assise di Torino, essendo corroborate dalle testimonianze della madre e del fratello, Co.Ma. e Po.Lo., il quale ultimo aveva raccontato, in termini sostanzialmente sovrapponibili a quelli del ricorrente, che, la sera del Omissis , il padre era particolarmente aggressivo, aggiungendo che, mentre urlava minacce di morte nei confronti di tutti i presenti, si dirigeva verso la cucina per prendere un coltello a quel punto il fratello aveva spinto il genitore contro la porta della cucina, afferrando, per primo, un coltello, con cui aveva iniziato a colpirlo. Si muovevano nella stessa direzione probatoria le dichiarazioni della madre dell'imputato, Co.Ma., che anzitutto riferiva dell'antefatto dell'omicidio, indicandolo nell'atteggiamento di gelosia del marito, che, il pomeriggio del Omissis , l'aveva vista in atteggiamenti amichevoli con un collega all'interno del supermercato dove lavorava, a causa dei quali, quando era tornata a casa, il coniuge aveva iniziato a insultarla, tentando di aggredirla fisicamente, ma non riuscendovi per l'intervento dei figli, che avevano immediatamente separato i genitori successivamente, la donna si era ritirata in bagno per effettuare le pulizie serali, e, dopo esserne uscita, aveva visto che il marito giaceva a terra, sanguinante ed esanime. Analogo rilievo probatorio veniva attribuito alle trascrizioni delle registrazioni relative alle comunicazioni intercorse tra l'imputato e il fratello, che venivano acquisite al fascicolo processuale su richiesta della difesa del ricorrente, le quali, secondo la Corte di assise di Torino, corroboravano ulteriormente l'esistenza del clima vessatorio nel quale si erano verificati gli accadimenti criminosi, che traeva origine dai maltrattamenti subiti dai componenti della famiglia Po.-Co. per mano del padre, risalenti nel tempo. Venivano, inoltre, acquisite le testimonianze di alcuni vicini di casa dell'imputato, Gr.Ma., De.Vi., Inumero Ma. e Po.Pa., i quali, nel raccontare quanto sentito nella serata dell'omicidio, descrivevano una discussione animata non peggiore di altre - essendo frequenti i litigi che si verificavano nell'appartamento della famiglia Po.-Co. - e riferivano di avere udito dei forti rumori, che, dopo una decina di minuti, si erano interrotti. Nel corso delle indagini preliminari, veniva anche disposta una consulenza tecnica medico-legale, eseguita dal dott. Mo.Gi., che consentiva di accertare la causa del decesso di Po.Gi., le aree corporee attinte dai trentaquattro fendenti sferrati da Co.Al. all'indirizzo del padre e la dinamica della violenta colluttazione che aveva coinvolto l'imputato e la persona offesa, all'esito della quale si verificava l'omicidio. Occorre precisare ulteriormente che, sottoposto a perizia psichiatrica nel giudizio di primo grado, svolta con le forme dell'incidente probatorio, l'imputato veniva ritenuto affetto da un disturbo di adattamento di natura ansiosa, che, al momento del fatto, aveva attenuato, senza escluderla, la sua capacità di intendere e di volere condizione, questa, che si innestava su un quadro nosografico complesso, innervandosi il disagio psichico da cui Co.Al. era affetto in una personalità disarmonica e immatura. In questa cornice, la Corte di primo grado, all'esito di una complessa istruttoria dibattimentale, riteneva che l'imputato aveva colpito il padre con trentaquattro coltellate al culmine di un violento scontro fisico, precisando che la causa del decesso di Po.Gi. - che, al momento della colluttazione, versava in condizioni di alterazione alcolica - era da attribuire a una coltellata infertagli nell'area toracica, che aveva determinato la lesione dell'aorta, provocata con un coltello con una lama spezzata, rinvenuto sulla scena del crimine. Si riteneva, dunque, attendibile la ricostruzione degli eventi criminosi fornita da Co.Al. e dai suoi familiari, secondo cui il ricorrente, essendosi accorto che il padre, dopo avere rivolto esplicite minacce di morte all'indirizzo della moglie e degli altri presenti, stava entrando in cucina per prendere un coltello, ritenendo che volesse mettere in atto i suoi propositi omicidi, aveva afferrato repentinamente un coltello e, nel tentativo di fermare il genitore, lo aveva colpito con l'arma da taglio appena impugnata. Tenuto conto di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi, la Corte di assise di Torino riteneva sussistenti gli estremi della legittima difesa, rilevante ai sensi dell'articolo 52 cod. penumero , che imponevano di assolvere l'imputato Co.Al., già Po.Al., dal reato ascrittogli, ex articolo articolo 575 e 577, primo comma, numero 1, cod. penumero 3.1. A conclusioni processuali contrapposte giungeva la Corte di assise di appello di Torino, che muoveva dall'assunto della parziale inattendibilità della confessione di Co.Al. e delle dichiarazioni rese dagli altri familiari, Co.Ma. e Co.Lo presenti all'interno dell'abitazione in cui, la sera del Omissis , si verificava l'omicidio di Po.Gi. Occorre, in proposito, premettere che la Corte di assise di appello di Torino riteneva necessaria ai fini della decisione, su conforme richiesta del Pubblico ministero di udienza, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale svolta nel giudizio di primo grado, effettuata ex articolo 603, comma 3-bis, cod. proc. penumero , disponendo l'escussione dei testi Co.Ma., Co.Lo. e Po.Mi., e dei consulenti tecnici Bi.Fa. e Va.Va., già sentiti nel giudizio celebrato davanti alla Corte di assise di Torino, che venivano riesaminati all'udienza del 22 febbraio 2023. In questa rinnovata cornice dibattimentale, la Corte di merito escludeva la natura esclusivamente difensiva dell'azione armata che aveva provocato la morte di Po.Gi., ritenendola incompatibile con la violenza dell'aggressione posta in essere dall'imputato, che attingeva il padre con trentaquattro coltellate, quindici delle quali colpivano la vittima offesa alla schiena. La violenza dell'accoltellamento si riteneva dimostrativa di un atteggiamento particolarmente aggressivo, rivelatore di una vera e propria furia omicida, che non rendeva credibile il resoconto confessorio fornito dal ricorrente, rispetto al quale le dichiarazioni del fratello e della madre, Co.Lo. e Co.Ma. non possedevano alcun rilievo corroborativo, anche alla luce dell'estrema concitazione degli eventi criminosi e della condizione di alterazione emotiva nella quale si erano concretizzato l'omicidio. In questa direzione, la Corte territoriale richiamava il numero elevato delle ferite riportate dalla vittima e le aree corporee attinte dai fendenti inferti dall'imputato, che andavano correlate alle ferite superficiali riportate dal ricorrente e dal fratello, che apparivano incompatibili con un'azione meramente difensiva e rendevano inattendibili - o quantomeno scarsamente credibili - le dichiarazioni di Co.Ma. e dei figli, i quali ultimi, tra l'altro, dopo