La vicenda in commento origina dal ricorso presentato da una donna contro la sentenza della Corte d'Appello che aveva confermato la sua condanna per il reato di falsa testimonianza ex articolo 372 c.p., in quanto, deponendo a carico del suo ex convivente, aveva affermato il falso, negando i maltrattamenti riferiti nella denuncia.
Nel ricorso, la donna lamenta il rigetto dell'invocata scriminante dello stato di necessità, motivata dal timore di ritorsioni da parte dell'ex compagno in relazione all'affidamento della figlia, generato sia dalle condotte violente tenute dall'uomo che dalla sua presenza in aula al momento dell'escussione. La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo del ricorso, sottolineando che «la sentenza impugnata, basandosi su un'interpretazione meramente formale dell'articolo 54 c.p., ha escluso l'applicabilità della scriminante in considerazione dell'assenza di una situazione di “pericolo concreto ed attuale” della ricorrente al momento in cui ha reso la falsa deposizione». Per il Collegio, la motivazione della Corte d'Appello si basava esclusivamente sull'omessa allegazione di una precedente minaccia subita dalla ricorrente in vista della sua escussione dibattimentale, senza considerare tutte le circostanze del caso concreto, emergenti anche dalla sentenza di primo grado in base alle quali i giudici di merito avrebbe potuto valutare la configurabilità dello stato di necessità putativo , tra cui il breve lasso temporale intercorso tra i due episodi di maltrattamenti, la modalità non protetta di escussione della ricorrente e la circostanza, riferita dalla medesima, di aver subito minacce da parte dell'ex convivente. Pertanto, non può escludersi che «proprio il confronto diretto tra la ricorrente e l'ex convivente nel corso dell'istruttoria dibattimentale, valutato alla luce delle condotte di maltrattamento subite dalla donna e delle pregresse minacce, abbia attualizzato , quanto meno nel convincimento della ricorrente, la condizione di pericolo già sperimentata durante la convivenza e l'abbia, dunque, determinata a rendere le false dichiarazioni in dibattimento». Di conseguenza, la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata in quanto il fatto non costituisce reato.
Presidente Fidelbo – Relatore Tripiccione Ritenuto in fatto 1. L.R.R. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo che ne ha confermato la condanna, emessa all'esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per il reato di cui all'articolo 372 cod. penumero perché, deponendo come testimone nel procedimento per il reato di maltrattamenti a carico del suo ex convivente, G.C., affermava il falso, negando le condotte maltrattanti riferite in denuncia e successivamente descritte allorché veniva sentita a sommarie informazioni. Deduce due motivi di ricorso. 1.1 Con il primo motivo deduce la violazione degli articolo 572 e 54 cod. penumero in relazione al diniego della scriminante dello stato di necessità, invocata dalla ricorrente in ragione del timore di subire ritorsioni da parte del C.G., soprattutto per l'affidamento della figlia, timore generato sia dalle pregresse condotte violente tenute dall'uomo che dalla sua presenza in aula al momento dell'escussione. A sostegno dei timori della donna si richiamano le s.i.t. rese da 1 F.N., che ha riferito di essere stata presente ad uno degli episodi di violenza del C.G. verso la ricorrente e di essersi allontanata per paura dello stato d'ira in cui versava l'uomo 2 C.G., che ha appreso dalla figlia l'odierna ricorrente delle condotte maltrattanti subite e della sua paura di denunciare il convivente. Si aggiunge, inoltre, che l'assoluzione del C.G. non può addebitarsi alla sola scelta della ricorrente, ma a quella del Pubblico ministero di udienza che ha deciso di rinunciare all'escussione degli altri testi e a produrre i certificati medici attestanti le lesioni. 1.2 Con il secondo motivo deduce vizi cumulativi di violazione di legge e di motivazione in relazione al trattamento sanzionatolo in quanto la pena base è stata determinata in misura superiore al minimo edittale anni tre anziché anni due , senza considerare l'incensuratezza della ricorrente e le ragioni che l'avevano determinata a rendere le dichiarazioni in dibattimento. 2. Il procedimento è stato inizialmente assegnato alla Sezione Settima di questa Corte e poi rimesso dinanzi alla Sesta Sezione per l'odierna udienza. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è fondato. Ai fini della configurabilità della scriminante dello stato di necessità, l'articolo 54, comma primo, cod. penumero richiede che la condotta sia determinata dalla necessità di salvare sé o altri da un pericolo attuale e non altrimenti evitabile, nonché la sussistenza di un rapporto di proporzione tra il fatto e il pericolo medesimo. Ai sensi del terzo comma, inoltre, la medesima disposizione si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia, ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo. La nozione di attualità del pericolo è stata definita da un remoto precedente, mai smentito dalla successiva giurisprudenza, non in termini assoluti, come rapporto di assoluta immediatezza tra la situazione di pericolo e l'azione necessitata, ma in termini relativi con riferimento alle circostanze esistenti nel momento in cui l'agente pone in essere il fatto costituente reato. Si è, infatti, affermato che tale situazione di attualità del pericolo può riconoscersi, allorché esiste, secondo una valutazione ex ante che tenga conto di tutte le circostanze concrete e contingenti di tempi e di luogo, del tipo di danno temuto e della sua possibile prevenzione, la ragionevole minaccia di una causa imminente e prossima del danno Sez. 1, numero 4903 del 02/06/1988, Colella, Rv. 180963 . In altra successiva pronuncia, si è, inoltre, affermato che lo stato di necessità determinato dall'altrui minaccia, di cui all'articolo 54, comma terzo, cod. penumero c.d. coazione morale , è configurabile anche nel caso in cui il pericolo attuale di un danno grave alla persona non abbia la natura di pericolo imminente , ma quella di pericolo perdurante , in cui il danno possa verificarsi nei confronti del soggetto minacciato in un futuro prossimo ovvero farsi attendere per un più lungo lasso di tempo Sez. 3, numero 15654 del 02/02/2022, Lomurno, Rv. 283168 . Si è, in ogni caso, esclusa la rilevanza di una situazione di generico timore di un danno grave alla persona Sez. 6, numero 13134 del 16/03/2011, Esposito, Rv. 249891 Sez. 6, numero 34595 del 07/05/2009, lo Scrudato, Rv. 244759 . 