l'uccisione del padre, si erano cambiati d'abito, rendendo ancor più problematica la verifica della loro versione dell'accaduto. L'esclusione della scriminante della legittima difesa, per altro verso, derivava dalla ricostruzione della dinamica dell'azione omicida, atteso che, pur essendo incontroverse le minacce di morte rivolte dalla vittima a Co.Ma., la circostanza che la stessa, prima dell'accoltellamento, si era chiusa in bagno e non era esposta al pericolo concreto di un'aggressione da parte del coniuge, rendeva evidente che non sussistevano le condizioni legittimanti l'applicazione dell'esimente di cui all'articolo 52 cod. penumero Occorreva anche considerare che Po.Gi., al momento del fatto, versava in una condizione di alterazione alcolica, che rendeva difficoltosi i suoi movimenti corporei, e che lo stesso, anche ammesso che avesse effettivamente avuto l'intenzione di uccidere la consorte, prima di essere accoltellato, era disarmato ed era stato spintonato violentemente dall'imputato contro la porta della cucina, rendendo, anche sotto questo ulteriore profilo, insussistenti i presupposti della scriminante di cui all'articolo 52 cod. penumero Né poteva trovare spazio un'ipotesi di eccesso colposo nella legittima difesa, invocato residualmente dal ricorrente, essendo tale istituto configurabile solo quando, ricorrendo i presupposti dell'esimente in esame, la giusta proporzione tra offesa e difesa viene meno per colpa, intesa come errore inescusabile, conseguente a imprudenza o imperizia nel valutare il pericolo e i mezzi da impiegare, non riscontrabile nel caso in esame. A sostegno dell'esclusione dell'eccesso colposo nella legittima difesa, la Corte di merito richiamava le numerose aree corporee attinte dalle coltellate inferte dall'imputato al padre la reiterazione dei fendenti sferrati alla vittima la violenza dell'azione omicida del ricorrente, resa evidente dalle trentaquattro ferite riscontrate sul corpo della persona offesa. Si riteneva, al contempo, che gli accertamenti psichiatrici sull'imputabilità di Co.Al., eseguiti nel giudizio di primo grado, avevano evidenziato l'esistenza di un vizio parziale di mente del ricorrente, che si era tradotto in un'amplificazione della situazione di pericolo esistente la sera dell'omicidio. Ne derivava che l'imputato, al momento dei fatti, doveva ritenersi seminfermo di mente, con la conseguente applicazione dell'attenuante di cui all'articolo 89 cod. penumero , essendo stata la sua condotta aggressiva determinata da un'interpretazione soggettiva distorta degli eventi, causata dal suo disagio psichico. La Corte di assise di appello di Torino, infine, tenuto conto delle circostanze di tempo, di luogo e di persona, nelle quali era maturato l'omicidio di Po.Gi., riconosceva ad Co.Al. la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 2, cod. penumero e le attenuanti generiche, che venivano concesse con giudizio di prevalenza sull'aggravante di cui all'articolo 577, primo comma, numero 1, cod. penumero Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi, l'imputato Co.Al., già Po.Al., in accoglimento dell'appello proposto dal Procuratore generale presso la Corte di Appello di Torino, veniva condannato alle pene di cui in premessa. 4. Avverso la sentenza di appello Co.Al., a mezzo degli avvocati Enrico Grosso e Claudio Strata, ricorreva per cassazione, articolando sei motivi di ricorso. Con il primo motivo si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'articolo 52 cod. penumero , per non avere la decisione in esame dato esaustivo conto delle ragioni chi consentivano di escludere la sussistenza degli elementi costitutivi della legittimi difesa reale, il cui riconoscimento si imponeva alla luce della naturi esclusivamente difensiva dell'azione posta in essere da Co.Al. pe fronteggiare l'aggressione della madre da parte della vittima, che aveva avuto inizio con il violento litigio verificatosi nell'abitazione della famiglia Po.-Co. e traeva origine dalla scenata di gelosia che la persona offesa aveva fatto alla moglie la sera del Omissis . Ne rilevava in senso contrario la circostanza, richiamata dalla Corte di merito, secondo cui l'intervento dell'imputato non era stato determinato da uni colluttazione in corso di svolgimento, ma dalla necessità di impedire a Po.Gi. di recarsi in cucina per armarsi di un coltello con cui aggredire la consorte, atteso che tale ricostruzione della dinamica degli eventi criminosi noi faceva venire meno l'attualità del pericolo creato dalla vittima e la necessità, per l'imputato, di difendere la genitrice, oltre che se stesso e il fratello, aggredendo padre. Con il secondo motivo, proposto in stretta correlazione con la doglianza precedente, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell sentenza impugnata, in riferimento agli articolo 52 e 59 cod. penumero , per non avere li decisione in esame dato adeguato conto delle ragioni che consentivano di escludere la ricorrenza degli elementi costitutivi della legittima difesa putativa, cui riconoscimento si imponeva a fronte delle ragioni che avevano spinto Co.Al. a intervenire per impedire l'aggressione della madre da parte del padre che traeva origine dal litigio verificatosi nell'abitazione della famiglia Po.-Co., di cui si è detto, ma si innervava in un contesto di vessazioni poste il essere dalla vittima in danno dei familiari risalente nel tempo. Secondo la difesa del ricorrente, la Corte territoriale, nell'escludere l'esimente della legittima difesa putativa, non aveva considerato chi l'atteggiamento del ricorrente non era incompatibile con il riconoscimento della putatività dalla causa di giustificazione, essendo incontroverso che lo stati d'animo dell'imputato traeva origine dalle condotte minacciose del genitore inserendosi in un contesto di vessazioni, costituente una connotazione de rapporti della famiglia Po.-Co Ne conseguiva che, anche ad ammettere che Co.Al. avesse interpretato erroneamente l'atteggiamento minaccioso d Po.Gi., tale comportamento costituiva una condotta idonea a indurri in errore il ricorrente, che si determinava ad agire in difesa della genitrice il virtù del comportamento del padre, certamente idoneo a determinare l'errori sulla causa di giustificazione invocata. Con il terzo motivo, proposto in stretta correlazione con le doglianze precedenti, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento agli articolo 52 e 59 cod. penumero , per non avere la decisione in esame dato opportuno conto delle ragioni che consentivano di escludere la sussistenza degli elementi costitutivi dell'eccesso colposo nella legittima difesa, il cui riconoscimento si imponeva a fronte delle ragioni che avevano spinto Co.Al. a intervenire per difendere la madre, che lo avevano indotto ad agire nel modo più efficace possibile, ancorché eccedente colposamente i limiti dell'esimente invocata. Con il quarto motivo si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che il giudizio di colpevolezza formulato nei confronti del ricorrente discendeva dall'incongrua valutazione del compendio probatorio acquisito nei confronti di Co.Al., che aveva determinato l'erronea valutazione delle circostanze, di tempo, di luogo e di persona, nelle quali era maturata e si era concretizzata l'aggressione armata che aveva provocato la morte di Po.Gi. Queste discrasie valutative, in particolare, riguardavano nove distinti profili, concernenti l'erronea applicazione dei principi sulla motivazione rafforzata, conseguente alla riforma in pejus della sentenza di primo grado, che aveva assolto Co.Al. recte Sez. U, numero 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679-01 l'erronea valutazione dell'atteggiamento vessatorio posto in essere da Po.Gi. in danno dei familiari, consolidato e notevolmente risalente nel tempo l'erronea valutazione delle dichiarazioni confessorie dell'imputato, che non consentivano di ricostruire la dinamica dell'azione omicida nei termini prospettati dalla Corte territoriale l'erronea valutazione degli esiti degli accertamenti psichiatrici eseguiti nei confronti del ricorrente, che imponevano di rivalutare il rapporto tra il disagio psichico dell'imputato e l'uccisione del genitore l'erronea valutazione degli elementi probatori acquisiti nei giudizi di merito, valutati atomisticamente dalla Corte di merito l'erronea valutazione delle testimonianze di Co.Lo. e Co.Ma. derivante dal travisamento del contenuto delle dichiarazioni e dalla parcellizzazione del loro narrato l'erronea valutazione delle trascrizioni delle registrazioni relative alle comunicazioni intercorse tra l'imputato e il fratello, che fornivano la prova della vessazioni familiari subite per mano del padre e della loro reiterazione nel tempo l'omessa valutazione della memoria difensiva depositata nel giudizio di appello, ex articolo 121 cod. proc. penumero , con cui la Corte territoriale non si era confrontata l'erronea valutazione della rilevanza probatoria delle testimonianze di Gr.Ma., Ve.Gr., Inumero Ma. e Po.Pa., ritenute indispensabili per inquadrare il contesto familiare nel quale si era verificata l'uccisione di Po.Gi. Con il quinto motivo, proposto in stretta correlazione con le prime tre doglianze, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'articolo 54 cod. penumero , per non avere la decisione in esame dato adeguato conto delle ragioni che consentivano di escludere la ricorrenza degli elementi costitutivi dello stato di necessità, il cui riconoscimento si imponeva alla luce delle ragioni che avevano spinto Co.Al. a intervenire nei confronti del padre per impedire l'aggressione della madre, per inquadrare il quale non poteva che richiamarsi l'atteggiamento vessatorio, già citato, posto in essere da Po.Gi. in danno dei congiunti, protrattosi nel corso degli anni. Con il sesto e conclusivo motivo si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'articolo 62, primo comma, numero 1, cod. penumero , per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto dell'insussistenza degli elementi costitutivi dell'attenuante del particolare valore morale o sociale del comportamento criminoso di Po.Al., il cui riconoscimento si imponeva alla luce delle circostanze, di tempo, di luogo e di persona, che avevano indotto il ricorrente ad agire in difesa della madre, nel contesto di conflittualità provocato dalla vittima con i suoi comportamenti, reiterati nel tempo, che caratterizzava i rapporti tra i componenti della famiglia Po.-Co Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto da Co.Al., già Po.Al., è fondato nei termini di seguito indicati. 2. In via preliminare, occorre soffermarsi sulle questioni ermeneutiche, comuni a tutte le doglianze prospettate con l'atto di impugnazione in esame, il cui vaglio appare propedeutico e indispensabile per valutare le singole censure difensive. In questo ambito, innanzitutto, occorre soffermarsi sul rapporto esistente tra le sentenze di merito quando gli esiti delle due pronunce risultano divergenti, analogamente a quanto riscontrabile con riferimento alla posizione dell'imputato Co.Al., che veniva assolto nel giudizio di primo grado e veniva condannato in appello alla pena di sei anni, due mesi e venti giorni di reclusione. Infatti, tale questione ermeneutica, pur prospettata espressamente nell'ambito del quarto motivo di ricorso, fa da sfondo all'intero atto di impugnazione, e, per questa ragione, si ritiene indispensabile affrontarla preliminarmente. Tanto premesso, deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la sentenza di primo grado e quella appellata, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano, formando un complesso argomentativo inscindibile, costituito da una sola entità processuale, logica e giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare la congruità del percorso motivazionale seguito dai giudici di merito tra le altre, Sez. 5, numero 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 166617-01 Sez. 6, numero 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079-01 Sez. 2, numero 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145-01 . Ne discende che il Giudice di Appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, si può anche limitare a rinviare per relationem a quest'ultima, sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure, dovendo soltanto rispondere in modo adeguato alle singole doglianze prospettate dall'appellante. In questo caso, naturalmente, il controllo eseguito dal Giudice di legittimità si estenderà alla verifica della congruità e della logicità delle risposte fornite alle censure prospettate tra le altre, Sez. 6, numero 3721 del 24/11/2015, dep. 2016, Rv. 265827-01 Sanna Sez. 2, numero 8345 del 23/11/2013, dep. 2014, Pierannunzio, Rv. 258529-01 Sez. 1, numero 1445 del 14/10/2013, dep. 2014, Spada, Rv. 258357-01 . L'obbligo motivazionale del Giudice di Appello, invece, assume connotazioni processuali più rigorose e stringenti nel caso, analogo a quello che riguarda la posizione di Co.Al., in cui la sentenza di appello formuli un giudizio di responsabilità radicalmente contrapposto a quello espresso nel giudizio di primo grado. Queste conclusioni discendono dal fatto che, in tali ipotesi, vi sono due valutazioni giurisdizionali assolutamente difformi del medesimo materiale probatorio e, soprattutto, dalla circostanza che l'imputato nei cui confronti si è prodotto il ribaltamento del giudizio di responsabilità - a maggior ragione se tale rivisitazione, come nel nostro caso, gli è sfavorevole - deve essere messo nelle condizioni di comprendere le ragioni che hanno comportato la riforma della decisione appellata. Nel caso di specie, anticipando quanto si dirà più avanti, tali profili ermeneutici assumono un rilievo decisivo rispetto a due distinti profili