1.1 Va, inoltre, considerato che, ai sensi dell'articolo 59, comma quarto, cod. penumero , la sussistenza delle condizioni di attualità o inevitabilità del pericolo può essere erroneamente supposta dall'agente, rilevando ai fini della configurabilità della scriminante sotto il profilo putativo cfr. Sez. 6, numero 14037 del 30/09/2014, dep. 2015, Iocco, Rv. 262969 . In tal caso, è, tuttavia, necessario che l'erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità sia fondata, non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l'erroneo convincimento in capo all'imputato di trovarsi in tale stato così, tra le tante, Sez. 4, numero 2241 del 16/10/2019, dep. 2020, Rv. 277955 Sez. 6, numero 4114 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269724 . E', dunque, necessario che l'imputato alleghi dati concreti, suffraganti il proprio ragionevole convincimento di essersi trovato, a causa di un errore sul fatto, in una situazione che, se effettiva, avrebbe integrato un pericolo attuale e non altrimenti inevitabile, anche derivato dall'altrui minaccia. 2. La sentenza impugnata, basandosi su una interpretazione meramente formale dell'articolo 54 cod. penumero , ha escluso l'applicabilità della scriminante in considerazione dell'assenza di una situazione di pericolo concreto ed attuale della ricorrente al momento in cui ha reso la falsa deposizione. Ciò in quanto l'imputata non ha riferito di avere subito minacce dal C.G. in relazione alla deposizione che avrebbe dovuto rendere né di avere avuto dei contatti con costui in prossimità dell'udienza. Ad avviso del Collegio siffatta motivazione appare giuridicamente viziata in quanto la Corte, focalizzando l'attenzione solo sulla omessa allegazione di una precedente minaccia subita dalla ricorrente in vista della sua escussione dibattimentale, ha omesso di considerare tutte le circostanze del caso concreto, emergenti anche dalla sentenza di primo grado in base alle quali avrebbe potuto valutare, alla luce delle specifiche allegazioni della L.R.R., la configurabilità dello stato di necessità putativo. Dalle sentenze di merito risulta, infatti, che i il 12 agosto 2018 la ricorrente aveva denunciato di avere subito maltrattamenti da parte del convivente, raccontando, fra l'altro, di due episodi, avvenuti, il primo, nell'aprile del 2018, allorché il compagno l'aveva aggredita mentre era in stato di gravidanza, e, l'altro, nel luglio del 2018, quando, la ricorrente, ritornata a vivere con il compagno dopo il parto, era stata nuovamente aggredita con calci e schiaffi ii tali dichiarazioni avevano trovato riscontro nel referto di pronto soccorso del 12 agosto 2018, in cui le veniva certificata soffusione emorragica al margine inferiore dell'emivolto sinistro , nonché nelle dichiarazioni degli altri soggetti sentiti a sommarie informazioni cfr. pagina 3 della sentenza di primo grado iii esercitata l'azione penale nei confronti del C.G., il dibattimento veniva celebrato pochi mesi dopo e, in particolare, la ricorrente veniva sentita, in forma non protetta secondo quanto emerge dalla ricostruzione dei motivi di appello contenuta nella sentenza impugnata, all'udienza del 21 maggio 2019 nel corso della quale ritrattava quanto denunciato iv nonostante quanto riferito dalle due sentenze di merito in ordine ai riscontri emersi alla inziale versione accusatoria della ricorrente, il C.G. veniva assolto dai reati ascritti e veniva contestualmente disposta la trasmissione degli atti ai sensi dell'articolo 207 cod. proc. penumero in relazione alla deposizione della ricorrente v quest'ultima, sentita nel procedimento a suo carico per il reato di falsa testimonianza, ha riferito della sua condizione di timore derivata dalla minaccia del compagno di «toglierle la figlia». Ad avviso del Collegio da tale ricostruzione della scansione procedimentale eseguita dai Giudici di merito potevano, quanto meno, desumersi gli elementi sintomatici dell'erronea supposizione da parte della ricorrente di versare in una condizione di pericolo attuale, per sé e per la propria figlia, nel momento in cui fu sentita come teste. Rilevano, in tal senso, a il breve lasso temporale intercorso tra i maltrattamenti, in relazione ai quali entrambe le sentenze di merito riferiscono dei riscontri acquisiti alla denuncia sporta dalla L.R.R. b le modalità di escussione della donna c le circostanze, riferite dalla stessa ricorrente di avere subito minacce da parte dell'ex convivente. Non può, infatti, escludersi, che proprio il confronto diretto tra la ricorrente e l'ex convivente nel corso dell'istruttoria dibattimentale, valutato alla luce delle condotte di maltrattamento subite dalla L.R.R. e delle pregresse minacce, abbia attualizzato , quanto meno nel convincimento della ricorrente, la condizione di pericolo già sperimentata durante la convivenza e l'abbia, dunque, determinata a rendere le false dichiarazioni in dibattimento. 3. Alla luce di quanto sopra esposto, poiché questa Corte dispone di tutti gli elementi per il riconoscimento alla ricorrente dello stato di necessità putativo, ai sensi dell'articolo 620, comma 1, lett. l , cod. proc. penumero , va disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.