valutativi, riguardanti il giudizio di attendibilità sulle dichiarazioni rese da Co.Ma. e Co.Lo. e la sussistenza degli elementi costitutivi dell'esimente della legittima difesa, reale e putativa. In questa cornice, occorre richiamare l'orientamento consolidato di questa Corte, risalente e tuttora insuperato, secondo cui, laddove nel giudizio di secondo grado si sia determinata l'integrale riforma della sentenza impugnata, si deve fare riferimento in termini rigorosi al materiale sottoposto alla cognizione del Giudice di Appello, tenendo conto delle acquisizioni dibattimentali e degli elementi probatori - decisivi ai fini della rivisitazione della decisione di primo grado - posti a fondamento di quel giudizio. In queste ipotesi, l'obbligo motivazionale del Giudice di Appello assume connotazioni più stringenti rispetto al caso in cui la sentenza di appello si limiti a confermare la decisione impugnata, nel più generale contesto prefigurato dalle Sezioni Unite in materia di riforma integrale delle decisioni di primo grado, per il quale occorre richiamare il seguente principio di diritto In tema di motivazione della sentenza, il Giudice di Appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato Sez. U, numero 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679-01 . Né potrebbe essere diversamente, atteso che la motivazione della sentenza di appello che riformi in senso radicale la decisione sottostante si caratterizza, quasi fisiologicamente, per un obbligo peculiare e rafforzato della sua tenuta processuale, logica e argomentativa, che si aggiunge a quello generale della non apparenza, non manifesta illogicità e non contraddittorietà, desumibile dalla formulazione dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , nel rispetto di quanto costantemente affermato da questa Corte, secondo cui In caso di ricorso per manifesta illogicità della motivazione, il Giudice di legittimità può esaminare la sentenza di primo grado al fine di valutare se il Giudice di Appello abbia tenuto nel debito conto, sia pure per disattenderle, le argomentazioni ivi esposte, in quanto la motivazione del secondo Giudice, soprattutto qualora la difformità investa l'affermazione o l'esclusione della responsabilità, deve indicare le specifiche ragioni dell'invalidazione di quelle che sorreggono la sentenza impugnata Sez. 4, numero 32970 del 23/06/2004, Santili, Rv. 229144-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, numero 46847 del 10/07/2012, Aimone, Rv. 253718-01 Sez. 5, numero 54300 del 14/09/2011, Banchero, Rv. 272082-01 . Questa impostazione, a sua volta, trae origine dall'orientamento ermeneutico consolidatosi a seguito della risalente pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui Quando le decisioni dei giudici di primo e di secondo grado siano concordanti, la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo. Nel caso in cui, invece, per diversità di apprezzamenti, per l'apporto critico delle parti e o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il Giudice di Appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal Giudice di primo grado, non può allora egli risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado - genericamente richiamata - delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal Giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni Sez. U, numero 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229-01 . Ancora di recente, le Sezioni Unite hanno ribadito Sez. U, numero 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430-01, in motivazione che è l'introduzione del canone al di là di ogni ragionevole dubbio , inserito nell'articolo 533, comma 1, cod. proc. penumero ad opera della legge 20 febbraio 2006, numero 46 ma già individuato quale inderogabile regola di giudizio da Sez. U, numero 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222139 , ad avere guidato la giurisprudenza, nel senso che per la riforma di una sentenza assolutoria nel giudizio di appello non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado e ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, ma occorre invece una forza persuasiva superiore , tale da far venire meno ogni ragionevole dubbio . La condanna, infatti, come incisivamente notato da Sez. 6, numero 40159 del 03/11/2011, Galante, Rv. 251066 presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza . In questa cornice, occorre soffermarsi sui profili valutativi sui quali il percorso argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Torino non appare rispettoso dei parametri ermeneutici che governano le ipotesi di motivazione rafforzata per i casi di riforma in senso sfavorevole all'imputato della sentenza di assoluzione di primo grado, che, come già anticipato, riguardano il giudizio di attendibilità sulle dichiarazioni rese da Co.Ma. e Co.Lo. e la sussistenza degli elementi costitutivi dell'esimente della legittima difesa, reale e putativa. 3. Tenuto conto dei parametri ermeneutici richiamati nel paragrafo precedente, occorre anzitutto soffermarsi sulla questione della rilevanza probatoria delle dichiarazioni rese nei giudizi di merito da Co.Lo. e Co.Ma., su cui la Corte di assise di appello di Torino non si soffermava nel rispetto della giurisprudenza consolidata in tema di motivazione rafforzata tra le altre, Sez. U, numero 33748 del 12/07/2005, Mannino, cit. Sez. U, numero 6682 del 04/02/1992, Musumeci, cit. . Tale profilo ermeneutico, infatti, costituisce il primo profilo di vulnerabilità della decisione censurata rispetto ai principi che impongono una motivazione rafforzata per le ipotesi di riforma in senso sfavorevole all'imputato della sentenza di assoluzione di primo grado, con i quali la Corte di merito non si è confrontata adeguatamente, trascurando il contesto ambientale di estrema drammaticità nel quale si sviluppavano gli eventi che, la sera del Omissis , portavano all'uccisione di Po.Gi., all'interno della sua abitazione di C. La dimostrazione di quanto si sta affermando ci proviene dal fatto che al giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese da Co.Ma. e Co.Lo., formulato dalla Corte di assise di appello di Torino, faceva seguito la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino per le valutazioni di competenza in ordine al contenuto di tali deposizioni testimoniali. Tanto premesso, deve osservarsi che la risoluzione di tale questione ermeneutica appare indispensabile per ricostruire la sequenza degli accadimenti criminosi, essendo Co.Lo. e Co.Ma. gli unici testimoni oculari presenti all'interno dell'abitazione dove si verificava il violento litigio all'esito del quale l'imputato accoltellava Po.Gi., sferrandogli trentaquattro fendenti e provocandone la morte. Osserva, in proposito, il Collegio che, come evidenziato nella sentenza di primo grado, pur senza un esame approfondito dei profili ermeneutici che vi sono sottesi, le dichiarazioni testimoniali di Co.Ma. e Co.Lo. presentavano connotazioni peculiari, essendo i due soggetti non soltanto gli unici testimoni oculari dei drammatici eventi, ma anche, unitamente al ricorrente, i destinatari delle minacce di morte pronunciate da Po.Gi. la sera del Omissis . Ne consegue che il giudizio di inattendibilità formulato dalla Corte di merito nei confronti dei due testimoni non poteva prescindere dal contesto ambientale, oggettivamente angoscioso, nel quale si sviluppavano gli accadimenti che si concludevano con l'uccisione di Po.Gi. Non può, invero, non rilevarsi che, nel valutare l'attendibilità delle dichiarazioni rese da Co.Lo. e Co.Ma., la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere conto della drammaticità della situazione in cui gli eventi criminosi si verificavano, che, in astratto, appariva idonea a determinare nei due testimoni oculari ricordi non sempre univoci, essendo inquinati dalla visione parziale delle dinamiche intrafamiliari che avevano portato all'uccisione di Po.Gi. Tutto questo comporta che il giudizio di attendibilità sulle testimonianze in questione avrebbero dovuto essere formulato alla luce del contesto ambientale nel quale si verificava l'aggressione mortale della vittima e della condizione di soggezione psicologica patita dai due testimoni - dato probatorio, quest'ultimo, emergente dalla stessa sentenza impugnata -, che imponevano di comprendere come la percezione parzialmente dissonante di alcuni particolari della sequenza omicida poteva derivare dalla concitazione degli eventi e dall'inevitabile alterazione emotiva dei dichiaranti, sui quali la Corte territoriale non si soffermava in termini adeguati. In questa cornice, non può non rilevarsi che le differenze riscontrabili nel narrato di Co.Lo. e Co.Ma., astrattamente, sono comprensibili e appaiono giustificate dal contesto di estrema concitazione e di vero e proprio terrore per quello che poteva accadere in quei momenti terribili, che avrebbero dovuto essere valutati alla luce delle condotte vessatorie poste in essere da Po.Gi. nei confronti dei suoi familiari, risalenti nel tempo. Né è dubitabile che una tale, peculiare, situazione di fatto - sulla quale il Giudice del rinvio dovrà soffermarsi analiticamente - poteva determinare un condizionamento della soglia di percezione soggettiva degli eventi e della capacità di memorizzazione da parte dei familiari della vittima, che vi assistevano in condizioni psicofisiche di estrema precarietà e con reazioni inevitabilmente differenziate, dovute alla diversità dei rapporti consolidatisi nel corso degli anni con Po.Gi. La corretta ricostruzione del contesto ambientale nel quale si formavano i ricordi di Co.Lo. e Co.Ma., dunque, era indispensabile per evitare di cadere nell'equivoco ermeneutico che ha caratterizzato la posizione valutativa della Corte territoriale, che, avendo ricondotto le dichiarazioni in questione alle testimonianze pure , sic et simpliciter, ha finito per valutare con il rigore tipico di tale categoria processuale le deposizioni dei due testimoni oculari, che, invece - come evidenziato, sia pur non del tutto propriamente, dalla Corte di assise di Torino -, presentavano connotazioni peculiari, derivanti dalle minacce di morte indirizzate nei loro confronti da Po.Gi. e dalla condizione di vessazione familiare nella quale, da lungo tempo, versavano. D'altra parte, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il giudizio di attendibilità sulle testimonianze acquisite nei giudizi di merito deve essere sempre formulato alla luce delle circostanze concrete nelle quali i testimoni hanno acquisito cognizione degli eventi rilevanti ai fini dell'accertamento del reato, nel cui contesto devono essere valutate le eventuali, parziali, divergenze dichiarative, di per sé sole, inidonee a scalfire la ricostruzione complessiva dei fatti. Sul punto, non si può che richiamare il principio di diritto, che occorre ulteriormente ribadire, secondo cui In tema di valutazione di una pluralità di prove testimoniali concernenti un medesimo fatto, la valenza probatoria delle dichiarazioni non è compromessa dal fatto che una o più circostanze siano riferite da alcuni testimoni e non da altri, se non a condizione che sia rigorosamente dimostrato che tutte le fonti orali, presenti in loco criminis , abbiano avuto la completa percezione del fatto nella interezza di tutti i segmenti della concorsuale azione delittuosa Sez. 1, numero 34473 del 27/5/2015, Bottigliero, Rv. 264276-01 . Si muove nella stessa direzione il più recente arresto ermeneutico, del quale in sede di rinvio si dovrà tenere conto nel valutare l'attendibilità delle testimonianze di Co.Lo. e Co.Ma., secondo cui In tema di valutazione di una pluralità di prove testimoniali destinate a ricomporre il medesimo fatto, la valenza probatoria di ciascuna dichiarazione non è compromessa dal fatto che una o più circostanze siano riferite da alcuni testimoni e non da altri, quando vi sia la prova che le fonti orali, presenti sul luogo del delitto, non abbiano avuto tutte la completa o la medesima percezione di tutti i segmenti della concorsuale azione delittuosa, per i tempi e i modi di sviluppo della vicenda Sez. 5, numero 15669 del 24/02/2020, Esekhaigbe, Rv. 279162-01 . Vi è, inoltre, da considerare che il fondamento epistemologico della regola che impone, in generale, la formazione della prova nel dibattimento non consente di comparare semplicisticamente dichiarazioni rese, nella ricordata concitazione del momento e al di fuori di un verificabile confronto critico del loro significato, con quelle raccolte nel contraddittorio delle parti. Ne discende che non ha alcun fondamento, nella sua assolutezza, la regola valutativa in forza della quale le prime sarebbero, per la loro vicinanza ai fatti, maggiormente idonee a ricostruire le vicende rispetto alle seconde. E ciò soprattutto quando, come nella specie, emergano puntualizzazioni dibattimentali, la cui rispondenza al vero non è messa in discussione. 4. Il secondo profilo di vulnerabilità dei principi che impongono una motivazione rafforzata per le ipotesi di riforma in senso sfavorevole all'imputato della sentenza di assoluzione di primo grado, così come richiamati nel paragrafo 2, riguarda il giudizio sulla ricorrenza degli elementi costitutivi dell'esimente della legittima difesa, reale e putativa, il cui vaglio non appare eseguito dalla Corte di assise di appello di Torino nei rispetto dei parametri ermeneutici che governano l'applicazione di tale causa di giustificazione. Occorre, in proposito, precisare che, nel valutare tale profilo di incongruità motivazionale, è opportuno distinguere la questione della sussistenza degli elementi costitutivi della legittima difesa reale da quella relativa alla sussistenza degli elementi costitutivi della legittima difesa putativa, emergendo rispetto a ciascuna delle due cause di giustificazione discrasie argomentative che devono essere esaminate partitamente. 4.1. Occorre, pertanto, prendere le mosse dalla questione della ricorrenza degli elementi costitutivi dell'esimente della legittima difesa reale, censurata con il primo motivo del ricorso in esame, per inquadrare la quale, occorre richiamare preliminarmente la giurisprudenza consolidata di questa Corte sui presupposti applicativi di tale causa di giustificazione, secondo cui La legittima difesa presuppone un'aggressione ingiusta ed una reazione legittima la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un'offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocerebbe nella lesione del diritto, la seconda comporta l'inevitabilità del pericolo, la necessità della difesa e la proporzione tra questa e l'offesa. Ne consegue che non è giustificabile una reazione quando l'azione lesiva sia ormai esaurita né può ritenersi legittimo l'uso di mezzi che non siano gli unici nella circostanza disponibili, perché non sostituibili con altri ugualmente idonei ad assicurare la tutela del diritto aggredito e meno lesivi per l'aggressore. Ed invero il requisito della proporzione viene meno, nel conflitto fra beni eterogenei, quando la consistenza dell'interesse leso è enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionalmente e penalmente protetti, di quella dell'interesse difeso ed il male inflitto all'aggredito abbia una intensità di gran lunga superiore a quella del male minacciato Sez. 1, numero 9695 del 15/04/1999, De Rosa, Rv. 214936-01 si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, numero 51262 del 13/06/2017, Cali, Rv. 272080-01 Sez. 1, numero 45425 del 25/10/2005, Bollardi, Rv. 233352-01 . In questa cornice ermeneutica, consolidata da almeno un ventennio, deve osservarsi che le emergenze probatorie, così come richiamate dalla Corte di merito, non sembrano muoversi univocamente nella direzione di escludere la ricorrenza degli elementi costitutivi dell'esimente della legittima difesa reale, atteso che l'accoltellamento della persona offesa si verificava, dopo un iniziale litigio che coinvolgeva Po.Gi., l'imputato, la madre e il fratello - che faceva seguito a un'aggressione verbale posta in essere dalla vittima contro la moglie, causata da motivi di gelosia -, che venivano insultati e minacciati di morte dalla vittima, che, peraltro, non si limitava ad aggredire verbalmente la consorte e i figli, ma invitava questi ultimi, con toni intimidatori, a uscire di casa per definire il contenzioso che si era sviluppato tra loro. Sotto questo profilo, non appaiono congrue le conclusioni alle quali perveniva la Corte di merito, laddove evidenziava che, dal punto di vista oggettivo, l'intervento di Co.Al. non era stato determinato dall'esistenza di una colluttazione in corso di svolgimento, atteso che, alla luce di quanto affermato nella stessa sentenza impugnata, l'imputato si era determinato ad agire allo scopo di impedire al padre di recarsi in cucina per armarsi di un coltello con cui aggredire sia la madre - che costituiva l'oggetto principale delle sue invettive - sia i figli, che venivano coinvolti nel litigio per essersi attivati in difesa della genitrice. Ne discende che l'esclusione della causa di giustificazione della legittima difesa reale non sembra derivare da una corretta ricostruzione della dinamica dell'azione armata posta in essere dall'imputato in danno del genitore, rispetto alla quale non assume un rilievo decisivo la circostanza che la madre del ricorrente si trovava in bagno e non era concretamente esposta al pericolo concreto di un'offesa da parte del coniuge, tenuto conto del fatto che le minacce di morte del padre, in conseguenza dell'intervento difensivo dei due fratelli, si indirizzavano, oltre che verso Co.Ma., anche nei loro confronti il che non sembrerebbe consentire di escludere che i fratelli Co., al momento dell'accoltellamento, non si trovassero in una condizione di imminente pericolo tale da escludere la sussistenza di una situazione di concreta pericolosità, rilevante ex articolo 52 cod. penumero E questo senza dire che neppure può ritenersi, in generale, che, di fronte ad un'aggressione violenta, la chiusura della porta di un bagno in un appartamento a sua volta chiuso rappresenti un presidio sicuramente in grado di impedire all'agente di portare a termine la sua azione. In questo contesto processuale, tenuto conto del fatto che le minacce di morte poste in essere dalla vittima, pur essendo prevalentemente indirizzate verso Co.Ma., coinvolgevano tutti i componenti della sua famiglia, compresi i due figli, non appaiono condivisibili le conclusioni alle quali perveniva la Corte di assise di appello di Torino, che, a pagina 44 della sentenza impugnata, evidenziava che pur a fronte della condotta minacciosa e aggressiva che il Po.Gi. aveva tenuto anche nel corso di quella serata, la circostanza che la Co.Ma. si trovasse in bagno a fare la sua toilette serale . e, comunque, in bagno potesse trovare rifugio come, certamente avvenuto . imponeva di escludere che la madre dell'imputato, in quel momento, potesse ritenersi esposta al pericolo concreto di un'offesa . . Ne discende che, relativamente alla sussistenza degli elementi costitutivi dell'esimente della legittima difesa reale, tenuto conto delle minacce di morte rivolte da Po.Gi. a tutti e tre i suoi tre familiari, la decisione della Corte di assise di appello di Torino non appare armonica con le emergenze probatorie richiamate nella stessa sentenza e rispettosa della giurisprudenza di legittimità consolidata, in tema di attualità del pericolo rilevante ex articolo 52 cod. penumero Basti, in proposito, richiamare il seguente principio di diritto Ai fini della sussistenza della scriminante di cui all'articolo 52 cod. penumero , non è necessario che l'offesa da cui scaturisce la necessità della difesa abbia già cominciato a realizzarsi, essendo sufficiente il pericolo attuale nel senso di pericolo in corso o comunque imminente di detta offesa, il quale ben può essere integrato anche da una semplice minaccia Sez. 5, numero 25810 del 17/05/2019, Onnis, Rv. 276129-01 . Si muove, del resto, nella stessa direzione l'arresto ermeneutico, risalente, ma tuttora insuperato, secondo cui L'attualità del pericolo di un'offesa ingiusta, da distinguere dall'attualità dell'offesa, questa ultima normalmente non ancora iniziata contro cui l'agente si trovi nella necessità di difendersi, si identifica con la esistenza di una situazione pericolosa ancora in atto al momento della reazione, che non può essere né anticipata né posticipata, e si protrae fino a quando essa permane ovvero, qualora l'offesa abbia avuto inizio, fino a quando l'azione lesiva del bene che si vuole difendere non si esaurisca Sez. 1, numero 10368 del 11/06/1984, Lubrano di Ricco, Rv. 166788-01 4.2. A conclusioni analoghe, sia pure nel contesto di un percorso valutativo parzialmente differente, deve giungersi con riferimento all'ulteriore questione, relativa alla ricorrenza degli elementi costitutivi dell'esimente della legittima difesa putativa, che veniva prospettata dalla difesa del ricorrente con il secondo motivo di ricorso. Osserva, in proposito, il Collegio che la Corte di merito, nell'escludere l'esimente della legittima difesa putativa, non sembra avere tenuto in debito conto il fatto che l'atteggiamento soggettivo di Co.Al., in astratto, appariva giustificato dal suo stato d'animo, che, come detto, traeva origine dalle minacce di morte del genitore, che, a loro volta, si innestavano in un contesto di vessazioni familiari, che costituiva lo sfondo irrisolto dei rapporti interni alla famiglia Po.-Co Ne consegue che la Corte territoriale, prima di escludere la sussistenza degli elementi costitutivi della legittima difesa putativa invocata dalla difesa del ricorrente, avrebbe dovuto verificare se l'atteggiamento di Po.Gi., che aveva minacciato di morte la madre e i figli - ponendo in essere un comportamento vessatorio che, come evidenziato nel paragrafo 3, costituiva una costante dei rapporti intrafamiliari in esame - poteva rappresentare una situazione idonea a indurre in errore il ricorrente, anche alla luce del fatto che l'atteggiamento intimidatorio del genitore rappresentava un modus operandi consolidato nel tempo. Sembrano, a ben vedere, muoversi in questa direzione probatoria le condizioni di disagio psichico conclamate di Co.Al., su cui si tornerà più avanti, che trovavano conferma nel riconoscimento del vizio parziale di mente ex articolo 89 cod. penumero , essendo emerso, a seguito della perizia psichiatrica svolta nel giudizio di primo grado, con le forme dell'incidente probatorio, che l'imputato era affetto da un disturbo di adattamento di natura ansiosa, presente in un soggetto con una personalità disarmonica e immatura il che comportava la possibilità, quantomeno in astratto, che l'elaborazione parziale dei dati circostanziali esistenti la sera del Omissis potesse avere determinato la condizione di vulnerabilità interpretativa nella quale l'imputato si era determinato ad accoltellare il genitore. Tale indispensabile verifica giurisdizionale, non riscontrabile nel caso di specie, si imponeva alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte, alla quale nel giudizio di rinvio ci si dovrà conformare, secondo cui Ai fini della legittima difesa putativa, l'errore scusabile che può giustificare la scriminante putativa deve trovare adeguata giustificazione in qualche fatto che, seppure malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell'agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo attuale di un'offesa ingiusta sulla base di dati di fatto concreti, e cioè di una situazione obiettiva atta a far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in presenza di un pericolo presente ed incombente, non futuro o già esaurito, di un'offesa ingiusta Sez. 1, numero 4337 del 06/12/2005, dep. 2006, La Rocca, Rv. 233189-01 . Questa opzione interpretativa, a sua volta, trae origine dal risalente arresto chiarificatore, secondo cui La legittima difesa putativa postula i medesimi presupposti di quella reale, con la sola differenza che nella prima la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente, ma è supposta dall'agente a causa di un erroneo apprezzamento dei fatti. Tale errore, che ha efficacia esimente, se è scusabile e comporta la responsabilità di cui all'articolo 59, ultimo comma, cod. penumero quando sia determinato da colpa, deve in entrambe le ipotesi trovare adeguata giustificazione in qualche fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell'agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sicché la legittima difesa putativa non può valutarsi al lume di un criterio esclusivamente soggettivo e desumersi, quindi, dal solo stato d'animo dell'agente, dal solo timore o dal solo errore, dovendo invece essere considerata anche la situazione obiettiva che abbia determinato l'errore. Essa, pertanto, può configurarsi se ed in quanto l'erronea opinione della necessità di difendersi sia fondata su dati di fatto concreti, di per sé inidonei a creare un pericolo attuale, ma tali da giustificare, nell'animo dell'agente, la ragionevole persuasione di trovarsi in una situazione di pericolo persuasione che peraltro deve trovare adeguata correlazione nel complesso delle circostanze oggettive in cui l'azione della difesa venga ad estrinsecarsi Sez. 3, numero 3257 del 25/01/1991, Calabria, Rv. 186611-01 . 4.3. Nella cornice ermeneutica descritta nei paragrafi precedenti, la Corte di assise di appello di Torino, nel procedere a un nuovo vaglio delle questioni relative alla ricorrenza degli elementi costitutivi dell'esimente della legittima difesa, reale e putativa, prospettate dalla difesa del ricorrente con i primi due motivi di ricorso, dovrà confrontarsi, esercitando i poteri valutativi ed eventualmente istruttori, suoi propri, con i temi sotto indicati, che il Collegio ritiene indispensabili per il compimento dell'operazione demandata al Giudice del rinvio. 4.3.1. La Corte di assise di appello di Torino, innanzitutto, tenuto conto del contesto ermeneutico descritto nel paragrafo 3, cui si rinvia ulteriormente, dovrà rivalutare il contesto ambientale e familiare nel quale era maturata la vicenda criminosa, che dovrà essere sottoposto a un vaglio rigoroso, muovendo dal dato probatorio - che appare incontroverso - secondo cui la vittima, Po.Gi., nel corso degli anni, aveva imposto ai congiunti e soprattutto alla moglie, Co.Ma., un clima di tensione insostenibile. Tale rivalutazione, invero, si impone alla luce del dato circostanziale non contestato, oltre che richiamato dalla stessa decisione censurata, che i fratelli Co. erano intervenuti anche in altre occasioni per proteggere la madre, tanto da diventare le guardie del corpo della genitrice. Tutto questo sembra avvalorare quanto riferito dai vicini di casa della famiglia della vittima, Gr.Ma., De.Vi., Inumero Ma. e Po.Pa. - le cui dichiarazioni non appaiono vagliate adeguatamente dalla Corte di merito, pur a fronte della loro astratta rilevanza per ricostruire il contesto familiare nel quale si verificavano gli eventi criminosi -, che evidenziavano l'abitualità dei litigi che si verificavano nell'abitazione della persona offesa. Questi profili probatori, come detto, venivano richiamati dalla stessa sentenza impugnata, in cui, a pagina 44, si evidenziava che i due fratelli giovani e nel pieno delle loro energie, già in passato lo il padre avessero affrontato con successo e ne avessero arginato la pericolosità tanto da assumere, come dagli stessi riferito, il ruolo di guardie del corpo della madre . 4.3.2. La Corte di rinvio, inoltre, in stretta correlazione con la verifica demandata nel punto precedente, dovrà compiere una rivalutazione complessiva del contenuto delle trascrizioni delle registrazioni relative alle comunicazioni intercorse tra Co.Al. e il fratello, Co.Lo., acquisite nel corso delle indagini preliminari, che sembrano fornire il quadro di una famiglia disfunzionale, caratterizzata da un clima fortemente conflittuale, nell'ambito della quale Po.Gi. aveva maturato una gelosia ossessiva nei confronti della moglie e un'invasiva volontà di controllo dei comportamenti della consorte, contro cui si concretizzavano le sue abituali condotte vessatorie, che aveva imposto ai figli di proteggere la madre, costringendoli a un ruolo gravoso, oggettivamente incompatibile con la loro giovane età. A parere del Collegio, la necessità di rivalutare questo profilo probatorio si rende necessaria alla luce del fatto che, a fronte dello stato di aspra conflittualità che caratterizzava i rapporti della famiglia Po.-Co., che le registrazioni controverse sembrano corroborare, dimostrando lo stato di grave tensione che aveva spinto il ricorrente ad agire, la Corte di merito, a pagina 33 della sentenza impugnata, svalutava contraddittoriamente la rilevanza probatoria di tali acquisizioni, affermando E se, certamente, tali registrazioni forniscono piena prova delle condotte maltrattanti del Po.Gi., della sua incontrollabile aggressività verbale ., di atteggiamenti intimidatori abitualmente assunti nei confronti di tutti i familiari e non solo della moglie, danno anche la misura, della scarsa credibilità dell'uomo all'interno del nucleo familiare, ormai visto dai figli nella sua sconcertante pochezza e del ruolo di antagonisti che gli stessi avevano iniziato a ricoprire . 4.3.3. La Corte di rinvio, ancora, dovrà rivalutare l'incidenza delle condizioni di disagio psichico di Co.Al., cui ci si è già riferiti nel paragrafo 4.2, essendo emerso, a seguito della perizia psichiatrica svolta nel giudizio di primo grado, che l'imputato era affetto da un disturbo dell'adattamento di natura ansiosa, determinato dalla situazione disfunzionale e conflittuale nella quale, da anni, versava la famiglia Po.-Co Invero, a pagina 44 della sentenza impugnata, la Corte di assise di appello di Torino, pur escludendone la rilevanza ai fini della configurazione della legittima difesa putativa, ex articolo 52 e 59 cod. penumero , faceva espressamente riferimento a tale profilo valutativo, affermando che la condotta tenuta dal Co.Al. appare straordinariamente coerente con gli esiti degli accertamenti medico legali che, nel riconoscergli una parziale infermità di mente . evidenziavano un'elaborazione solo parziale dei dati di realtà che gli derivavano dall'ambiente e una sorta di vulnerabilità interpretativa che aveva compromesso, in quel momento, il controllo degli stimoli e degli impulsi ad agire . . Tuttavia, queste affermazioni non appaiono del tutto armoniche con l'orientamento ermeneutico consolidatosi nell'ultimo ventennio tra le altre, Sez. U, numero 9163 del 21/05/2005, Raso, Rv. 230317-01 , che ritiene l'imputabilità l'espressione della capacità penale dell'imputato valutabile alla luce del suo comportamento criminoso, non comprendendosi sulla base di quali argomenti logico-giuridici il disagio psichico da cui era affetto Co.Al. si riteneva incidente sulla sua determinazione criminosa e, contestualmente, ininfluente sulla rappresentazione erronea delle condizioni legittimanti il suo intervento difensivo. Si trascurava, in questo modo, di considerare che, in queste ipotesi, ciò che rileva non è tanto la condizione di infermità dell'imputato astrattamente intesa, quanto, piuttosto, la correlazione tra lo stato di disagio mentale dell'individuo e lo specifico evento criminoso, che deve essere tale da incidere negativamente sull'imputabilità dell'agente ed essere collegata eziologicamente alla condotta delittuosa oggetto di vaglio giurisdizionale tra le altre, Sez. 1, numero 35842 del 16/04/2019, Mazzeo, Rv. 276616-01 Sez. 1, numero 17853 del 17/02/2009, Broccatelli, Rv. 244538-01 Sez. 5, numero 8282 del 09/02/2006, Scarpinato, Rv. 233228-01 . 4.3.4. La Corte di assise di appello di Torino, infine, dovrà procedere a una rivalutazione del contenuto del messaggio inviato, alle ore 22.26 del Omissis , da Co.Al. al cellulare del fratello della vittima, Po.Mi., rimasto senza risposta, dal quale sembra emergere la situazione di eccezionale gravità causata dall'atteggiamento aggressivo assunto dalla persona offesa nei confronti della madre e dei suoi familiari, in conseguenza della quale l'imputato invocava l'aiuto del congiunto, con le seguenti, drammatiche, parole Cosa stai aspettando a intervenire? Noi qui stiamo rischiando la vita, vieni! Aiutaci! Vieni! Abiti a due minuti di macchina, ti prego! . Tuttavia, la Corte di merito, anziché confrontarsi con questo elemento di giudizio, che sembra corroborare ulteriormente lo stato di angosciosa tensione familiare che aveva indotto Co.Al. ad aggredire il padre, a pagina 30 della sentenza impugnata, si limitava a svalutarne la rilevanza probatoria, affermando assertivamente Sembra davvero poco coerente con la situazione descritta, con 11 terrore vissuto, visto l'enorme pericolo che il padre rappresentava in quel momento e con la necessità di difendersi anche in quel preciso frangente che, piuttosto che telefonare allo zio o meglio ancora ai Carabinieri , si fosse preferito mandargli un messaggio . 5. Restano assorbite nelle censure difensive oggetto di accoglimento le residue doglianze, prospettate nell'interesse del ricorrente quale terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, comportando la risoluzione delle questioni, ermeneutiche e processuali, che vi sono sottese la corretta ricostruzione delle ragioni che avevano spinto Co.Al., la sera del Omissis , ad accoltellare il genitore, provocandone la morte, su cui si impone un nuovo giudizio. La disamina delle questioni sottese a tali doglianze, per altro verso, presuppone la formulazione di un giudizio di colpevolezza nei confronti dell'imputato, che postula la conferma della sentenza impugnata, che, per le ragioni esposte nei paragrafi 4, 4.1 e 4.2, non può essere espressa all'esito del presente giudizio di legittimità. 6. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente l'annullamento della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio ad altra Sezione della Corte d'assise d'appello di Torino per un nuovo giudizio. Si dispone, infine, che, nell'ipotesi di diffusione del presente provvedimento giurisdizionale, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del procedimento, a norma dell'articolo 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, numero 196, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'assise d'appello di Torino. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 D.Lgs. 196/2003, in quanto imposto dalla legge.